Nel momento in cui la chiesa, sotto la pressione dell'opinione pubblica (anche cattolica) accetta quanto meno il principio di poter verificare, distinguere, discutere di ICI, assume particolare rilievo l'inchiesta di Repubblica sui "rosari" made in Albania, a 0,07 € l'uno, e rivenduti nei negozi di Via della Conciliazione a 15/20 € l'uno.
(Repubblica.it - L'inchiesta)
Quella che segue è, per ovvi motivi, una sintesi arbitraria dell'inchiesta completa, che potete comunque leggere al link riportato sopra
...da Skutari, Albania, al Vaticano. Dal Vaticano all'entroterra di Rimini. A seguire la filiera dell'oggetto-simbolo della devozione cristiana si trovano, in tempi di globalizzazione e delocalizzazione, sorprese amare. Come, ad esempio, che donne albanesi imprigionate in casa dal codice Kanun guadagnano sette centesimi per assemblare una corona che nelle botteghe romane viene rivenduta a venti euro...
Un mese di lavoro vale due polli, per le albanesi prigioniere del kanun - Anna è una donna che lavora i rosari in Albania. L'antico codice d'onore dell'Albania del Nord costringe in casa le donne imparentate con un assassino. E qualcuno ne approfitta per appaltare loro, con paghe da fame, la fabbricazione di rosari che poi vengono venduti nelle strade attorno al Vaticano a trecento volte quel miserabile compenso. Non c'è reato, solo molta vergogna per uno sfruttamento destinato a creare oggetti di devozione.
A Skutari vige ancora un antico codice d'onore, il Kanun. Questo sistema di leggi e comportamenti prevede la vendetta. Questo significa che nelle zone settentrionali dell'Albania, dove la società è più arretrata rispetto al resto del Paese, se una famiglia subisce un assassinio gli uomini possono vendicarsi sui parenti dell'omicida e se non lo fanno si macchiano di infamia. I familiari fino al terzo grado di un omicida non hanno altra scelta che cambiare città, vendere tutto e rinchiudersi nella nuova casa nella speranza o di ottenere il perdono o di non essere mai più rintracciati dai vendicatori. Sembra prassi di un'altra epoca, in realtà solo pochi mesi fa un ragazzo è stato ucciso davanti agli occhi di testimoni silenziosi in un centralissimo bar della città.
A Skutari ci sono circa novanta famiglie costrette a fare i conti con il Kanun. A Skutari vivono i Papleka: marito, moglie, un figlio e una figlia. I Papleka raccontano come è cambiata la loro vita nell'arco di cinque anni, da quando cioè il Kanun per il gesto omicida di un loro cugino li ha costretti a lasciare casa e terreno sulle montagne d'origine per nascondersi fra i vicoli discreti di Skutari. Sedia di paglia per la mamma, cuscino in terra per la figlia, una busta di perline, filo di ferro e due paia di pinze: il necessario per montare un rosario. Anzi, non uno ma 144 da completare in quattro giorni.
"Prova a farli, sembra facile. Per la prima mezzora però", scherza la donna, anche lei restia a presentarsi con il proprio nome. Intreccia il filo fra le gambe meccanicamente, raccoglie perline da terra con la naturalezza di chi compie un gesto abituale, inforca gli occhiali e si mette a lavorare. Non conosce la liturgia del rosario, non è cattolica. Quello che ha fra le mani è solamente il mezzo grazie al quale riuscirà a comprare del pollo alla sua famiglia anche per questa settimana. Prima lavorava in una fabbrica di scarpe, poi un'allergia l'ha costretta ad andarsene ed è finita a fare la sarta in una fabbrica tessile che poco tempo dopo ha chiuso i battenti. Allora una cognata le ha prospettato quest'altra forma di guadagno e da due anni a questa parte quattro mattine alla settimana sono dedicate all'infilar perline. "All'inizio pensavo che non fosse faticoso, ma poi mi sono accorta che a lavoro finito mi fanno male le caviglie, la testa, mi bruciano gli occhi. Quando smetto non riesco nemmeno a vedere mio marito". Il quale però non riesce ad abbandonare i rimpianti per ricambiare l'ironia: "Sono un parassita. Prima avevo una casa, degli animali. Adesso non posso fare nulla".
