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Scritto il 18 febbraio 2012 alle 09:00 nella Alex Cariani | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 18 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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Il nuovo codice dell'ex ministro Alfano mette al riparo i beni dei clan. Ma così, denunciano i magistrati, lo Stato rinuncia all'arma più forte
(di Lirio Abbate - l'Espresso - 17/02/2012)
Un pezzo alla volta, gli strumenti più efficaci nella lotta alle cosche vengono smantellati. Si ripete che bisogna colpire i patrimoni dei boss, privandoli dei loro tesori. Ma il nuovo codice antimafia, voluto dall'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, rende di fatto impossibile l'attacco alle ricchezze dei clan. Le richieste di sequestro di grandi aziende colluse con le mafie da Milano a Trapani sono ferme da mesi nelle cancellerie dei tribunali. Perché i giudici temono che il loro intervento si trasformi nella sconfitta dello Stato: le nuove regole infatti rischiano di provocare il licenziamento dei dipendenti in caso di sequestro. E quindi rendono l'azione dei magistrati non un trionfo della legalità a danno delle cosche, ma una condanna per aziende e lavoratori che così finirebbero per rimpiangere i padrini. L'unica alternativa è riconsegnare tutto ai mafiosi, sancendo l'impotenza delle istituzioni.
Il nuovo Codice Antimafia è entrato in vigore a ottobre con decreto legislativo del Consiglio dei ministri. Il governo non ha preso in considerazione le osservazioni critiche (addirittura 66) formulate dalla commissione Giustizia, che comunque non aveva parere vincolante. Il provvedimento ha paralizzato l'attività dei sequestri, ossia il cardine di quella strategia ispirata da Pio La Torre, il parlamentare del Pci ucciso a Palermo trent'anni fa, e perseguita da Giovanni Falcone.
Le regole sono state cambiate con un decreto legislativo fatto approvare in fretta e furia dall'allora Guardasigilli Alfano, oggi segretario del Pdl: introduce una serie di vincoli normativi che - applicati nella crisi della giustizia italiana - di fatto si stanno trasformando in un regalo per le cosche. Ad esempio, obbliga i giudici a confiscare i beni entro due anni e mezzo dall'avvio del procedimento, e nel caso in cui il termine venga superato prevede che si debba restituire il bene al mafioso, impedendone per sempre la confisca.
Principi garantisti, che si scontrano con la situazione attuale: un procedimento di confisca oggi dura dieci anni. Ma i tribunali non sono stati messi in condizione di accelerare i tempi: basta pensare che per alcuni sequestri di grossa rilevanza la perizia effettuata dall'amministratore giudiziario sui beni dura non meno di due anni. Per questo il Codice Alfano rischia di diventare uno strumento prezioso per i prestanome dei padrini, gestori di un patrimonio sempre più grande. Le nuove regole infatti costringono i magistrati a una scelta drammatica: restituire i beni che non si è riusciti a confiscare nei 30 mesi previsti, oppure mettere in liquidazione le grandi aziende, chiudendole e licenziando gli impiegati. In pratica, lo Stato metterebbe i lavoratori sulla strada, spingendoli a sostenere i boss come quando trent'anni fa a Palermo gli operai disoccupati sfilavano con i cartelli inneggianti a Cosa nostra: "Con la mafia si lavora, senza no".
I problemi del nuovo Codice antimafia sono stati evidenziati subito. Mentre Alfano si dichiarava "orgoglioso e commosso per il risultato", sbandierando insieme a tutto il Pdl il valore di questo strumento contro la criminalità, opposizioni ed esperti avevano lanciato l'allarme. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il procuratore di Torino, Gian Carlo Caselli, quello di Lanciano, Francesco Menditto avevano fatto presente i rischi. E anche associazioni come Libera di don Luigi Ciotti, in prima fila nella gestione dei beni confiscati, si sono espresse con chiarezza. Adesso i timori sono diventati realtà: lo strumento principale che doveva attaccare i patrimoni della criminalità organizzata è ingolfato da norme sbagliate e contraddittorie.
Ma dietro questa sconfitta c'è un modo di combattere la mafia che ha caratterizzato l'intero governo Berlusconi con la ricerca di spot mediatici, spesso privi di efficacia, e concentrati su una visione antica della mafia, fatta di droga, armi e racket. Mentre oggi le cosche si sono evolute, diventando soprattutto imprenditori. L'eredità di questi spot adesso rischia di vanificare anni di successi contro i boss. Per questo gruppi di magistrati sollecitano la modifica del Codice antimafia, per ottenere "un procedimento finalizzato, nel rispetto delle garanzie, al sequestro e alla confisca dei beni, non alla liquidazione dei diritti, dei creditori (che può avvenire in altre sedi, senza vendere i beni e senza ritardare la loro destinazione a fini sociali)". I magistrati vogliono che "il bene non sia disperso nel corso del procedimento e che sia rapidamente destinato per finalità sociali", eliminando tutte quelle norme che possono creare "effetti negativi nell'azione di contrasto alle mafie" [...]
Quella dei tesori confiscati rischia di essere una grande occasione perduta dalle istituzioni. L'organismo creato per gestirli non ha fondi e strutture adeguate per portare a termine la sua missione, che potrebbe trasformare gli scrigni criminali in linfa per l'economia, soprattutto a Sud. L'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati dovrà occuparsi presto di circa 11 mila casi con uno staff di sole 30 persone e fondi irrisori: la paralisi appare inevitabile. Il ruolo fondamentale dell'Agenzia guidata dal prefetto Giuseppe Caruso, potrebbe essere messo in crisi dall'assoluta "inadeguatezza delle risorse". Il prefetto ha presentato i problemi davanti alla commissione parlamentare Antimafia.
Prima della costituzione della sua struttura, l'Agenzia del Demanio si occupava della materia con cento persone mentre adesso l'organico è ridotto a un terzo. E non si riesce a reclutare figure qualificate da altre amministrazioni pubbliche: non sono previsti incentivi. Due le strade per evitare il blocco: aumentare l'organico o trasformarla in un'ente pubblico economico con maggiore autonomia. Caruso chiede pure di spostare da Reggio Calabria la sede ("Perché presenta difficoltà di collegamento ferroviario e aereo") portandola a Roma oppure a Palermo, "considerato che attualmente più del 42 per cento delle confische si trova in Sicilia e poco meno di un terzo nel palermitano".
L'Agenzia ha rilevato molte difficoltà operative per la gestione dei beni, basta pensare che il 65 per cento è gravato da ipoteche, e poi ci sono immobili ancora occupati dai mafiosi - agli arresti domiciliari - o dai loro familiari. Le banche sono un problema anche per mandare avanti le aziende confiscate: già in fase di sequestro gli istituti di credito revocano gli affidamenti bancari, non consentendo di proseguire l'attività. Come accade a Roma, al famoso Café de Paris di via Veneto, confiscato alla 'ndrangheta. Finché era nelle mani dei boss le banche allargavano le maglie del credito, quando l'azienda è finita tra le braccia della giustizia i cordoni si sono stretti e ora gli amministratori giudiziari hanno difficoltà a pagare i fornitori.
Scritto il 17 febbraio 2012 alle 18:28 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (2)
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Confesso che stamattina, quando ho sentito la prima agenzia annunciare la cancellazione della visita della Merkel a Monti, avevo pensato alla solita botta di arroganza della fustigatrice di costumi, ennesimo esempio di predicatrice con qualche scheletro nell'armadio.
In fondo, per me - e fino a prova contraria - rimane colei che sta riportando con accanimento terapeutico la Grecia al medioevo. Un accanimento che la acceca, e che le impedisce di capire che ammazzare la Grecia non porterà né benessere, né maggior sicurezza alla Germania. Un accanimento tanto più odioso, quando si consideri che per la Merkel il "fare i compiti" della Grecia includeva l'acquisto di una quantità incredibile di armamenti made in Germany. Il che non aiutava certo la Grecia a fare i compiti.
Confesso che ho provato una certa soddisfazione, quando ho sentito delle dimissioni del Presidente Christian Wulff. La stessa soddisfazione che si prova quando si scopre che il tuo professore di religione, così severo con chi "si tocca", era un pedofilo. Soddisfazione accresciuta dal fatto che Wulff era stato scelto in solitudine - per non dire imposto - dalla Merkel al Parlamento.
Lo so, e lo dico prima che me lo dicano altri. Gli illeciti di Wulff, in confronto a ciò che accade in Italia, sono cose da ladri di galline. Prestiti da 500.000 € presi dalla moglie di un imprenditore al 4%, anzichè in una qualsiasi banca, che non avrebbe negato queto prestito all'allora governatore della Sassonia, magari al 5%. Ammesso che di prestito si sia trattato, il vantaggio sarebbe stato di 5.000 € all'anno (a decrescere) di costo degli interessi.
Ma è tutto così pacifico? No, non lo è. Altrimenti mal si capirebbe perchè abbia messo a repentaglio la sua immagine per un cesto di polli, né perchè sia stato così stupido da esercitare pressioni vicine alle minacce nei confronti del Bild; e perchè sia stato così stupido da lasciare persino tracce scritte (e-mails) di queste pressioni in stile mafioso.
Lo so, noi italiani, col nostro metro etico (mafiosi acclarati in parlamento e nel precedente governo; gente che riceve in regalo case con vista Colosseo, e che ancora oggi sta cercando mdi scoprire il colpevole; camorristi a capo dell'ex maggior partito italiano in Campania; ex premier con un fascicolo giudiziario più lungo di quello di Michele Sindona) dovremmo solo tacere.
Ma non è così, perchè, esattamente come il reato di "atti osceni in luogo pubblico" varia di gravità nel tempo e nello spazio, a seconda che si consumi nella Lombardia del 2012 o nella Basilicata del 1950, così il non pagare i contributi per la colf o il farsi pagare una vacanza, o il farsi dare un prestito dalla moglie di un imprenditore a tassi speciali, in Italia non è niente, in Grecia sarebbe argomento di vanto, in Francia sarebbe poco, in Germania o in Inghilterra è cosa grave e cretina. Perchè se ti beccano, è con l'etica (dichiarata) tedesca o inglese, che devi fare i conti. E' ciò che è successo all'ineffabile pupillo della Merkel. Con l'aggravante del tentativo di tentare di imbavagliare il Bild con sistemi mafiosi ma cretini. E un grande paese non può permettersi un presidente che - ove i fatti fossero provati - potrebbe essere etichettato solo come cretino.
Alcuni commentatori politici temono che ora la Merkel diventerà ancora più intransingente. Io non condivido. Credo che la Merkel uscirà da questa storia indebolita, e che dovrà far ricorso a prediche meno savonarolesche. Voglio citare un estratto dall'articolo odierno di Gerardo Pelosi sul Sole24Ore:
"...non è certo la visita improvvisa del premier mongolo che nel 2010 fece saltare l'incontro fra la cancelliera Merkel e l'ex premier Silvio Berlusconi. Con Mario Monti il clima è eccellente e la visita programmata per oggi a Roma doveva servire a rafforzare la collaborazione fra Italia e Germania in vista del prossimo Eurogruppo di lunedì prossimo e del Consiglio europeo del 1° marzo. Ma lo scandalo che ha investito il presidente federale Christian Wulff per prestiti e favori ottenuti quando era governatore della Bassa Sassonia è senza dubbio oggi per la Merkel la priorità delle priorità.
Roma e l'Europa vengono necessariamente dopo. Le dimissioni di Wulff rappresentano infatti un duro colpo anche per la Merkel che ne aveva sostenuto la candidatura nel 2010 per la corsa alla presidenza tedesca. C'è ora da domandarsi se le vicende interne della politica tedesca possano depotenziare e come l'autorevolezza della cancelliera all'interno del Consiglio Europeo, e rendere meno credibili le sue pretese di rigore finanziario e impietosa severità inflitti alla dirigenza greca. Lo scandalo Wulff venuto alla luce con un'inchiesta del Bild, e soprattutto le pressioni del presidente sul direttore del settimanale per insabbiare le rivelazioni stanno facendo emergere fragilità politiche anche in quel Paese che si era proposto agli altri partner europei non solo come modello di rigore finanziario, ma anche di dirittura morale..."
