La maxi tangente rossa, qualla che è stata pagata dal Gruppo Gavio sull'affaire Serravalle. Penati indagato per corruzione
(di Paolo Biondani - l'Espresso)
Ci mancava solo la maxitangente rossa. L'accusa più grave partorita dall'inchiesta sul "sistema Penati" nasce da un affare che rischia di minare la credibilità politica della segreteria nazionale del Pd: una presunta corruzione di proporzioni imponenti, concordata nell'estate 2005 in "riunioni riservate", con versamenti proseguiti fino all'autunno 2008. Mazzette pluri-milionarie pagate dal gruppo Gavio, secondo i pm, per un'operazione da sempre chiacchierata: la vendita del 15 per cento dell'autostrada Milano-Serravalle, a un prezzo vantaggiosissimo per il privato, alla Provincia di Milano, quando presidente era Filippo Penati, indagato con il suo ex braccio destro Giordano Vimercati. L'accusa è documentata nel decreto che ha portato la Guardia di finanza a perquisire gli uffici e i computer di un dirigente di Banca Intesa, indagato come presunto intermediario della corruzione. La Procura di Monza per ora non quantifica l'importo della maxitangente: l'unica certezza, per i pm, è che solo l'ultima rata è di due milioni tondi, ma la cifra totale sarebbe molto più alta, perché corrisponde a una percentuale dell'intero superprofitto ottenuto dal gruppo Gavio con l'affare Serravalle. La fetta destinata ai politici, insomma, di una torta economica da 176 milioni.
La nuova accusa si inserisce in una Tangentopoli locale che già insidia il partito a livello nazionale. Il giudice delle indagini, per cominciare, ha considerato "dimostrati numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere prima al Comune di Sesto e poi alla Provincia di Milano da Penati e Vimercati", che hanno evitato il carcere solo grazie alla legge berlusconiana sulla prescrizione (la ex Cirielli). E per il più ricco affare edilizio, sull'area ex Falck, il costruttore Giuseppe Pasini, seguito da suo figlio Luca e dal genero Diego Cotti, ha ammesso di aver dovuto pagare non solo i politici di Sesto, ma anche due emissari della cooperativa Ccc (2,4 milioni "per lavori mai eseguiti"), imposta da Penati e Vimercati "per garantire la parte romana del partito". Il tutto mentre resta da scoprire, come certifica il giudice, chi abbia intascato almeno 710 mila euro di tangenti sicuramente versate dall'immobiliarista Luigi Zunino e dal suo alleato Giuseppe Grossi per raddoppiare il cemento sempre sull'ex Falck. A questo punto i pm sospettano un "doppio binario di finanziamento: un primo flusso a Penati e Vimercati per la federazione milanese del partito e un secondo per il livello nazionale", attraverso le coop rosse.
I pm Walter Mapelli e Franca Macchia avrebbero voluto tenere segreta l'accusa di corruzione per l'affare Serravalle, che infatti non avevano inserito nella richiesta di arresti, coprendo con "omissis" anche i primi verbali depositati alle difese. Agli atti c'era solo un'ipotesi di finanziamento illecito al partito, che in Italia è un reato minore: due milioni versati nel 2008 da Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio, all'imprenditore Piero Di Caterina, presunto tesoriere segreto di Penati per 15 anni e ora suo primo accusatore. L'importanza dell'affare Serravalle però non è sfuggita al gip, Anna Magelli, che potendo consultare i verbali integrali, ha inserito nell'ordinanza anche le prime rivelazioni sulla maxi-corruzione. A quel punto i pm hanno ordinato d'urgenza di perquisire l'unico indagato che si potesse ancora sperare di sorprendere: Maurizio Pagani, responsabile dell'area infrastrutture e trasporti per il gruppo Intesa. Nella sede della banca, la Guardia di finanza ha acquisito le carte e i documenti informatici sul prestito concesso proprio da Intesa alla Provincia di Milano per acquistare la quota di Gavio. Ora gli inquirenti stanno ricostruendo l'intero percorso di quel bonifico. Per verificare dove e a chi siano finiti i soldi pagati dall'ente pubblico guidato da Penati.