Anna ha 35 anni ma, se chiedesse di indovinarli, difficilmente qualcuno si terrebbe così basso. Anna e i suoi cinque figli sono vittime del Kanun: spaghetti donati sono l'unico cibo quotidiano che possano permettersi. I pensieri sono molti, le ambizioni non proprio: "Io sono contenta di quello che faccio, vorrei solo che mi pagassero un po' di più. Una volta ho provato a chiederlo ai padroni, ma mi hanno risposto che posso sempre smettere quando voglio". Una richiesta esosa, quella di Anna: essere pagata 20 lek invece di 18 per ogni rosario finito, che tradotto in euro significa sette centesimi e un po' invece dei sette centesimi che prende adesso. Perché questo è quanto guadagnano le artigiane dei rosari: sette/otto centesimi a pezzo, per un totale di circa 17mila lek al mese, ossia giusto giusto due kilogrammi di pollo al mercato. Senza considerare che le pinze per lavorare costano circa 11mila lek, tanto che Anna se le è fatte portare dal fratello che vive a Firenze. Per Anna può essere una condizione accettabile, visto che Skutari offre poco più e che ci sono persone, come suo fratello o l'associazione italiana Giovanni XXIII, che si occupano di lei. Qualcuno però ha pensato che quelle donne costrette in casa potessero essere un'occasione e le ha trasformate in manodopera a basso costo per oggetti da preghiera convertiti in beni commerciali.
Da sette centesimi a venti euro: il folgorante rincaro di un rosario - Naturalmente va conteggiato anche il materiale, ma quel che salta all'occhio è la distanza tra il costo del lavoro in Albania e il prezzo al cliente nei negozi romani: qualcosa come trecento volte di più. Una sproporzione che dev'essere chiara anche a intermediari e venditori, se parlarne a un giornalista è così difficile.
"Ma cosa vuole che ne sappia io di queste cose? Vada piuttosto a vedersi la Cappella Sistina o si occupi di Raffaello. Se ne vada". "Cosa volete qui? Andate fuori, fuori (in albanese)". "Uscite immediatamente o chiamo i carabinieri! Dovreste vergognarvi!". E' stato più difficile del previsto ricostruire la storia di un rosario. Un argomento sul quale giornalisti che fanno domande non sono ben accolti. Per aver cercato di capire perché una fabbricante di rosari in Albania venga pagata sette centesimi al pezzo e poi lo stesso rosario penzoli nei negozi romani a San Giovanni in Laterano e accanto alle Mura Vaticane a otto, quindici o anche venti euro (quasi trecento volte di più) siamo stati cacciati tre volte da tre posti diversi.
Le tracce ci hanno portato dal produttore al consumatore, registrando rincari di prezzo da un confine all'altro, consueto rituale di molte storie di globalizzazione dei tempi moderni. L'antico codice Kanun favorisce questo processo. Bisognose di un lavoro domestico per sbarcare il lunario, queste donne vengono ingaggiate da un commerciante italo-albanese: ogni giovedì arrivano dall'Italia perline, croci e fili da trasformare in rosari, che poi faranno il viaggio inverso per finire nelle case e nelle macchine dei devoti italiani.
Il mercato dei rosari è florido e abbastanza incontrollato. In Italia ci sono due o tre grandi ditte e una miriade di piccoli grossisti e venditori fai da te che si servono da un universo di piccoli o medi rifornitori. Uno di questi è tale "Frizz", il commerciante che gestisce la manodopera in Albania. Lo abbiamo cercato a Skutari e siamo arrivati in un piccolo garage della zona periferica della città, ma l'accoglienza non è stata delle migliori: appena varcata la porta siamo stati costretti ad tornare fuori per evitare guai. Ma una traccia l'abbiamo trovata: la ditta rifornitrice del materiale è a Rimini. Neanche in Romagna però siamo stati accolti con il tappeto rosso. E' quindi molto difficile ricostruire passo passo il cammino di un rosario dalle catapecchie di Skutari, ai committenti del Nord Italia, alle botteghe di oggetti sacri disseminate attorno al Vaticano. E questo nonostante, in apparenza, non ci sia alcun reato, nulla che giustifichi il silenzio, la riluttanza, le minacce in ci siamo imbattuti sia a Skutari che in Vaticano, che a Rimini. Forse però, sapere e far sapere che delle donne albanesi bisognose di carità sono diventate vittime di un dumping economico per incrementare i guadagni su articoli religiosi, beh, non fa piacere a nessuno.