E tuttavia, quale differenza di stile, fra i barzellettieri che abbiamo avuto in Italia come presidenti del consiglio, e la Merkel... Nessun attacco alle toghe rosse o gialle o nere, nessun ricorso a privilegi riservati alla carica, nessun Ghedini alla ricerca di lodi o éscamotages... Ecco cosa ha dichiarato la Merkel, stamattina, in una telegrafica conferenza stampa:
"...Wulff é della convinzione di essersi sempre comportato bene, e nonostante tutto ha abbandonato sua carica perché non poteva più servire il popolo. Lo rispetto molto". Merkel ha anche sottolineato che "una delle forze dello stato di diritto è che tratta tutti nello stesso modo".
Senti queste parole, e capisci tutta la distanza che separa la Germania dall'Italia dei lodi Schifani, Cirielli, Alfano, delle richieste di autorizzazione all'arresto e/o alle intercettazioni solo per i membri della casta, dei patetici tentativi di varare al tempo stesso la prescrizione breve e il processo infinito. Pensi alla guerra condotta dal duo Castelli-Berlusconi contro la ratifica del mandato di cattura europeo, o alla depenalizzazione del falso in bilancio, o alle botte di dodici condoni alla volta, o al tentativo di auto-regalo di frequenze televisive, e sei assalito da botte di vergogna da "inadeguatezza morale".
E la mia memoria corre a quel luglio del '94, durante il primo governo berlusconi, quando senza chiamarci in alcun modo (né girotondini, né grillini, né violini, né rottamatori, nè grillini... allora le etichette del populismo non erano ancora di moda) ci ritrovammo in migliaia sotto il Palazzo di Giustizia di Milano, a sostenere il pool "Mani Pulite" che aveva minacciato di dimettersi in blocco qualora fosse passato quello sconcio giuridico e politico noto come "decreto salvaladri" del ministro per caso Alfredo Biondi. Ministro per caso, perchè Scalfaro pose il veto alla nomina al dicastero della Giustizia di tale Cesare Previti, prima scelta di Berlusconi. E corre a quell'improbabile tamburellista-tastierista che rispondeva al nome di Roberto Maroni, Ministro degli Interni, che pure aveva controfirmato il "decreto salvaladri"; poi, travolto dalla rivolta dell'opinione pubblica (inclusa quella dei leghisti), fece la patetica affermazione che aveva firmato il decreto, ma che lo aveva firmato senza leggerlo...
Roba da internarlo in una casa di cura per deficienti non autosufficienti...
Tafanus
Scritto il 17 febbraio 2012 alle 15:15 nella Criminalità dei politici, Media , Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 17 febbraio 2012 alle 09:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 17 febbraio 2012 alle 08:01 | Permalink | Commenti (1)
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La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per indagare sulle presunte carenze nei pronto soccorso degli ospedali della capitale. Il fascicolo, contro ignoti e senza ipotesi di reato, ha preso spunto dalla pubblicazione di foto del pronto soccorso del San Camillo in cui alcuni pazienti erano medicati a terra. Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha chiesto una relazione dettagliata sull'intera vicenda alla Presidenza della Regione Lazio.
CARENZE STRUTTURALI - Nel fascicolo aperto dal reggente della procura Giancarlo Capaldo e affidato ai pubblici ministeri Rosalia Affinito ed Elisabetta Ceniccola, è contenuta un'informativa del Nas e anche i ritagli dei quotidiani che da alcuni giorni stanno denunciando la precaria situazione, specialmente per quanto riguarda l'ospedale San Camillo. I carabinieri nei giorni scorsi hanno compiuto ispezioni al San Camillo e nel pronto soccorso dell'ospedale di Tor Vergata. I militari, secondo quanto si è appreso, hanno accertato una serie di disfunzioni strutturali che si ripercuotono sull'assistenza ai pazienti. Da qui la decisione di estendere gli accertamenti non solo al San Camillo dove, a quanto segnalato da medici, pazienti ed anche dal capogruppo del Pd alla regione Lazio Esterino Montino, i malati vengono curati su materassi in terra, i massaggi cardiaci praticati sul pavimento, mentre le stanze sono sovraffollate di pazienti in barella. le condizioni di sovraffollamento, ed a Tor Vergata, ma anche a tutte le altre strutture di emergenza della capitale.
IL MINISTERO CHIEDE UNA RELAZIONE - Il ministro della Salute vuole vederci chiaro. "In relazione ai sopralluoghi effettuati dai Nas al pronto soccorso di due ospedali romani e alla successiva inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Roma" il ministro Renato Balduzzi, si legge in una nota, "ha chiesto una relazione dettagliata sull'intera vicenda al presidente della Regione Lazio, Renata Polverini".
IL DG: HO CHIESTO DI ESSERE RICEVUTO IN PROCURA - L'apertura del fascicolo non stupisce Aldo Morrone, direttore generale dell'ospedale San Camillo, al centro dello scandalo delle foto dei pazienti del Dea assistiti in terra e su materassini di fortuna. "Ho chiesto di essere ricevuto in Procura per avere la possibilità di raccontare come stanno le cose al di là delle foto: le attività portate avanti, i bilanci e le difficoltà trovati al mio arrivo, ma anche il forte impegno da parte di tutti gli operatori per tutelare la salute dei più deboli", afferma. Il problema dei pronto soccorso come il San Camillo "nasce anche dalle lunghe liste d'attesa, create talvolta in modo non appropriato. Facendo lavorare 7 giorni su 7 una struttura ospedaliera, dunque non solo su 5 giorni con forti riduzioni dell'attività già dal venerdì e quindi sabato e domenica, le cose possono migliorare.
Oggi - prosegue - ricoveriamo il 15% degli accessi al pronto soccorso, mentre il 4% rifiuta il ricovero. Questo vuol dire che c'è un 75-80% di accessi impropri. Codici bianchi e verdi che dovrebbero essere gestiti sul territorio e invece causano il sovraffollamento delle strutture d'emergenza, complicando l'assistenza delle persone più gravi". E ancora, "codificando meglio l'attività libero-professionale - dice - eviteremmo le due linee per i pazienti e la formazione di lunghe liste d'attesa per alcune prestazioni". Ma al di là di questioni organizzative, Morrone sottolinea come "il nostro ospedale dal punto di vista degli accessi abbia, in questi anni, sperimentato una riduzione: i numeri sono passati da 100.000 nel 2006 a 95.000 nel 2010". Dunque se c'è oggi un'inadeguatezza, non è una situazione nuova e figlia di un'insolito sovraffollamento. "In ogni caso - prosegue - per il pronto soccorso abbiamo già trovato altri spazi e ci stiamo attrezzando per avere 19 posti letto in più".
MARINO: SISTEMA FRAGILE - "Si tratta di un sistema fragile, sottoposto a una consunzione preoccupante. È chiaro che una risoluzione va trovata con urgenza e ben vengano gli approfondimenti della Procura, purch‚ non si inneschi un clima di caccia alle streghe che non gioverebbe a nessuno", afferma Ignazio Marino, presidente della Commissione d'inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. "A mio parere - sottolinea Marino - pazienti, medici, infermieri e tecnici sono tutti vittime, in diversa misura, di un sistema in grave difficoltà".
Ieri sera a "Piazza Pulita", la trasmissione di Formigli, la Polverini (responsabile del sistema sanitario laziale) ha detto che a lei la cosa non risulta, e che si informerà. Siamo contenti. Dopo che si sarà informata, torni in TV e ci tranquillizzi. Ci dica che è tutto falso, che è solo una photoshoppata dei giornali komunisti. Però prepari bene la recita, perchè per andare sul sicuro la foto e l'articolo non li abbiamo presi da "l'Unità" o dal "Fatto Quotidiano". Li abbiamo presi dal Tempo , giornale diretto da Mario Sechi, da sempre "embedded" al centro-destra. Giornale che durante le ultime regionali, se la memoria non ci inganna, ha fatto il tifo per la Polverini... Attendiamo fiduciosi. Tafanus
Scritto il 17 febbraio 2012 alle 07:59 | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 16 febbraio 2012 alle 20:01 | Permalink | Commenti (0)
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Calano le immatricolazioni in Europa - Nuovo crollo del Gruppo Fiat (-15,9%) - A gennaio la casa del Lingotto ha venduto meno di 70mila vetture, e ha visto scendere la sua quota di mercato sotto il 7%.
MILANO - In Europa a gennaio le immatricolazioni di auto sono scese del 6,6% annuo a 1.003.313 unità. Lo rende noto l'Acea. Nella sola Ue, le vendite hanno registrato un calo del 7,1%, attestandosi a un totale di 968.769 unità. Il gruppo Fiat ha venduto 69.479 vetture, il 15,9% in meno rispetto a un anno prima. La quota di mercato del Lingotto è così scesa al 6,9% dal 7,7% del 2011. Tra i costruttori il primato resta del gruppo Volkswagen (+1,6%), che ha vantato una quota del 24%, migliorata dal 22,1% dell'anno prima. Hanno tutti registrato dati in calo gli altri principali costruttori: Psa Peugeot Citroen (-14,6% e quota in flessione al 12,4%), Renault (-24,6% e quota all'8,2%), Gm (-13,8% e quota al 7,3%) e Ford (-4,3% e 8%).
Nel dettaglio dei marchi Fiat, le auto con il brand del gruppo hanno registrato una contrazione delle vendite pari al 18,4%. Alfa romeo ha accusato uno scivolone del 27,3%. Per contro sono andate bene le Lancia-Chrysler (+8,3%) e soprattutto le Jeep (+57,9%). I marchi di lusso e sportivi, ovvero Ferrari e Maserati, hanno registrato 425 immatricolazioni, in linea con quelle del gennaio 2011. Bmw, che a dicembre aveva superato Fiat quanto a quote di mercato, è di nuovo scivolata sotto il gruppo torinese, con una quota al 5,3% e vendite in calo del 5%. Sono andate bene le asiatiche Nissan, che ha vantato un progresso delle vendite dell'1,2% (quota al 3,6%), e Hyundai, con immatricolazioni in rialzo del 17,1% (quota al 3,3%). Volvo ha registrato una flessione del 2,2% (2%), Suzuki del 14,8% (1,3%), mentre Jaguar Land Rover (Tata Motors) ha vantato un balzo delle vendite del 39,9% (1%). Infine Honda ha visto scivolare le immatricolazioni del 23,3% (0,9%), Mazda del 35,7% (0,9%), Mitsubishi del 15,7% (0,8%).
Quanto al dato dei singoli paesi, l'Italia archivia gennaio con un calo delle vendite del 16,9% e la Francia del 20,7%. Se la Spagna ha vantato un rialzo delle immatricolazioni del 2,5%, la Germania ha visto calare le vendite dello 0,4%, mentre la Gran Bretagna ha confermato i dati dell'anno prima. La maggiore contrazione delle vendite è stata registrata in portogallo (-47,4%), mentre il più ampio rialzo è stato vantato dalla romania (+86,4%).
Scritto il 16 febbraio 2012 alle 16:00 nella Economia | Permalink | Commenti (0)
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Era ora. La Chiesa dovrà pagare l'ICI per tutti gli immobili ad uso commerciale, e l'escamotage dell'uso misto sarà superato on una norma che prevede, per questi immobili, il pagamento dell'ICI pro-quota, per quella parte dell'immobile non destinato al culto. Finirà quindi lo scandalo di residenza e alberghi nei quali una cappelletta votiva era sufficiente a qualificare l'immobile come destinato ad uso promiscuo.
In merito all'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili riservata a tutti gli enti non commerciali, il Presidente del Consiglio e Ministro dell'economia e delle finanze Mario Monti ha comunicato al Vice Presidente della Commissione europea, Joaquin Almunia, la sua intenzione di presentare al Parlamento un emendamento che chiarisca ulteriormente e in modo definitivo la questione. Lo riferisce una nota di Palazzo Chigi precisando che l'intervento sarà attuato sulla base dei seguenti criteri:
- l'esenzione fa riferimento agli immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un'attività non commerciale;
- l'abrogazione di norme che prevedono l'esenzione per immobili dove l'attività non commerciale non sia esclusiva, ma solo prevalente;
- l'esenzione limitata alla sola frazione di unità nella quale si svolga l'attività di natura non commerciale;
- l'introduzione di un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal Ministro dell'economia e delle finanze circa l'individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all'interno di uno stesso immobile.
