Carissime, carissimi,
questa volta scrivo io, Paolo prete, di mio pugno, anzi di mio mouse, almeno per una decina di minuti, perché mi stanco molto e devo stare a riposo. Sto meglio e sto eseguendo alla lettera la terapia di convalescenza per prepararmi agli altri appuntamenti che ho nel mese di febbraio: nuovo intervento alle coronarie, esame del diabete e relativa dieta di sintesi (coronarica-diabetica).
Come sto? Come uno che ha preso una scoppola che non se l’aspettava, ma una volta presa, ne prende atto e si chiede come regolarsi nella nuova situazione. Non sono depresso, non sono euforico, non sono vittimista, ma entro nella nuova realtà che naturalmente mi cambia la vita, visto che i medici mi hanno detto che la situazione è molto più grave di quanto non mi abbiano detto subito, forse per non allarmarmi. Si vede che non mi conoscono. Non sono, infatti, nemmeno rassegnato e disarmato, ma accetto la nuova realtà come un fatto della vita, uno dei tanti che per me acquista un valore importante perché incide sul mio presente e sul mio futuro.
Nel mio primo comunicato vi scrissi che ho pensato intensamente alla morte che è a me familiare e della quale non ho paura perché l’aspetto, in qualsiasi momento dovesse giungere, come si aspetta un ospite di riguardo, un ospite importante. Tutta la liturgia cristiana è all’insegna dell’attesa, dall’avvento alla quaresima, dalla Pasqua a Pentecoste. Il messaggio evangelico ha un punto ostinato che si chiama «vigilanza/preghiera». E’ qui, credo, la chiave per essere sereni e vivere ciò che la vita offre o, secondo altri, impone. Per tutta la vita ho cercato di insegnare agli altri di guardare la realtà non dall’esterno, ma dall’interno con intelligenza (intus-légere) e ora non posso non viverlo personalmente in coerenza e verità.
Nulla avviene per caso (di questo ne sono sicuro) e tutto ciò che accade è per la vita e tutto è grazia. Se siamo attenti ascoltatori degli eventi scopriremo comunque il senso, anche se ciò avviene sempre «dopo» che però non viene se noi non ci prepariamo e non ci disponiamo ad essere liberi interiormente: «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Oggi sperimento quanto sia vere le parole di Paolo, tante volte proclamate e predicate e suggerite in situazioni delicate ad altri: «perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore» (Rm 14,8). In tutta questa vicenda, c’è un significato immediato positivo.
In questo tempo di crisi (per i poveri e solo per i poveri), tutti si sciacquano la bocca con la parola «crescita» che significa aumentare la produzione di tutto, vendere sempre di più, acquistare ancora di più, aumentare l’energia, dare sfogo alla competitività che ormai ha preso il posto della «competenza» per cui se competono due imbecilli, crescerà l’imbecillità o la corruzione o il sopruso, ecc. Non si sono ancora accorti, nemmeno i governi «tecnici» che è in crisi un sistema, specificamente il moloch del capitalismo che sembra costruito sull’oro, ma poggia sui piedi di argilla, cioè sul piede dell’ingiustizia e su quello della disuguaglianza strutturali. A costoro Gesù pensava quando disse: «Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!»(Mt 15,14).
Nessuno che si chiede cosa ci sia da cambiare, cosa dobbiamo mutare nella «struttura di peccato» che è il sistema economico mondiale e di cui il mercato è il figlio degenere che nessuno rispetta perché tutti lo deformano e lo manipolano, specialmente quelli che pomposamente e bugiardamente si chiamano liberali, moderati, cantori del libero mercato, ma sempre pronti alla concorrenza sleale con le mazzette, le raccomandazioni, le turbative d’asta, la corruzione, di cui la destra, ormai infangata per sempre dalla figura degenere di Berlusconi, è maestra e figlia. Occorre un cambiamento di rotta, un nuovo organigramma di vita, un altro «Planing» di priorità.
A queste cose pensavo in ospedale e in questi giorni di inattività convalescente, sperimentando in me la necessità di impostare la mia vita su una dimensione non più di «crescita», ma di «decrescita» nel senso che ora bisogna modulare ogni scelta, ogni decisione, ogni iniziativa, ogni viaggio, ogni progetto all’interno di una nuova condizione di vita che da sé impone un nuovo «modo» di osservare e ascoltare. Da oggi cambia il mio «dove» perché non posso più essere quello di prima e di conseguenza mutano i tempi, le energie, le disponibilità, i percorsi, gli impegni. Il profondo resta lo stesso, anche se forse ancora più profondo, la prospettiva interiore si allarga ancora di più, ma inizia consapevolmente e coscientemente «il tempo della decrescita».
Non significa che diminuisce la vita o il suo spessore, significa che muta la ragione e la prospettiva, perché vale per me e per tutti quello che la liturgia dell’arrivederci o dell’esodo canta per e con chi muore: «ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata» (Prefazio I dei Defunti). Una trasformazione, o se si vuole una nuova trasfigurazione che è inevitabilmente immagine di risurrezione. Ora che guardo all’orizzonte della mia vita con più pacatezza e con una misura più «corta», mi pare di potere dire che questa dimensione non è la fine di qualcosa, ma l’inizio di una nuova vita che voglio vivere in comunione con tutti, a servizio di tutti, per amore di ciascuna persona che ho avuto l’onore e il dono di incontrare nella mia vita e che incontrerò ancora. Da questa famiglia fanno parte i miei familiari tutti, la mia parrocchia di San Torpete e quella di elezione che sta «in rete» non meno reale dell’altra. Vi amo con tutto me stesso e vi porto tutti e ciascuno/a nel mio cuore rattoppato, ma integro e nella mia preghiera. Ora più che mai non vivo più per me stesso, ma per tutti voi. Se c’è un tempo per ogni cosa come insegna Qoèlet (cf Qo 3,2-9), il mio ora è il tempo di maggiore preghiera e amore.
A tutti con affetto un abbraccio amante.
Paolo Farinella, prete
Caro Paolo, che dire? non ti dico che siamo contenti di risentirti, perchè lo immagini. Non ti dico di astenerti da qualsiasi lavoro superfluo, perchè so che non mi ascolteresti. Ti posso solo chiedere di non abusare di te stesso, e te lo chiedo - ne sono sicuro, non solo per conto mio e di Marisa, ma anche per conto di tutti gli amici del Tafanus. Un abbraccio.
Antonio
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P.S.: Il Festival di AltreMenti mi è stato segnalato da Paolo Farinella, che mi ha messo in contatto cogli organizzatori. In calce, la locandina che porta alla home-page del festival. Tafanus
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