Il sadismo predatorio delle agenzie di rating segna il limite di degrado democratico delle nostre società e il livello di assolutismo dittatoriale del mercato "olim" sedicente "liberale"! Cosa facciamo? Ci ammutiniamo nei nostri sdegnosi silenzi?
Assolutamente no! Riflettiamo, leggiamo, informiamoci e soprattutto agiamo: siamo trasgressivi, disobbedienti, bastiancontrari. Contro le pretese del mercato, contro le dittature mediatiche, sottraendo i nostri comportamenti alle logiche dello spreco e della necessitazione dell'inutile. Se ci manca questa presa di coscienza e questa presa d'atto, corriamo il rischio di finanziare, con le nostre abitudini consolidate, i nostri seviziatori. Una strana sindrome di Stoccolma generalizzata.
Già nel lontano 2003 (il 18 ottobre su Il Manifesto) il preveggente e acuto e lungimirante Eduardo Galeano scriveva: «Bombe contro la gente, bombe contro la natura. E le bombe di denaro? Che ne sarebbe di questo modello di mondo nemico del mondo senza le sue guerre finanziarie? In più di mezzo secolo di esistenza, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno sterminato una quantità di gente infinitamente maggiore di tutte le organizzazioni terroristiche che ci sono o ci sono state nel mondo. Loro hanno contribuito pesantemente a rendere il mondo così com'è. Adesso questo mondo, che ribolle d'indignazione, spaventa i suoi autori.
"La Banca mondiale, apostolo della privatizzazione, è in crisi di coscienza", commenta il quotidiano The Wall Street Journal. In un recente rapporto, la Banca scopre che la privatizzazione dei servizi pubblici, che i suoi funzionari hanno imposto e continuano ad imporre ai paesi deboli, non è esattamente una manna dal cielo, soprattutto per i poveri abbandonati al loro destino. Allarmata dalle conseguenze dei suoi atti, la Banca adesso dice che bisognerebbe consultare i poveri e che i poveri "dovrebbero vigilare gli investimenti privati", sebbene non spieghi come potrebbero realizzare questo lavoretto da niente. I poveri preoccupano anche il Fondo monetario, che li ha sempre strozzati: "E' necessario diminuire le disuguaglianze sociali", conclude il direttore del Fondo, Horst Koehler, dopo aver meditato sulla faccenda. I poveri non sanno davvero come ringraziare.
Questi organismi, che esercitano la dittatura finanziaria nel sistema democratico, non hanno nulla di democratico: nel Fondo decidono tutto cinque paesi; nella Banca, sette. Gli altri non hanno alcuna voce in capitolo. Nemmeno la dittatura commerciale è democratica. Nell'Organizzazione mondiale del commercio non si vota mai, sebbene il voto sia previsto negli statuti.
L'organizzazione coloniale del pianeta sarebbe in pericolo se i paesi poveri, che corrispondono alla schiacciante maggioranza, potessero votare. Loro sono invitati al banchetto per essere divorati. La dignità nazionale è un'attività non redditizia, destinata a scomparire, come la proprietà pubblica, nel mondo sottosviluppato. Ma quando le dignità si uniscono, è tutta un'altra storia. E' quanto accaduto a Cancun di recente, alla riunione della Organizzazione mondiale del commercio: i paesi disprezzati, i buggerati, si sono uniti in un fronte comune, per la prima volta dopo molti anni di solitudine e di paura. E la riunione, convocata, come al solito, affinché la maggioranza esercitasse il suo diritto all'obbedienza, è naufragata. Sta succedendo ovunque: sembra che il potere non sia così potente come dice di essere".
Sullo stesso tema, anche se su un piano un pò più propositivo, c'è una bellissima intervista di Marino Niola al grande Serge Latouche, che appare au La Repubblica. Buona lettura! E Buona indignazione! Buona lotta!