Il Presidente Monti auspica che l'iniziativa del Governo permetta alla Commissione europea di chiudere la procedura aperta nell'ottobre 2010.
IL COMMENTO DELLA CEI - «Attendiamo di conoscere l'esatta formulazione del testo così da poter esprimere un giudizio circostanziato». Lo dichiara il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili a proposito della nota del presidente del Consiglio e ministro dell'economia e delle finanze Mario Monti che ha comunicato la sua intenzione di presentare al Parlamento un emendamento che chiarisca ulteriormente e in modo definitivo la questione relativa all'esenzione dall' Ici per gli immobili degli enti non commerciali, utilizzati per finalità sociali. «Come dichiarato più volte, anche di recente, dal Presidente della CEI, Card. Angelo Bagnasco - continua il portavoce - ogni intervento volto a introdurre chiarimenti alle formule vigenti sarà accolto con la massima attenzione e senso di responsabilità». L'auspicio di monsignor Pompili è che sia «riconosciuto e tenuto nel debito conto il valore sociale del vasto mondo del no profit».
MA QUANTO VALE DAVVERO L'ICI ALLA CHIESA? - Sul reale valore dell'Ici della Chiesa da anni va avanti un vero e proprio balletto di cifre. In pratica, da quando nel 2006 il governo Prodi con un decreto ha confermato l'esenzione (prevista da una legge del 1992 per tutti gli enti no profit a determinate condizioni) del pagamento dell'Ici per gli immobili della Chiesa, che «non abbiano esclusivamente natura commerciale». Balletto di cifre fino, così ha sottolineato l'Avvenire, al rapporto del Gruppo di lavoro sull'erosione fiscale, guidato dal sottosegretario all'Economia Vieri Ceriani, che l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva voluto per censire le varie voci che in vari modi riducono il gettito fiscale.
Ma la complessità della definizione del valore di un eventuale gettito derivante da immobili «religiosi» dipende che le proprietà fanno capo a una galassia di soggetti giuridici diversi tra loro, che vanno dalle diocesi alle congregazioni, dagli ordini religiosi alle proprietà italiane del Vaticano vero e proprio. Che al suo interno ha poi la suddivisione tra le varie amministrazioni. In tempi recenti si è parlato di cifre che vanno dai 500-700 milioni stimati dall'Anci ai 2,2 miliardi stimati dall'Ares, l'Associazione ricerca e sviluppo sociale. Con il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, che ha già proposto un censimento degli immobili, in particolare per individuare quelli adibiti a uso commerciale.
Secondo stime realizzate sul web si parla di circa 100 mila immobili, di cui 9 mila sono scuole, 26 mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Secondo stime non ufficiali dell'agenzia delle entrate, si tratterebbe di un potenziale introito di due miliardi di euro all'anno. Tra i più critici verso l'esenzione Ici di cui la Chiesa gode assieme ad altri soggetti, ci sono i Radicali. Il segretario Mario Staderini, promotore di una campagna volta a svelare il «trucco» di alberghi e strutture in uso alla chiesa che non pagherebbero il dovuto, cita a sua volta stime dell'Associazione comuni italiani, secondo cui nel 2005 il mancato introito per queste esenzioni ammontava a più di 400 milioni di euro, cifra che oggi sfiora i 700 milioni alla luce della rivalutazione degli estimi. (l'Unità)
Scritto il 16 febbraio 2012 alle 12:00 nella Economia | Permalink | Commenti (4)
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Monza, il governo Monti chiude i ministeri - Calderoli: «Sarà guerra senza quartiere»
L'ufficio del Pres. del Cons. della Panzania - Uno schermo da PC spento, i ritratti di Umberto Bossi e Giorgio Napolitao alle pareti, e sulla scrivania Alberto da Giussano con lo spadone di latta, ma neanche una matita o un post.it... D'altronde, a cosa servirebbe una matita, nel Paese di Panzania?
Le sedi distaccate dei ministeri per la Semplificazione e per le Riforme nella Villa Reale di Monza sono state chiuse con la nascita del governo Monti. Lo ha riferito mercoledì pomeriggio alla Camera il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda. Il ministro ha ricordato che la presidenza del Consiglio era stata condannata il 9 novembre per comportamento antisindacale per l'apertura di queste sedi, e ha annunciato che lo scorso 9 febbraio, Palazzo Chigi ha rinunciato ad opporsi a questo decreto del Tribunale di Roma, perché nel frattempo era cessata l'operatività delle sedi.
Giarda ha aggiunto che sono state dismesse le utenze, sono stati ritirati i beni immobili che erano stati messi a disposizione e l'immobile (Villa Reale) è rientrato nella «piena disponibilità» del proprietario. Il ministro ha anche osservato che «nessuna unità di ruolo di comando o comandata ha mai preso servizio presso le sedi distaccate dei dicasteri» [...]
LA RABBIA DI CALDEROLI - «Questo Governo ancora una volta prende a schiaffi il Nord privandolo di quella minima rappresentatività derivante dai ministeri decentrati di Monza», ha scritto in una nota il Coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli. «Del resto - aggiunge - non c'era altro da aspettarsi da un Presidente come Mario Monti, nato in provincia di Varese, residente a Milano, che a precisa domanda della stampa dichiara di abitare a Roma e a Bruxelles, rinnegando pubblicamente le proprie origini. La chiusura delle sedi ministeriali di Monza è l'ultima goccia che il popolo del Nord ha dovuto subire: d'ora in poi sarà guerra senza quartiere».
Breakin' News - Dobbiamo segnalare che la guerra senza quartiere dichiarata dal Ministro della Guerra della Panzania Roberto Calderoli all'Italia è già cominciata, con una manifestazione che ha visto scendere in piazza alcuni milioni di Patani scesi dalla Val Brembana, armati di tutto punto. Ma questo è solo l'inizio. Domani il Governo della Panzania richiamerà a Cassano Magnago l'ambasciatore patano presso il Governo Romanocentrico per consultazioni. Tafanus
Scritto il 16 febbraio 2012 alle 07:59 nella Satira, Tafanus | Permalink | Commenti (6)
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Indirizzo: http://noisefromamerika.org/
Scritto il 16 febbraio 2012 alle 07:00 | Permalink | Commenti (0)
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Milioni di euro buttati, impianti che rischiano di non essere terminati. Da Tor Vergata all'Appia Antica viaggio tra ritardi, cemento e zone vincolate che saranno deturpate
(i Gabriele Romagnoli e Corrado Zunino - Repubblica - 16/04/2009)
La piscina di Calatrava come avrebbe dovuto essere
ROMA - "Qui sorgerà la città dello sport", annuncia il cartello all'ingresso del cantiere di Tor Vergata. Invece: qui riposerà in pace, amen. Vasche vuote, scheletri di tribune, lo stendardo sbrindellato dei Mondiali di nuoto, Roma 2009. Dovevano aprirsi qui, nell'avveniristico guscio immaginato da Santiago Calatrava, dando al campus universitario e alla capitale quattro spettacolari piscine. Un tuffo nel vuoto. Le gru sono ferme. Ma lavorano altrove.
Roma non avrà la grande struttura che doveva essere il simbolo dell'evento, in compenso stanno sorgendo 63 nuovi impianti, 84 vasche. Molti con foresterie, decine di stanze che dovrebbero ospitare atleti a luglio, e poi? Molti in zone vincolate, dal paesaggio, dall'urbanistica e dal buon senso. Molti hanno trascinato con sé ampliamenti di circoli, sale fitness, box auto.
Per capirlo abbiamo fatto un viaggio [...] La prima tappa è sull'Appia Antica, numero 7000, davanti all'insegna Sporting Palace. La Città dello Sport doveva esserci, ma non c'è; questo palazzo non dovrebbe esistere, invece eccolo qui. Sorge tra le rovine storiche, davanti a un parco. I nuotatori, si è detto, potrebbero allenarsi e poi rilassarsi sulla terrazza guardando la tomba di Cecilia Metella. Ma perché Cecilia Metella dovrebbe guardare dalla sua perduta pace eterna questa scatola di cemento da cui pende un festone che "annuncia" l'inaugurazione a giugno 2008? Bisogna fare un passo indietro.
Salaria Sport Village: firmato l'ordine di demolizione
Quando Roma ottiene i Mondiali 2009 parte la carica delle piscine. Cinque impianti saranno pubblici (Tor Vergata, Foro Italico, Ostia, Valco San Paolo, Pietralata). Ma non basteranno. La giunta Veltroni decide di aprire ai privati che bussano alle sue porte. In fondo, si tratta di prendere tre piccioni con una fava: organizzare i Mondiali, costruire la memorabile opera nel campus e rendere Roma una capitale natatoria planetaria. Partono 38 richieste, il commissario straordinario, all'epoca Angelo Balducci... (1) (vi ricorda niente, questo nome?...) ne avalla 23. La giunta filtra e riduce a 10 (un anno dopo ne accoglierà altre 3). Tra le proposte bocciate: lo Sporting Palace.
Mancavano i permessi dell'Ente Parco e della Soprintendenza archeologica. Era già intervenuto il guardaparco con un'azione di sequestro. Eppure i lavori non si sono mai fermati. L'edificio è cresciuto. Già appariva fuori posto com'era, tra le rovine e gli alberi dove l'hanno costruito, nel '56, per ospitare uffici. Ora è un assurdo, eppure c'è. Non si è fermato il cantiere, ma neppure l'inchiesta della magistratura.
Sono tre gli indagati.
Ci sono altre quattro azioni giudiziarie sugli impianti dei Mondiali. Una è per "abuso edilizio, deviazione acque e modificazione terre, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, truffa ai danni dello Stato". A firma di Italia Nostra e contro Salaria Sport Village. Ci andiamo. Il circolo ha attualmente una sola piscina, coperta da un pallone, dove mentre passiamo non nuotano più di dieci soci. Ne sorgeranno altre tre, due da 25 e una da 50 metri. Due saranno coperte. Ci sarà una foresteria da 41 stanze. Centosessantunomila metri cubi di cemento nell'alveo dello sversamento del Tevere. Uno di quei rischi su cui si fa poi vana polemica a disastro avvenuto. Più un paio di vincoli calpestati: paesistico e ambientale.
Ma se lo Sporting Palace è rimasto nella lista dei bocciati (e ha costruito abusivamente) questo come ha potuto rientrare dopo il no del Comune guidato da Veltroni? E' stato inserito in una seconda serie di autorizzazioni, compilata dal nuovo commissario straordinario, Claudio Rinaldi (2) (...successore di Angelo Balducci, anche lui indagato. NdR), su suggerimento della Federazione nuoto e passata dal Comune guidato da Alemanno. "Visto si scavi" per 9 impianti e 14 piscine. Oltre a questa ci sono, tra le altre, quella del Flaminio Sporting Club, di cui è dirigente Luigi Barelli, fratello del presidente federale che pure costruirebbe su un'area vincolata per intero.
E poi quella della riserva Macchione, di fronte alla tenuta del presidente della Repubblica, per la quale è partito un esposto che contesta la violazione di tre protezioni, e quella dell'area ex Snia Viscosa, parco destinato alla città, per cui l'autorizzazione ai lavori è arrivata in extremis. E, ultima ma solo in ordine geografico, la Sporting Life della società sportiva Nomentum, a Mentana, prossima tappa.
Per arrivarci lasciamo Roma, superiamo Monterotondo, dove pure sorge un megaimpianto ancora non completato, e arriviamo in questa vallata, un tempo intatta. Lo Sporting Life ha campi da calcetto (sui quali al momento corrono cani impegnati in un concorso di agilità che un megafono amplifica per la campagna), un laghetto da pesca e una club house. Ha aggiunto l'11 aprile un bar e ristorante, inaugurati con una serata eccezionale alla presenza del comico Nino Taranto.
E le piscine? Eccole lì, tre buchi nella terra con altrettanti immigrati intorno. Una è per i bambini, le altre due sono di 25 e 34 metri. Lavori iniziati a marzo. Pronte per i Mondiali? Difficilmente. E che cosa verrebbero a farci qui, gli atleti che gareggeranno al Foro Italico? Più probabile rivedere un campione di agility che un ranista da podio. Eppure, sia questo impianto che quello della Salaria hanno conquistato in appello il diritto a esistere.
