Il Financial Times implora Berlusconi - Durissimo editoriale sul quotidiano della City: "Dopo vent'anni di inutile show, solo un cambio di leadership può ridare credibilità all'Italia". Il Guardian: "Silvio simbolo grottesco di un'era" (Enrico Franceschini - Repubblica)
"In nome di Dio, vattene! Solo un cambio di leadership può ridare credibilità all'Italia". Non è la prima volta che il Financial Times pubblica un editoriale in cui auspica le dimissioni di Silvio Berlusconi. Ma non lo aveva mai fatto con un linguaggio così forte ed esplicito, per l'esattezza una citazione da Oliver Cromwell, il rivoluzionario inglese che rovesciò la monarchia e fece decapitare il re. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla gravità della situazione e sulla preoccupazione della comunità internazionale per quanto sta accadendo a Roma, l'uso di simili parole e metafore da parte del quotidiano della City, voce di banche e mondo finanziario, più autorevole giornale d'Europa, li spazza via definitivamente.
Al summit del G20 di Cannes, afferma l'editoriale (non firmato, dunque espressione della direzione e della proprietà del Financial Times), "i più potenti leader del mondo si sono ritrovati impotenti di fronte alle manovre di due primi ministri", Papandreu e Berlusconi, fra loro molto simili: "entrambi hanno una maggioranza parlamentare che sta scomparendo, entrambi litigano con il proprio ministro delle Finanze, entrambi hanno la tendenza a non mantenere gli impegni". Ma c'è, avverte l'articolo, "una importante differenza: il debito pubblico italiano, avendo raggiunto quota 1900 miliardi di euro, è così alto da potere destabilizzare l'economia mondiale ben più di quanto può fare quello di Atene".
L'editoriale elenca i punti chiave della crisi italiana per poi proseguire: "E' una buona cosa che il Fondo Monetario Internazionale abbia ora il monitoraggio dei progressi di Roma sulle necessarie riforme. Ma ciò rischia di essere insidiato finché l'Italia mantiene il suo attuale leader. Dopo essere stato incapace di riformare il paese in due decenni in politica, Berlusconi non ha la credibilità per realizzare un cambiamento significativo".
Sarebbe ingenuo pensare che, dimessosi Berlusconi, l'Italia riguadagnerà immediatamente la piena fiducia dei mercati, continua il Financial Times. "Ma un cambio di leadership è ugualmente imperativo. Un nuovo premier impegnato a fare le riforme potrebbe riassicurare i mercati. Ciò renderebbe più facile per la Banca Centrale Europea continuare il suo programma di acquisto di titoli di stato". E l'editoriale si conclude così: "Dopo vent'anni di uno show inefficace, le uniche parole da dire a Berlusconi sono quelle usate da Oliver Cromwell. In nome di Dio, dell'Italia e dell'Europa, vattene!"
All'interno del giornale, in una corrispondenza da Roma, il quotidiano della City riferisce che Berlusconi continua ostinatamente a rifiutare di andarsene e ipotizza quattro scenari per il prossimo futuro: l'incubo, ovvero Berlusconi riesce a rimanere al suo posto; l'incubo rivisitato, ovvero Berlusconi cade, si fanno elezioni anticipate, nell'incertezza le rivince la stessa coalizione di centro-destra, paralizzata come l'attuale; il barlume di speranza, in cui Berlusconi si dimette, Gianni Letta lo rimpiazza, allarga la coalizione con l'opposizione di centro, fa qualche riforma, anche se Berlusconi rimane nell'ombra; e il dream team, Berlusconi si dimette, il suo partito si divide, e si forma un governo di transizione di tecnocrati guidato da Mario Monti con il mandato di fare tutte le riforme necessarie. "Dopo la Primavera Araba, avremo l'autunno del Mediterraneo", dichiara nello stesso articolo Marco Elser, banchiere di AdviCorp, affermando che la comunità finanziaria si aspetta "un rally spettacolare" di titoli italiani se Berlusconi darà le dimissioni e sarà sostituito da un governo di tecnocrati.
Sempre sul Financial Times, un altro piccolo sintomo delle umiliazioni a cui Berlusconi è stato sottoposto al summit del G20: "Il suo unico incontro bilaterale con Barack Obama è avvenuto quando si è scontrato per caso con il presidente americano che usciva dall'albergo per andare a fare jogging". E il titolo di apertura di prima pagina è dedicato al nostro premier che "minimizza la crisi del debito".
