Sulla moneta unica non si può tornare indietro. Sarebbe troppo costoso. Ora l'Italia ha quattro possibilità per salvarsi. Nessuna delle quali prevede che a decidere saremo noi
(di Luigi Zingales - l'Espresso)
L'anno scorso in questo periodo quando menzionavo il rischio di una fine dell'euro ero preso per pazzo o, peggio, per la quinta colonna americana che voleva insidiare le magnifiche sorti e progressive della nostra moneta comune. Oggi a considerare questa possibilità sono in molti: dalle banche che preparano piani per l'evenienza, agli studi legali che nei nuovi contratti inseriscono clausole per l'eventualità che uno o più Paesi escano dall'euro. L'euro è veramente arrivato al capolinea?
Per capire cosa succederà all'euro bisogna comprendere le cause della sua crisi. E queste cause sono in parte legate all'economia reale e in parte legate a quella finanziaria. Cominciamo dall'economia reale. Come ha scritto giustamente il premio Nobel per l'economia Paul Krugman, l'euro non è stata la creazione di un gruppo di tecnocrati, ma di un gruppo di inguaribili romantici che alle ragioni dell'economia ha anteposto quelle del cuore. Una moneta comune significa una politica monetaria comune.
Se un Paese è in una fase di boom e un altro in una fase di recessione, come può la banca centrale determinare un tasso di interesse che vada bene ad entrambi? Per questo la teoria economica dice che un'unione monetaria funziona solo se i Paesi dell'unione soddisfano quattro condizioni: libera circolazione di merci e capitale, mobilità del lavoro tra Paesi, un meccanismo di redistribuzione fiscale, e un'esposizione simile agli shock economici. Delle quattro l'Europa soddisfa pienamente solo la prima. La mobilità del lavoro tra Paesi è molto parziale. I portoghesi vanno a lavorare in Germania, ma quanti tedeschi sono disposti ad andare a lavorare in Spagna? La redistribuzione fiscale è minima. Per finire, le economie del Sud e Nord Europa sono esposte a shock molto diversi. Il turismo è fondamentale per il Sud, l'export di prodotti manifatturieri per il Nord.
Ma allora perché fu fatto l'euro? Perché si anteposero le ragioni del cuore. Nel desiderio di unificare politicamente il Continente si decise di cominciare dalla moneta, con la speranza che con il tempo si sarebbero fatti i passi necessari per rendere questa scelta sostenibile. Purtroppo questi passi non sono stati fatti ed oggi il Sud Europa si trova con una crisi di competitività: per data produttività il costo del lavoro nel Sud Europa è più alto che nel Nord. Per questo la Germania cresce e la Spagna e l'Italia no. Senza la leva del cambio e una politica monetaria mirata, il Sud Europa fa molta difficoltà a riprendersi. Per riguadagnare competitività deve aumentare la produttività di più dei tedeschi o ridurre i salari rispetto a quelli tedeschi. Il primo obiettivo può essere conseguito con forti investimenti in capitale fisico e umano, entrambi non facili da effettuare in un periodo di stagnazione economica. Per conseguire il secondo obiettivo in tempi brevi, c'è bisogno di un taglio dei salari nominali, difficilmente sopportabile dal punto di vista sociale.
Anche se riteniamo che l'euro sia stato un errore, disfarlo non è necessariamente la soluzione, perché ci sono enormi costi di transizione. Immaginiamo che, all'insaputa di tutti, il primo di gennaio 2012 il governo Monti annunci che la moneta a corso legale in Italia non è più l'euro, ma la (nuova) lira. Contestualmente decreta che tutti i contratti denominati in euro debbano intendersi denominati in lire al tasso di cambio di 1 a 1. L'indomani sul mercato la lira varrà tra il 30 e il 50 per cento in meno di un euro, conseguendo l'effetto di una svalutazione.
Il governo italiano, però, ha il potere di cambiare i contratti solo all'interno del suo Paese. I titoli obbligazionari in euro emessi dalle aziende italiane sui mercati internazionali non possono essere modificati dal nostro governo e quindi rimarrebbero in euro. Di conseguenza, le nostre principali imprese e banche si troverebbero ad avere l'attivo svalutato e parte del passivo no. Molte di loro fallirebbero. Lo stesso vale per i titoli del tesoro italiano. Quelli emessi su piazze straniere, non sottoposte alla nostra giurisdizione, non sono convertibili e rimanendo in euro andrebbero ad aumentare il peso del nostro debito pubblico. Per finire, il Tesoro dovrebbe pagare degli interessi molto più elevati per convincere gli investitori a sottoscrivere le nuove emissioni. Questi interessi finirebbero per rendere insostenibile il nostro debito, costringendoci al fallimento. Nell'unirsi all'euro, l'Italia si è bruciata i ponti alle spalle ed ora non c'è una via di fuga.