Aldo Antonelli
L'utopia frugale
(Marino Niola intervista Serge Latouche – La Repubblica 14.01.2012)
«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l'unica via all'abbondanza è la frugalità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e infelicità». E’ la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all'Università di Paris Sud, universalmente noto come il profeta della decrescita felice. Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Napoli dal 16 al 20 gennaio, ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e protagonista del convegno internazionale "Pensare diversa-mente. Per un'ecologia della civiltà planetaria" organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell'Università Federico II. Il tour italiano dell'economista eretico coincide con l'uscita del suo nuovo libro Per un'abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (Bollati Boringhieri). Un'accesa requisitoria contro l'illusione dello sviluppo infinito. Contro la catastrofe prodotta dalla bulimia consumistica.
Cos'è l'abbondanza frugale? Detta così sembra un ossimoro.
«Parlo di "abbondanza" nel senso attribuito alla parola dal grande antropologo americano Marshall Sahlins nel suo libro Economia dell'età della pietra. Sahlins dimostra che l'unica società dell'abbondanza della storia umana è stata quella del paleolitico, perché allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme».
Vuol dire che non è il consumo a fare l'abbondanza?
«In realtà proprio perché è una società dei consumi la nostra non può essere una società di abbondanza. Per consumare si deve creare un'insoddisfazione permanente. E la pubblicità serve proprio a renderci scontenti di ciò che abbiamo per farci desiderare ciò che non abbiamo. La sua missione è farci sentire perennemente frustrati. I grandi pubblicitari amano ripetere che una società felice non consuma. Io credo ci possano essere modelli diversi. Ad esempio io non sono per l'austerità ma per la solidarietà, questo è il mio concetto chiave. Che prevede anche controllo dei mercati e crescita del benessere».
Perché definisce Joseph Stiglitz un'anima bella?
«Stiglitz è rimasto alla concezione keynesiana che andava bene negli anni '30, ma che oggi, anche a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, mi sembra impraticabile. Nel dopoguerra l'Occidente ha conosciuto un aumento del benessere senza precedenti, basato soprattutto sul petrolio a buon mercato. Ma già negli anni '70 la crescita era ormai fittizia. Certo il Pil aumentava, ma grazie alla speculazione immobiliare e a quella finanziaria. Un'età dell'oro che non ritornerà».
E’ il caso anche dell'Italia?
«Certo, il boom economico italiano del dopoguerra si deve soprattutto a personaggi come Enrico Mattei che riuscì a dare al vostro paese il petrolio che non aveva. E’ stato un vero miracolo. E i miracoli non si ripetono».
I sacrifici che i governi europei, compreso quello italiano, stanno chiedendo ai cittadini serviranno a qualcosa?
«Purtroppo i governi spesso sono incapaci di uscire dal vecchio software economico. E allora tentano a tutti i costi di prolungarne l'agonia, ma questo, lo sanno bene, non fa altro che creare deflazione e recessione, aggravando la situazione fino al momento in cui esploderà».
Lei definisce- la società occidentale la più eteronoma della storia umana. Eppure comunemente si pensa che sia quella che garantisce il massimo di autonomia democratica. Chi decide per noi?
«Di fatto siamo tutti sottomessi alla mano invisibile del mercato. L'esempio della Grecia è emblematico: il popolo non ha il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato finanziario a scegliere per lui. Più che autonoma, la nostra è una società individualista ed egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti».
Qual è il ruolo del dono e della convivialità nella società della de-crescita?
«L'alternativa al paradigma della società dei consumi, basata sulla crescita illimitata, è una società conviviale, che non sia più sottomessa alla sola legge del mercato. Che distrugge alla radice il sentimento del legame sociale che è alla base di ogni società. Come ha dimostrato l'antropologo Marcel Mauss, all'origine della vita in comune c'è lo spirito del dono, la trilogia inscindibile del dare, ricevere, ricambiare. Dobbiamo dunque ricomporre i frammenti postmoderni della socialità usando come collante la gratuità, l'antiutilitarismo. In questo concordo con gli esponenti italiani dell'economia della felicità, come Luigino Bruni e Stefano Zamagni, che si rifanno alla grande lezione dell’economia civile napoletana del Settecento di Antonio Genovesi».
Il capitalismo è l'ultimo pugile rimasto in piedi sul ring della storia?