Commenti e titoli analoghi dominano la stampa inglese di oggi. Per il Times, Berlusconi è "sull'orlo del precipizio". Per il Guardian, Berlusconi "alza le spalle sul controllo dell'Fmi, dicendo che i ristoranti sono pieni e questo mostra la salute del paese". Per l'Independent, Berlusconi è "umiliato dal Fondo Monetario". E sempre sul Guardian, un editoriale della columnist Marina Hyde afferma che Berlusconi verrà probabilmente ricordato come il simbolo "grottesco, clownesco e lascivo" di questa era.
RETROSCENA - Letta, Alfano e Verdini uniti: "Silvio, la maggioranza non c'è più" - Drammatico vertice a Palazzo Grazioli dopo il ritorno in Italia di Berlusconi reduce dal G20. "Meglio fare subito un passo indietro". Ma il premier resiste. Martedì il d-day. Spunta un nuovo esecutivo
Alle otto di sera, nel salotto di palazzo Grazioli, la bandiera bianca viene alzata dall'ultimo uomo da cui il Cavaliere si aspetterebbe il colpo: Gianni Letta. "Silvio, i numeri sono questi, forse è arrivato il momento di farsene una ragione". Berlusconi è stanco, fissa i suoi interlocutori. Ha davanti a sé Denis Verdini, Letta, Angelino Alfano e Paolo Bonaiuti. Li guarda senza davvero capire quello che gli stanno dicendo. È finita. Ha passato la notte precedente a trattare con Obama e Sarkozy, ora gli stanno dicendo che la fine della sua stagione politica è stata decisa da Stracquadanio e Bertolini. Ma è così.
Denis Verdini, l'uomo che ha garantito nell'ombra tutte le trattative con i parlamentari, stavolta ammette che i numeri non ci sono più. Se si votasse domani sul rendiconto dello Stato i numeri si fermerebbero a 306 deputati. Ma il coordinatore stavolta è anche più pessimista: oltre a quelli che sono già andati via c'è anche un'altra area di dissenso, un'area grigia di una quindicina di deputati pronti a staccarsi dalla maggioranza, portando così la conta finale a 300. Sarebbe la fine. Sono ore drammatiche, il premier incassa questi numeri ma non ci sta. Si ribella, alza la voce. E prova a resistere. "Non ci credo. Li chiamerò uno ad uno personalmente. È tutta gente mia, mi devono guardare negli occhi e dirmi che mi vogliono tradire. Io lo so che sono arrabbiati, è gente frustrata, si rompono le palle a pigiare tutti i giorni un pulsante, ma non hanno un disegno politico. Ci parlerò". Verdini e Alfano non condividono l'ottimismo del Cavaliere e stavolta non hanno paura a dirlo: "Ci abbiamo già parlato noi, è stato inutile".
Berlusconi li ascolta, a volte sospira e sembra rendersi conto della gravità della situazione. Per la prima volta le sue certezze traballano, inizia a prendere in considerazione l'impensabile. "Io potrei anche lasciare il posto a qualcun altro, come dite voi. Se vedessi un nuovo governo potrei fare un passo indietro, il problema è che non lo vedo". E tuttavia i suoi uomini insistono. La pressione per allargare la maggioranza all'Udc è sempre più forte. Nel governo, nella componente dei forzisti, ormai è un coro. E non resta molto tempo, le lancette corrono veloci. Martedì si voterà il Rendiconto dello Stato, poi probabilmente partirà una mozione di sfiducia. A quel punto sarà troppo tardi. Così, nella lunga notte di palazzo Grazioli, viene elaborata una strategia per affrontare i prossimi passaggi. Prendendo in considerazione i numeri ma anche l'insistenza del Cavaliere nel provare a resistere. Viene studiato un possibile atterraggio morbido. Da oggi a lunedì Berlusconi farà le sue telefonate ai ribelli e le sue convocazioni. Prima del voto alla Camera verrà fatto un ultimo controllo, un check nome per nome, tracciando il bilancio definitivo. Sarà in quel momento che verrà presa la decisione finale perché, se i numeri saranno ancora negativi, al Cavaliere hanno consigliato di andare a dimettersi senza passare per un voto di sfiducia.
