Gira su Twitter un falso superministro che annuncia le cose giuste che il vero dovrebbe fare e invece non fa. Si parla qui di frequenze tv. E si spiega perché si tratti di questione molto importante per il Paese e per il governo (di Bruno Manfellotto - l'Espresso)
Gira sul web un clone di Passera, nel senso di Corrado. Da qualche giorno infatti un anonimo navigante burlone e provocatorio invade Twitter con messaggi firmati dal superministro dello Sviluppo Economico che però del ministro non sono. A mezzanotte di lunedì 5 dicembre, per esempio, è andato in rete il seguente messaggio: "Non escludo un'asta per le frequenze tv". Purtroppo non era vero. Peccato, ci sarebbe piaciuto assai il contrario. Del resto, presentando il giorno prima la manovra, a una precisa domanda Passera - quello vero - aveva risposto: "Non abbiamo ancora esaminato il problema delle frequenze tv". Amen.
Insomma, se ne parlerà presto o non se ne parlerà mai più? Beata ambiguità. Durata poco, però. Martedì 6, una nota d'agenzia ufficiosa ma che sembrava bene informata spiegava che di frequenze all'asta non era il caso di parlare. Eppure si tratta di una questione maledettamente importante, per forma e sostanza. E che quindi merita proprio per questo di essere brevemente riassunta.
Il passaggio al sistema televisivo digitale ha liberato un certo numero di frequenze. Metterle in vendita all'asta sarebbe stata la cosa più saggia, utile e finanziariamente conveniente; e invece, quand'è stato il momento, il governo Berlusconi ha deciso di distribuirle gratuitamente tra chi già occupa il mercato ma - dopo le pressioni dell'Unione Europea - attraverso una sorta di gara, di concorso di bellezza (chiamato, appunto, "beauty contest"). Solo che a questo si partecipa, come dire?, solo per titoli e specifiche tecniche. E c'è bisogno di dire che il bando è stato scritto su misura per Rai e Mediaset? E in modo tale da garantire proprio a Rai e Mediaset le frequenze migliori? Proprio così, tanto è vero che Sky, visti i requisiti richiesti che la davano per sconfitta in partenza, ha preferito rinunciare. Non senza aver annunciato ricorsi legali.
Ora però i tempi stringono, entro fine mese tutto potrebbe essere concluso proprio con un regalo mascherato da concorso per titoli. Il governo Monti, però, non è il governo Berlusconi e il premier che c'è oggi non è per fortuna quello che c'era tre settimane fa: all'ex Commissario europeo alla concorrenza non può non piacere la soluzione dell'asta a pagamento, e se fosse ancora a Bruxelles spingerebbe l'Italia su quella strada. Un'asta, per di più, che consentirebbe allo Stato di ricavare dalla vendita una bella somma, 4-5 miliardi, più o meno quanto incasserà con la stretta sulle pensioni e molto di più di quanto renderanno tasse sul lusso e patrimonialine mascherate.
Senza contare poi il profondo, innovativo significato che avrebbe una decisione del genere. L'avvio della liberalizzazione del mercato televisivo metterebbe finalmente in discussione lo storico duopolio Rai-Mediaset, sorretto finora - nel silenzio generale - dal patto politico-istituzionale-aziendale stipulato tra i due maggiori partiti e le due maggiori aziende televisive all'atto della discesa in campo di Berlusconi; avvierebbe alla fine la lunga stagione di lottizzazione esasperata e di mala gestione di cui la vicenda Minzolini è solo il triste epilogo. Senza contare che basterebbe un gesto altamente simbolico come questo per spazzare via d'un colpo i mille sospetti di inciuci, di accordi sotterranei, di concessioni all'ex premier che hanno accompagnato l'uscita di scena di Berlusconi e la nascita del governo Monti. Sarebbe una scelta tutta tecnica, perché giustificata dai fatti e dalle esigenze di mercato, per niente condizionata - finalmente - da vincoli politici: non è questo che si chiede a un governo tecnico?
Qualche giorno fa, durante "Otto e mezzo" di Lilli Gruber, mi interrogavo sul perché il governo Monti non avesse ancora aperto questa benedetta asta di frequenze tv. "Chiedilo a Passera", sbottava Vittorio Feltri con un sorrisetto malizioso. Al netto di quell'arrière-pensée: caro ministro Passera, perché la manovra ha dimenticato per settimane la vendita delle frequenze? E ripensamenti?
(di Bruno Manfellotto - l'Espresso)
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