Se questi problemi economici non bastassero, ci sono i problemi finanziari, che l'Unione europea ha visto bene di gestire nel peggiore dei modi possibile. Quando la Grecia, che aveva mentito nelle sue statistiche ufficiali, ebbe difficoltà nel finanziarie il proprio debito, il resto dell'Unione si trovò di fronte ad una scelta: affermare il principio che ogni Stato è responsabile per le proprie finanze e lasciar fallire la Grecia o stabilire che l'unione monetaria vuole anche dire solidarietà fiscale e mettere in piedi un meccanismo credibile di mutuo soccorso.
Si può discutere su quale fosse la soluzione migliore nel lungo periodo, ma entrambe avevano una coerenza logica. L'Unione europea cercò un compromesso che, mancando di ogni coerenza logica, si rivelò peggiore di entrambe le soluzioni estreme. Si cercò di salvare la Grecia con misure ad hoc, creando un'enorme ambiguità su cosa sarebbe successo se altri Paesi (in particolar modo l'Italia) si fossero trovati in difficoltà.
L'ambiguità è molto pericolosa quando un Paese è fortemente indebitato come il nostro. Il minimo dubbio sulla nostra solvibilità si trasforma in una profezia autorealizzantesi perché fa aumentare i tassi che rapidamente rendono il peso del nostro debito non sostenibile. La scintilla che ha scatenato l'incendio è stato lo scandalo cha ha coinvolto il braccio destro dell'ex ministro Tremonti. Ma era solo questione di tempo. Il ritardo del governo Berlusconi nel rispondere alla crisi ha creato sfiducia nel nostro Paese ed ha indotto molti investitori stranieri a vendere i nostri titoli.
Luigi Einaudi diceva che i risparmiatori sono come gli uccelli: è facile farli volare via, ma difficile farli ritornare. Lo stesso vale per gli investitori in titoli di Stato. Il governo Monti sta facendo il possibile per risanare le nostre finanze e dare credibilità al nostro Paese. Ma è troppo tardi. L'Italia non è più in grado di salvarsi da sola. A questo punto ci sono quattro possibilità.
La prima è che si faccia un unione fiscale. Questo significa che i tedeschi garantiscono il nostro debito pubblico. Perché questo avvenga dovremo rinunciare a gran parte della nostra autonomia di bilancio. Nel lungo periodo può essere costoso, ma nel breve sarebbe per noi la situazione migliore. È però difficile che i tedeschi acconsentano.
La seconda è che la Banca centrale europea si metta a fare quello che hanno fatto sia la Fed che la Banca d'Inghilterra: comprare massicciamente titoli sovrani. Questo ridurrebbe la tensione sui nostri titoli di Stato e spingerebbe al ribasso l'euro, facilitando le nostre esportazioni al di fuori dell'Europa. L'unico rischio sarebbe quello di inflazione. Un rischio che, date le alternative, forse vale la pena di correre. Ma come la pensano i tedeschi?
La terza soluzione è che non ci sia nessun accordo. In questo caso è facile che prima o poi un'asta del Tesoro italiano vada deserta e l'Italia debba chiedere aiuto al Fondo monetario internazionale. In cambio il Fondo chiederebbe misure draconiane. Come è successo per la Grecia, il Paese si avviterebbe in una recessione e poi alla fine in un default. Per noi questa sarebbe di gran lunga la soluzione peggiore.
La quarta è che ad uscire dall'euro sia la Germania con i paesi del Nord Europa. Sostituendo una valuta forte (il nord-euro) a una che diventa debole (l'attuale euro che diventerebbe il sud-euro), la Germania avrebbe la facoltà di decidere chi può convertire e nessuno degli esclusi avrebbe alcun rimedio legale. Anche in questo caso, il costo maggiore sarebbe per la Germania, che vedrebbe ridotta la sua competitività e si troverebbe costretta a sostenere le proprie banche.
Purtroppo tutte quattro queste possibilità hanno un elemento in comune: a decidere non siamo più noi. Ormai siamo solo una provincia dell'Impero.
Luigi Zingales
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