"Possiamo anche andare allo scontro - gli hanno spiegato Alfano e Letta - ma se perdiamo, e stavolta è probabile che perdiamo, la palla passa agli altri. A quel punto possiamo solo subire". Al contrario, se Berlusconi si decidesse a pilotare il passaggio con delle dimissioni volontarie, continuerebbe a essere il regista dell'operazione. Spianando così la strada a un nuovo governo, a maggioranza Pdl, a cui il Terzo polo non potrebbe dire di no. Un governo guidato da Gianni Letta o Mario Monti. A quel punto la vera incognita sarebbe la Lega. Anche di questo si è discusso a via del Plebiscito, ipotizzando che Roberto Maroni possa restare al Viminale. La strada del voto anticipato, il mantra ripetuto fino a ieri da Berlusconi e dallo stato maggiore del Pdl fin dentro lo studio del capo dello Stato, non viene nemmeno preso in considerazione. Serve alla propaganda, ma i sondaggi sono impietosi. Per il Pdl andare alle urne in questa situazione sarebbe un naufragio rovinoso.
Al contrario, nel caso il Cavaliere accettasse di favorire il passaggio a un governo diverso, per il centrodestra si aprirebbero opportunità vantaggiose. "Con Gianni Letta a palazzo Chigi - hanno spiegato al premier - allarghiamo l'alleanza a Casini e possiamo decidere noi se andare al voto tra sei mesi o tra un anno. Quando ci conviene di più". Ma anche se Napolitano incaricasse Mario Monti per un governo di "salvezza nazionale", con una dura agenda di sacrifici - quella tracciata ieri a Cannes con l'Ue e il Fondo monetario - per il Pdl e Berlusconi ci sarebbero vantaggi. "Avremmo tutto il tempo di riorganizzarci e preparare la candidatura di Alfano nel 2013". Inoltre si alleggerirebbe la responsabilità per il micidiali tagli che dovranno essere approvati. E resterebbe solo Mario Monti come artefice della purga.
Altre strade, nonostante Berlusconi resista, non ci sono. "Oggi siamo a 306, ma potremmo finire a 300", gli hanno ripetuto in coro. L'unica incognita a questo punto resta la data dell'attacco che sarà scelta dall'opposizione. C'è chi pensa martedì, chi punta alla settimana successiva. Tra il Pd e l'Udc su questo punto non c'è identità di vedute. Bersani vorrebbe assestare subito il colpo, sul Rendiconto dello Stato (lasciando che ad approvarlo sia un nuovo governo). Al contrario Pier Ferdinando Casini ormai è convinto che la partita sia già vinta. E tanto vale far passare il Rendiconto con un'astensione, portando l'assalto finale qualche giorno più tardi. Sempre che Berlusconi, come lo imploravano ieri i suoi, non decida di anticiparli e gettare la spugna da solo. (Francesco Bei)
Un atto di dignità (di Ezio Mauro)
Giunto al fondo della sua avventura, Silvio Berlusconi scopre di aver perso insieme la fiducia del suo Paese e del mondo. Il vertice G20 di Cannes è stato un calvario per il premier, isolato tra i Grandi e costretto a impersonare la parte del sorvegliato speciale dell'Occidente. Per anni Berlusconi ha ingannato l'Italia con una falsa rappresentazione della realtà. Ma oggi il quadro è cambiato perché la crisi espone il vuoto della sua politica davanti alla governance mondiale delle democrazie, dove valgono le regole e dove le anomalie non sono tollerate.
L'Italia, dice Cristine Lagarde, ha un problema di credibilità: che investe il presidente del Consiglio in primo luogo, perché impersona le istituzioni di governo e una maggioranza che si sfarina, nella fuga dalla nave che affonda, quando soldi, ricatti e promesse non bastano più e la politica si vendica. Tutto è consumato. Il Premier ha un'unica strada per uscire di scena con dignità. Vada in Parlamento, ammetta di non avere la maggioranza, chieda aiuto all'opposizione per approvare il pacchetto di Risanamento europeo, annunciando un minuto prima che si dimetterà un minuto dopo il voto. Così si dimostrerà che l'Italia ha le energie e la responsabilità per salvarsi. E Berlusconi uscirà di scena, dopo tanti danni, con un gesto utile al Paese. (Ezio Mauro)
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