Quando Berlù e Tremò sognavano (e promettevano) in grande - Correva l'anno 2000...
[...] La formula di base della estesa alleanza del Cavaliere è naturalmente quella economica: aznariana, spagnola, liberalizzatrice. E soprattutto popolare, con il formidabile richiamo anti-tasse siglato dalla griffe del fiscalista Giulio Tremonti: "no tax area" per i ceti più bassi, il 23 per cento di imposizione fino a 200 milioni di reddito, un'aliquota massima del 33 oltre i 200.
E poi, giù un radicale sfoltimento dalle imposte (otto tasse in tutto), leggi speciali per svincolare le grandi infrastrutture, delegificazioni, semplificazioni, sburocratizzazioni. D'Alema e Vincenzo Visco dicono che sono avventurismi economici? Per Berlusconi sono "la nostra ricetta, che tutti conoscono": l'unica in grado di indurre il paese alla resurrezione. Possibile? Realistica? Praticabile? Oppure l'enunciazione di una politica economica "by magic"? Nessuno fra gli economisti di tendenza ha ancora valutato il programma polista. A fondamento del manifesto politico di Forza Italia per ora c'è il sorriso di Berlusconi, quella straordinaria fiducia in se stesso che gli fa dire, con rimpianto compiaciuto: "Pensate a che cosa avrei potuto fare, in questi tempi di esplosione delle nuove tecnologie, al ruolo di protagonista che avrei potuto avere nella nuova economia mondiale".
Anche nel glorioso e splendente 1994 andava così. Il milione di posti di lavoro era stato percepito dal fiuto dell'imprenditore ed evocato dalla fiducia che lui avrebbe suscitato nelle categorie. La "flat tax" di Antonio Martino era stata crivellata dagli esperti, ma il "penso positivo" era stato immediatamente realizzato con i provvedimenti di Tremonti sulla detassazione degli utili reinvestiti, che per la destra sono rimaste un totem indiscusso della politica del Polo e per gli economisti della sinistra anche liberal un esempio di misure "pro ciclitiche", superflue se non dannose (Edmondo Berselli - dall'Espresso del 16/03/2000)
Quando il divino Giulio soffriva a stare in seconda fila (da "Il loggione no". Espresso del 5/05/2000)
La lettera, 31 righe, è datata 12 aprile. Mittente: Giulio Tremonti. Destinatario: Luciano Violante. Ma perché il parlamentare di Forza Italia ed ex ministro delle Finanze di Silvio Berlusconi scrive al presidente della Camera? L'antefatto riporta a lunedì 10 aprile, quando Tremonti si affaccia alla sala di palazzo Marino dove Luigi Spaventa sta per presentare la relazione annuale della Consob. Il parlamentare scopre che gli è stata riservata una poltrona non di primissima fila e gira sui tacchi.
Tremonti se l'è presa davvero a male. Tanto che due giorni dopo si è rivolto appunto a Violante. "I parlamentari invitati erano sistemati molto più dietro di industriali, banchieri, finanzieri, funzionari dello Stato e militari, di vario ordine e grado", si lamenta. Poi aggiunge: "Ti prego di credere che la mia non è questione personale (personalmente, sto infatti benissimo anche in ultima fila) ma, come dire, "istituzionale". Quindi conclude: "So bene che il caso Consob in sé è un caso minimo, ma tuttavia credo piuttosto sintomatico. Perché la vita civile è fatta anche dai simboli!". Esagerato.
Chi spaccia allucinogeni fiscali
(Di Massimo Riva - 13/04/2000)
Ci vuole una bella faccia tosta da parte di Silvio Berlusconi e del suo suggeritore fiscale, Giulio Tremonti, a inalberarsi perché sia Massimo D'Alema sia Giuliano Amato sostengono che un governo del Polo rischierebbe seriamente di ricondurre l'Italia fuori dall'unione monetaria europea (...parole profetiche... NdR)
Intanto al riguardo c'è un precedente politico piuttosto grave: nel 1994, quando il Cavaliere stava a Palazzo Chigi, il suo ministro degli Esteri, Antonio Martino, fece di tutto - per fortuna, senza riuscirci - per ostacolare non solo la partecipazione italiana all'euro nascente, ma addirittura per fare abortire il progetto comunitario della moneta unica. Mentre oggi, come non bastasse, questo anti-europeismo dissimulato del centro-destra trova puntuali e precisi riscontri nell'insuperabile contraddizione tra i programmi finanziari del Polo e i vincoli di bilancio conseguenti all'ingresso del nostro paese nell'accordo valutario continentale, segnatamente sul terreno fiscale.
Come sanno ormai anche i sassi, il chiodo sul quale il duo Berlusconi-Tremonti batte con più vigore è quello di un drastico taglio del prelievo fiscale come stimolo al rilancio dell'economia. In proposito vale la pena di fare qualche conto. Giusto un anno fa, in occasione della campagna per le elezioni europee, il Polo celebrò un fatidico Tax Day durante il quale avanzò una proposta di tagli tributari nell'ordine di oltre 200 mila miliardi. Ora sembrerebbe sceso a più miti (si fa per dire) consigli e insiste per una riduzione dell'Irpef a due sole aliquote con esenzione dei redditi fino a 22 milioni. Secondo i calcoli dei tecnici del governo, il costo di una simile riforma risulterebbe comunque pari alla rispettabile cifra di 160 mila miliardi.
Dato che il bilancio statale incontra forti vincoli a causa sia dell'abnorme debito pregresso, sia dei limiti al disavanzo imposti dagli accordi europei, resta da capire come si intenda coprire un mancato incasso di simili proporzioni. Ed è qui che, come s'usa dire, casca l'asino del Polo. Nei propositi di Berlusconi & C. non ci sarebbe problema perché il boom economico conseguente agli sgravi fiscali darebbe una tale spinta alla crescita del Pil da compensare la riduzione del prelievo con l'incremento complessivo del gettito. Medicina, corretta in astratto, ma che in concreto pone anche qualche non piccolo problema di dosaggio. Perché l'aumento dei consumi e degli investimenti copra con maggior gettito anche solo la metà dei tagli proposti dal Polo, sarebbe necessaria una crescita del Pil attorno al 10 per cento nel solo primo anno della riforma: un exploit semplicemente metafisico, visto che regge su un'ipotesi di sviluppo doppia di quella che negli Usa oggi sta facendo gridare al miracolo.
Siamo seri, quindi: una riforma fiscale come quella sbandierata dal Polo avrebbe come sicuro effetto quello di far raddoppiare il rapporto fra disavanzo e Pil, con la logica e oggettiva conseguenza di buttare l'Italia fuori dall'euro. Altro che fare gli offesi per le accuse di anti-europeismo rivolte loro dal centro-sinistra: Silvio Berlusconi e il fido Giulio Tremonti andrebbero semmai perseguiti per spaccio di allucinogeni fiscali.
(3- Continua)
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