Mò Berlusconi me sape". Adesso Berlusconi lo sa, chi sono. L'ha pronunciato così, tronfio, Michele Pisacane, il deputato che una settimana fa con il suo voto ha garantito la fiducia al governo Berlusconi dopo aver fatto temere a lungo la defezione. S'era tenuto alla larga dall'aula di Montecitorio fino a quando Denis Verdini non era riuscito a convincerlo che quel gesto che a lui costava così poco poteva valergli l'eterna riconoscenza del premier, del potente per eccellenza. Era la corda giusta per smuovere Pisacane. Basti pensare che la foto della stretta di mano con il Cavaliere ha fatto in poche ore il giro del Web, e che le sue parole da film di Totò sono finite su giornali e blog.
Il fatto è che chi lo conosceva non s'è stupito affatto. I suoi concittadini di Agerola, 8 mila anime sui monti Lattari che dominano la costiera amalfitana, dove Pisacane è stato sindaco, ne hanno di aneddoti. Come quando poche settimane fa in municipio il fattorino si presentò con una cassetta di arance, e l'impiegato pensò a uno scherzo: "Sono per il sindaco", insistette l'altro: "Sono arrivate un'ora fa in aereo dalla Sicilia". Le aveva spedite Francesco Saverio Romano, il ministro delle Politiche agricole indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Raccolte e fatte recapitare direttamente per lui, l'amico Pisacane, uno che merita, uno di cui ci si può fidare.
"Ha presente quando, in "Miseria e Nobiltà", sanciscono il patto con il cuoco per mangiare due anni a sbafo? Ecco, Pisacane me lo fa venire in mente tante volte", dice Antonio, conducente di bus in pensione. In piazza al paesello non si parla d'altro, di quell'illustre cittadino di cui tutti ormai parlano, perché lui, Pisacane, ha salvato Berlusconi. E che, garantiscono, "ora passerà all'incasso". È successo così, ogni volta che ha messo a disposizione il suo cospicuo pacchetto di voti cambiando, in poco più di dieci anni, almeno sei volte partito: Ccd, Cdu, Forza Italia, Udeur, Udc e ora Pdl, ma in quota "responsabili". Ad ogni cambio, uno scatto in avanti: incarichi e prebende per sé o per i suoi. Da sindaco a consigliere regionale. Poi deputato con doppio incarico. E ancora segretario della Camera. Nel parlamentino regionale, nel 2000, ce lo portò Clemente Mastella, più che un leader un "maestro di vita" per Pisacane, che divenne presto il capogruppo in Regione del Campanile. Modi spiccioli e lessico approssimativo, di lui l'ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino ha raccontato: "Gli organizzavo molte cene elettorali, ma non lo avevo mai fatto parlare, per timore che, parlando, perdesse voti". Ma Pisacane lo sapeva bene. Così ha parlato poco e ha continuato a produrre preferenze, portate in dote al miglior offerente.
Un bel giorno, poi, decide di mettersi in proprio. Mentre si divideva tra la carica di sindaco e quella di deputato - andando avanti e indietro sull'asse Roma-Agerola, tanto da guadagnarsi pure un rinvio a giudizio per uso improprio dell'auto comunale - nell'aprile 2010 riesce a far eleggere la moglie nel consiglio regionale della Campania. Farla eleggere per uno come lui è stato uno scherzo. È bastato presentare la candidatura col doppio cognome, quello da nubile e quello da coniugata, Annalisa Vessella Pisacane (senza neppure la proposizione "in", che pure all'anagrafe c'era e andava di diritto riportata, spiegano in Comune), e tappezzare la provincia di Napoli con manifesti senza foto con su scritto solo "vota Pisacane". Il risultato: 19 mila preferenze. Tutte per lui: "Se c'è un lavoro da fare e uno è salumiere, non credo che sia giusto privilegiare la salumeria degli altri", dichiarò a "Repubblica". E infatti a darsi da fare, ci ha pensato lui mentre la signora se ne stava a riposo per l'ultimo mese di gravidanza. Alla fine, la cicogna è arrivata due giorni prima della poltrona da 12 mila euro al mese. E ad Agerola hanno salutato i due eventi con fuochi d'artificio, champagne e formaggi tipici.
Quasi in silenzio, invece, è passata lo scorso luglio la nomina della signora Vessella in Pisacane ad amministratore delegato dell'Isa, l'Istituto per lo sviluppo agricolo, società di Stato che gestisce un capitale da 300 milioni di euro. Un'investitura voluta dal socio unico, il ministero per le Politiche agricole. Sempre retto da quello delle arance: Francesco Saverio Romano.
(di Claudio Pappaianni - l'Espresso)
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