Qualcuno ricorda il blitz a Chinatown: 45 fabbriche clandestine scoperte e invase dai finanzieri, cani morti nei frigo, cinesi che urlavano scappando, gli applausi dei milanesi dai balconi delle case intorno. Un parapiglia a non finire. E qualcuno ricorda anche la calma del capitano delle Fiamme gialle Marco Milanese, regista dell'operazione, uno che avrebbe fatto strada di sicuro, notevole capacità organizzativa, divisa sempre inappuntabile, scarpe lucidissime anche se dozzinali...
Quindici anni dopo, lasciata la Guardia di finanza, deputato Pdl e consigliere politico del ministro dell'Economia, è arrivato a un apice imprevedibile allora. Ma è un uomo agitato, cinetico, non sta fermo un minuto, soprattutto se in giro c'è il suo ministro Giulio Tremonti che segue come un radar. Azzimatissimo, profumato, capelli bagnati dal gel, guardaroba da bodyguard ricco, scarpe di gran lusso, finalmente, e da un bel pezzo. Una volta il pm Piercamillo Davigo disse che per capire quale fosse lo stato finanziario di un finanziere bisognava guardargli le scarpe, rappresentavano il più chiaro dei redditometri.
L'enigma Milanese. L'affittuario dell'appartamento (carissimo, 8.500 euro) del Pio Sodalizio dei Piceni abitato "temporaneamente" dal suo ministro che ora lo ha lasciato di gran carriera (ma Tremonti già da professore ancora lontano dalla politica aveva da sempre avuto la fissa di farsi ospitare nelle case degli amici). Il deputato sotto richiesta di arresto da parte delle Procure di Napoli e di Roma per corruzione, associazione a delinquere e altri reati, accusato di presunte cospicue contropartite per nomine e informazione riservate.
L'enigma Milanese. Non nuovo agli squali di Montecitorio, all'apparatcik e ai componenti delle tante cricche e lobby che entrano ed escono dalle stanze dei bottoni (e anche da quelle dei magistrati). Non tanto per la sua storia, dalla caserma allo studio Tremonti, poi fino all'olimpo dei tetri uffici di via XX settembre, cuore del potere vero e del controllo di esso: una scalata più o meno simile a quella di tanti finanzieri (raccontò una volta con ironia Ettore Bernabei di un ufficiale arrivato nella notte dei tempi per un controllo all'Italstat: "Si trovò molto bene... e poi rimase con noi"). Ma per il ruolo che, da qualche anno, mostrava di avere e che gli veniva riconosciuto. Era lui a tenere i rapporti con alcuni giornalisti dando in modo sapiente le notizie, ben attento a dimostrare come potesse anticipare e di molto quello che la presidenza del Consiglio e perfino il Quirinale avrebbe reso noto ore dopo. Era lui a essere considerato da tutti l'uomo preposto a trattare una serie di nomine (Finmeccanica, Enav) tanto da essere seduto a quello che veniva chiamato il tavolo di compensazione (che simbologia!) e di coordinamento a fianco del vero capo del governo, Gianni Letta.
In realtà, le storie di spicciafaccende più o meno realmente potenti, più o meno realmente intimi di potenti, lastricano le strade di Roma. L'enigma sollevato da tanti è come una persona antropologicamente e culturalmente così diversa potesse essere uno degli consiglieri più vicini a Giulio Tremonti, notoriamente tanto prudente da rasentare l'isteria, tanto diffidente da non frequentare quasi nessuno, inviti a cena accettati molto raramente e solo dopo aver avuto l'analisi del sangue degli ospiti, pochissimi e fidatissimi. E tanto conoscitore dei pozzi avvelenati di Roma da essere ossessionato dal timore di finirci dentro. Il ministro che nella sua casa a Lorenzago guida una vecchissima Land Rover, e che a volte d'inverno indossa un cappotto ex di cammello che gli amici riconoscono essere quello di almeno un quarto di secolo fa, con un consigliere, che pretende, secondo i verbali, dall'imprenditore Paolo Viscione, il grande accusatore in carcere, via via un'Aston Martin, una Bentley, una Ferrari.
Da finanziere, al tempo del pericolo della tracimazione della Valtellina, Milanese si fece notare per lo spropositato numero di vecchiette portato sulle spalle (a volte il caso, Tremonti è nato a Sondrio). Da deputato era arrivato a essere relatore della Finanziaria nel 2010. Doppiamente laureato (lui ne ha dichiarate tre, una all'università di Trieste, smentita) presiedeva la Consulta finanze del Pdl: per capire il tipo di poltrona, quella della giustizia ha come presidente Niccolò Ghedini.
Dopo la separazione dall'avvocato Anna Maria Taddeo, (anche autrice di un alato romanzo, "La meta del desiderio") da cui ha avuto una figlia, si era legato sentimentalmente a Manuela Bravi, ex addetta stampa a Forza Italia, un breve periodo con Claudio Scajola, poi l'incontro con Tremonti, al tempo in cui è vicepresidente del partito, fino a diventarne la fidatissima consigliera per la Comunicazione, donna-ombra, graziosa, lineamenti duri, gonne al ginocchio, mai nemmeno un accenno di scollatura. Ma piacevolmente gratificata da brillanti dai tre carati in su e da orologi a forma di cuoricini con diamanti dal romantico compagno (pagati però dal suddetto Viscione).
