Solo qualche giorno fa, avevamo scritto che l'Italia non doveva a nessun costo accettare - come aveva fatto la Grecia - la sequela di imposizioni recessive dettate dai "mercati" e dalle autorità monetarie europee. La ricetta per uscire dalla crisi non può essere solo il controllo del deficit. Il terzo debito del mondo non può essere abbattuto a botte di dieci punti all'anno. La medicina dev'essere costituita da un mix di tagli alle spese improduttive e clientelari, di sostegno ai redditi (ed ai consumi) dei ceti più bassi), di lotta implacabile e rapidissima all'evasione fiscale, di creazione di un reddito minimo di cittadinanza, di rapido abbattimento delle circa 40 forme di precariato. In una parola, rilancio dei consumi, della produzione, del PIL.
La non applicazione di questa ricetta ha ammazzato nel 2001 l'Argentina, nel 2011 la Grecia, nel 2012 rischia di ammazzare l'Italia. L'Argentina è venuta fuori alla grande dalla crisi a partire dal 2004, cioè da quando si è ribellata alla crescita delle cure tanto forti che ammazzano il cavallo, ed ora cresce a ritmi del 5/6% all'anno, ed ha dimezzato la disoccupazione.
Avevamo richiamato alla memoria i sistemi opposti usati dagli USA e in Germania per uscire dalla crisi. Neglu USA Roosvelt, il New Deal, le politiche monetariste di Keynes avevano tirato fuori il paese dalla crisi. In Germania il mix di farmaci che ha ammazzato la Grecia ed ammazzerà l'Italia aveva portato al potere Hitler, ed aveva condotto la Germania ad innescare la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra, l'occidente era distrutto. Il carburante per risorgere è stato in Italia il piano Marshall, nei paesi più forti il deficit spending della ricostruzione, e la modernizzazione della struttura industriale, generata dalla ricostruzione delle strutture distrutte dalla guerra.
Oggi trovo in un autorevole commentatore, Massimo Giannini, conforto alle mie tesi. La cosa non mi diverte, ma prima si adotteranno le terapie giuste, meglio sarà per l'Italia, per gli italiani, e per l'Europa tutta. Se dobbiamo rompere l'eurozona, facciamolo: cacciando la Germania della Merkel, perchè la sua ossessione per il controllo dell'inflazione, in un continente in cui l'inflazione non c'è (domanda ZERO), ci porterà tutti alla rovina. Ecco cosa scrive Massimo Giannini:
"Questa manovra ci dà speranza", aveva detto il premier. Oggi la speranza si affievolisce: al borsino di fine d'anno vince la paura. Se migliorano i differenziali degli Stati "periferici" dell'Eurozona, a partire dalla Spagna, e peggiora solo il nostro, il segnale è inequivoco, e insieme drammatico: nonostante l'ultima stangata, la comunità degli affari non crede ancora che l'Italia riuscirà ad abbattere il debito e a rilanciare la crescita. Detta più brutalmente: i sacrifici appena imposti al Paese rischiano di essere inutili. Questa è la constatazione che rende amaro il Natale degli italiani.
Siamo in zona-pericolo. Per l'incertezza internazionale, ma anche e soprattutto per la debolezza interna. Il governo ne è consapevole. Il tentativo è quello di gettare il cuore oltre l'ostacolo, lanciando la famosa "fase due". Quella dello sviluppo economico, che dovrebbe accompagnare il rigore finanziario. Ma il cuore è leggero, e l'ostacolo è molto più alto del previsto. Nell'ultimo Consiglio dei ministri prima della sosta natalizia il premier ha affrontato la questione, ragionando sui numeri della "Relazione generale sulla situazione economica del Paese". "Le prospettive non sono affatto buone".
Basta sentire i ministri, per averne la conferma. Elsa Fornero avverte: "La manovra appena approvata era assolutamente necessaria. Sapevamo che avrebbe avuto un impatto sulla crescita, e ora sappiamo che è proprio la crescita la leva da azionare. Ma purtroppo dal territorio ci arrivano segnali preoccupanti". Piero Giarda è più esplicito: "Il risanamento l'abbiamo avviato, ma il quadro macro-economico sta peggiorando. Dal fronte delle imprese giungono notizie allarmanti, su ordinativi e occupazione".
Corrado Passera non si arrende: "Con il "Salva-Italia" abbiamo evitato la fine della Grecia. Ora dobbiamo uscire dalla sindrome delle fasi: non c'è una fase uno e una fase due, il rigore e lo sviluppo li dobbiamo fare insieme. La congiuntura è negativa, non possiamo aspettarci i fuochi d'artificio: ogni ministero deve fare la sua parte, giorno per giorno, per tagliare le spese e sostenere la crescita".
Ma far correre il Pil di un Paese che si porta sulle spalle una montagna di debito pubblico è una missione quasi impossibile, come purtroppo certifica l'impennata dello spread. È ancora Giarda, ad affondare il coltello nella piaga: "Non c'è dubbio, il debito è il nostro gigantesco problema. E i mercati sembrano orientati a scommettere sul fatto che noi potremmo non farcela". È la stessa inquietudine di Passera: "Ne parlavo poco fa con un grande banchiere americano. È ovvio che il differenziale ci penalizza: l'Europa non ritrova un equilibrio, e noi abbiamo il debito pubblico più grande del mondo...".