La magistratura aveva cominciato a indagare sulla Serravalle già nel 2004, quando presidente della Provincia era la berlusconiana Ombretta Colli. Nel mirino un ipotetico patto occulto per svendere il controllo dell'autostrada pubblica sempre al gruppo Gavio. Un'inchiesta demolita da una provvidenziale fuga di notizie, che fece saltare in extremis la consegna di una presunta busta di denaro a un assessore provinciale di destra. Prima di dover archiviare, la Guardia di finanza documenta indubbi "favoritismi illegittimi" concessi dalla giunta Colli al socio privato. E nel giugno 2004 registra in diretta le reazioni di Marcellino Gavio e Bruno Binasco ai risultati elettorali. A sorpresa, vince Penati con il 54 per cento. Persa la sponda di destra, Gavio cambia strategia: "Sto facendo un pensierino a vendere tutto per 4 euro", confida al fidato Binasco. Che gli risponde: "Sicuramente portiamo a casa dei bei soldi". Gavio: "E non facciam sangue cattivo, che questi ci fan diventar matti". Attenzione al prezzo: nel giugno 2004 Gavio, che aveva comprato a 2,9 euro per azione, si sarebbe accontentato di 4. E sembra ottimista: "Il problema non è Penati, con lui un accordo si trova".
Il 30 giugno 2004, tre giorni dopo le elezioni, Gavio viene intercettato al telefono con Pier Luigi Bersani, che oggi è il segretario nazionale del Pd. Per rispetto all'immunità, il colloquio non è trascritto, ma solo riassunto dal maresciallo. "Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati. Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato, tra una decina di giorni". Il 5 luglio il neopresidente chiama il re delle autostrade. Penati: "Buongiorno, mi ha dato il suo numero di telefono l'onorevole Bersani...". Gavio: "Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando possibile". Penati: "Beviamo un caffè". Quindi Gavio conferma al suo manager che "Bersani ha dato il via a incontrarsi in un luogo riservato", ma Penati "non decide niente".
Quando scoppia la polemica, Penati minimizza sia l'incontro che il ruolo di Bersani: "Io non conoscevo Gavio, Bersani sì, perché era stato ministro dei Trasporti. Tutto qui". In ballo, all'epoca, c'è solo la nomina del nuovo presidente della Serravalle. Ma il 29 luglio 2005, dopo mesi di trattative segrete, Penati annuncia l'acquisto della quota di Gavio. Prezzo pattuito: 8,8 euro ad azione, per un totale di 238 milioni lordi. Un affare che assicura al gruppo privato una plusvalenza da favola: 176 milioni netti.
Proprio qui si inseriscono le rivelazioni di Piero Di Caterina, l'imprenditore di Sesto che ha confessato di aver pagato tangenti a Penati e Vimercati, per appalti di trasporti e affari immobiliari, nell'arco di ben 15 anni, per un totale di almeno 3 milioni e mezzo. "Prestiti", come lui li definisce, che i due politici s'impegnavano a fargli restituire da "altri impreditori" da cui avrebbero "ottenuto tangenti". Tornando al 2005, l'accusatore spiega: "Mi fu detto da Penati, per convincermi ad aspettare, che di lì a poco sarebbero arrivate somme consistenti per l'affare Serravalle". "Mi sono incontrato con lui, credo, il giorno precedente alla notizia dell'acquisto della partecipazione". Di Caterina ignora l'importo della tangente, ma sa che "era molto rilevante, per milioni di euro" e fu calcolato come "percentuale del sovrapprezzo pagato dalla provincia per il pacchetto di maggioranza".
Alle "trattative riservate con il gruppo Gavio", aggiunge Di Caterina, avrebbe assistito anche Antonio Princiotta, segretario generale prima del comune di Sesto e poi della Provincia. Nove giorni dopo, l'imprenditore consegna ai pm "un foglio dattiloscritto consegnatomi da Princiotta nel marzo-aprile 2010 in un ristorante di Lugano, con il testo delle trattative". Sul retro, Di Caterina ha annotato a penna i nomi dei partecipanti "riferiti da Princiotta": "Lui, Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tal Pagani". Che "nello studio di un commercialista milanese" avrebbero "discusso sia dei profili palesi sia del sovrapprezzo da pagare a Penati e Vimercati".