«Non so se sia proprio l'ultimo pugile, perché non si sa mai in cosa è capace di trasformarsi, ci sono scenari ancora peggiori, come l'eco-fascismo dei neoconservatori americani. Certo è che siamo ad una svolta della storia. Se un tempo si diceva "o socialismo o barbarie" oggi direi "o barbarie o decrescita". Serve un progetto eco-socialista. E’ tempo che gli uomini di buona volontà si facciano obiettori di crescita».
Francis Fukuyama di recente ha riaffermato di ritenere che il modello liberal-capitalistico resti l'orizzonte unico della storia. Senza alternative. Cosa ne pensa?
«Che ha una bella faccia tosta. Prima si è sbagliato totalmente sulla fine della storia, e oggi ripropone la stessa solfa. La sua profezia è stata vanificata dalla tragedia dell'11 settembre che ha dimostrato che la storia non era per niente finita. Fukuyama chiama fine della storia quella che è semplicemente la fine del modello liberal capitalista».
A chi dice che l'abbondanza frugale è un'utopia lei risponde che è un'utopia concreta. Non è una contraddizione in termini?
«No, perché per me l'utopia concreta non significa qualcosa di irrealizzabile, ma è il sogno di una realtà possibile. Di un nuovo contratto sociale. Abbondanza frugale in una società solidale. Sta a noi volerlo».
Pur con qualche distinguo di dettaglio, concordo con le tesi di Latouche. A Milano, durante gli anni della "Milano da bere", un celeberrimo finanziere - che oggi sembra sull'orlo della bancarotta - soleva sbruffonare così: "...se volete fare soldi, non perdete tempo a passare attraverso lo stadio della fabbricazione di lampadine, o di auto, o di chiodi... lavorate direttamente nel settore "soldi"..."
Una bella teoria da quaternario avanzato, che forse mai ci sarà (per fortuna); pochi che lavorano nei campi, in mare, in miniera, nelle fabbriche; tantissimi che lavorano per vendere il frutto di questo lavoro ad una catena commerciale sempre più lunga, che trova alla base una folla di un milione di bottegai; pochissimi che "lavorano nel settore soldi", maneggiando il finanziamento della catena, la speculazione sulla catena finanziaria, lo strozzinaggio sulla catena, l'aggiotaggio e l'insider trading su questa catena di sant'Antonio.
Una catena che non poteva andare avanti all'infinito, e che infatti si sta spezzando. Purtroppo, come è successo con la Costa Concordia, i capitani si salvano, i passeggeri dei piani bassi a volte no. E' da anni che mi chiedo quando si sarebbe infranto contro gli scogli l'aforisma del finanziere d'assalto. Il momento è adesso. Il "sogno americano" che ha infettato il mondo - la crescita continua, grazie alla quale tutti staranno sempre meglio, lavorando sempre meno - si potrebbe trasformare in un brusco risveglio. E i risvegli sono tanto più dolorosi, quanto più dolci erano i sogni che precedevano il risveglio.
Il passaggio dalla società fondata sulla produzione - nella quale si riusciva a vendere quasi tutto ciò che si produceva - è passato da un pezzo a uno stadio in cui di riesce a produrre tutto ciò che il mercato chiede.
Una volta il collo di bottiglia era la capacità produttiva, oggi il collo di bottiglia si chiama "domanda". Se la domanda crolla, perchè diminuisce il reddito disponibile delle famiglie dei ceti numerosi (a basso e medio reddito), si ha voglia a prestare alle industrie soldi a tasso zero (chiedete ai giapponesi a cavallo del cambio di millennio...) "Il cavallo non beve", si diceva. era vero. Inutile offrire soldi a tassi vicini allo zero ad un sistema industriale che non sa più cosa produrre, perchè non sa più a chi e come vendere la produzione. L'abbassamento del costo del danaro (che comunque per ora riguarda molto il sistema finanziario e poco o niente le imprese e il consumo), non schioderà il PIL di un decimo di punto.
Ora l'epopea del "maneggiare direttamente danaro, senza perdere tempo con chiodi e lampadine", sembra irrimediabilmente finito. Saremo capaci di mettere alla catena di montaggio, a produrre lampadine, coloro che finora si sono ingrassati sulle lampadine fabbricate, imballate, commercializzate da altri?
Tafanus
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