Come è successo? Avrà influito che a costruire il secondo sia, tra gli altri, il figlio del precedente commissario straordinario? A che punto e perché è saltato il filtro che imponeva criteri per le concessioni? I responsabili della vecchia giunta raccontano di essere stati esposti a "molte pressioni". Se già loro avevano in qualche caso ceduto, i successori si sono arresi. Il diluvio di nuove vasche è impressionante quanto disomogeneo. A suddividerle per i quartieri di Roma, tre ne hanno 9 ciascuna. Sette non ne hanno nessuna. A prendersene di più è la zona dei circoli, che con l'occasione ristrutturano, ampliano, aggiungono. E a trarne i principali benefici saranno, più che la cittadinanza, i soci paganti. Primi quelli dell'Aniene presieduto da Giovanni Malagò (che è anche alla guida del Comitato organizzatore di Roma 2009): hanno cominciato i lavori in anticipo sulla delibera comunale generale, li stanno già concludendo e festeggeranno con 6 mila invitati le tre piscine pur avendone chiesta, in un primo momento solo una.
Ci sono coincidenze che incuriosiscono. Andiamo nel cuore della città, nel quartiere Trieste, alla Fondazione Cristo Re. Gestisce campi da calcetto sopraelevati, sul tetto di una palestra un tempo pubblica e la cui acquisizione, rivelano scritte sui muri, non tutti hanno digerito. C'è una nuova piscina, coperta, di 25 metri, autorizzata dalla giunta Veltroni. E insieme a quella sono sbocciati 330 posti auto nello stesso complesso, due agglomerati di box rossi e gialli venduti ormai completamente per cifre comprese tra i 68 e i 120 mila euro.
Giù la serranda, è tempo, come il "Nuotatore", di arrivare a casa, o meglio, a quella che doveva essere la casa dei Mondiali: a Tor Vergata. Dietro l'Università si stende una piana interrotta solo dai picnic e dall'immensa croce che fa da catalizzatore nei raduni religiosi. Uno spreco a cui se n'è sovrapposto un altro, di diverso segno.
Eccola qui, la città fantasma dello sport. Dove doveva esserci il museo c'è una baracca di lamiera. Al posto dei gusci di Calatrava due dentiere ammaccate. Dentro una di quelle la "vasca degli spiriti". Non echeggiano i suoni delle bracciate di Phelps o delle entrate in acqua della Cagnotto, ma quelle di litigi, incomprensioni, fatali prese di posizione. Già l'idea era una scommessa, una delle tante su cui Veltroni ha puntato per lasciare un'eredità che invece evapora. Il giocattolo gli è cresciuto tra le mani, fino a diventare ingovernabile. Il palazzetto per volley e basket è passato, per rispondere ai criteri internazionali, da 8 mila a 15 mila posti.
L'Università ha scelto come progettista lo spagnolo Calatrava: tanto geniale quanto incontenibile. L'impresa appaltatrice era abituata a realizzazioni più schematiche. Ogni passo è divenuta una battaglia, un lievitar di costi e uno scambio di accuse. Presto è stato chiaro che i 280 milioni preventivati non sarebbero bastati, ne occorrevano almeno altri 100. A dir poco. E il tempo remava contro. L'elezione di Alemanno a sindaco è stata un'ascia. Se voleva spostare la teca dell'Ara Pacis, che già c'era, figurarsi due gusci ancora da posare. Fermi tutti. Controlli, riconsiderazioni, meglio fermarsi qui. Meglio? Meglio aver già speso 190 milioni per questo scarabocchio di cemento e ferro? Abbandonarlo lì vagheggiando futuri mondiali di basket o addirittura di baseball per riprenderlo? Meglio farne l'ennesimo detrito contemporaneo, la testimonianza da capsula del tempo che Roma dispensa rovine anche dal presente (salvo costellare quelle del passato di terrazze abusive)?
Eppure è così: il pubblico ha buttato 190 milioni. I privati, con l'alibi di doversi sostituire, ne hanno investiti altrettanti. Importa se molti dei loro impianti non saranno pronti a luglio, se non serviranno alla città dopo, se le foresterie diventeranno piccoli alberghi intorno a una vasca che doveva essere iridata? Che cosa resterà di tutto questo titanico sforzo: un monumento diffuso all'arte natatoria o un buco nell'acqua? Quando il "Nuotatore" finalmente arrivò "cercò di aprire le porte, ma erano chiuse a chiave e sulle mani gli rimase la ruggine delle maniglie... Batté con i pugni, tentò di abbatterle e poi si accorse che la casa era disabitata".
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(1) CHI E' ANGELO BALDUCCI - Nel 1999, mentre è in carica come Provveditore alle Opere Pubbliche del Lazio, ha l'incarico da parte del Commissario Straordinario per il Giubileo, Francesco Rutelli, di sovraintendere al completamento delle infrastrutture previste per l'anno 2000, ed è al centro di polemiche nate attorno a lavori di scavo per l'allestimento del parcheggio del Gianicolo, che hanno causato la rovina di preziosi resti archeologici.
La vicenda della nomina a commissario straordinario per la ricostruzione del Teatro Petruzzelli di Bari, ricorrendo alla normativa prevista per interventi di Protezione Civile, è stata al centro di indagini della Procura di Bari, alcune delle quali ancora in corso.
Coinvolto insieme a Guido Bertolaso ed altri personaggi della protezione civile e dell'imprenditoria nell'inchiesta sugli appalti del G8 della Maddalena, venne raggiunto da un ordine di custodia cautelare il 10 febbraio 2010. Il 25 febbraio rassegna le dimissioni dalla presidenza del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblic.
Il 3 marzo 2010 escono su alcuni quotidiani una serie intercettazioni esplicite dalle quali Balducci risulta essere un assiduo cliente di un giro di prostituzione gay. Dalle intercettazioni due conoscenti di Balducci, Chinedu Thomas Ehiem, residente a Roma e “indicato all’anagrafe come “religioso” del Vaticano che cura e organizza il “coro di san Pietro” e Lorenzo Renzi risultano essere gli intermediari tra i giovani e Balducci. Il 10 giugno 2010 la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di Balducci e di altri due indagati nell'inchiesta sugli appalti del G8 della Maddalena, ha trasferito l'inchiesta da Firenze a Roma.
(2) CHI E' CLAUDIO RINALDI - ]Mondiali di nuoto: indagato Claudio Rinaldi, successore di Angelo Balducci]
La prossima puntata sarà dedicata alle fantastiche opere di Italia '90. Bravo Monti. Le Grandi Opere in Italia si sono sempre trasformate in Grandi Disastri, e in Grandi Abbuffate. Ora la destra protesta (già assaporeva l'aroma del nuovo mazzettificio?) ma noi festeggiamo. Allo scampato pericolo. Tafanus
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Scritto il 15 febbraio 2012 alle 12:06 nella Berlusconi, Criminalità dei politici, Tafanus | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 15 febbraio 2012 alle 11:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 15 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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La vela di Calatrava a Tor Vergata, che doveva essere uno stadio del nuoto e ospitare i Mondiali del 2009 a Roma. Ora dovrebbe diventare la Città dello sport, ma la struttura è ancora incompleta e appare in stato di abbandono. I lavori sono già costati 250 milioni di euro
Olimpiadi, un NO sacrosanto (di Massimo Teodori - l'Espresso)
Monti ha deciso, Roma non sarà candidata ai Giochi del 2020. E meno male: sarebbe stata una spesa scriteriata, a fronte dei sacrifici chiesti al Paese. Non a caso Londra, che li farà quest'estate investendo trenta miliardi di euro, si è già pentita. E i giochi di Atene del 2004 sono stati all'origine dell'attuale crisi della Grecia
Tralasciamo gli altisonanti appelli dei grandi sportivi e dei personaggi pubblici mobilitati per l'occasione, e guardiamo in faccia alla realtà delle Olimpiadi richieste per Roma 2020 che sarebbero un pessimo affare per lo Stato e un bidone per i romani.
Per la capitale, il rapporto tra costi e benefici dell'operazione olimpica sarebbe disastroso: lo Stato pagherebbe quel che l'Italia non può permettersi, mentre risulterebbero del tutto aleatori i vantaggi per la città. Le cifre del comitato promotore - 9,8 miliardi di euro di cui solo 4,7 a carico dello Stato - alla prova dei fatti risulterebbero fasulle. Per non parlare delle cricche che sono solite speculare sui "grandi eventi", come con Italia '90, con il Giubileo e gli affari vaticani, e con i Mondiali di nuoto del 2009. Le Olimpiadi di Roma 1960 furono un'altra cosa: occorreva restaurare l'immagine di un Paese disastrato dalla guerra, e le opere pubbliche restarono alla città.
L'altro buon motivo per dire no alle Olimpiadi riguarda la civiltà della bellissima capitale. Roma è nota nel mondo per la sua quotidiana bellezza che attira milioni di turisti interessati a godere dell'ambiente storico e artistico, del tutto inadatto agli eventi di massa.
Cosa porterebbero di più e di meglio le centinaia di migliaia di persone che affluirebbero a Roma nel giro di alcune settimane estive? Nulla: aggiungerebbero a una città pessimamente servita solo disagi e rischi per il patrimonio artistico, mentre i vantaggi andrebbero a quei gruppi sempre pronti a pubblicizzare le perdite ed a privatizzare i profitti.
Roma è attraente così com'è, e non è adatta a spettacoli incalzanti come le Olimpiadi. La televisione, poi, per quanto condita da luci fantasmagoriche, non aggiungerebbe nulla all'antico fascino romano.
Non è un caso che i grandi eventi abbiano sempre portato guai ai cittadini romani. Roma ha un'amministrazione comunale indegna di una capitale europea come la vicenda della neve ha reso evidente. Il traffico è proibitivo; i mezzi di trasporto pubblico sono da Terzo mondo primitivo; le strade somigliano a percorsi di guerra; la segnaletica pubblica (si veda la metropolitana) è opera di analfabeti della comunicazione grafica; i rifiuti urbani invadano strade e piazze; la linea C della metropolitana è ferma da un quarto di secolo e sui costi si addensa il solito scandalo; camioncini degni di fiere paesane deturpano i siti archeologici; abusivi d'ogni genere controllano snodi essenziali come stazioni e aeroporto; dai tassisti il Comune non sa pretendere un minimo di standard professionale; le clientele di parentopoli regnano sulle strutture di servizio; gli "invalidi" fasulli si moltiplicano mentre quelli veri vivono una vita urbana disperata; la malavita tiene in pugno molti quartieri; i commerci e il turismo facenti capo al Vaticano sottraggono alle finanze pubbliche rilevanti prelievi fiscali senza che alcuna autorità osi alzare un dito.
In questo disastro amministrativo, perché mai si vogliono buttare miliardi che non solo costerebbero cifre indisponibili allo Stato ma non lascerebbero alcuna traccia sulla qualità della vita dei romani? L'inchiesta "Sprechi olimpici" pubblicata dall'"Espresso" è più che mai eloquente di quel che è successo in passato, preannuncio di quel che accadrebbe con le Olimpiadi agognate dal sindaco Alemanno. Ancora una volta si tratta di scegliere tra la buona amministrazione e la retorica, tra la soluzione dei problemi di tutti e la tutela degli affari, spesso opachi, di pochi. Il motivo per dire no alle Olimpiadi di Roma non nasce dall'immobilismo: è la consapevolezza che per un decente futuro della città occorre anteporre i problemi civili della comunità, magari poco appariscenti, all'effervescenza dei "grandi eventi" che lasciano sempre un profondo amaro.
Scritto il 14 febbraio 2012 alle 23:48 nella Criminalità dei politici, Sport | Permalink | Commenti (8)
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Tanto rumore per così poco? Vorrei esprimere un parere provocatorio. Non per il gusto di stupire o di "fare ammuina", ma perchè credo che i titoloni dei giornali dopo le primarie di Genova stiano facendo, da destra, un bel lancio di benzina. E da sinistra, il PD si stia facendo bastonare senza opporre la minima resistenza, quasi accettando, con senso di fatalismo, i titoloni dei giornaletti gemelli del nano di Arcore.
Sarà interessante, un giorno, prendere un paio di annate delle "prime" del Geniale e di Libbbero, e fare una copy-analysis comparativa. Lo so, ci vuole un certo stomaco, ma - come si dice - ci vuole pure qualcuno che di tanto in tanto svuoti le fosse biologiche... Prendiamo le due "prime di oggi:
C'è qualche sostanziale differenza fra "Il naufragio di Bersani" e "Il Partito dei Perdenti"?