Interrogato a Monza, Princiotta ora smentisce tutto. Come Penati. E come Vimercati, citato da Di Caterina come sua terza fonte. "Ho saputo da Vimercati che Penati lo avrebbe fregato nell'operazione Serravalle. E che Penati avrebbe ricevuto il suo guadagno a Montecarlo, Dubai e Sudafrica". Per questo "Penati e Vimercati hanno litigato", mentre "Princiotta si lamentava di non aver avuto nulla".
L'ultima rata della presunta maxi-tangente, a questo punto, sono i due milioni versati da Binasco, nel 2008, a Di Caterina. Mascherati da caparra per il mancato acquisto di un immobile. Sentendosi ancora in credito di un milione, nell'aprile 2010 Di Caterina scrive un'email minatoria, rivendica dal manager Binasco le "somme consistenti" versate al politico. Analizzando il caso, il giudice esclude il finanziamento illecito, ma solo perché non è certo che i due milioni siano finiti davvero al partito. Piuttosto, secondo il gip, quel regalo di Binasco a Di Caterina è "l'indizio principe" dei rapporti di corruzione con Penati. Anche perché la lettera minatoria risulta "ricevuta dai destinatari", ma nessuno ha risposto: neppure Penati ha fatto "contestazioni di sorta".
Per i pm di Monza ci sono fin d'ora "gravi indizi di illiceità nell'operazione Serravalle". Già la Corte dei conti aveva contestato a Penati di aver versato a Gavio "almeno 76 milioni in più del prezzo di mercato". Il giudizio sull'inchiesta ora spetta al tribunale del riesame: i pm chiedono il carcere per Penati e Vimercati, ipotizzando la concussione (non prescritta), mentre i due arrestati, l'ex assessore Di Leva e l'architetto Magni, invocano la libertà. Ad onore di Penati va registrato un impegno che lo differenzia da plotoni di inquisiti del Pdl: "Non mi nasconderò dietro la prescrizione o leggi ad personam". E intanto Di Caterina, circondato dai suoi bus tra i capannoni della Caronte trasporti a Sesto, si sente "un compagno che lotta per la legalità": "Io non ho attaccato i comunisti, ma i ladri".
Ora Bersani chiuda la ditta - Se nel Pd c'è una sovrastruttura di affari e interessi privati bisogna eliminarla. Parla l'uomo che sollevò la questione morale nei Ds.
(Colloquio con Arturo Parisi di Marco Damilano - l'Espresso)
Aziende che si fanno partiti. E partiti che si fanno azienda, per "fare gli affari propri e dettare le regole di tutti". "Conta poco che siano Compagnia delle Opere-Pdl, Fininvest-Forza Italia o Coop-Ds", il caso Penati non è isolato, avverte Arturo Parisi, il padre dell'Ulivo. "È la confusione tra gli interessi economici privati e l'esercizio dei poteri pubblici che va combattuta, a destra e a sinistra", dice il professore, impegnato a raccogliere le firme per il referendum che cancella il Porcellum e restituisce ai cittadini la scelta dei parlamentari.
Lei per primo parlò di questione morale a sinistra quando Unipol provò a scalare la Bnl. Il caso Penati le dà ragione?
"Le ragioni di allora sono destinate ad apparire sempre più evidenti, messe di nuovo alla prova di fatti non del tutto chiariti, meno che mai compresi. Gli stessi nomi: Coop, Unipol, Bnl. Gli stessi tipi di connessioni e triangolazioni tra dirigenti e organizzazioni, politiche, economiche. E la stessa confusione tra morale e politica, come se il problema fosse di comportamenti individuali, l'eterna lotta tra il bene e il male, l'illusione di distinguere i buoni dai cattivi".
