Un imprenditore costretto a obbedire alla camorra diventa il costruttore di fiducia di Cal, il manager morto suicida. Perché? Nuovi scenari nell'indagine sul crac di don Verzè.
(di Paolo Biondani e Luca Piana - l'Espresso)
Dietro i maxi-appalti edilizi del San Raffaele c'è una trama segreta da film di mafia. La storia drammatica di un'insospettabile azienda lombarda che per trent'anni viene strangolata da continui ricatti della camorra. Attentati. Assunzioni di mafiosi imposte con la paura. Prestiti in odore di usura. Visite intimidatorie nei cantieri finanziati dal grande ospedale privato. E la misteriosa gambizzazione di un politico che faceva da prestanome agli imprenditori taglieggiati.
I rapporti con il mondo degli appaltatori e fornitori, dall'edilizia all'energia, sono una delle direttrici di fondo delle inchieste giudiziarie che puntano a far luce sulla montagna di debiti che rischia di far fallire il grande polo ospedaliero fondato a Milano da don Luigi Verzè. E sulle cause dell'improvviso suicidio di Mario Cal, il manager che da anni era il braccio esecutivo del prete veronese. Indagini delicate. La prima ipotesi di reato è infatti l'induzione al suicidio: pressioni esterne che potrebbero aver spinto Cal a spararsi, la mattina di lunedì 18 luglio, proprio vicino all'ufficio di don Verzè. Oltre ai magistrati, anche Enrico Bondi, consulente dei nuovi amministratori scelti dal Vaticano, sta lavorando per rispondere a molte domande: quanti debiti ha accumulato don Verzè? E dove sono finiti i soldi?
Alcune decine di milioni di euro sono arrivati in misteriose società estere, con sedi in paradisi fiscali e bancari: il "Corriere della Sera" parla di finanziamenti a protettori politici e il "Sole 24 Ore" di affari con faccendieri condannati. In ogni caso, secondo testimonianze interne al San Raffaele raccolte da "l'Espresso", "il grosso del debito è nato in Italia". La società di revisione Deloitte ha certificato 948 milioni di scoperto con banche e fornitori. Aggiungendo altre voci, come leasing, garanzie e crediti dubbi, il passivo totale sale a 1 miliardo e 379 milioni. Ma il conto finale è destinato ad aggravarsi, visto che molte società collegate non hanno trasmesso alla Deloitte i dati richiesti.
In queste prime settimane di indagini la Guardia di Finanza sta passando al setaccio soprattutto l'archivio privato di Mario Cal: faldoni che il manager suicida custodiva in Brianza (...a pochi metri da casa mia... NdR), ritrovati grazie a un dipendente fidato che ora è sotto choc. Il tribunale fallimentare ha rinviato al 15 settembre la decisione sul piano di salvataggio, altrimenti sarà il crac. Le entrate sono conosciute: il San Raffaele di Milano incassava 450 milioni l'anno solo dalla Regione Lombardia. Il mistero sono le uscite. Seguendo indicazioni filtrate dall'ospedale, "l'Espresso" ha ricostruito i rapporti con alcuni grandi fornitori. Scoprendo un intreccio di affari e trame di mafia che a Milano sembravano impensabili.
La storia segreta degli appalti del San Raffaele si apre quando la polizia inizia a indagare sulla gambizzazione di un politico. È il 25 gennaio 2000 quando, nel centro di Milano, Emilio Santomauro, consigliere comunale di An e vicepresidente della commissione urbanistica, viene ferito da due colpi di pistola. L'attentatore resta senza nome. La polizia scopre solo che il politico ha appena chiuso una burrascosa relazione con Sonia Guida, figlia di Vincenzo (detto Enzo) e nipote di Nunzio Guida. Il padre della ragazza, arrestato nel '96, e lo zio, morto in Brasile da latitante, erano i capi della camorra a Milano fin dagli anni Ottanta: entrambi sono stati condannati per mafia con sentenza definitiva.