Naufragio di Bersani? Partito dei Perdenti? Caro Feltri, caro Belpietro, caro Rigor Mortis Sallusti, ex-caro Pansa... Perchè non avete fatto dei bei titoloni così l'anno scorso, quando Milano, roccaforte del becerume mitteleuropeo, vi è stata sottratta dopo un millennio di sindacature destrorse? Non sarebbe stato difficile...
IL NAUFRAGIO DI BERLUSCONI
PdL: IL PARTITO DEI LOOSERS
Vi dovesse servire un aiutino, la prossima volta, per fare dei titoli cretini, non esitate a chiedere... Ne ho tanti, in serbo...
Cos'è successo, a Genova? E' successo che il PD, grazie ad un regolamento delle primarie che necessita di urgente maquillage, ha dissipato una maggioranza del 53% fra più candidati, mentre Doria ha corso da solo, unico candidato di SEL, ed ha raccolto non già i soli voti di SEL (Vendola, non cantare vittoria!) ma di chi non si riconosceva in nessuna delle galline che si sono candidate per il PD. Qualcuno ha dimenticato la prova ignobile fornita dalla Vincenzi durante e dopo l'alluvione?
A Milano ha vinto Pisapia, non già in quanto candidato di Vendola, ma in quanto Pisapia, e grazie al sostegno di tanta parte della "società civile" che si è aggregata - per citarne uno - intorno al Gruppo 51 di Piero Bassetti. Risultato: Pisapia stravinve, SEL straperde. Vogliamo ricordare? Il PD appoggia lealmente il candidato non suo, prendendo il 28,63% dei voti di lista. SEL - nonostante esprima il candidato-sindaco della coalizione, prende la miseria del 4,70%, Nichi, ma cosa dichi?
Esattamente come a Napoli il PD appoggia lealmente De Magistris, candidato non suo, anche al secondo turno, e nonostante De Magistris rifiuti ogni apparentamento. Ci siamo? Il partito di cui è espressione De Magistris (IdV) prende nel voto di lista meno della metà del PD.
Allora dov'è l'errore? L'errore sta, a mio avviso, nel fatto che il PD non deve consentire - nel caso di primarie di coalizione - che in nome del PD partecipino più galli, beccandosi a vicenda. Esattamente come avviene per le eventuali primarie di coalizione per la scelta del candidato premier, il PD deve presentare UN SOLO CANDIDATO per il PD stesso.
A livello nazionale, per la scelta del candidato-premier, per statuto il candidato del PD è il segretario pro-tempore del partito. Sembra una scelta verticistica, ma non lo è, nei limiti in cui il segretario è frutto non già di una "nomina" per acclamazione con l'applausometro (vedi Angelino Alfano), ma il frutto di un dibattito congressuale, seguito da un voto vero dei delegati dalla periferia.
Ebbene, nessuno vieta che si possa immaginare un sistema in cui il candidato UNICO del PD alle primarie per la sindacatura sia scelto con un meccanismo dello stesso genere, da mettere a punto. Quindi concordo con Bersani sulla necessità non già di abolire le primarie (ha sempre sostenuto il contrario) ma di modificarle in modo da evitare che si moltiplichino gli episodi Genova.
Non si è ancora spenta l'eco di Genova, che già si annuncia - in assenza di drastici cambiamenti di metodo, la débacle di Palermo, dove sono già tre i candidati del PD alle primarie: la Borsellino (già sconfitta pesantemente, una volta, dal candidato del PdL); tale Davide Faraone, clone di Matteo Renzi (stessi discorsi a cazzo sul valore intrinseco e a prescindere della ggioventù, stesso libello sulle CENTO IDEE, in puro stile Renzi-Gori (il nulla sotto vuoto), e infine un terzo candidato di area Raffaele Lombardo (ma si... proprio lui... l'attuale Governatore - molto chiacchierato - della Sicilia...)
Il TG regionale siciliano
Insomma, stiamo viaggiando a fari spenti nella notte. A Palermo andremo a sbattere, ma poi non ci asterremo dall'incolpare Bersani, che - ad oggi - è l'unico dal quale siano venute parole chiare sulla necessità di cambiare - e alla svelta - il sistema delle primarie per la scelta del candidato sindaco.
...ma parliamo di cose serie...
L'analisi di Ezio Mauro al CdR di Repubblica
...e per finire, un parere non mio...
Passione primarie - di Marco Bracconi
A parte che la Vincenzi poteva prenderla con più eleganza, a parte che la percentuale dei votanti richiederebbe una qualche riflessione, a parte che dopo Milano anche Genova è fatterello che brucia parecchio, a parte tutto il problema del Pd è semplice semplice. Trattasi di troppa passione.
Perché ai democratici piacciono talmente tanto le primarie che fanno quelle di partito anche quando sono quelle di coalizione. Poi le perdono, eh. Però vuoi mettere, che sfoggio di democrazia...
Scritto il 14 febbraio 2012 alle 16:50 nella Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (9)
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Ormai noi italiani a Moody's dovremme erigere un monumento in Piazza Affari. Ieri abbiamo dato la notizia dell'ultimo downgrading ancor prima delle agenzie di stampa (per puro caso, stavo navigando sul sito della CNBC, e ho visto la notizia in tempo reale...
Quindi, memore delle ultime esperienze, ho atteso con una certa ansia i dati economici della mattinata. Ora si può tentare un primo ritratto delle conseguenze dell'ennesima, brillante "Moody's Operation":
L'ASTA DEI BOT
Scritto il 14 febbraio 2012 alle 12:45 | Permalink | Commenti (0)
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Moody's declassa Italia ad 'a3' con Outlook negativo
(AGI) - Washington, 13 feb. - Pioggia di downgrade per i rating europei decisa questa sera da Moody's. Ne fanno le spese l'Italia, che passa da 'A2' a 'A3', il Portogallo da 'Ba2' a 'Ba3', la Spagna da 'A1' a 'A3', Malta da 'A2' a 'A3', Slovacchia da 'A1' a 'A2' e Slovenia da 'A1' a 'A2', tutti con outlook negativo. Passa in negativo anche l'outlook di Francia, Gran Bretagna ed Austria che mantengono comunque la tripla A di Moody's. (AGI) .
Scritto il 14 febbraio 2012 alle 00:13 nella Economia, Politica | Permalink | Commenti (5)
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Scritto il 14 febbraio 2012 alle 00:01 | Permalink | Commenti (2)
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Forse è il caso, a fronte di opinioni anche molto diverse sugli effetti frenanti dell'art. 18 e leggi equipollenti, di fare un confronto fra legislazioni nei vari paesi, e poi cercare eventuali correlazioni - positive o negative - fra livelli di protezione, tassi di disoccupazione, tassi di crescita.
A fronte del rinato polverone sacconian-marcegagliano sull'art. 18, infaustamente ripreso da Monti e Fornero, è il caso di riportare questo articolo di Paolo Griseri su Repubblica del 5 gennaio, che a sua volta riprende dati OCSE:
Licenziare i dipendenti è già possibile - l'Ocse: siete tra i più flessibili al mondo - Come liberarsi della manodopera in esubero: la Germania è il Paese più rigido, gli Usa non pongono ostacoli. Ma nella classifica degli economisti di Parigi la nostra legislazione è considerata assai poco vincolante
In Italia licenziare è difficile? Niente affatto. Gli indici dell'Ocse (strictness of employment protection) spiegano che liberarsi di un dipendente è molto più facile per un imprenditore italiano di quanto non lo sia per un ungherese, un ceco o un polacco. Con un indice di flessibilità di 1,77 (per i lavoratori a tempo indeterminato) l'Italia è al di sotto della media mondiale (2,11).
In cima alla classifica, nei paesi in cui licenziare è più difficile ci sono la Germania (indice 3.0) e i paesi del Nord Europa. Dunque, secondo questi dati aggiornati al 2008, non ci sarebbe alcuna ragione per modificare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in nome di una presunta rigidità delle leggi italiane. Il nodo è, da sempre, l'obbligo di reintegro, se il tribunale riconosce che il licenziamento è avvenuto senza giusta causa. Ma quell'obbligo è presente in gran parte dei paesi industrializzati, con l'unica eccezione degli Stati Uniti (che ora stanno rivedendo le leggi in materia).
Gli Usa sono in cima alla classifica della libertà di licenziamento: il loro indice è di 0.17. Ma sono anche una vistosa eccezione a livello mondiale, che non si riscontra in nessuno dei paesi emergenti, dove il Pil avanza ancora a due cifre nonostante la crisi. La classifica dell'Ocse (presa a riferimento dalle aziende che scelgono in quali paesi investire) mette l'Italia in cima alla top ten (indice 4,88) solo quando si voglia procedere a licenziamenti collettivi. In quel caso il nostro è il paese al mondo dove è più difficile licenziare grandi quantità di lavoratori tutti insieme. Ma è davvero un difetto? Vediamo la situazione nelle diverse aree del mondo.
ITALIA - Niente riassunzione nelle piccole imprese
L'articolo 18 della legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) prevede che il lavoratore licenziato senza giusta causa (i motivi economici non sono al momento considerati tali) abbia diritto al reintegro sul posto di lavoro. Solo se il dipendente sceglie di rinunciare al reintegro, il datore di lavoro può scambiare l'obbligo di riassunzione con il pagamento di un indennizzo pari a 15 mensilità dell'ultimo stipendio percepito. Nelle piccole aziende con meno di 15 dipendenti il lavoratore ingiustamente licenziato non ha diritto al reintegro e viene risarcito in denaro. In caso di controversia il lavoratore può ottenere la sospensione del licenziamento fino alla conclusione del processo.
GERMANIA - Lavoratori allontanati solo con giusta causa
Il licenziamento senza giusta causa è considerato illegittimo e, in via preferenziale, deve essere risarcito con il reintegro sul posto di lavoro. L'imprenditore che voglia licenziare un dipendente deve comunicarlo al consiglio di azienda. Se il sindacato riterrà non fondato il provvedimento, il dipendente ha il diritto di rimanere al suo posto fino al termine del processo. Se poi il giudice stabilisce che effettivamente il licenziamento non era giustificato, l'imprenditore ha l'obbligo di reintegrare il dipendente in organico. L'unica eccezione è la possibilità che l'imprenditore dimostri che non c'è possibilità di collaborazione con il licenziato che dunque viene risarcito con un indennizzo.
FRANCIA - Chiudere per delocalizzare è diventato meno semplice
Generalmente il lavoratore che viene ingiustamente licenziato è risarcito con indennizzi di entità variabile secondo criteri stabiliti dalla legge. Ma nell'autunno scorso tre sentenze di tribunali locali hanno fatto scalpore annullando i progetti di delocalizzazione di altrettante aziende d'oltralpe. Quelli che i francesi chiamano "licenziamenti della Borsa", dettati cioè dalla smania degli azionisti di portare altrove la produzione per aumentare i profitti, sono stati considerati illegittimi e le aziende sono state obbligate a riassumere i lavoratori licenziati. Grandi proteste, naturalmente, degli imprenditori. Ora sulla vicenda la parola deve passare alla Corte di Cassazione di Parigi.
STATI UNITI - Mano libera per le aziende e il reintegro non esiste
Tradizionalmente in Usa vale il principio secondo cui l'imprenditore può licenziare i suoi dipendenti a piacimento ("at will") senza alcuna restrizione. Una norma spesso invocata dai liberisti europei come riferimento ideale. In realtà nel corso dei decenni i limiti sono stati posti sia a livello federale che dei singoli stati. In generale è illegittimo il licenziamento di un lavoratore che si sia rifiutato di andare contro la legge, o un licenziamento discriminatorio per ragioni legate alla razza, alla fede religiosa o al credo politico. Curiosa la norma che in Michigan vieta licenziamenti legati alla statura o al peso. Ma anche in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore viene risarcito in denaro e non con il reintegro.
