Nino Rizzo Nervo è il consigliere RAI che, al contrario deel superpresidente Paolo Garimberti, dopo lo scandalo delle nomine della Lorenza Lei, le dimissione non le ha "annunciate". Le ha date e basta, per smuovere le acque, e svegliare governo ed opinione pubblica. Quello che ha detto merita quindi la massima attenzione, in un paese dove l'istituto delle dimissioni VERE (non di quelle annunciate e mai date) è scarsamente diffuso. Tafanus
Chiedere, inoltre, un incontro con l’azionista per illustrargli la delicatezza della situazione è, per il presidente di una società per azioni, non soltanto un diritto ma anche, anzi soprattutto, un dovere. Se l’azionista è poi il governo attraverso il ministero dell’economia non è colpa di Garimberti, semmai della legge Gasparri.
Chi con ostinazione sostiene che il governo non può in alcun modo intervenire perché altrimenti compirebbe uno strappo costituzionale soprattutto se si rendesse promotore di una riforma fa, inoltre, un errore così grossolano che sono convinto che sbaglia sapendo, però, di sbagliare. Per almeno quattro buoni motivi.
Primo: tutte le riforme della Rai sono avvenute su iniziativa dei governi, come conferma la legge che oggi regola il sistema radiotelevisivo che porta, infatti, il nome del ministro delle comunicazioni dell’epoca; sono passati otto anni e a nessuno è mai venuto in testa di dire che per questo è incostituzionale.
Secondo: è la stessa legge Gasparri che rende legittimo l’intervento del governo nel momento in cui stabilisce, per la prima volta, che la Rai è una società a capitale pubblico le cui azioni appartengono al tesoro (abolendo la funzione “cuscinetto” che prima era della proprietà Iri, poi della società Rai Holding). Sostenere che l’azionista non può intervenire a tutela degli interessi di una sua società è semplicemente irragionevole a prescindere da qualsiasi interpretazione giuridica.
Terzo: è sempre la Gasparri che riconosce l’obbligo del governo a intervenire quando stabilisce che il ministero dell’economia, nella qualità di azionista, nomina un consigliere di amministrazione, designa il presidente e concorre significativamente a determinare il direttore generale visto che la sua condivisione è obbligatoria e vincolante.
Quarto: è sempre il governo, attraverso il ministero dello sviluppo economico, che stipula il contratto di servizio e vigila sulla sua corretta applicazione da parte della Rai. Può non piacere, ma così è. Tutto il resto sono chiacchiere, buone soltanto per alimentare una polemica politica. Se poi l’intervento del governo è sollecitato oltre che dal presidente della Rai anche da tutti i sindacati interni dei giornalisti, degli impiegati e operai e persino dei dirigenti, vuol dire che la situazione è oggi drammaticamente seria, ben differente dal bel quadretto a tinte rosee che è stato di recente illustrato alla commissione parlamentare di vigilanza.
Ma c’è un’ultima ragione che rende opportuno, oltre che legittimo, l’esame del dossier Rai da parte del governo. Il consiglio di amministrazione sta per giungere a scadenza. Procedere a una verifica dell’efficienza della governance prima del rinnovo è soprattutto un’iniziativa di buon senso. L’esperienza compiuta a viale Mazzini in questi anni mi induce ad essere totalmente d’accordo con il presidente Garimberti: con l’attuale governance nessuna impresa potrebbe reggere a lungo.
Io credo nella funzione positiva di un servizio pubblico radiotelevisivo forte e autorevole. Non sono il solo, se è vero che vi crede l’Unione Europea e vi credono grandi paesi come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e la Spagna. Ci credo fermamente perché i valori di libertà, creatività e innovazione sono più protetti in un’“area pubblica” di servizio che non ha il profitto come fine e perché avere un luogo dove una comunità continua a riconoscersi come tale attraverso la condivisione di valori comuni rappresenta sicuramente un interesse pubblico.
In un paese che è stato caratterizzato dai conflitti di interesse c’è un motivo in più: garantire il pluralismo delle idee (che è cosa ben diversa dalla lottizzazione), la libertà dell’informazione e della cultura è una finalità generale che da sola giustifica il servizio pubblico.
Pur nelle polemiche, la Rai è stata e continua ad essere una grande azienda che ha contribuito alla crescita socio-culturale del paese. Vi lavorano professionisti di grande valore che hanno competenze ma anche passione ed orgoglio. I cittadini ai quali è richiesto il pagamento di un canone non possono, però, essere privati del diritto di una avere una televisione pubblica di qualità, imparziale e autonoma dai partiti.
La delicatezza della situazione economico-finanziaria dell’azienda impone, infine, scelte strutturali e di strategia che, però, soltanto un vertice indipendente e impermeabile a pressioni paralizzanti può adottare con la necessaria tempestività.
SOCIAL
Follow @Tafanus