E invece, qual è il problema?"Che Penati sia colpevole o innocente dal punto giudiziario lo può decidere solo la magistratura. Il problema sul quale dobbiamo interrogarci è però nitidamente politico, riguarda la confusione, il conflitto e la distinzione tra interesse generale e interesse individuale e di parte. La confusione tra gli interessi economici privati e l'esercizio dei poteri pubblici. È questa confusione che ha raggiunto con Berlusconi il suo massimo. È questo conflitto che ho denunciato e denuncio ovunque si manifesti. Nella sinistra come nella destra. In Berlusconi, ma non meno in chi denuncia Berlusconi".
Per Enrico Berlinguer, lo disse trent'anni fa a Eugenio Scalfari, la questione morale era l'occupazione dello Stato da parte dei partiti. Parole attuali?
"Più attuali che mai. Ma alla occupazione e usurpazione delle funzioni pubbliche si aggiunge ora un nuovo rischio. Ancor più pericoloso. Mentre la presenza della mano pubblica si riduce in Occidente e in Italia, si apre, magari in nome del principio di sussidiarietà verticale, uno spazio che in troppi si propongono di conquistare. Esattamente come nella Russia post-sovietica, nuovi soggetti e nuovi poteri si fanno avanti per conquistare gli spazi abbandonati. Guai se questi soggetti fossero aggregati bifronti politico-economici, che pretendono contemporaneamente di fare gli affari propri e dettare le regole di tutti. Sarebbe il ritorno al feudalesimo".
Chi sono gli "aggregati bifronti"?
"Che siano aziende che si fanno partiti, o partiti che si fanno aziende fa poca differenza. Così come poco conta che siano la Compagnia delle Opere-Pdl, Fininvest-Forza Italia o Coop-Ds".
Quali sarebbero le conseguenze?
"In Italia, come in Russia, la Repubblica che doveva essere dei cittadini, da oligarchia dei partiti diventerebbe confederazione di oligarchi. Capi fazione e insieme riferimento di organizzazione economiche. Regolati da se stessi si spartirebbero lo spazio pubblico abbandonato dallo Stato: previdenza, sanità, istruzione, fino alla Difesa, senza un potere superiore capace di regolarli. A dispetto dei socialisti difensori dello Stato e dei liberali guardiani del mercato".
Torniamo a Penati: è un caso isolato?
"Fino a quando non ho conosciuto Filippo Penati, per i miei ricordi di liceale i Penati erano gli spiriti protettori della famiglia e dello Stato, degli altari e dei focolari. Anche i partiti, soprattutto quelli antichi, hanno i loro Penati, ai quali i funzionari prestano giuramento, esattamente come facevano un tempo i magistrati. Il problema non è perciò capire quanti siano i Filippo Penati nel Pd, ma quali siano i Penati del Pd...".
E quali sono i numi tutelari del Pd?
"È appunto questo il problema. Capire se e in che misura il Pd abbia ereditato il modello di partito-subcultura, nato per difendere e organizzare la condizione operaia, in una prospettiva rivoluzionaria, e ora diventato una sovrastruttura autonoma".
Quella che Bersani chiama la Ditta: gli ex Pci-Pds-Ds-Pd?
"Sì, la dorsale organizzativa, e l'habitat di chi viene da quella storia, il quadro dirigente, le sedi, i simboli, le parole, le abitudini".
Cosa dovrebbe fare Bersani?
"Chiedere a Penati un impegno ancora più preciso sulla rinuncia alla prescrizione. Solo l'indagine giudiziaria può metterci nelle condizioni di capire se siamo di fronte ad una deviazione individuale rilevante sul piano penale, o di fronte alla irrisolta questione del rapporto tra partito ed organizzazione economica".
Cosa rischia il Pd in questa vicenda?
"Il rischio maggiore è finire schiacciato sul proprio passato, che agli occhi dei più resta il passato della catena di comando che governa il partito, più o meno rinnovato grazie a nuovi matrimoni".
Lei raccoglie le firme per abrogare il Porcellum: c'è un nesso con la questione morale?
