Il quale sarebbe il nuovo segretario uscito vincitore dal congresso di ieri, ma non ne ha proprio l'aria. «Tensioni? Due o tre fascisti in terza fila, me li ricordo dai tempi dell'Msi qui in città», sguscia via il Senatur. «Sono venuto a risolvere un pasticcio, le contestazioni erano organizzate, ma alla fine il bene trionfa: abbiamo portato aria nuova» (...contento lui... NdR)
BREZNEV - però il Canton mica è stato votato dai 300 e passa delegati convocati ieri mattina in questo albergone con vista ippodromo. Il neosegretario è stato proclamato dal presidente dell'assemblea, Andrea Gibelli, che ha deciso di evitare la conta. E la formula usata, «per acclamazione», suona più ridicola che brezneviana, visto che nessuno ha acclamato, e persino il discorso con cui il Gran Capo ha benedetto il suo candidato è stato accolto dal gelo della platea, se non da mormorii di disapprovazione.
CLIMA ROVENTE - Il clima lo riassume un veterano come Speroni, che allarga le braccia: «Almeno alle mani non si è arrivati!». Ma le urla si sono sentite, eccome, dal corridoio antistante la sala «Arco di Trionfo», dove la Lega ieri ha celebrato una delle tappe del suo Calvario. Corridoio dal quale i giornalisti sono stati allontanati con modi bruschi dalla sorveglianza. «Voto Voto», e poi «Maroni Maroni», erano le urla nettissime, e via a litigare sulla cronologia della mattinata. «Vogliamo votare», «No prima parla Bossi». È finita che il Senatur è rimasto prigioniero in una stanzina per una mezz’ora, prima di entrare nella sala delle assise: «congelato» fino a quando la tensione non è scesa sotto i livelli di guardia.
Ma il clima era così rovente che i due (ex) sfidanti del novello segretario venivano scortati anche a fare pipì dai bodyguard, per evitare che venissero intercettati dai cronisti. Così anche le sciure coi fazzoletti verdi che uscivano per una sigaretta, marcate dalla secutiry per evitare che parlassero dei tanti nervi scoperti della Lega: da Berlusconi fino alle liti para-condominiali e alle ruggini di un partito di provincia. Maroni, vincitore dell’ultima serie di congressi, da Brescia a Verona alla Valcamonica, ma stavolta prono ai diktat dell’Umberto, non ha detto una parola per tutta la mattinata, ed è uscito di nascosto per non farsi vedere. «Capisco, lui vuole bene al Capo, ma se non si dà una mossa qui la Lega affonda», commenta un sindaco della provincia.
TRA I MARONIANI - Mentre tra i capannelli dei maroniani il terrore si accompagna alla voglia di rivolta. Tra chi si prepara a fare ricorso contro «un segretario che non è stato eletto» e chi si interroga sul futuro: «Nel giro di qualche settimana ci sbattono fuori tutti». «Non mi faccia parlare», sorride tirato il maroniano Dario Galli, presidente della Provincia. «Una tragedia», si sfoga il segretario uscente Stefano Candiani, bastonato da Bossi per la sua gestione (gli è stato persino impedito di tenere la relazione di fine mandato) in un modo così brutale da spingerlo quasi alle lacrime:
«Bossi oggi non parlava della Lega a Varese, ma sulla Luna. È stato informato male». Gli fa eco un altro maroniano: «Il Capo ormai è ostaggio dei suoi pretoriani, ha perso completamente il contatto con la base». «Nessuna tensione, ve le inventate voi giornalisti», ha tagliato corto Reguzzoni davanti alle tv, con la stessa espressione «alla Capezzone» con cui giustifica ogni voto pro Berlusconi. «La Lega è unita attorno a Bossi». Peccato che ieri pomeriggio, il Carroccio abbia vissuto altre ore di guerriglia in quel di Padova, dove il direttivo regionale è stato convocato dal segretario Gobbo per commissariare la sede provinciale di Verona, guidata da un uomo molto vicino al sindaco ribelle Flavio Tosi, Paolo Paternoster, eletto solo 5 mesi fa da un regolare congresso. Ma Tosi l’ha spuntata anche ieri: dopo ore di summit, nessun provvedimento è stato preso.
Se ce ne fosse stato bisogno, niente avrebbe potuto spiegare lo stato di coma irreversibile meglio della foto che apre l'articolo dell'Unità. Un Bossi imbolsito, senza più neanche la forza di mostrare il suo dito medio, o di fare - sbavando leggermente - la pernacchietta a bocca storta, o di fare il gesto dell'ombrello. Accantonata anche la camicia verde-ramarro, per una tenuta che più spenta non si può, neanche col candeggio. L'aria di chi è li, ma vorrebbe essere altrove.
Sullo sfondo, un panzone senza volto in camicia verde, sipario di uno spettacolo che volge rapidamente al termine. Alle spalle dell'estinto senatur, l'amazzone Rosi Mauro, importata dalla Libia a prezzi di liquidazione. Defilato sulla sinistra (come è utile che sia) si intuisce la presenza del delfi-trota, di cui si vedono solo le inconfondibili branchie nasali.
Oggi la Lega ha dato l'ultima, definitiva dimostrazione di essere ciò che è: l'ultimo partito bolscevico rimasto in Italia. Tafanus
Si è spento oggi, a soli 22 anni,
fra atroci dolori, nella Varese ove nacque
Umberto Da Giussano
(4 Dic. 1989 - 10 Ott. 2011)
Per volere dell'interessato, il corpo sarà cremato con rito celtico, e le ceneri disperse nelle acque alla sorgente del Monviso - dove nasce il Dio Po - per giungere, dopo un lungo viaggio, nelle acque ove si specchia, maestoso, il Petrolchimico di Margera. RIP
P.S.: Non fiori, ma opere di pene
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