I processi tributari affidati a giudici part time. Che non hanno fondi. E spesso sono impreparati. Mentre le cause in sospeso sono oltre 750 mila
(di di Gianfrancesco Turano - l'Espresso)
Caccia all'evasore ed equità fiscale. A parole sono in cima agli obiettivi di tutti i governi, quindi anche di questo. Ma i proclami si scontrano con l'emergenza della giustizia tributaria. I giudici del fisco hanno fatto a metà dicembre una settimana di scioperi. Chiedono più mezzi per affrontare una montagna di ricorsi che cresce di anno in anno. Alle nozze coi fichi secchi, specialità della pubblica amministrazione italiana per i decenni a venire, loro ci sono arrivati prima degli altri. Forti di questo unico vantaggio competitivo, i 3.731 giudici tributari dovranno smaltire 754.938 cause pendenti (202 cause a testa - NdR) dall'alto del loro stipendio medio mensile di 363 euro lordi. Nel 2006 i ricorsi da definire erano circa 593 mila e non hanno smesso di aumentare. Non tanto perché i giudici del fisco dormano sui fascicoli, il che pure capita soprattutto in alcune commissioni tributarie del Sud, quanto piuttosto perché tra gli esattori e i cittadini i rapporti sono in continuo peggioramento. E bisogna aggiungere la difficoltà di stare al passo con Equitalia, l'agenzia pubblica di riscossione che spesso passa all'incasso con i pignoramenti, le ipoteche e il blocco dei conti correnti senza aspettare e a volte senza considerare i provvedimenti delle commissioni.
Il quadro generale è confermato dalle cifre. Nel 2004 i nuovi ricorsi presentati nell'anno erano 175 mila. Sei anni dopo, nel 2010, sono più che raddoppiati (361 mila). L'ammontare delle cause varia da un pugno di spiccioli a decine di milioni di euro. Il Consiglio di presidenza dei giudici tributari (CPGT), il Csm della categoria, ha stimato il contenzioso affidato alle commissioni tributarie in 14 miliardi di euro. A trattare questa cifra iperbolica c'è una struttura che costa ogni anno al ministero dell'Economia 45 milioni di euro di compensi per i giudici, più 20 milioni di euro di costi per il personale di segreteria. In tutto, 65 milioni di euro, cioè lo 0,46 per cento del valore economico delle controversie tributarie in Italia (quando si dice non voler vincere... NdR).
Le commissioni sono sempre presiedute da un magistrato ordinario, amministrativo o militare, sia a riposo sia in servizio come, per fare un esempio, Giovanni Tinebra, titolare delle indagini sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Tinebra è oggi procuratore generale a Catania e numero uno della commissione del capoluogo etneo. Gli altri giudici tributari possono essere avvocati, notai, commercialisti, ufficiali della Guardia di finanza, revisori dei conti, ispettori del fisco e ragionieri. Ma in primo grado, cioè nelle commissioni provinciali, possono giudicare ingegneri, architetti, geometri, periti edili e industriali, dottori agronomi, agrotecnici e periti agrari (...si sta pensando di affidarsi anche alla competenza di cartomanti, baristi e disoccupati organizzati. NdR)
La casistica che devono affrontare è vastissima. C'è la comunità islamica di un capoluogo lombardo che si è opposta al pagamento di 700 euro di Ici per la moschea. L'imam, un ragazzo di 19 anni, ha vinto l'udienza di primo grado alla commissione tributaria provinciale perché l'Ici non si applica ai luoghi di culto. Il Comune ha a sua volta fatto ricorso in secondo grado, presso la Commissione Regionale che una volta era presieduta dall'ex capo del pool Mani Pulite Francesco Saverio Borrelli. Probabile che lo perda, con spese legali di gran lunga superiori all'importo della richiesta.