CINA - Cacciare gli "anziani" è quasi impossibile
In Cina la legge sul lavoro è stata aggiornata a partire dal 1 gennaio 2008. I dipendenti possono essere licenziati solo se il datore di lavoro è in grado di presentare un giustificato motivo. Questo vale anche durante il periodo di prova che varia da un mese a sei mesi a seconda della durata del contratto. Se il motivo è considerato giustificato, il licenziamento avverrà senza che al lavoratore vengano corrisposte indennità. E' vietato il licenziamento in caso di malattie dovute all'attività professionale presso l'azienda o quando il lavoratore sia dipendente da almeno quindici anni presso la stessa società e gli manchino meno di 5 anni alla pensione.
Un articolo più datato (ma non molto è cambiato) illustra la legislazione in altri paesi europei. Inseriamo solo i dati su alcuni paesi non toccati dal precedente articolo:
I licenziamenti nei principali paesi dell'Unione europea (di M. Roccella - CGIL)
La disciplina dei licenziamenti presenta aspetti tecnici di estrema complessità in tutti i paesi dell'Unione europea. Quella che segue, è una descrizione essenzialissima, funzionale a confutare la communis opinio che la reintegrazione nel posto di lavoro sarebbe una bizzaria tutta italiana, frutto delle fantasie dirigistiche del legislatore di casa nostra. Essa al contrario, sia pure con modalità variabili da un paese all'altro, costituisce un rimedio alquanto diffuso nell''Unione europea e tende ad essere praticato anche in paesi (si veda l'esempio danese) che pure, in linea di principio, restano attestati su soluzioni di tipo risarcitorio.
Per inquadrare correttamente i termini della questione, non va trascurato che nella recentissima proposta di normativa comunitaria sui licenziamenti individuali formulata dalla Confederazione Europea dei Sindacati, la reintegrazione nel posto di lavoro è prefigurata come primo rimedio nei confronti di un licenziamento illegittimo.
SVEZIA - Il sistema svedese di tutela contro i licenziamenti illegittimi è in ampia misura accostabile a quello vigente in Italia. La legge svedese risale al 1974, richiede l'esistenza di un giustificato motivo per legittimare un licenziamento, prevede come sanzione fondamentale nei confronti del licenziamento privo di giustificato motivo la reintegrazione nel posto di lavoro. Il sistema è particolarmente severo sia perché:
-a) prevede, in linea di principio, la continuazione del rapporto di lavoro in pendenza della controversia giudiziaria;
-b) qualora ciò non accada ed il licenziamento sia poi giudicato illegittimo, il datore di lavoro sarà condannato a corrispondere tutte le retribuzioni dovute in relazione al periodo compreso fra la data del licenziamento e quella della reintegrazione, nonché al risarcimento dei danno per l'illegittimità del licenziamento, in quanto tale;
-c) l'applicabilità della sanzione è generalizzata, eccezion fatta per le imprese di piccolissima dimensione Ove la reintegrazione può essere giudicata impraticabile. Va precisato che, qualora il datore di lavoro si rifiuti di dar corso all'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro è destinato a venire meno; ma il datore andrà incontro a pesantissime sanzioni economiche, potendo essere chiamato al versamento di una somma ulteriore a titolo risarcitorio, che può arrivare sino a 48 mensilità di retribuzione.
GRAN BRETAGNA - È in vigore dal 1978 (Employment Protection Consolidation Act) una legislazioneche prevede che il primo rimedio a disposizione dell'autorità giudiziaria nei confronti del licenziamento illegittimo sia rappresentato dalla reintegrazione nel posto di lavoro. li giudice può disporre un ordine di reintegrazione in senso stretto (reinstatement), oppure può condannare il datore di lavoro a riassumere il lavoratore ingiustamente licenziato in un posto diverso, purché comparabile a quello in cui il lavoratore era occupato prima dei licenziamento (reengagement). Il sistema britannico riconosce una certa discrezionalità al giudice rispetto all'emanazione di un ordine di reintegrazione (nelle due forme indicate): si dovrà tenere in considerazione la domanda del lavoratore licenziato, il fatto che egli abbia in qualche misura contribuito a causare il licenziamento, la concreta praticabilità di un eventuale ordine di reintegrazione. La reintegrazione, comunque, non viene considerata impraticabile per il mero fatto che il datore di lavoro abbia già provveduto ad assumere altro lavoratore in luogo del licenziato.
Se il giudice ritiene non praticabile l'emanazione di un ordine di reintegrazione, opterà per una sanzione di tipo risarcitorio. La stessa sanzione, con una speciale maggiorazione, viene applicata al datore di lavoro inadempiente all'ordine di reintegrazione. Il sistema opera senza soglie dimensionali, ma escludendo dalla protezione legale i lavoratori con anzianità di servizio inferiore a due anni. Per questo aspetto la legislazione britannica è stata considerata di carattere indirettamente discriminatorio dalla Corte di Giustizia e dovrebbe essere modificata. Il criterio dei due anni di anzianità di servizio è stato introdotto dal governo Thatcher. Precedentemente l'esclusione riguardava i lavoratori con meno di un anno di anzianità di servizio. li governo Blair si è impegnato a ripristinare questa soglia più ridotta, estendendo in tal modo il campo di applicazione della legislazione protettiva. Una tutela rafforzata, sia dal . punto di vista processuale sia con riguardo alla misura dell'eventuale risarcimento, si applica nel caso di licenziamento discriminatorio per ragioni di carattere sindacale. (...abbiamo appena scritto qualche giorno fa che la strada intrapresa da Monti/Fornero - della discriminazione di tutela legale a seconda che si sia assunti da più o meno tempo - andrà a sbattere contro il primo ricorso di costituzionalità. NdR)
OLANDA - Nel panorama europeo il sistema olandese presenta caratteristiche peculiari. Dal 1945 il potere di licenziamento è condizionato dalla necessità di ottenere un'autorizzazione amministrativa da parte della pubblica autorità competente, chiamata a valutare la ragionevolezza delle ragioni addotte dal datore di lavoro. Qualora l'autorizzazione sia negata, l'eventuale licenziamento è considerato nullo ed il datore di lavoro sarà tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non intervenga altra causa di estinzione dei rapporto. Dalle statistiche disponibili risulta che il sistema di autorizzazione amministrativa preventiva ha tutelato abbastanza efficacemente la posizione dei lavoratori, quanto meno fungendo da deterrente nei confronti di comportamenti arbitrari dell'impresa.
DANIMARCA - Quello danese viene presentato di solito come un sistema dove l'imprenditore avrebbe mano libera in materia di licenziamenti. Niente di meno vero. È vero piuttosto che in Danimarca, per consolidata tradizione, le regole di protezione dei lavoro sono poste dai contratti collettivi, piuttosto che dal legislatore. Il riferimento più significativo è rappresentato dal c.d. "Accordo Fondamentale" che, in materia di licenziamenti, prevede sia la regola dei giustificato motivo, sia la possibilità di contestare la legittimità dei licenziamento dinanzi ad uno speciale collegio arbitrale, specificamente competente, in materia di licenziamenti.
Nel 1981 l'Accordo Fondamentale è stato emendato proprio allo scopo di introdurre la possibilità per il collegio arbitrale di disporre la reintegrazione nel posto di lavoro a fronte di un licenziamento privo di giustificato motivo (oggettivo o soggettivo). Resta vero che, nell'esperienza pratica dei collegio, arbitrale, tendono nettamente a prevalere soluzioni di tipo economico. La modifica del 1981, ad ogni modo, segnala che anche in sistemi comunemente considerati molto sensibili alle ragioni dell'impresa l'idea di reintegrazione nel posto di lavoro a fronte di un licenziamento ingiustificato è tutt'altro che sconosciuta.
SPAGNA - Nel sistema spagnolo la reintegrazione nel posto di lavoro a fronte di un licenziamento illegittimo è prevista solo quando il licenziamento colpisca un rappresentante del personale nell'impresa. In questo caso la regola è rigida e comporta, a carico dei datore di lavoro eventualmente inadempiente all'ordine di reintegrazione, l'obbligo di pagare retribuzione e contributi sino a quando la reintegrazione non abbia avuto effettivamente corso. La regola generale, viceversa, consente al datore di lavoro di scegliere fra la reintegrazione e il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento dei danno (secondo importi graduati dalla legge in ragione dell'anzianità di servizio del licenziato). M. Roccella (CGIL) - Febbraio 2000
Si potrebbero fare molte considerazioni, sui dati sopra riportati. Ma preferisco pubblicare la tabella in calce (OECD Indicators of Employment Protection). Di questa tabella raccomando di leggere e valutare con particolare attenzione la prima colonna, che riguarda il livello di protezione a favore di lavoratori a tempo indeterminato, contro licenziamenti individuali (siamo nella nostra fattispecie dell'art. 18):
I dati sono ordinati per livello crescente di protezione. Contro la vulgata popolare, in Italia i lavoratori - nonostante l'art. 18 - sono fra i più licenziabili al mondo. La Francia - e specialmente la Germania (i maitres-à-penser che ci spingono ad una maggiore flessibilità) hanno un regime di protezione - loro si - che rende i lavoratori pressocchè inamovibili. Il paese al mondo col maggior livello di protezione da licenziamenti individuali è l'India, che, strano ma vero, è cresciuta del 97,10% in dieci anni.
L'Italia, dove invece la licenziabilità individuale è fra le più alte al mondo, il PIL in 10 anni è addirittura diminuito. In Francia e Germania in 10 anni c'è stata una crescita intorno all'8/9%. In particolare, in Germania i salari nell'industria sono, a spanne, il doppio di quelli italiani.
Infine, una considerazione sulla (non provata) correlazione fra flessibilità alta e disoccupazione bassa (la famosa fola che negli USA proprio perchè c'è il massimo di libertà di licenziare, c'è anche il massimo di facilità nel trovare un nuovo lavoro (dati 2010):
...meditiamo, gente, meditiamo...
Tafanus
Scritto il 13 febbraio 2012 alle 16:00 nella Economia, Lavoro, Leggi e diritto, Politica | Permalink | Commenti (173)
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Ricevo dall'amico Luigi Lunari, e pubblico più che volentieri:
Caro Antonio,
vorrei segnalarti che martedì 14 febbraio avranno luogo le “prime” rappresentazioni di due testi del sottoscritto:
Si tratta di due testi abbastanza blasonati:
"Nel Nome del Padre" è stato dato – oltre che in Europa – anche a New York e Tokyo, dove non è facilissimo arrivare.
"Tre Sull’Altalena" è stato tradotto in 24 lingue, ed è correntemente rappresentato in tutto il mondo.
I due spettacoli rimarranno in scena fino alla fine di febbraio. Grazie per l’attenzione e molti cordiali saluti
Luigi Lunari
Scritto il 13 febbraio 2012 alle 15:00 | Permalink | Commenti (0)
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Indirizzo: http://www.ciwati.it/
Scritto il 13 febbraio 2012 alle 00:05 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 13 febbraio 2012 alle 00:01 | Permalink | Commenti (0)
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Quello che si sta consumando in Grecia (anzi,contro la Grecia) ad opera della c.d. "Troika" (la Commissione Europea, la BCE e il FMI) è una sorta di genocidio economico di un paese, che col beneplacito dell'Europa sta per essere trascinato ad uno stato di economia del primario, dalla quale difficilmente si risolleverà prima di mezzo secolo. Forse in Grecia è l'ora della rivolta...
Poco importa che la Grecia abbia, nel passato, imbrogliato le carte dei conti pubblici. Innanzitutto non lo ha fatto la gente comune, ma i governanti. E non è giusto portare alla fame un popolo intero perchè i governanti (che il popolo non è in grado di controllare) facciano adesso pagare il conto a 11 milioni di innocenti.
Anche noi italiani abbiamo imbrogliato. Ricordate quando abbiamo inserito nel bilancio dello stato il "sommerso", per poter aumentare il denominatore dei rapporti deficit/PIL e debito/PIL? Cosa è stata, quella se non una elegante falsificazione del bilancio pubblico? Perchè se è vero che il sommerso esiste, ed è economia materialmente esistente, è altrettanto vero che il sommerso, per definizione, non contribuisce alle entrate dello stato. Anzi, priva lo stato di risorse, perchè consuma - esattamente quanto l'economia emersa - risorse limitate (suolo, aria, acqua, strade, etc..)
Non è umano, non è comprensibile il feroce accanimento della Merkel che - fossi stato al posto di Berlusconi - non avrei definito "culona inchiavabile", ma "ottusa, tetragona matrigna".
