La relazione durante la direzione del partito. "Il nostro orizzonte sono le elezioni ma non ci sottraiamo al governo d'emergenza". "Non servono scorciatoie populistiche ma una buona politica". Sul referendum malumori di alcuni esponenti di Areadem.
ROMA - "Il nostro orizzonte sono le elezioni ma non ci sottraiamo al governo d'emergenza, che aiuti a fare una nuova legge elettorale e a uscire dalla crisi". Così Pier Luigi Bersani alla direzione del pd mette in chiaro la posizione del partito su una possibile crisi di governo. "Intorno a noi vediamo tatticismi di ogni genere". Sempre a proposito di orizzonti, il segretario del Pd traccia quello delle alleanze. Ovvero "promuovere un incontro delle forze moderate e progressiste per la ricostruzione dell'Italia". Poi mette in chiaro: "noi non abbiamo un pregiudizio di partenza su quello che chiamiamo nuovo Ulivo". La scadenza è la metà di dicembre quando il Pd terrà una convenzione per lanciare il suo progetto per l'Italia. Ma Bersani deve incassare il duro affondo di Arturo Parisi che lo accusa di non avere schierato il partito sul referendum. Arrivando a chiedere le dimissioni.
E sempre sul fronte referendario c'è da registrare il malumore di alcuni esponenti di Areadem a cui non è andato giù il non esplicito sostegno portato avanti da Bersani. Durante la riunione diversi esponenti di Areadem hanno ricordato l'intervista di Franceschini del 31 agosto e quindi le parole del capogruppo al coordinamento del 1 settembre: l'invito era quello di schierare il partito senza ambiguità sul sostegno al referendum. "Se Bersani ci avesse dato retta ora avremmo potuto raccogliere i frutti del successo del referendum con più nettezza..." (...in che senso, scusi? pensa che Berlusconi si sarebbe dimesso se Bersani avesse appoggiato più convintamente il referendum? NdR).
Bersani non ci sta e difende l'autonomia del Pd in tema di legge elettorale: "Potevamo anche non avere il nostro progetto di riforma elettorale e accodarci al referendum. Noi abbiamo scelto di avere una posizione e di aiutare la raccolta delle firme". Ma Arturo Parisi incalza e sferra un durissimo attacco al segretario, rivendicando anche i meriti del successo della campagna referendaria. Arrivando a chiedere le dimissioni del segretario: "In un sistema quale quello che voi proponete per il governo del Paese il segretario dovrebbe presentarsi dimissionario per difendersi dall'accusa di aver inferto un grave danno al partito proponendo una linea che si è dimostrata radicalmente sbagliata". (Traduzione: o gli altri accettano la linea di Parisi, o la loro posizione è "radicalmente sbagliata" - salvo verifica dei risultati, che ancora non ci sono, ma... de minimis non curat Parisi - e quindi si deve dimettere. NdR)
Parisi legge il verbale della direzione del PD in cui l'ordine del giorno contrario al sostegno esplicito al referendum ha avuto 176 voti a favore, tre contrari e 4 astenuti. "La segreteria è rimasta abbarbicata ad un progetto e ad un metodo di tipo 'bulgaro - attacca Parisi - C'è stata un rivendicazione scomposta dei meriti forse qualcuno pensava che il referendum fosse la "Dolce Euchessina". Per quelli che non hanno capito che il partito è esso stesso movimento: il partito che abbiamo in mente non si accontenta di non essersi fatto male". Ed ancora: "Come si fa a non riconoscere la distanza spaventosa che esiste tra il deliberato proposto dal vertice del Partito, e, purtroppo accettato alla unanimità dalla Direzione, e il fiume di firme che ci ha travolto?" (..."CI HA", Parisi? parli come mangia, lei non è stato "travolto", è stato "glorificato" dal fiume di firme, visto che era fra i promotori... Non voleva magari dire che BERSANI era stato "travolto", senza averne il coraggio? Ma in tal caso non sarebbe più corretto dire che è stato "travolto" non Bersani, ma il 98,3% del partito? cioè 176 membri della direzione su 179? Caro Parisi, quello che lei chiama "metodo bulgaro" è quel sistema - ha un nome, si chiama "democrazia", secondo il quale in un organismo collegiale - sia esso la direzione di un partito o l'assemblea di condominio - 176 vale più di 3. Se questo sistema non la convince, c'è sempre il Movimento 5 Stelle in cui migrare. NdR) [...]
