Come volevasi dimostrare. Gli interrogatori degli ufficiali smontano le ultime tesi di Schettino e della Costa. L'idiozia dell'inchino era una pratica laggarmente nota, praticata, autorizzata, e a volte addirittura concordata con l'armatore, quando non addirittura sollecitata, a fini di marketing. E, contrariamente a quanto sostenuto non solo da Schettino, ma anche da conduttori TV acritici o prezzolati, e da pasdaran della Costa inviate nelle trasmissioni TV pomeridiane di "approfondimento", dopo l'urto non c'è stata alcuna manovra brillante del Capitan Codardo per portare la nave ad adagiarsi mollemente sul bassofondo. Semplicemente, la nave non manovrava.
Questa tesi l'abbiamo smontata fin dal primo momento in cui si è accertata l'entità dei danni. Abbiamo scritto fin dalle prime ore (e lo rivendichiamo con presuntuoso orgoglio) che una falla di ben 70 metri sotto il galleggiamento allaga in tempo reale la sala macchina (dove sono alloggiati anche i generatori), e in un attimo si fermano i motori, non c'è più elettricità (si sono fermati bel 116 ascensori e - abbiamo aggiunto - non poteva che fermarsi anche la timoneria idraulica). Solo dopo abbiamo saputo che nell'urto i timoni erano rimasti danneggiati e bloccati nell'ultima posizione determinata dalla volontà umana (e cioè la disperata virata a destra, un attimo prima di andare per scogli).
Ma la cosa è di per se irrilevante. A bassa velocità i timoni di una nave non funzionano. La nave si governa solo coi motori, come sa qualsiasi diportista. I timoni sono talmente piccoli, che a bassa velocità non spostano di un millimetro la rotta di una nave. Quindi l'eroico e bravissimo capitano non aveva alcuno strumento per fare nessun tipo di virata. Né brillante, né cretina. La nave è andata sul bassofondo portata dall'abbrivio, dall'inerzia, dalle correnti, dal grecale e dal culo. Finisce così, miseramente, l'ultimo mito: quello del capitano super-efficiente che con abile e tempestiva manovra salva la vita a 4200 persone.
Come di può vedere dal video, ricavato dai dati AIS, la nave, dopo l'urto, prosegue in abbrivio, diminuisce di velocità fino a fermarsi, gira praticamente su se stessa, e dopo, in balìa della brezza e delle correnti, scarroccia (non naviga, visto che fra la rotta percorsa e l'asse della nave c'è un angolo di circa 70/80 gradi), per finire la sua ultima corsa sulle secche.
Ed ecco un estratto dell'ultimo articolo di Bonini e Mensurati su Repubblica:
(di Bonini e Mensurati - Repubblica.it)
- la prima: la nave partì da Civitavecchia (come del resto lo stesso Schettino racconta) sapendo di dover "inchinare" al Giglio, e la manovra si trasformò in una catastrofe in una ponte comando ridotto a platea domestica.
- la seconda: dopo l'impatto con il granito dell'isola, non ci fu nessuna "brillante manovra" per avvicinarsi a terra. La nave, ingovernabile, andò alla deriva spinta dal Grecale e dalla rotazione impressa dalla disperata manovra di emergenza per evitare la collisione.
- la terza: Schettino fu messo nelle condizioni di comprendere immediatamente la gravità di quanto era accaduto. E ciò nonostante ritardò di oltre un'ora l'ordine di "emergenza generale", prima. Di "evacuazione", poi.
"Vieni qui che inchiniamo" - Al pm Stefano Pizza che la interroga il pomeriggio del 14 gennaio, Silvia Coronika, terzo ufficiale in coperta, racconta: "Quella notte ero di guardia in plancia. Il comandante, a circa 4 miglia dal Giglio, è salito sul ponte e ha disposto quasi subito l'inserimento della navigazione manuale. "Perché - disse - bisogna eseguire un'accostata a dritta".