Fino al settembre 2006 il politico gambizzato figura come titolare del 50 per cento della Diodoro Costruzioni, ma le intercettazioni dimostrano che non è lui a comandare. Il vero dominus è Pierino Zammarchi, un imprenditore di origine bresciana che controlla una trentina di società. Negli stessi anni, dal 2001 al 2006, il fatturato dell'azienda edile schizza da zero a oltre 66 milioni di euro, grazie a un rapporto con l'ospedale di don Verzè che sembra quasi monopolistico: il San Raffaele affida i più ricchi appalti edilizi sempre alla Diodoro, che a sua volta lavora soprattutto per il sacerdote. Proprio in quegli anni il gruppo Diodoro stipendia, oltre alla figlia, anche la convivente e lo stesso boss Enzo Guida. Che nel marzo 2006, appena viene scarcerato, ottiene un posto da dirigente in una società controllata (Sten srl) per 4 mila euro netti al mese. La Diodoro gli ristruttura anche due case a Milano, senza chiedergli un soldo. I legami con il clan Guida sono tanto stretti che la procura arriva a inquisire gli imprenditori per il reato di intestazione fittizia di beni mafiosi: il politico Santomauro, che intanto è passato all'Udc, e l'imprenditore Zammarchi, secondo l'accusa, sarebbero prestanome della camorra.
Al processo Pierino Zammarchi decide di raccontare ai giudici quella verità che per trent'anni aveva tenuto segreta. In un drammatico interrogatorio, spiega di aver conosciuto i boss Guida negli anni Settanta grazie al loro avvocato, che era lo zio di Santomauro e lo avvertì che erano mafiosi. Nell'85, quando subisce il primo attentato, l'imprenditore lombardo chiede protezione a Nunzio Guida, che ne approfitta per domandargli "il favore di ristrutturare gratis la casa di suo fratello Enzo". Poi s'impegna a vendergli 10 box per auto, ma il boss ci ripensa e "riesce a farsi restituire l'intera caparra con gli interessi". Zammarchi confessa ai giudici che anche le assunzioni erano "fittizie": il boss, sua figlia e la convivente "prendevano lo stipendio ma non hanno mai lavorato". Nel 2006, scontata la condanna per mafia, Enzo Guida manda un suo scagnozzo nel cantiere del San Raffaele, dove Zammarchi è costretto a prestargli "altri 100 mila euro, mai restituiti". E il politico Santomauro? "Era solo un mio prestanome", giura Zammarchi: "Gli intestai le quote perché le banche non mi facevano più credito".
Nel marzo scorso, Zammarchi, Santomauro e gli altri imprenditori sono stati assolti con formula piena. Nelle motivazioni il tribunale spiega di non aver trovato "nessun indizio" che fosse la camorra a finanziare il gruppo Diodoro, anzi: l'azienda è cresciuta grazie agli appalti col San Raffaele. Dunque, conclude il giudice Aurelio Barazzetta, Zammarchi "non è un complice né un prestanome" ma "solo un imprenditore che ha la pessima idea di farsi prestare soldi da un mafioso e da quel momento ne diviene vittima". Un costruttore che non denuncia la camorra per paura, come se Milano fosse Casal di Principe.
Conquistata l'assoluzione, Pierino Zammarchi torna a frequentare Mario Cal. Chi conosceva entrambi, riferisce che con il manager che si è ucciso c'era un rapporto assiduo, personale. Zammarchi partecipava anche a pranzi con gli amici di Cal, ospitati al San Raffaele. E seguiva il braccio destro di don Verzè in alcuni dei suoi viaggi all'estero. La documentazione disponibile colloca l'inizio del legame almeno alla primavera 2002, quando la neonata Diodoro si aggiudica un subappalto da 3 milioni e mezzo per la ristrutturazione della sede secondaria del San Raffaele, Villa Turro. Poi sale di grado ed entra nei maxi-cantieri per l'ampliamento dell'ospedale di via Olgettina, il cuore dell'impero. È questo uno dei progetti che sono finiti nel mirino dei critici di Don Verzè: l'edificio chiamato Dibit 2 comprende reparti, uffici, laboratori, aule universitarie, una basilica, ed è coperto da una cupola di 43 metri di diametro, uno in più di San Pietro. Qualche anno fa il costo dell'operazione era stato calcolato da don Verzè in 150 milioni, ma ora l'ex direttore sanitario Renato Botti, diventato consulente del Vaticano, arriva a stimare un costo superiore ai 200 [...]
