Era dal 1991 che l'Italia non vinceva questo riconoscimento. "Il premio ci dà gioia soprattutto per i reclusi che hanno lavorato con noi. Noi siamo qui tra le luci, loro nella solitudine delle loro celle"
I fratelli Taviani con l'Orso d'oro (reuters)
BERLINO - L'Orso d'oro della 62ma edizione del Festival di Berlino è andato a Paolo e Vittorio Taviani per Cesare deve morire. Erano 21 anni che l'Italia non vinceva questo riconoscimento: nel 1991 aveva trionfato La casa del sorriso di Marco Ferreri. "Questo premio ci dà gioia soprattutto per chi ha lavorato con noi. Sono i detenuti di Rebibbia guidati dal regista Fabio Cavalli che li ha portati al teatro. Questi detenuti-attori hanno dato se stessi per realizzare questo film", ha commentato Paolo Taviani. Alla proiezione il film, unica opera italiana in concorso, era stato accolto da una standing ovation sia dal pubblico che dalla critica.I due fratelli avevano vinto due volte a Cannes, la Palma d'oro nel 1977 per Padre Padrone e il Grand Prix nel 1982 per La notte di San Lorenzo. Cesare deve morire è stato girato in sei mesi interamente all'interno del carcere romano di Rebibbia, nella sezione "Fine pena mai". Racconta la storia di un gruppo di detenuti che si prepara a interpretare sul palcoscenico la tragedia di Shakespeare Giulio Cesare.
"Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire - ha detto Vittorio Taviani - pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare". Paolo ha voluto rendere omaggio ai reclusi che, ognuno nel proprio dialetto, hanno interpretato il testo del Bardo: "Voglio fare alcuni dei loro nomi: a loro infatti va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci sono nella solitudine delle loro celle. E quindi dico grazie a Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Francesco e Fabione".
"Intanto grazie. E' difficile parlare in questi casi ma sono davvero contento, perché la giuria ha deciso in armonia e non capita sempre che questo accada", ha aggiunto Vittorio mentre riceveva l'Orso d'oro. "Grazie alle parole sublimi di Shakespeare, questi detenuti sono tornati alla vita e a loro va il nostro saluto". Da Paolo ancora un ringraziamento alla giuria e soprattutto a Mike Leigh: "Abbiamo avuto fortuna ad avere lui come presidente di giuria, non sapete quanto amiamo i suoi film".
LA GALLERIA FOTOGRAFICA - IL TRAILER
Confesso di non essere né un grande tifoso del cinema (credo che non esistano più di 10 films all'anno che meritino l'uscire di casa, e il trovare un parcheggio), né un grande intenditore di cinema. Per dirla tutta, sono una capra. E tuttavia la notizia dell'Orso d'Oro ai fratelli Taviani per un film che non ho visto (e che quindi non posso giudicare) mi ha dato molta gioia, perchè ho pensato ai mesi di coinvolgimento dei detenuti, usciti dalla loro sepoltura, e all'orgoglio che avranno provato nell'apprendere la notizia.
Sono certo che - al di la del valore intrinseco del film, che non conosco e non giudico - questa esperienza cambierà profondamente chi l'ha vissuta. Ridarà un senso alla loro vita, e il segno che tutto è possibile. Persino venir fuori dalla buca.
Nelle parole e nei toni dei Taviani ho sentito commozione, orgoglio e felicità. Non era orgoglio autoreferenziale, per il premio che il LORO film aveva ricevuto, ma era orgoglio - sincero - relazionato a quelle celle scrostate e maleodoranti di Rebibbia, dalle quali alcuni detenuti sono usciti fisicamente per alcune ore al giorno, per alcuni mesi. Ma dalle quali sono forse usciti, con la testa, per sempre. Ora non dimentichiamoli, e non dimentichiamo che altri modi di stare in carcere sono possibili.
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