Una brutta storia di abuso di potere, quella in cui è finito Milanese. Una storia di ricatti, di strumentalizzazione d'informazioni riservate, ma anche di guerra di cordate all'interno della Guardia di finanza e dello stesso Pdl. La Roma flaianesca che passa da uno scandalo all'altro sa che la politica ha bisogno di qualcuno che faccia i lavori più o meno border line. Ma è anche vero che Tremonti in quasi vent'anni di prima linea non è mai stato sfiorato nemmeno da un'allusione, dall'alito di uno scandalo, e non è che si aggiri proprio in un kinderheim di innocenti creature, per non parlare di mezzo Parlamento popolato da inquisiti. Allora, questo è il caso, come altri, del paradosso del rapporto di fiducia totale? E della grande capacità di Milanese, dice chi lo conosce bene, di gestire il caos totale, avendo il dono di alleggerirlo? Il massimo per uno come il ministro dell'Economia caratterialmente una vera pila elettrica. L'enigma spacca, moltiplica illazioni, davvero di tutti i generi.
Secondo alcuni, il capriccioso tenore di vita del consigliere non era necessariamente la spia di una vita parallela di imbrogli. Negli anni, l'ex finanziere ha guadagnato tanti quattrini da giustificare ampiamente i gusti da generone romano per macchine di lusso, barche come siluri, gioielli a forma di cuore, case in Costa Azzurra, vacanze da cinepanettoni, sogno di ogni finta bionda, all'inseguimento di icone vanzinesche come Christian De Sica, Sabrina Ferilli nella suite del Plaza di New York da quasi 10 mila dollari. Tutti pagati invece a quanto parrebbe da aspiranti consiglieri d'amministrazione (poi ricompensati), e in buona parte scovati da Viscione che sotto interrogatorio ha calcolato il costo dei "piaceri" fatti a Milanese "In tutto, 'na milionata ". Non male.
A fine anni Novanta è Dario Romagnoli, ex finanziere anche lui, un fuoriclasse diventato socio dello studio fondato dal futuro ministro, a segnalare il capitano al professor Tremonti. Milanese, che ora ha 52 anni, viene nominato aiutante di campo di un Tremonti ritornato ministro, poi lascia le Fiamme Gialle ed entra a far parte dello studio di tributaristi. Basta niente all'ex ufficiale per capire quanto il riflesso del potere del suo capo possa contare e possa fruttare. Così si trasforma in un collezionista di consulenze. Viene pagato centinaia di migliaia di euro, lo vogliono Ferrovie dello Stato, Assitalia, Rai, Alitalia, Unire. Nei suoi conti bancari, il via vai di entrate e uscite diventa vorticoso. In un mese la sua carta di credito paga 23 mila euro. Ma è la politica a segnare la svolta, il giro di boa. Nel 2008 eletto in Campania, diventa il commissario provinciale di Forza Italia, e inizia a rivendicare le sue origini irpine. La sua amicizia con il casalese Nicola Cosentino, sottosegretario all'Economia costretto poi a lasciare per altre inchieste giudiziarie e un mandato di cattura per mafia, è nota a tutti.
Comincia a diffondersi la leggenda della potenza di Milanese. E lui è il primo ad alimentarla, si racconta. Prende posizione al fianco di Cosentino nelle faide della Campania. Non vuole più essere l'ombra di Tremonti, ha l'ansia di ballare da solo e il progetto della Banca del Sud può essere il trampolino. Concede pochissime interviste, qualcuna al "Mattino" di Napoli. Che gli chiede a proposito del suo attivismo politico: "Cosa ne dice Tremonti?". E lui: "Non ho bisogno di informarlo di ogni passo che faccio". È un personaggio chiacchierato, tenuto a distanza dai suoi compagni di scranno e guardato con una certa sufficienza dall'alta società.
A fine dell'autunno 2010, l'inchiesta di Napoli per la quale il 23 dicembre viene ascoltato anche il suo ministro, lo rende ancora più isolato. Poi, la bomba della richiesta di arresto. Ora Tremonti, si è saputo, non dorme da notti. Editoriali, commenti, articoli gli hanno chiesto lumi sul caso Milanese. E quando lunedì è arrivato a Bruxelles all'eurogruppo, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet che lo stima tantissimo, dopo averlo salutato, gli ha fatto un affettuoso "pat-pat" sulla spalla. Intanto Milanese (che, nota qualcuno, è nato un giorno importante, l'8 settembre, il giorno dell'armistizio) sta preparando la difesa da presentare alla Giunta delle autorizzazioni a procedere. I magistrati hanno chiesto l'apertura delle sue cinque cassette di sicurezza. Custodiscono un altro tassello dell'ennesima storia del lato oscuro del potere italiano?
Denise Pardo
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