Sembra ieri... Ristorante estivo in Brianza, una rimpatriata serale con amici di vecchia data, per rievocare oltre vent'anni di sodalizio velico, ma anche di furibonde discussioni politiche. Quella sera, per percorsi che non ricordo, tirai fuori la storia di don Verzé, e della sua situazione debitoria quasi incontrollabile. Con mio grande stupore, ricordo che il mio amico - persona solitamente ben informata, visto che esercita da decenni il mestiere di broker assicurativo ad alto livello - quasi mi sbranò, spiegandomi che don Verzé era un grandissimo manager, e come la storia di debiti fosse una montatura (di chi, e perchè, dimenticò di dirmelo).
Lasciai perdere. Innanzitutto per non sciupare un lungo e consolidato rapporto d'amicizia, e in secondo luogo perchè ho acquisito da anni la convinzione che il tempo sia galantuomo... Ebbene, lo è stato anche questa volta. D'altra parte, considerando le frequentazioni del prete-affarista, le sue amicizie, i suoi riferimenti, non poteva che finire così. Lascia l'amaro in bocca vedere che in questa brutta storia, dal finale prevedibile, si sia lasciato invischiare anche un guru della sinistra-poco-sinistra come Massimo Cacciari, uno che ha una bacchettata pronta per tutti, e che con grande sufficienza spiega urbi et orbi l'uso di mondo. Salvo poi lasciarsi invischiare come Rettore della Università del Prete (altra fonte inesauribile di perdite).
Oggi il Grande Manager è di fatto, più che commissariato, estromesso dall'impero di cartapesta che aveva creato. Si ritrova sotto padrone (e che padrone... lo IOR, Bertone, Ratzinger...). Il suo magnaccia politico è in disgrazia, screditato in tutto il mondo. Chi gli ha tenuto aperto il sacco oggi si è suicidato (così dicono...).
Sarò uno stronzo, ma questo tipo di morti non mi creano alcuna commozione. Il suicidio del carcerato mi crea commozione. Quella del disoccupato che all'improvviso si ritrova senza lavoro e con la casa pignorata, quella del malato terminale al quale viene negato il diritto di farla finita dignitosamente.
Sarò uno stronzo, ma non ho mai avuto un solo momento di commozione per il suicidio di Raoul Gardini, o dell'on. Moroni, o di Cagliari, o di altri che sono stati spinti al suicidio da botte tardive di vergogna. Quanti piccoli fornitori sono stati rovinati, o lo saranno, perchè da un anno e mezzo aspettano dal prete e da Mario Cal pagamenti che non arrivano? Credete che se domani qualcuno di questi piccoli impresari, o artigiani, dovesse fallire e suicidarsi, la cosa finirà sui TG per più di 30 secondi?
Don Verzé e Mario Cal fanno parte dello stesso filone. Una storia lunga, iniziata ai tempi di tangentopoli, fatta di mazzette (Cal era stato arrestato già vent'anni fa da Di Pietro), di arrivismo tentacolare, di protezioni politiche, di incredibili convenzioni con la sanità lombarda di Roberto Formigoni (ed ora, in prospettiva, con quella pugliese della gauche au caviar di Nichi Vendola), di monumenti personali come il cupolone del san Raffaele, dove si realizza il matrimonio fra l'inutile, il kitsch e lo spreco... Ma come... non paghi i fornitori da un anno e mezzo, e ti fai il cupolone??? Ma fatti una bella tomba, che almeno serve a qualcosa...
Nelle righe che seguono le storie parallele di don Verzé e di Mario Cal. Tafanus
Il San Raffaele fra sperperi e debiti - 900 milioni di buco, 50 per la cupola - L'ospedale di don Verzè è un campione della sanità lombarda, ma anche degli sprechi pagati con i rimborsi della Regione di Formigoni. I fornitori attendono i pagamenti da un anno e mezzo
(di Walter Galbiati - Repubblica.it)
L'arcangelo Gabriele posato due anni fa sul cupolone del San Raffaele dovrà guarire un malato del tutto particolare: il bilancio dell'ospedale. Sono scritte lì le cifre delle manie di grandezza di don Luigi Verzè e del San Raffaele. Campione della sanità lombarda, ma anche degli sperperi, pagati con i rimborsi per le prestazioni sanitarie che la Regione guidata da Roberto Formigoni versa con puntualità quasi svizzera nelle casse della Fondazione.