COS'E' LA GRECIA - Un paese di 11.300.000 abitanti (il 19% degli abitanti italiani), con un PIL di 235 miliardi di € (il 15% di quello italiano), e un PIL pro-capite pari al 79% di quello italiano. Un paese che ha 750.000 impiegati dello stato (uno ogni 15,1 abitanti) contro i 3.300.000 impiegati italiani (uno ogni 18,2 abitanti).
A un paese che ha in rapporto alla popolazione meno impiegati dell'Italia, chiediamo di licenziare 150.000 impiegati (uno su cinque). Se fosse chiesto analogo provvedimento all'Italia, Monti dovrebbe licenziare 660.000 impiegati dello stato. Rivoluzione assicurata. E comunque, dopo questa operazione, avremmo sempre un rapporto fra popolazione e impiegati statali peggiore di quello greco.
Fin qui ai greci è stato chiesto di rinunciare a tredicesime e quattordicesime; sono state imposte salatissime tasse aggiuntive. E' stata imposta una salatissima tassa sulle case, che va da 0,50 € al mq per un tugurio, ai 16 (sedici) euro al mq per appartamenti normali. Per 100 mq, la tassa può arrivare a 1600 euro. Un popolo sull'orlo della fame.
Ma quando avremo ben bene affamato la Grecia, avremo risolto il problema del default? No, perchè licenziare 150.000 impiegati non significa risparmiare 150.000 stipendi. Perchè se non vogliamo avere (fra ex percettori di stipendio e loro familiari) 600.000 morti di fame per le strade, lo Stato dovrà pur sempre provvedere con qualche forma di sostegno.
Era indispensabile, questa punizione?. Non lo era. La Grecia ha un debito in rapporto al PIL pari a circa il 150%, contro il 120% in Italia. Portare il debito greco dall'inaccettabile 150% al 120% itraliano (che per decenni èstato accettato dalla comunità internazionale), avrebbe significato portare il debito greco da 350 miliardi a 280 miliardi. Avremmo potuto imporre - questa volta si, senza deroghe - una diminuzione ad euro costanti di 7 miliardi all'anno per dieci anni. Avremmo punito una classe dirigente di imbroglioni, avremmo punito un popolo, ma non avremmo ucciso il malato.
Cui prodest? Il paese col sistema bancario più imbottito di titoli-spazzatura greci è, guarda caso, la Germania della "ottusa matrigna". Ed è questa ottusa donnona che lega la concessione di quanto servirebbe alla Grecia (non in regalo, ma come prestito a tassi agevolati, a lungo termine), e cioè 130/145 miliardi di €, per non andare in default, a condizioni-capestro, che i greci faranno finta di accettare, ma che non potranno - ad ogni evidenza - rispettare.
E mentre la Germania si è opposta con incomprensibile fermezza all'incremento del fondo BCE per la difesa dei titoli di stato dell'eurozona sotto attacco, che era - ricordiamolo - di 440 miliardi per TUTTA l'eurozona, trova normale prestare 130/145 miliardi alla sola piccola e debole Grecia. Perchè? Sentiamo come la pensa Giuseppe Guzzetti, Presidente della Fondazione Cariplo:
La proposta di ricapitalizzazioni temporanee delle banche europee lanciata dall’Eba (European Banking Ass.on) per far fronte alla crisi del debito sovrano non piace al Presidente della Fondazione Cariplo, azionista di Intesa Sanpaolo, Giuseppe Guzzetti. «Sono arrabbiato perché salvaguardano gli interessi francesi e penalizzano gli italiani» afferma Guzzetti che è anche presidente dell’Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni bancarie. Recentemente l’Eba, autorità bancaria europea, ha chiesto agli istituti di credito di varare operazioni di rafforzamento patrimoniale per 14,77 miliardi di euro di cui la metà circa in capo alla sola UniCredit. Cifre molto minori sono state richieste alle banche francesi e tedesche. Le prime devono raccogliere quasi 9 miliardi sul mercato mentre le seconde appena cinque. Secondo l’autorità bancaria europea sono quindi più solide le banche del nord Europa rispetto alle nostre. Ma come è possibile se le francesi e le tedesche sono più esposte in titoli greci? Che dire poi del caso Dexia? La banca, nonostante potesse vantare un invidiabile Core Tier One al 12% è finita sull’orlo del crack per l’eccessiva esposizione in titoli greci.
Per rispondere a questa domanda bisogna capire quali sono i criteri utilizzati dall’Eba per stabilire se una banca è solida oppure no. Il Sole 24 Ore lo ha fatto nei giorni scorsi dimostrando che questi – come ha ricordato lo stesso Guzzetti – penalizzano le banche italiane e premiano quelle francesi e tedesche.
Nel calcolo degli attivi a rischio per esempio pesa assai di più il credito e i mutui a famiglie e imprese che non il trading finanziario. Con la crisi dei debiti sovrani poi, i titoli di stato italiani sono entrati tra quelli considerati rischiosi. E questo penalizza i nostri istituti di credito benché questi abbiano un’esposizione molto più limitata per esempio in asset ben più rischiosi, come i famigerati “titoli tossici”, da cui è partita la crisi nel 2008. Lo stesso dicasi per la leva finanziaria (cioè il rapporto tra attività e capitale) che per le banche del nord Europa è decisamente più elevata. Nessun istituto di credito del nostro paese ha dovuto utilizzare il salvagente degli aiuti pubblici (se si escludono i Tremonti bond). Lo stesso non è accaduto nel resto d’Europa. (IlSole24Ore)
Ora cominciamo a capire. Alla Merkel non frega un cazzo del destino della Grecia. Alla Merkel interessa solo salvare provvisoriamente le banche tedesche dal default greco. Almeno finchè i titoli greci non saranno classati presso il "parco buoi", o no saranno arrivati a scadenza, e rimborsati alla pari. E per far questo non bada a spese. E' pronta ad accettare che le autorità monetarie internazionali prestino alla Grecia da 130 a 145 miliardi, cioè dal 55% al 62% del PIL annuale della Grecia. Uno scherzo.
Tanto pagheranno i greci. In Grecia già sei mesi fa la disoccupazione era arrivata al 21% , in crescita di due punti percentuali rispetto al mese precedente. In fondo, oltre che licenziare 150.000 statali, tagliare gli stipendi minimi del 22% (che così scenderanno sotto i 590 euro, e ancor di più per i giovani) incassare la super-hyper tassa sulla casa fino a 1600 euro, ed altre bazzecole minori, mica chiedono ai greci di sparire tutti... In fondo, c'è sempre la soluzione del cannibalismo. I più forti mangeranno i più deboli, e coloro che si salveranno, secondo la legge della selezione naturale (Sparta docet) saranno ben selezionati membri di una società ggiovane e forte, capace di rinascere...
Ma c'è un altro elemento, forse determinante, che rende il comportamento della tetragona sciacalla meno incomprensibile: l'acquisto a prezzi di saldo dei gioielli di famiglia che la Grecia, affamata, sarà costretta a cedere per quattro soldi all'affamatore. Leggiamo cosa scrive il WSJ:
Lo shopping tedesco - "...tra le contraddizioni della crisi greca, va segnalata quella che vede la Germania in prima fila da un lato nel pretendere garanzie per i prestiti e dall'alto ad approfittare delle privatizzazioni avviate da Atene per fare cassa. Oggi, ad esempio, Deutsche Telecom ha annunciato la decisione di acquistare il 10% delle azioni dell'Ote, l'ex azienda telefonica di stato già in buona parte privatizzata, ancora di proprietà pubblica. Le trattative a due, consentite dall'accordo del 2008 con cui Deutsche Telecom rilevò il 30% di Ote, riguardano 49 milioni di azioni per un importo di circa 400 milioni di euro. Deutsche Telecom salirebbe al 40% del capitale.
Altro obiettivo è l'aeroporto di Atene che, secondo il Wall Street Journal, sarebbe nel mirino di Fraport: la società che detiene e gestisce l'aeroporto di Francoforte (uno dei primi hub europei) avrebbe espresso interesse per acquisire la quota ancora pubblica dello scalo di Atene, pari al 55%.
Infine, da fonte personale greca (insider ben informato) sembra - e dico sembra - che la Germania si accinga a mettere nel mirino anche gran parte del fotovoltaico greco, settore emergente che, grazie al clima privilegiato della Grecia, sembra avere un grande futuro. Davanti a se? No. Davanti alla Germania. Tafanus
Scritto il 12 febbraio 2012 alle 23:00 nella Criminalità dei politici, Economia, Tafanus | Permalink | Commenti (29)
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Scritto il 12 febbraio 2012 alle 22:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 12 febbraio 2012 alle 08:01 | Permalink | Commenti (5)
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Continua la lotta per la sopravvivenza del "Manifesto". Possibile che un giornale vero, con una storia alle spalle, della fare la stessa fine de "Il Campanile" di Clemente Mastella?
Député au Parlement européen
vice-Président du groupe GUE/NGL
J’apprends avec stupéfaction et colère que notre confrère italien Il Manifesto vient ce jour d’être mis en liquidation judiciaire.
Aucun démocrate ne peut tolérer cette vague de destruction de journaux qui s’abat en Europe. Celle-ci se produit parce que les Etats réduisent les aides publiques sous couvert de programme d’austérité ; que la communication publicitaire est accaparée par les grands groupes de médias et de communication et que le pouvoir d’achat abaissé de nos concitoyens les contraints souvent désormais à se priver de leur journal.
Au moment où chaque pays européen est confronté à une grave crise ; au moment où les dirigeants européens, sous la férule de Mme Merkel et M. Sarkozy, veulent imposer quasiment sans débat un nouveau traité européen détruisant les souverainetés populaires et les principes démocratiques, il est indispensable que vivent dans toute l’Europe une presse pluraliste. Ajoutons, qu’au moment où les politiques d’austérité et de chômage provoquent un immense désarroi, des souffrances inconnues jusque-là, des populations sont poussées vers d’inquiétants extrémismes, il est indispensable que la presse progressiste vive. C’est une condition indispensable du débat démocratique. C’est la condition pour construire l’Europe des peuples ensemble en rejetant les extrémismes et le populisme qui constituent non seulement de dangereuses impasses mais qui peuvent provoquer des chocs extrêmement graves pouvant féconder «la bête immonde».
Pour toutes ces raisons d’intérêt général pour la débat démocratique ; pour l’intérêt des citoyens européens ; nous demandons expressément que des dispositions particulières soient prises dans toute l’Union européenne pour défendre et faire vivre les journaux comme Il Manifesto, outils essentiels du débat démocratique, de l’information et de l’échange entre citoyens.
Que toute l’équipe d’Il Manifesto et que sa direction soient assurées de toute ma solidarité combative.
Patrick Le Hyaric
Scritto il 12 febbraio 2012 alle 07:59 nella Media , Politica | Permalink | Commenti (9)
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“Non volevo usare espressioni colorite, ma si può dire, come si dice in queste aule, che Mills ha fatto scomparire il "cadavere" e non ha mai voluto dare alcun aiuto per ritrovare il provento”, ossia quei 600mila dollari al centro dell’accusa. Lo ha detto il pm di Milano Fabio De Pasquale nel corso della requisitoria al processo Mills, in cui Silvio Berlusconi è accusato di corruzione in atti giudiziari: “Mills non ha mai voluto raccontarla questa storia di Berlusconi, e ha sempre tenuta nascosta la provvista”. L’udienza si è conclusa a metà dell’intervento dell’accusa, dopo il nuovo tentativo della difesa di prendere tempo per strappare la prescrizione, prevista tra pochi giorni.
Questa mattina, in aula, De Pasquale aveva definito “formalismo da processo di mafia” la richiesta dei difensori di Berlusconi di avere indicazioni precise su tutti gli atti utilizzabili ai fini della discussione e di disporre la lettura delle dichiarazioni di tutti quei testi non sentiti in dibattimento. Per questo il pubblico ministero ha chiesto al tribunale di bocciare quest’ultima questione posta da Piero Longo e Niccolò Ghedini: “Richieste che mi riportano a venti anni fa, ad un processo di mafia dove era stato usato questo formalismo”. De Pasquale ha poi ricordato che l’articolo del codice indicato per la richiesta è “una norma di nessuna attualità”.