C'è l'azienda di Pomezia che ha subito un accertamento in base agli studi di settore, e che ha vinto la causa tributaria tre anni dopo i pignoramenti di Equitalia, e dopo avere licenziato 25 dipendenti. Per il risarcimento l'impresa ora farà causa allo Stato e, con i tempi della giustizia civile, passeranno altri anni. E poi ci sono i processi milionari, quelli che arrivano fino al terzo grado di fronte alla sezione specializzata della Corte di Cassazione. Senza dimenticare la Commissione centrale. Una volta rappresentava un grado di giudizio ulteriore, prima del ricorso alla Suprema Corte. Poi è stata abolita e le sue giacenze sono state smistate a livello regionale. Ma sono altri processi da discutere, e la maggior parte sono ormai un repertorio di archeologia tributaria. A Roma poche settimane fa si è svolta una causa per un immobile comprato nel 1976 e relativa a un'Invim, l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili abolita in regime transitorio nel 1992 e soppressa nel 2001. Sempre in Commissione centrale a Milano si è dibattuto, dopo decenni, su 3 milioni di lire di un'Irpef non dovuta applicata a un trattamento di fine rapporto. Il ricorrente ha vinto e avrebbe diritto a una rivalutazione da 33 mila euro, se nel frattempo non avesse avuto la sbadataggine di decedere.
A parte il caso limite della Commissione centrale, che dovrebbe estinguere gli arretrati entro il 2012, i tempi delle sentenze sono di gran lunga più rapidi rispetto ad altri tipi di processi. Il punto dolente è che, su dieci ricorsi contro la pubblica amministrazione depositati da cittadini, aziende private o anche società ed enti pubblici, in circa la metà dei casi la pubblica amministrazione perde. Insomma, quasi una richiesta su due da parte dell'agenzia delle Entrate, o dei Comuni o delle Regioni, è infondata e viene bocciata dai giudici tributari. Per parte loro, i magistrati di tasse e gabelle sostengono di avere statistiche da primato. Una media di 65 giorni per il deposito delle sentenze. Solo un terzo dei verdetti finisce in Cassazione e, di questa quota, appena un 15 per cento viene riformato, a riprova di una buona qualità generale delle giurie.
Poi, certo, ogni statistica può essere interpretata. I 65 giorni di media tengono conto di commissioni efficienti e di altre che stentano. A Napoli, a Cosenza o a Reggio Calabria possono passare oltre due anni prima di arrivare all'udienza di primo grado. Il passaggio precedente, cioè la richiesta di sospensiva che accelera il processo, a Roma viene quasi sempre saltato. In Cassazione, poi, ci arrivano di solito i ricorsi con grosse somme in ballo. Anche perché la difesa davanti ai giudici del Palazzaccio è consentita soltanto agli avvocati cassazionisti, mentre è aperta ad altre categorie per i precedenti gradi di giudizio, e non necessita di difensori sotto la somma di 2582,28 euro, corrispondenti a 5 milioni delle vecchie lire (...questa è una tremontata. Tremonti non è mai riuscito a pensare in euro. Lui pensava in lire, poi divideva per 1936,27. Qualcuno gli spieghi che la lira non c'è più... NdR)
Lo smaltimento degli arretrati è complicato dai tagli alla spesa imposti dalle leggi finanziarie. "Nel 2007", ricorda l'avvocato Daniela Gobbi, che guida il Consiglio di Presidenza dei giudici tributari dal luglio del 2009, "avevamo a disposizione 4,5 milioni di euro all'anno, una cifra sufficiente. Quando sono iniziati i tagli lineari siamo scesi fino ai 2,9 milioni di euro di quest'anno con un ulteriore taglio annunciato del 10 %. Considerato che abbiamo 2,7 milioni all'anno di spese fisse, ci restano circa 200 mila euro per un'attività istituzionale che comprende formazione, vigilanza, controllo, verifica delle incompatibilità e sanzioni. Ci mancano anche i fondi per aggiornare il sito Web. I consiglieri del Cpgt prendono 3 mila euro al mese, cioè circa un quinto di quanto guadagnano i consiglieri delle varie authority. Né è facile aumentare la produttività dei giudici, visto che il personale di segreteria non può fare straordinari. Si era parlato di distaccare personale delle forze armate "in esubero" per aiutarci. Vedremo. Finora il ministero dell'Economia, da cui i giudici tributari dipendono, è stato sordo. Speriamo di incontrare Mario Monti e il suo vice all'Economia Vittorio Grilli".