L'Italia, in definitiva, sta entrando in una spirale micidiale. Deve risanare i suoi conti, e quindi fare manovre correttive sempre più pesanti. Ma lacrime e sangue scorrono in un Paese che è già in recessione, come dimostrano il calo dello 0,2% del prodotto lordo nel terzo trimestre (che riflette la caduta degli investimenti delle imprese) e il crollo delle retribuzioni rispetto all'inflazione (che blocca i consumi delle famiglie). Così i tagli e le tasse deprimono ancora di più l'economia. Il rapporto debito/Pil non si riduce mai, perché le manovre fanno decrescere il numeratore, ma continuano a far decrescere anche il denominatore.
E se non si riduce il rapporto debito/Pil i mercati continuano a liberarsi dei titoli di Stato italiani, o a sottoscriverli chiedendo rendimenti sempre più alti. In questo modo il costo del debito pubblico, per lo Stato, continua a lievitare, rendendo necessarie altre manovre, che soffocano ancora di più l'economia. E via così, in un "loop" che finisce per uccidere un Paese.
Questo, dunque, è il vero abisso nel quale rischiamo di precipitare. All'Italia di Monti, per ora, non sta riuscendo il miracolo che riuscì a Ciampi nel 1996/1998, quando tagliammo il traguardo dell'euro grazie all'attivazione di quello che l'ex presidente della Repubblica definisce il "circolo virtuoso" [...]
Il "miracolo Ciampi", per Monti, è molto più complesso. Sullo sfondo c'è la crisi di Eurolandia. Ma in primo piano resta l'instabilità dello scenario politico e la fragilità di un governo sostenuto da una maggioranza di "azionisti riluttanti". In queste condizioni, infondere fiducia negli investitori è tutt'altro che agevole.
L'agenda del Tesoro fa tremare i polsi. Il 28 dicembre andranno in asta Bot a sei mesi per 8,8 miliardi, il giorno dopo toccherà ai Btp a 3 e a 10 anni. Da Capodanno in poi sarà una roulette russa: solo per titoli a medio-lungo termine, 1 miliardo a gennaio, 46 a febbraio, 35 a marzo e 30 ad aprile. Totale: 112 miliardi in un solo quadrimestre, esclusi i Bot. Il presidente del Consiglio non può dormire sonni tranquilli. Al contrario di Ciampi, è costretto a girare in "circolo vizioso".
La vera sfida è invertire il ciclo, e convincere i mercati che l'Italia fa sul serio. "Serve una terapia d'urto per la crescita, che possa innescare un effetto shock", sostiene la Fornero. Passera ci sta lavorando. Ma con poche risorse a disposizione la "terapia d'urto" ha un impatto incerto: "Sbloccheremo le infrastrutture, sia a livello normativo sia a livello di cantieri. E faremo le nuove liberalizzazioni con la legge annuale sulla concorrenza".
Monti deve coniugare la famosa "triade", rigore-crescita-equità, con la sponda di un Parlamento malpancista e di un sindacato antagonista. Per questo cerca l'appoggio della più importante istituzione economica del Paese, cioè la Banca d'Italia. Nell'ennesimo faccia a faccia a Palazzo Chigi, il governatore Ignazio Visco ha tratteggiato al premier un orizzonte tutt'altro che incoraggiante: "Per il quarto trimestre c'è un ulteriore indebolimento dell'attività produttiva".
Secondo Via Nazionale, occorrerà un lavoro "chirurgico" sui tagli di spesa, nell'ottica della "spending review". E poi serviranno interventi mirati per "rimuovere gli ostacoli che frenano il sistema", dalle liberalizzazioni in tutti i settori alle misure per l'efficienza degli enti locali, dalla formazione e la scuola alla velocizzazione della giustizia civile.
La Banca d'Italia ha già fornito al premier una serie di indicazioni concrete, su ciascuno di questi capitoli. Toccherà al governo tradurle in misure legislative. La via è strettissima. Ma un'alternativa non c'è. Anzi, ce n'è una sola: il default dell'Italia. Come ha spiegato Visco a Monti, questo significherebbe "10 milioni di poveri in più, dall'oggi al domani". Buon Natale a tutti.
(Massimo Giannini - Repubblica.it - 24/12/2011)
Ecco, Buon Natale a tutti. C'è la coscienza della malattia, non c'è ancora la coscienza che nonostante tutto l'Italia avrebbe ancora la forza - generata dalla propria debolezza - di mettere un freno alla "Terapia Grecia" impostaci dalla Merkel e dai suoi seguaci. Non c'è una ragione al mondo per cui in questi giorni la Spagna, con un tessuto industriale e finanziario molto più fragile e "monoculturale" (edilizia) di quello italiano, veda scendere il proprio spread, mentre risale alle stelle quello dell'Italia. L'Italia deve trarre forza dalla propria debolezza. L'Italia deve ricordare che la sua economia vale circa un quarto di quella dell'eurozona, e il suo debito ancor di più.
Se l'attacco all'Italia è un attacco all'eurozona, l'Europa deve capire che l'area euro si difende costruendo una linea Maginot sul punto di frontiera sotto attacco. L'Europa deve capire che se crolla l'Italia, crolla l'euro, e con un effetto domino crolla l'economia europea. Non piangerà solo l'Italia. I paesi dell'eurozona si decidano a conferire alla BCE reali poteri e funzioni da Banca Centrale. Lo facciano subito, perchè l'Europa tutta potrebbe arrivare alla catastrofe prima dell'estate.
Tafanus
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