La fabbrichetta leader delle corone: "Vendiamo fino in Nuova Zelanda" - La Lauretana sta a Cusercoli, settanta chilometri da Rimini sull'Appennino emiliano. E' nel ramo dal dopoguerra, quando erano le donne di qui ad arrotondare facendo rosari in casa. Ma oggi, con la crisi e la delocalizzazione, produce anche in Cina, Albania, Ecuador, Romania. E non sempre è facile controllare gli intermediari... "Il signor Beccucci è un mecenate, senza di lui questo paese sarebbe finito in miseria nel dopoguerra, come tutti i nostri vicini. Dovrebbero fargli un monumento, invece non lo hanno nemmeno sepolto nel nostro cimitero". Cusercoli, piccolissimo borgo dell'Appennino emiliano, settanta chilometri da Rimini. Un minuscolo fiume, caratteristiche case in pietra, il classico bar di paese, e una fabbrica, la Lauretana, orgoglio del posto in quanto leader nazionale del suo settore: produzione e vendita di rosari. Siamo arrivati qui guidati dai negozianti riminesi che hanno indicato la Lauretana come la maggior rifornitrice di articoli per i loro negozi. In effetti questa piccola fabbrica, che oggi conta quattordici operai, ha una storia degna di tutti gli onori: "Molte donne del paese facevano rosari in casa per arrotondare i pochi soldi che entravano ogni mese - raccontano i paesani -. Quando dopo la guerra c'era poco lavoro o nulla, il signor Beccucci ci affidava questo compito e così molti di noi hanno rinunciato ad andarsene e il paese è rimasto vivo".
Questa però è una storia di decenni fa, adesso c'è la crisi e l'arrotondamento non c'è più. Piuttosto, c'è la delocalizzazione che stiamo cercando. "Sì, la Cina è la più economica, poi viene l'Albania. Siamo su un costo di 35-40 centesimi a rosario. Ma produciamo anche in Ecuador, Romania, Cecoslovacchia...". A parlare è il responsabile del commercio della Lauretana con Roma e il Vaticano ("dove portiamo sempre camionate di roba e addirittura riforniamo il magazzino personale del Papa"), che racconta come "con la globalizzazione e la concorrenza, soprattutto cinese, devi cambiare marcia e fare i tuoi affari all'estero. Noi arriviamo a vendere anche in Nuova Zelanda, per quanto riguarda la produzione invece è direttamente il titolare a tenere le fila di tutto perché devi stare attento a non infrangere le leggi nostre e dei paesi dove andiamo a produrre. A volte si serve di intermediari, ma comunque è lui a sorvegliare tutto".
A questo punto sarebbe utile sapere se fra questi intermediari c'è anche il "nostro" Frizz, per capire se la Lauretana sa che questi rosari vengono realizzati sfruttando per un pezzo di pane delle donne che hanno già una vita devastata dal Kanun. A darci questa risposta può essere solo Sergio Beccucci, titolare della Lauretana e figlio del defunto fondatore. Ma ancora una volta l'entrata in scena di un attore protagonista non corrisponde a un'accoglienza amichevole e così veniamo sbattuti fuori con tanto di invito a vergognarci e minacce di chiamare i carabinieri. Beccucci non è contento di vedere taccuini e macchina fotografica davanti a sè, né ha intenzione di fornire dettagli sul modus operandi della Lauretana.
Non possiamo quindi sapere con certezza se Frizz, che alla fine rimarrà un personaggio misterioso, sia o meno in contatto con la Lauretana. Quello che abbiamo capito è che anche il mercato dei rosari fa leva sulla deregulation della globalizzazione e che le condizioni di povertà e difficoltà sociale sono sempre un terreno fertile per sfruttare persone e guadagnare più denaro. Anche se il prodotto in questione è un rosario, uno dei "messaggeri" di cui l'uomo si è dotato per parlare con Dio.
"I prodotti italiani sono ancora i migliori, ma il problema è la concorrenza cinese" - Seguendo la traccia dei rosari fabbricati a Skutari si arriva al Vaticano. "Per te che sei italiano facciamo quindici euro, se fossi americano sarebbero venti". E il principale fornitore dello shop dei Musei Vaticani promette: "Abbiamo molti sub-fornitori, è possibile che ci siano casi di sfruttamento. Faremo verifiche e, se del caso, troncheremo i rapporti"
Via di Porta Angelica è un via vai di turisti, preti e suore. Il colonnato del Bernini in fondo alla strada è la meta del flusso, piazza San Pietro non aspetta altro che riempire gli occhi di chi si appresta a varcarlo. Prima delle meraviglie del Rinascimento italiano si possono però visitare le bancarelle e i negozi che affollano la via. C'è la Casa del rosario, ci sono ritratti della Vergine in ogni vetrina, ci sono bancarelle ambulanti più o meno a ogni incrocio. Dentro e fuori dai negozi campeggiano i rosari che Anna e la signora Papleka hanno contribuito a realizzare. Costo? "Per te che sei italiano facciamo quindici euro, se fossi americano sarebbero venti". Offerta rifiutata, ma è interessante sapere come funziona questo mercato: "Noi mettiamo le nostre bancarelle grazie a una licenza che paghiamo regolarmente. I rosari li prendiamo dai grossisti che ci riforniscono da varie parti di Italia: Milano, Roma, l'Emilia. Ordiniamo uno stock e poi li mettiamo in mostra".