Sullo sfondo ci sono i soliti problemi. Scarse risorse per la formazione dei giudici con un record negativo di 87 mila euro spesi nel 2011. Difficoltà di stare al passo con l'accelerazione imposta da Equitalia che spesso punta all'incasso a ogni costo. Poi, certo, il contribuente punito a torto può rivalersi in giudizio ordinario. Ma è una magra e tardiva soddisfazione per un'azienda che, magari, è fallita e per i contribuenti stessi che, alla fine, del processo dovranno risarcire il danno dei ricorrenti attraverso le casse dello Stato.
La fame di soldi dell'Erario porta spesso a richieste infondate. Gli ultimi dati disponibili (2010) parlano di una pubblica amministrazione che soccombe nei giudizi tributari di primo grado al 41,4 per cento in modo totale e al 17,9 per cento in modo parziale. Insomma, sei volte su dieci non bisognava pagare. È un margine di errore enorme che scatena un gioco al massacro fra esattori e cittadini che si sentono perseguitati.
Nel corto circuito prodotto dai 14 miliardi di euro delle cause, i 45 milioni di stipendio dei giudici, la necessità di combattere l'evasione e l'impegno a tagliare i costi delle spesa pubblica, si aggiunge il fatto oggettivo che la materia fiscale è complessa e soggetta a continui aggiornamenti. "Di sicuro c'è un problema anche nella preparazione di certi giudici tributari", dice Ernesto Calderone che difende cause in molte regioni italiane e affianca il tandem anti-Equitalia, composto dal presidente del Palermo Maurizio Zamparini e dall'avvocato torinese Alberto Goffi, consigliere regionale Udc. "Entro certi termini ritengo che l'impreparazione sia un fatto voluto. Alla fine, l'importante è che il giudice sia favorevole all'Agenzia delle Entrate, altrimenti viene tagliato fuori".
Altri giudici vengono tagliati fuori dalle sanzioni disciplinari, comminate su disposizione di Palazzo Chigi. Non sono mancati i giudici tributari invischiati nelle indagini dei colleghi della magistratura penale. L'indagine sulla P3, il consorzio di manovratori di nomine pilotato da Flavio Carboni, ha visto protagonisti Giacomo Caliendo che, prima di diventare sottosegretario alla Giustizia nell'esecutivo Berlusconi IV, è stato il primo presidente del Cpgt nel 1996, e in precedenza ha guidato al commissione tributaria provinciale di Milano.
Accanto a lui, c'era il settantasettenne geometra di Cervinara Pasquale Lombardi, pure lui giudice tributario fino all'età del pensionamento (75 anni) e arrestato con l'accusa, fra l'altro, di avere tentato di spostare la causa sul contenzioso fra l'Agenzia delle entrate e la Mondadori dalla sezione tributaria della Cassazione, ritenuta troppo severa, alle sezioni unite della Corte suprema. Sempre con la casa editrice della Fininvest ha avuto a che fare un altro magistrato ordinario applicato alla giustizia fiscale. Si tratta di Vittorio Metta, condannato in via definitiva per il lodo Mondadori, sospeso dalle commissioni tributarie nel 2003 e radiato nel 2008 dopo la condanna della Cassazione a due anni e otto mesi nel 2007.
Evasione fiscale: primo problema economico italiano. Altro che parametri di Maastricht! Se si riuscisse (e volendolo fortemente di può riuscire) a recuperare il 20% dell'evasione fiscale e previdenziale, l'Italia diventerebbe improvvisamente uno dei paesi migliori in cui vivere... Altro che indignarsi per Cortina d'Ampezzo! i Cicchitto, i Berlusconi, i ggiovani sindaci ex impiegati di Mediolanum dovrebbero indignarsi per i controlli non fatti, non per quelli fatti! Questa è la ragione per cui sul Tafanus, nel 2012, vedrete ossessivamente trattato questo tema. Dobbiamo rafforzare una vera e propria campagna d'odio nei confronti degli evasori, e verso i loro protettori istituzionali.
Chi evade ruba anche a te. Digli di smettere. Tafanus
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