Feste di Natale. Cosa c’è di più semplice del fare gli auguri ai nostri lettori, agli amici, a quanti incontriamo con la fatidica e vuota frase: «Auguri e Buon Natale – Buone Feste!»? Tutto è scontato, anche il Natale, specialmente il Natale che è diventato una «sindrome» annuale come l’influenza. Occorrerebbe un vaccino per neutralizzare una follia collettiva che nella droga del Natale trova una dinamica di identità. A Natale si ha bisogno di sapere che esistiamo per gli altri e a questo soccorre il rito del regalo che, anche se falso e forzato o non spontaneo, diventa il segno convenuto che almeno un giorno all’anno «facciamo finta di niente» e ci consoliamo, sapendo che dietro le parole, dietro i gesti scontati, tutto è nulla che unifica tutti in una rappresentazione vacua. E’ Natale!
Natale dovrebbe essere il segnale di una novità, come ogni nascita, come ogni arrivo di un ospite atteso il cui ingresso cambia la vita e le abitudini di una famiglia, di più famiglie, considerando anche i nonni. Per i cristiani poi il Natale dovrebbe essere la misura della verità della loro coerenza, mentre è diventato il simbolo di un divertimento infantile alienante e avulso dalla vita. In tante chiese si fanno pranzi per poveri, a Genova come altrove, a cui partecipano cardinali, vescovi e preti. Quest’anno addirittura anche la Camera dei Deputati ha organizzato un pranzo per gli immigrati, in cui il presidente stesso, il fascista Fini, l’autore della legge omicida «Bossi/Fini» anti immigrati, si è messo a servire come un cameriere. E’ la finzione istituzionalizzata! Fascisti, preti e cardinali si commuovono e si scomodano per i poveri il 25 dicembre, senza porsi il problema di come gli stessi poveri stanno il 26, il 27 il 30 e poi il 2 il 10 di ogni mese per 365 giorni all’anno, e 366 quelli bisestili. Nulla contro i pranzi di Natale dove ognuno si lava la coscienza come può e come vuole, ma non voglio partecipare alla mistificazione.
«I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7) dice Gesù ed è con quel «sempre» che bisogna confrontarsi e misurarsi giorno dopo giorno, povero dopo povero, altrimenti Natale è una droga acquieta-coscienza che si trasforma in colpa. Se ci accorgiamo dei poveri solo a Natale, significa che riconosciamo la povertà come dramma e sconfitta della società capitalista che estende sempre più la miseria e l’indigenza, ma non vogliamo prenderne coscienza sociale perché la releghiamo a fatto moralistico: un pranzo all’anno e chi s’è visto s’è visto. La politica ladra del governo Berlusconi che ha lasciato macerie sociali e quella del Governo Monti che ha sancito l’eutanasia attiva ad un Paese stremato da tasse, disservizi, esclusione dal convito della vita o meglio della sopravvivenza, non inducono certo a celebrare un Natale di festa quanto piuttosto un funerale di massa.
A Genova la Fincantieri, società di Stato, è sull’orlo di chiusura, certificato di morte di una città, uccisa dalle alluvioni e dalla insipienza dei suoi governanti privi di lungimiranza e di senso politico. In Regione domina la divisione e le camarille tra contrapposti interessi, mentre in Comune si guarda alle prossime elezioni, precedute dalla primarie nel Centro e in ciò che resta della Sinistra. La Sindaco ha scritto una lettera alla città per spiegare le ragioni della sua partecipazione. Se dopo quattro anni un sindaco deve anche spiegare le ragioni del suo operato, è segno di una debolezza che vuole essere sempre protagonista. A Genova l’Opera (emPia) «Istituto Negrone Durazzo Brignole Sale» sfratta i poveri, venendo meno agli ideali originari della fondatrice duchessa Maria Brignole Sale. L’esempio di Costantino Incognito e degli altri inquilini di via Peschiera è un lampante esempio di un Natale scristianizzato. Buon Feste di Natale, Genova, in attesa di una grande Rivoluzione come rinascita per un futuro decente.
Paolo Farinella, prete
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