"L'indignazione, lo scandalo dei cittadini crescono ogni giorno di più, alimentati dalla crisi economica. È urgente che la piazza che si sta mettendo in moto ritrovi nel Parlamento un interlocutore in cui possa riconoscersi. Oggi questo interlocutore si è logorato oltre misura: i parlamentari sono considerati una casta separata di privilegiati, dileggiati ogni giorno dalle stesse forze che li hanno ridotti così. Se questo è accaduto è a causa di quella vergogna che Calderoli ha definito una porcata. Abbiamo il dovere di consentire ai cittadini di dire basta. O quella legge la abrogate voi, o lo facciamo noi con l'arma che la Costituzione mette nelle nostre mani: il referendum".
Su questa battaglia nel Pd lei è partito isolato, ora c'è la corsa a firmare. Cosa si aspetta dai vertici del suo partito?
"Che seguano i dirigenti che li hanno preceduti e soprattutto gli elettori. Visto che non sono riusciti a precederli" (Marco Damilano)
Su Penati, la giustizia farà il suo corso, e se e quando i fatti verranno accertati, spero che paghi col massimo consentito della pena, per i ladrocini, e per il male che ha fatto ad un centro-sinistra che cominciava finalmente a rinascere.
Sorprende, in questa storia, il relativo silenzio del centro-destra. Forse perchè qualcuno potrebbe tirare fuori gli amorosi sensi fra Marcellino Gavio e Ombretta Colli? Meglio non agitare troppo i ceppi nel camino. Alcuni ceppi potrebbero riprendere fuoco... Ma sorprende ancor di più l'intervista a Parisi, per alcune ragioni:
-a) Parisi riesce a ricordare le malefatte degli ex di Forza Italia, del PdL, del PcI-PdS-Ds-Pd (come direbbe il cavaliere), ma non trova un grammo di memoria per parlare degli ex DC, che non sono stati cremati allo scoppiare di tangentopoli (rappresentavano un terzo del paese), ma si sono messi al caldo in gran parte in Forza Italia, in parte minore nei partitini post-DC: margheriti, UDC, DC di Rotondi, API, e persino IdV. I partiti.azienda e le aziende-partito non si annidano solo in FI-PdL e nei Pci-PdS-DS-Pd, ma anche in questi partitini post democristiani (cooperative bianche, Comunione e Ristorazione, molto mondo delle Onlus; grandi successi elettoorali dell'UDC nella Sicilia del devoto alla Madonna Totò Cuffaro)...
-b) Parisi si è scordato di grandi pezzi di ceti politici, a lui ideologicamente più vicini. Amnesia? Può darsi. Poi mi è improvvisamente mi è venuto in mente un possibile motivo di rancore (e di smemoratezza). In seguito alle dimissioni del segretario del PD Walter Veltroni (nei confronti del quale era stato più volte critico), si è candidato a segretario del PD. È stato però sconfitto da Dario Franceschini. Non è che Parisi abbia - è solo un pensiero maligno - conservato di questa sconfitta un ricordo un po' amaro?
A Parisi, al quale ll'intervistatore chiede cosa dovrebbe fare Bersani, risponde:"...chiedere a Penati un impegno ancora più preciso sulla rinuncia alla prescrizione. Solo l'indagine giudiziaria può metterci nelle condizioni di capire se siamo di fronte ad una deviazione individuale rilevante sul piano penale, o di fronte alla irrisolta questione del rapporto tra partito ed organizzazione economica..."
Concordo sulla seconda parte di questa frase, non sulla prima. Parisi è un giurista. Cosa dovrebbe e potrebbe fare Bersani più che chiedere a Penati di rinunciare alla prescrizione? Imporgliela con una pistola puntata alla tempia? Mandargli dei picchiatori assoldati per intimidirlo? Parisi è un fine giurista, non dovrebbe lascoarsi scappare sciocchezze gratuite. La segreteria del PD Ha espulso Penati dal partito (il che mi fa pensare che non tema ritorsioni o ricatti); ha chiesto a Penati di rinunciare alla prescrizione. Fine dei suoi poteri di interdizione. Il mandato da Consigliere Regionale, esattamente come quello di parlamentare, non è soggetto a vincoli di mandato. Il che significa che Penati può essere cortesemente pregato di farsi da parte, non costretto manu militari. Rifletta, Parisi, e si limiti a chiedere le cose che è possibile chiedere, e magari ottenere. Tafanus
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