Per costruire quell’arcangelo in vetroresina e acciaio inox, alto 8,3 metri, capace di resistere al vento e allo smog della tangenziale Est che passa lì sotto, ci sono voluti 2,5 milioni di euro. E altri 50 milioni sono stati spesi per tirar su l’edificio sul quale è appoggiato: il cupolone in vetro che ospita l’università di don Verzè e i laboratori del dipartimento di medicina molecolare. Non è un caso che sul gigantesco atrio penda una
struttura di legno e acciaio che raffigura proprio l’elica del dna. Un’opera mastodontica, coronata ai piani alti da un giardino pensile, paradiso in terra dentro il quale don Verzé ha collocato il suo ufficio.
Per risanare quel bilancio ora servirà un miracolo, ma soprattutto la pazienza dei fornitori che aspettano da oltre 500 giorni di essere pagati. Il peso dei debiti nel 2009 era di 763 milioni, lievitati a oltre 900 nel corso dell’ultimo esercizio, con il consolidamento del mutuo da 150 milioni, aperto per costruire il terzo e il quarto lotto della struttura milanese, e l’ospedale di Olbia in Sardegna (..Olbia... che combinazione... NdR).
È solo alla luce dei numeri di bilancio, tenuti gelosamente in cassaforte e mai comunicati al pubblico, che appare la sproporzione tra le spese per quel cupolone e i soldi pubblici che la Fondazione ogni anno incassa. Perché tutto si può dire, fuorché la Regione non paghi. Don Verzè, tra degenze convenzionate, prestazioni ambulatoriali e rimborsi per farmaci incassa qualcosa come 430 milioni. E li incassa subito perché i crediti verso le Asl iscritti a bilancio nel 2009 superano di poco i 100 milioni, nulla a confronto di quanto la Fondazione deve invece ai fornitori: ben 440 milioni. Dove sono finiti quei 340 milioni di differenza che avrebbero dovuto essere già nelle tasche dei fornitori?
Certo i margini del San Raffaele non sono da capogiro, visto che la differenza tra i costi e ricavi è di soli 5 milioni di euro l’anno. Tant’è che anche nel 2010 la perdita dovrebbe essere analoga a quella dell’anno precedente, chiuso in rosso per 17,4 milioni. Ma gli investimenti sono stati quanto meno sproporzionati. Il più appariscente è proprio il cupolone con il suo angelo, anche se non sono da meno le avventure nell’edilizia alberghiera (l’Hotel Rafael costruito a ridosso dell’ospedale e l’Hotel Don Diego in Sardegna) e in quella residenziale.
Qui la Fondazione ha operato con una società, la EdilRaf, su cui gravano 50 milioni di debiti, utilizzati per costruire un complesso di case a Cologno monzese, ora in lista per essere vendute in blocco. Il socio di don Verzè nella EdilRaf è stato dal 2006 al 2008 la Diodoro Costruzioni Srl, una società di Pierino Zammarchi oggi liquidata, ma che tra il 2001 e il 2008 è stata uno dei principali interlocutori per l’edilizia di don Verzé.
La Diodoro ha costruito la residenza alberghiera del San Raffaele, ha partecipato ai lavori della struttura di Olbia, a quelli dell’ospedale in Brasile e negli otto anni della sua vita ha incassato (non solo dal San Raffaele) fatture per 271 milioni. Fino al 2006 ha avuto tra i suoi soci anche un politico locale, Emilio Santomauro, prima di An e poi dell’Udc, due volte consigliere comunale a Milano nel 1997 e nel2006, ex presidente della Commissione Urbanistica di Palazzo Marino, e già vicepresidente della società del Comune (Sogemi) che gestisce l’Ortomercato (...questi i limpidi riferimenti politici. NdR) [...]
L’altra grande diversificazione di don Verzè sarebbe dovuta avvenire con un’altra joint venture, nell’energia. Il socio prescelto era Giuseppe Grossi, re delle bonifiche milanesi, vicino a Cl, ex consigliere della Fondazione San Raffaele e anche lui finito di recente nelle mire della procura milanese: per le accuse di associazione a delinquere, frode fiscale e appropriazione indebita, Grossi ha patteggiato una pena di tre anni e mezzo e ha risarcito il Fisco. Con don Verzè ha costituito la Blu Energy, ora destinata alla vendita: in tre anni di vita la società ha accumulato 116 milioni di debiti, soldi ricevuti per lo più dalle banche (79,8 milioni) e utilizzati per costruire l’impianto di produzione di energia di Vimodrone. La missione della Blu Energy era fornire elettricità al San Raffaele. Ma all’ospedale ha fatto solo lievitare i costi di approvvigionamento da 11 a 41 milioni.