(Repubblica.it - 03/10/2011)
alcune cosine che mi sfuggono. Riesce a chiarirmele?
-1) Narrano le malilingue che Prodi sia stato sfiduciato alla Camera nel 1998 (rettifico la data, su preziosa indicazione di Giò, che ringrazio) con un voto di differenza, avendo affrontato il voto con la certezza di farcela, perchè un suo omonimo (tale Artuto Parisi), addetto alla macchinetta calcolatrice, gli aveva assicurato che da suoi ripetuti controlli era certo che Prodi avrebbe avuto la fiducia. Furono così spalancate le porte al periodo berlusconista che tanto bene ha fatto e continuerà a fare all'Italia. Lei ne sa niente?
-2) Narrano le malelingue che un suo omonimo, tale Arturo Parisi, In seguito alle dimissioni del segretario del PD Walter Veltroni, si sia candidato a segretario del PD, non con lo scopo di conquistare la poltrona (peraltro scomoda) di segretario, ma con lo scopo più nobile di indire in tempi brevi un congresso, che avesse lo scopo di rivitalizzare il PD in difficoltà, creando una vera e nuova cultura democratica. È stato però sconfitto da tale Dario Franceschini, che però ha sostenuto alle primarie del 2009.
-3) Dicono le malelingue che questo suo omonimo abbia poi sostenuto Franceschini contro Bersani, incassando l'ennesima sconfitta. E dicono che questo Parisi non l'abbia mandata giù.
Ma ora lasciamo stare il suo omonimo, e parliamo di lei:
-a) In democrazia, caro Arturo, c'è la c.d. "dittatura della maggioranza". In un partito serio, quando una mozione passa 176 a 3, sono caso mai i 176 a doversi dimettere, non i 3. Si concentri, non è un concetto difficile, neanche per Lei.
-b) Sul referendum, aspetti un attimo a cantare vittoria (non faccia come il suo già citato omonimo,. specialista in sconfitte...). Ci sono ancora parecchi ostacoli da superare, prima di autocantarsi sette gloria:
La cassazione deve dichiarare la ammissibilità del referendum. Può darsi che lo faccia, ma vogliamo aspettare?
Il Governo Berlusconi non deve dimettersi per evitare lo svolgimento del referendum, che Berlusconi non vuole.
Il referendum deve raggiungere il quorum.
Il referendum, dopo aver raggiunto il quorum, deve essere vinto (lo sarà, ne sono certo).
Dopo la vittoria del referendum, l'attuale maggioranza potrebbe varare una legge-sòla, che superi, secondo la Cassazione, il risultato referendario.
Ammesso che ciò non avvenga (o che il piano fallisca), si tornerebbe al Mattarellum, e nessuno ha ancora dimostrato che questa sia una soluzione conveniente per il PD più del supermaggioritario dato dal Mattarellum, OGGI, coi sondaggi di OGGI. E non mi dica che le leggi elettorali si fanno senza badare alle convenienze di chi propone le modifiche, perchè ciò è falso fin dai tempi della legge-truffa del '53, voluta dal suo padre spirituale Alcide De Gasperi. Il quale con quell'atto pensava non al bene della DM (DemoCrazia), ma al bene della DC (Democrazia Cristiana).
Si dia una calmata, amico, altrimenti ci costringe a ricordare quante porcherie siano arrivate al PD (e quindi all'Ulivo, o all'Unione, o alla coalizione "Pinco", la chiami come vuole), da parte di quella Margherita di cui lei è stato co-fondatore, e Presidente dell'Assemblea Nazionale (ad iniziare dalle Binetti, dai Rutelli, dai Fiorone, e dal suo omonimo Arturo Parisi).
Tafanus
SOCIAL
Follow @Tafanus