Ora, dopo il suidicio di Cal e la scoperta di un passivo da almeno 1,4 miliardi, la Guardia di Finanza si è messa a esaminare tutti i rapporti con le più importanti imprese fornitrici. L'elettricità al San Raffaele, ad esempio, viene venduta dalla Blu Energy, una società creata dallo stesso ospedale in joint-venture con Giuseppe Grossi, il re degli inceneritori e delle bonifiche targate centrodestra. Altre indagini (quelle sulle aree Santa Giulia a Milano e Falck a Sesto) hanno dimostrato che le ditte di Grossi gonfiavano i costi e si facevano restituire fondi neri tramite società di comodo create all'estero. Ora gli inquirenti vogliono capire se lo stesso sistema di false fatturazioni possa essere servito anche a far uscire soldi dal San Raffaele.
Dei tanti guai nati dalle indagini contro la camorra, oggi al gruppo Zammarchi resta da affrontare solo un problema fiscale, che ricorda proprio il caso Grossi. La Dia infatti, indagando sulla Diodoro e sulla controllata Tekno, aveva segnalato un grosso giro di presunte "fatture per operazioni inesistenti", pari a "oltre 12 milioni nel solo anno 2005". L'ipotesi degli investigatori antimafia era che i costi venissero gonfiati "per farsi restituire in nero una parte dei soldi, con indubbi vantaggi anche per i clienti". Poi la Guardia di Finanza ha chiuso gli accertamenti fiscali, aggravando l'addebito. Il gruppo Zammarchi però nega tutto e ha fatto ricorso alla giustizia tributaria. Per ora, dunque, anche il "nero" è un'accusa tutta da provare.
Il coinvolgimento della Diodoro nelle indagini e la sua successiva liquidazione, avvenuta alla fine del 2008, non hanno comunque incrinato la fiducia di don Verzè e Mario Cal. I mega-cantieri di Olbia e di Cologno, infatti, sono passati alla Metodo Costruzioni, un'impresa nuova di zecca fondata dal figlio di Pierino, Giovanni Zammarchi. E così, oggi, proprio la Metodo compare fra i principali creditori che il San Raffaele non riesce più a pagare, con un conto in sospeso di almeno 13,6 milioni.
E spunta l'architetto del caso Penati
La localizzazione è quanto mai suggestiva: Cologno Monzese, il comune dell'hinterland milanese dove ci sono gli studi di Mediaset ma dove il Pd lombardo diretto da Filippo Penati ha governato a lungo. È qui, a due passi dal cimitero, che don Verzè si è messo alla prova come speculatore edilizio. Una società che fa capo al San Raffaele, la Edilraf, ha comprato i terreni e costruito un complesso con decine di appartamenti, da poco ultimati e attualmente in vendita. Il progetto è stato affidato a Renato Sarno, lo stesso architetto che di recente è entrato nelle indagini sul cosiddetto "sistema Sesto" di Penati. La Edilraf, però, costituisce anche l'ennesimo incrocio fra il San Raffaele e la Diodoro Costruzioni di Pierino Zammarchi, l'imprenditore legatissimo a don Verzè e al suo braccio destro Mario Cal che si è suicidato un mese fa.
Il 16 ottobre 2006, quando era ancora in corso l'inchiesta penale su Zammarchi, poi assolto in tribunale, la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) ha registrato uno sfogo dell'imprenditore contro l'amico manager. Zammarchi sta chiedendo un prestito di 11 milioni a una banca di Sesto, garantito dai futuri pagamenti del San Raffale per Villa Turro. "E il Mario Cal, papale papale, gli ha detto al vicedirettore della banca che con quell'anticipo la Diodoro compra il 51 per cento della Edilraf... È un pirla, ma pensa te... È un conflitto d'interessi: la banca chiedeva proprio se la Diodoro ha interessi in comune con il San Raffaele..."."Pirla" o "acqua chiara" che fosse, come viene definito nella stessa intercettazione, alla fine Cal è riuscito davvero a far entrare Zammarchi in società con il San Raffaele: nel bilancio 2006 della Diodoro, infatti, compare una quota del 49 per cento nella Edilraf.
Per l'ospedale, tuttavia, la speculazione immobiliare di Cologno è finita male. Lo certifica la società di revisione Deloitte che, nella verifica commissionata per il piano di salvataggio, rivela che la Edilraf ha già causato nei conti del San Raffaele un buco di almeno 11,7 milioni, che ha totalmente azzerato il valore di bilancio di quella partecipazione.
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