L'accostata era stata prevista da Schettino sin da prima della partenza da Civitavecchia ed annotata sulla carta nautica e registrata sul sistema di navigazione integrato (...) Il comandante voleva avvicinarsi per fare l'inchino. Cioè per salutare da più vicino il comandante Palombo che abita al Giglio. Ha manifestato questa sua intenzione a Simone Canessa, l'addetto alla cartografia. Di questo sono certa. Sul ponte di comando, il comandante gli disse: "Vieni qua, che dobbiamo tracciare una rotta per passare vicino al Giglio e fare un inchino"". Del resto, non è una prima volta, come riferisce Alberto Fiorito, ufficiale addetto alla sala macchine, ai pm Giuseppe Coniglio e Maria Navarro. "L'inchino non viene fatto sempre, ma parecchie volte. Sicuramente, le ultime tre volte nella tratta Civitavecchia-Savona, è stato fatto".
"Manovra? Solo confusione e panico" - Ricorda ancora la Coronika: "Le persone presenti sul ponte di comando al momento dell'accostata, salite con Schettino e non preposte ai servizi di navigazione, disturbavano le manovre con un conseguente calo di attenzione. Erano presenti, tra gli altri, il maitre (Antonello Tievoli ndr.) e l'hotel director Manrico Giampetroni (il sopravvissuto ritrovato tre giorni dopo il naufragio e di cui il presidente del senato Schifani ha voluto omaggiare nei giorni scorsi "l'eroismo" ndr.), che continuava a chiedere "Che isola è?"".
Alle 21.42, l'impatto, che la Coronika vede dalla plancia. Pochi minuti dopo, la prima bugia di Schettino, che lei ascolta distintamente: "La capitaneria di porto ci chiese se ci fossero problemi a bordo e il comandante ordinò all'ufficiale preposto alla radio di dire che c'era solo un black-out. Ci chiesero se avevamo bisogno di assistenza e quello rispose: "Al momento, no". Non ricordo, a quel punto, se il comandante avesse dato qualche ordine. Andava da una parte all'altra della plancia per il panico". Nessuna manovra per mettere in salvo la nave e i suoi passeggeri, dunque. Che, come si voleva far credere, sarebbe stata miracolosamente condotta con il solo timone, la forza della corrente e "l'effetto perno" delle ancore [...]
"Acqua in sala macchine" - Sostiene Schettino che gli ci volle del tempo per verificare la gravità di quanto era accaduto. Che, nei suoi conciliaboli con Roberto Ferrarini, marine operator di Costa, il problema era quello di evitare di essere "sad and sorry". Di anticipare, senza ragione, l'evacuazione della nave.
Bene, racconta Alberto Fiorito ai pm. "Tutto si mise a tremare. Ho capito che avevamo preso qualcosa. Scendendo la rampa del ponte B, nei locali del generatore di prora, ho aperto la porta e ho visto lo squarcio nella fiancata della nave. E l'acqua che entrava... Nel giro di due minuti era già tutto allagato. Ho aperto la porta del quadro elettrico generale, ma c'erano già quasi due metri d'acqua. Giuseppe Pillon (altro ufficiale in sala macchine ndr.) mi ha chiesto di aspirare. Ma era già tutto sommerso d'acqua e le pompe non giravano. Le porte stagne erano chiuse e Pillon parlava con il ponte. Abbiamo contato che cinque locali erano allagati e sappiamo che la nave può reggere fino a tre locali allagati".
Pillon conferma i ricordi di Fiorito e aggiunge un dettaglio cruciale: "Ho dato la situazione al comandante Schettino. Gli ho detto che sala macchine, quadro elettrico e zona poppiera della nave erano allagate. Gli ho detto che avevamo perso il controllo della nave. Che al suo interno c'era un pezzo di scoglio. A volte ho parlato con il comandante, altre volte con un altro ufficiale". Che aspettava Schettino? Parlava con Ferrarini di Costa. Forse preoccupato, come lui, di essere "sad and sorry".
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