Edmund Burke, uno dei padri della rappresentanza politica moderna, sosteneva che "...Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale..."
Perbacco: esattamente quello che il precedente governo ha perseguito strenuamente fin dal debutto, che - ricordate - è contemporaneo alla categoria Aristotelica “famose li cazzi nostri”, ben rappresentati dai Lusi e dai colonnelli ex AN che oggi, dopo aver per mesi ammorbato l’etere con interessantissime storie su appartamenti a Montecarlo, si ritrovano oggi a dover gestire una bella storia di ammanchi e di bilanci taroccati.
Purtroppo, oltre ai sunnominati rappresentanti politici di una destra maneggiona, emergono identici comportamenti da parte della sinistra, in perfetto stile “sono tutti uguali”. Cosa dire di un Lusi che (bontà sua) propone di risolvere tutti i problemi restituendo ben 5 dei 13 milioni di euro rubacchiati al partito? e cosa dire delle edificanti storie di investimenti milionari africani da parte della Lega, che dispone di fondi ufficialmente disponibili “per le prossime elezioni”?
Perbacco, ma le elezioni non dovevano essere un confronto sullo stesso piano per tutte le forze politiche, ivi incluse le forze nuove? Così, capite bene, si rende decisamente difficoltoso, da parte di una coalizione diversa da quelle oggi presenti, l’ingresso in parlamento, mentre si continuano a pagare formazioni non più presenti grazie ad una legge che ha al suo interno svariati elementi di anticostituzionalità.
Sempre Burke considera che “...durante il Medio Evo sussisteva il principio del «mandato imperativo», in base al quale il rappresentante non poteva derogare alle istruzioni che i propri mandanti gli trasmettevano. Dopo, con l'estendersi delle assemblee, nelle quali si moltiplicavano e diversificavano le categorie che aspiravano ad essere rappresentate, si impose la tendenza a contemperare i singoli interessi frazionali, rapportandoli ad un presupposto interesse o bene generale...”
Nell'800, infatti, si impose quella rappresentanza «moderna» che poteva avere quale referente tanto la Nazione (come nella costituzione francese del 1791), quanto il popolo (come era statuito dalla costituzione giacobina del 1793); il principio del «libero mandato» si impose così come irrinunciabile perché necessario al processo rappresentativo, legato all'espressione della volontà comune.
Oggi questo principio costituzionale sembra essere stato svuotato dalla politica del “chiagn’e fotte”: il principio di rappresentanza moderno fondato sul libero mandato, secondo il quale i rappresentanti di tutto il popolo non sono vincolati da particolari è la norma, per cui in primis si deve fedeltà a chi ti ha dato la possibilità di entrare in parlamento o in senato garantendo ai suoi sgherri rendite di posizione da favola..
E’ evidente che in Italia oggi non è l'interesse generale del Paese ad essere rappresentato in Parlamento, ma gli interessi di alcune lobby di potere, fra cui quelli che si definiscono “politici di professione” che grazie a leggi a loro favorevoli possono permanere nell’area rarefatta al massimo livello delle istituzioni: attenzione, la struttura è autoreferenziale, perché oltre ai politicanti abbiamo i boiardi di stato che, in perfetto spregio delle leggi da loro utilizzate come paravento, moltiplicano sedie e pensioni appesantendo i bilanci statali.
Facile pensare che basti tagliare gli stipendi dei parlamentari per risolvere il problema: la verità è che senza un saggio processo di armonizzazione dei diritti di tutti gli Italiani (tutti davvero) avremo sempre boiardi formalmente ancora attivi che drenano denaro pubblico scambiandosi favori e mantenendo i piedi ben dentro università, ministeri, regioni, provincie e comuni.
Attendiamo con ansia oggi che il nuovo governo dia un segnale serio di discontinuità rispetto al passato, e che magari il presidente del consiglio dia chiare indicazioni ai suoi ministri sul fatto che sarebbe utile lavorare e stare zitti: in effetti sbraitare ai quattro venti che “il lavoro fisso è un utopia” da parte del ministro Cancellieri che ne è l’archetipo è perlomeno di cattivo gusto, e questo a prescindere dalla spocchia dimostrata nel non incontrare Mingo di striscia la Notizia…
Del resto, fino ad ora con l’eccezione dell’attuale presidente del consiglio, fino ad oggi tutti i ministri hanno esclusivamente dimostrato il vecchio adagio per cui “è meglio stare zitti e rischiare di essere presi per idioti che aprire la bocca e renderlo evidente”.
Come al solito, a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina…
Axel
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