Il San Raffaele, Mario Cal, e le ombre lunghe del 1994
(di Gianluca Di Feo - l'Easpresso)
Mario Cal, il numero due di don Verzè morto suicida, 17 anni fa fu arrestato per una storia di mazzette e indagato da Di Pietro. L'inchiesta dell'allora pm puntava al cuore delle finanze della clinica, ma poi Tonino lasciò la Magistratura...
All'epoca quell'arresto suonò come l'ultimo segnale d'allarme lanciato al governo. La retata del San Raffaele, scattata mentre il premier Silvio Berlusconi inaugurava il Parco Scientifico di don Verzè, venne interpretata come una sfida diretta della procura di Milano al governo. E dodici giorni dopo arrivò l'avviso di garanzia per il presidente del Consiglio.
In quel tormentato novembre 1994 la vicenda giudiziaria di Mario Cal passò in secondo piano: una storia minima, da soli trenta milioni di lire, che però aveva aperto uno spiraglio nella gestione dell'impero delle cliniche.
Ora il suo suicidio, che segue l'interrogatorio come teste negli uffici dei pm milanesi, pare riportare alla stagione della grande crisi istituzionale. Fu chiamato "il terrore", rievocando la fase più sanguinaria della rivoluzione francese. Un parlamento di inquisiti preoccupati più della loro difesa che della situazione del Paese, una tempesta economica profonda che nel settembre 1992 aveva incenerito il valore della lira, il peso del debito pubblico che schiacciava le casse dello Stato, la disoccupazione e l'impoverimento generalizzato, le stragi di mafia con misteriose complicità che avevano persino spento i telefoni di Palazzo Chigi nella notte del triplice attentato, e i suicidi eccellenti di personaggi come Raul Gardini.
In quel novembre 1994 Mario Cal finì in manette per una mazzetta da trenta milioni di lire pagata agli ispettori dell'Ufficio imposte. All'epoca, l'inchiesta sulle tangenti fiscali aveva decimato gli organici delle Fiamme Gialle milanesi, con decine di arresti, e azzerato la sede dell'Ufficio Imposte, dove fu necessario mandare rimpiazzi da altre città per sostituire gli inquisiti.
Secondo l'accusa, la bustarella del San Raffaele venne versata nell'estate 1993, quando Mani Pulite già dilagava: la decisione di consegnare la tangente sarebbe stata presa da Vincenzo Marescotti, allora direttore amministrativo della Fondazione San Raffaele Monte Tabor, dopo l'autorizzazione di Mario Cal, già all'epoca numero uno della holding di don Verzè. L'indagine condotta personalmente da Antonio Di Pietro puntava però al cuore delle finanze del San Raffaele, che incassava dalla Regione Lombardia quasi 400 miliardi di lire l'anno per l'assistenza convenzionata. In quel periodo, la Fondazione stava conducendo una grande fase di espansione internazionale: Algeria, Polonia, Cile, Filippine, India ed era addirittura consulente dell'Autorità palestinese di Arafat per la creazione del servizio sanitario nei Territori.
Le relazioni di don Verzè abbracciavano l'intero governo nazionale e regionale, dal vecchio pentapartito alle nuove leve di Forza Italia creata dal suo antico amico Berlusconi. Che bisogno c'era di consegnare una mazzetta agli ispettori del Fisco? Cal e Mariscotti furono scarcerati subito dopo l'interrogatorio davanti al gip Andrea Padalino, nel quale ammisero la tangente «per rendere più veloce la verifica» e fecero una panoramica del loro ruolo nella galassia mondiale del San Raffaele.
Ma nel faldone investigativo raccolto dai pm c'erano elementi che avevano colpito molto Antonio Di Pietro. Una radiografia dei rapporti tra la Fondazione milanese di don Verzè e le sue controllate estere, su cui si era focalizzato l'interrogatorio di Cal e Mariscotti, con il trasferimento di fondi dalla Lombardia al Brasile: c'era il sospetto che i quattrini ottenuti dall'ente pubblico venissero spostati in altri continenti per creare fondi neri.
Un sospetto mai concretizzato in provvedimenti giudiziari. Di Pietro si dimise dalla magistratura tre settimane dopo l'arresto dei due top manager, il resto del pool si concentrò sul trasformare in processi le prove raccolte contro oltre duemila imputati nei primi due anni di Mani Pulite. Nel caso delle mazzette fiscali, però, è stato tutto inutile: le imputazioni sono finite in prescrizione. Ma qualcosa nei conti del San Raffaele già allora non quadrava. E oggi la situazione dei bilanci è diventata così grave da avere spinto - stando alle dichiarazioni del suo avvocato e amico Rosario Minniti - Mario Cal al suicidio
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