Un commerciante si interessa della provenienza della mercanzia, ma che ci sia la corsa al minor costo lo sanno tutti: "Sì, i prezzi si sono abbassati perché probabilmente i produttori hanno cercato manodopera all'estero. Ma per forza, da quando anche in questo settore sono entrati i cinesi, che vendono paccottiglia a prezzo bassissimo, ti devi inventare qualcosa". Stessa storia dentro un negozio, dove però i rosari che stiamo seguendo si trovano anche a tre euro: "Il prezzo dipende dalla fattura, certo quelli italiani sono i migliori, perché li facciamo ancora in argento. Il problema è la concorrenza della Cina che, anche se non è un paese cristiano, ha già conquistato questo mercato". Fra una maglietta di Francesco Totti e una reliquia di Padre Pio varchiamo le Mura vaticane e arriviamo al Mosaic Art, grande e storico negozio appena all'esterno del colonnato. Fare conversazione è però impossibile, non resta che rivolgersi ai tre punti vendita che fanno direttamente capo al Vaticano: le Grotte, la Cupola e i Musei Vaticani.
Le Grotte altro non è che un'edicola fornita di tutto il necessario per attirare turisti e religiosi, dove trovano posto le perline di legno e le corone con le chiese di Roma, infilate con tanta naturalezza in Albania. Prezzo al dettaglio: otto euro. Il ragazzo che sta al banco non è entusiasta di spiegarci il suo lavoro, "perché dovreste chiedere al mio principale", e si limita a confermarci che il punto vendita è di proprietà diretta del Vaticano. Il negozio della Cupola è casa di due suore molto gentili e sorridenti, che dopo averci ricordato le differenze fra i misteri (gaudiosi, dolorosi, gloriosi e luminosi) del rosario mettono in mostra gli oggetti. E anche qui rispuntano i prodotti d'oltre Adriatico a un prezzo variabile fra gli otto e i quindici euro. Le suore dicono di rifornirsi da un grossista fuori Roma, ma sulla provenienza dei rosari non sanno nulla.
In tutta Italia ci sono chiaramente diversi fornitori e grossisti di articoli religiosi e finalmente un po' di chiarezza ci viene offerta nello studio del direttore dei Musei Vaticani, il professore Antonio Paolucci. In verità non sarà Paolucci a soddisfare la nostra curiosità, visto che il nostro incontro dura all'incirca un minuto e mezzo, il tempo cioè di farsi rispondere che "io non mi occupo di queste cose, se anche i rosari fossero fatti da vedove albanesi sfruttate non mi interesserebbe, lei piuttosto se ne vada e si faccia un giro nei Musei".
Sarà Renzo Ruggeri, direttore della ditta Opera Musei Fiorentini, la principale rifornitrice del negozio dei Musei Vaticani a spiegarci un po' la faccenda. Per prima cosa, il referente ultimo di quello che viene venduto dentro i Musei è proprio il direttore, insieme al suo vice Nicolini. Poi l'ammissione che fra le migliaia di rosari arrivati in Italia ce ne possano essere alcuni frutto di dumping sociale sconosciuto: "Noi abbiamo molti rifornitori in Italia ma non con tutti abbiamo un rapporto decennale, quindi è possibile che ci siano casi come quello che lei ci racconta. Faremo delle verifiche e se lo troviamo sicuramente non ci riforniremo più da loro", spiega Ruggeri. Passeggiando nello shop dei Musei Vaticani con lui ci accorgiamo comunque che lì i rosari incriminati non ci sono. Invece penzolano tranquillamente all'interno dell'ultimo punto di diretta responsabilità vaticana che è il negozio all'interno della Basilica di San Giovanni in Laterano, cattedrale della diocesi di Roma. Anche in questo punto la tariffa oscilla fra gli otto e i quindici euro e anche qui il ragazzo addetto alla vendita conferma che tutto dipende dal Vaticano e che da dove provengano i rosari in vendita non si sa...
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