Fabio De Pasquale e Niccolò Mavalà Ghedini
I giudici si sono ritirati nuovamente in camera di consiglio. Poi hanno dichiarato chiusa la fase dibattimentale e, dopo le 16, hanno dato il via alla requisitoria di De Pasquale, che è iniziata con la citazione della sentenza della Corte di Cassazione: “La sentenza con cui la Cassazione ha prosciolto per prescrizione David Mills dopo la condanna dell’avvocato inglese in primo e in secondo grado a 4 anni e mezzo di carcere non è solo il contenitore di materiale probatorio ma è una prova. Non servono espressioni colorite o passaggi brillanti, ma si deve rimanere su un piano freddo e tecnico”, ha aggiunto il pm: “Ci sono passaggi di fatto accertati definitivamente e legati alla colpevolezza di Silvio Berlusconi di cui parliamo in questo processo”.
La lettera che David Mills nel febbraio 2004 inviò al suo commercialista Bob Drennan è, secondo l’accusa, “una confessione stragiudiziale”. Nella missiva l’avvocato si dice preoccupato di incorrere nelle maglie del fisco inglese per un “regalo ricevuto da Mr.B per evitargli guai con la giustizia”. Per il pm in questa lettera le parole sono “come pietre” e “non è il frutto di un estemporaneo colpo di testa”. Poi, appunto, il processo è stato aggiornato al 15 febbraio.
Stamattina i giudici avevano bocciato le richieste di Niccolò Ghedini e Piero Longo di sentire nuovi testi. “Il collegio – è stato detto in ordinanza – ritiene che le proprie richieste non integrino quel carattere di assoluta necessità” richiesta in questa fase del procedimento. Così la difesa ha posto ai giudici una nuova questione, chiedendo al tribunale di indicare “specificatamente tutti gli atti utilizzabili ai fini della discussione”. In più ha chiesto che siano letti i verbali relativi alle dichiarazioni di testi non ascoltati in aula. Richiesta che ha scatenato la reazione del pm De Pasquale, che a breve sosterrà la requisitoria.
Le parole del pm sui “formalismi da processo di mafia” hanno subito scatenato polemiche politiche. “Non volevamo usare parole grosse, ma vediamo che i pubblici ministeri di Milano del processo Mills usano parole insultanti. Allora ricordiamo loro che il comportamento loro e del tribunale in quanto tale èquello tipico di un tribunale speciale”: così il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. “C’è un tribunale – aggiunge – che nel suo complesso deve comunque condannare Berlusconi e che per raggiungere questo obiettivo si sta mettendo sotto ai piedi i diritti della difesa, espelle testimoni dalla causa e addirittura gioca sui termini della prescrizione. Le forzature e gli strappi che stanno avvenendo a Milano sono una autentica offesa allo stato di diritto. E sarebbe opportuno che qualcuno almeno a livello di Csm desse a tutto quello che sta avvenendo una occhiata né distratta né omissiva”.
Scritto il 11 febbraio 2012 alle 20:00 nella Berlusconi, Criminalità dei politici | Permalink | Commenti (0)
Tag: Berlusconi, cicchitto, corruzione, De Pasquale, Ghedini, longo, milano, mills, requisitoria
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Indirizzo: http://www.carmillaonline.com/
Scritto il 11 febbraio 2012 alle 19:00 | Permalink | Commenti (1)
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Scritto il 11 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (1)
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Un grande maestro della dottrina economica, Adam Smith, diceva che quando l'offerta di lavoro è bassa, forte è il potere delle organizzazioni sindacali. Il rovescio della medaglia è che se aumenta l'esercito di riserva della manodopera diventano più deboli peso e ruolo delle rappresentanze dei lavoratori. Non si può capire fino in fondo il senso dello scontro in atto oggi sul fatidico art. 18 (licenziamenti immotivati o discriminatori) se non lo si legge anche come effetto del mutato rapporto di forze tra offerta e domanda di lavoro.
Anche qualche anno fa Confindustria era all'attacco su questa norma con il compiaciuto sostegno del governo Berlusconi. Ma i 3 milioni di manifestanti raccolti in piazza da Sergio Cofferati e una congiuntura economica meno pesante dell'attuale avevano consigliato una rapida ritirata. Ora il clima economico e sociale è molto cambiato (l'emorragia di posti di lavoro si somma alla precarietà di molti impieghi) e la richiesta di manomettere le garanzie previste dall'art. 18 è tornata di prepotente attualità. I datori di lavoro intendono sfruttare la serrata degli investimenti per trasformarla in un loro punto di forza in un braccio di ferro che non riguarda solo la quantità dei salari ma anche i diritti dei lavoratori.
Quella lotta di classe - che molti (chissà poi perché?) consideravano morta e sepolta dopo la caduta del muro di Berlino - torna così ad affacciarsi in campo aperto. In termini anche piuttosto acuti in un paese che, negli ultimi anni, ha visto crescere al suo interno le disuguaglianze economiche, al punto da far diventare l'impoverimento del potere d'acquisto dei lavoratori forse la principale causa interna della caduta dei consumi e perciò degli investimenti con effetti recessivi sulla crescita del prodotto interno lordo.
In simile frangente ci si poteva aspettare che un governo composto da rinomati studiosi di cose economiche intervenisse nello squilibrato rapporto fra domanda e offerta di lavoro in senso anticiclico. Ovvero non favorendo ulteriormente il prepotere della seconda contro la prima. Così, però, non sta accadendo, perché il governo Monti, subendo di fatto l'offensiva confindustriale contro l'art. 18, si mostra orientato a compiere una scelta di campo senz'altro più liberista che liberale. Non va dimenticato, infatti, che la norma in discussione dispone garanzie giurisdizionali per il cittadino che venga allontanato dal lavoro senza giustificato motivo o, peggio ancora, per discriminazione magari politica o sindacale. Trattasi, dunque, di tutela di un diritto che fa tutt'uno con l'impianto di una classica democrazia liberale.
Quando il presidente del Consiglio spiega che l'attuale art. 18 ostacola la crescita fa un'affermazione grave di incompatibilità fra economia e diritti. Perché è come se dicesse che o si concedono alle imprese mani libere sui licenziamenti, oppure non ci saranno né investimenti né nuove assunzioni: giudizio davvero pesante sulla natura da padroni delle ferriere dei sedicenti moderni imprenditori italiani. Che il modello Marchionne abbia dilagato da Pomigliano a Mirafiori negli stabilimenti Fiat è ormai un dato di fatto dal quale, per altro, non sono scaturiti chissà quali investimenti. Suscita perciò non pochi interrogativi che esso possa diventare una bussola anche per Palazzo Chigi.
Massimo Riva - l'Espresso
Scritto il 10 febbraio 2012 alle 22:44 nella Berlusconi, Economia, Lavoro, Politica | Permalink | Commenti (10)
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Edmund Burke, uno dei padri della rappresentanza politica moderna, sosteneva che "...Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale..."
Perbacco: esattamente quello che il precedente governo ha perseguito strenuamente fin dal debutto, che - ricordate - è contemporaneo alla categoria Aristotelica “famose li cazzi nostri”, ben rappresentati dai Lusi e dai colonnelli ex AN che oggi, dopo aver per mesi ammorbato l’etere con interessantissime storie su appartamenti a Montecarlo, si ritrovano oggi a dover gestire una bella storia di ammanchi e di bilanci taroccati.
Purtroppo, oltre ai sunnominati rappresentanti politici di una destra maneggiona, emergono identici comportamenti da parte della sinistra, in perfetto stile “sono tutti uguali”. Cosa dire di un Lusi che (bontà sua) propone di risolvere tutti i problemi restituendo ben 5 dei 13 milioni di euro rubacchiati al partito? e cosa dire delle edificanti storie di investimenti milionari africani da parte della Lega, che dispone di fondi ufficialmente disponibili “per le prossime elezioni”?
Perbacco, ma le elezioni non dovevano essere un confronto sullo stesso piano per tutte le forze politiche, ivi incluse le forze nuove? Così, capite bene, si rende decisamente difficoltoso, da parte di una coalizione diversa da quelle oggi presenti, l’ingresso in parlamento, mentre si continuano a pagare formazioni non più presenti grazie ad una legge che ha al suo interno svariati elementi di anticostituzionalità.
Sempre Burke considera che “...durante il Medio Evo sussisteva il principio del «mandato imperativo», in base al quale il rappresentante non poteva derogare alle istruzioni che i propri mandanti gli trasmettevano. Dopo, con l'estendersi delle assemblee, nelle quali si moltiplicavano e diversificavano le categorie che aspiravano ad essere rappresentate, si impose la tendenza a contemperare i singoli interessi frazionali, rapportandoli ad un presupposto interesse o bene generale...”
Nell'800, infatti, si impose quella rappresentanza «moderna» che poteva avere quale referente tanto la Nazione (come nella costituzione francese del 1791), quanto il popolo (come era statuito dalla costituzione giacobina del 1793); il principio del «libero mandato» si impose così come irrinunciabile perché necessario al processo rappresentativo, legato all'espressione della volontà comune.
Oggi questo principio costituzionale sembra essere stato svuotato dalla politica del “chiagn’e fotte”: il principio di rappresentanza moderno fondato sul libero mandato, secondo il quale i rappresentanti di tutto il popolo non sono vincolati da particolari è la norma, per cui in primis si deve fedeltà a chi ti ha dato la possibilità di entrare in parlamento o in senato garantendo ai suoi sgherri rendite di posizione da favola..
E’ evidente che in Italia oggi non è l'interesse generale del Paese ad essere rappresentato in Parlamento, ma gli interessi di alcune lobby di potere, fra cui quelli che si definiscono “politici di professione” che grazie a leggi a loro favorevoli possono permanere nell’area rarefatta al massimo livello delle istituzioni: attenzione, la struttura è autoreferenziale, perché oltre ai politicanti abbiamo i boiardi di stato che, in perfetto spregio delle leggi da loro utilizzate come paravento, moltiplicano sedie e pensioni appesantendo i bilanci statali.
Facile pensare che basti tagliare gli stipendi dei parlamentari per risolvere il problema: la verità è che senza un saggio processo di armonizzazione dei diritti di tutti gli Italiani (tutti davvero) avremo sempre boiardi formalmente ancora attivi che drenano denaro pubblico scambiandosi favori e mantenendo i piedi ben dentro università, ministeri, regioni, provincie e comuni.
Attendiamo con ansia oggi che il nuovo governo dia un segnale serio di discontinuità rispetto al passato, e che magari il presidente del consiglio dia chiare indicazioni ai suoi ministri sul fatto che sarebbe utile lavorare e stare zitti: in effetti sbraitare ai quattro venti che “il lavoro fisso è un utopia” da parte del ministro Cancellieri che ne è l’archetipo è perlomeno di cattivo gusto, e questo a prescindere dalla spocchia dimostrata nel non incontrare Mingo di striscia la Notizia…
Del resto, fino ad ora con l’eccezione dell’attuale presidente del consiglio, fino ad oggi tutti i ministri hanno esclusivamente dimostrato il vecchio adagio per cui “è meglio stare zitti e rischiare di essere presi per idioti che aprire la bocca e renderlo evidente”.
Come al solito, a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina…
Axel
Scritto il 10 febbraio 2012 alle 12:12 nella Axel, Politica | Permalink | Commenti (7)
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Scritto il 10 febbraio 2012 alle 08:01 | Permalink | Commenti (3)
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E insomma, la luna di miele dell’elettore di sinistra con il governo Monti è finita. Più che dai giornali lo si capisce su facebook, persino su twitter se non fosse ancora un po’ di nicchia. Era inevitabile, Monti è sensibilmente migliore del suo predecessore, ma non è un leader di centrosinistra e nemmeno ci tiene a sembrarlo: ha altre idee, altre priorità. La delusione era prevedibile, ma è interessante notare le forme in cui si esprime. Cos’è di Monti e dei suoi ministri che non ci piace più? Qualche proposta di legge, qualche scelta in materia economica? Non esattamente. Quel che non ci piace davvero sono le frasette.
Quelle piccole battute che magari non vogliono nemmeno strappare un sorriso, ma soltanto vivacizzare una conferenza stampa. Monti ha detto che il posto a vita è monotono, beh, non sempre ma a volte sì. Probabilmente non si aspettava questa ondata di indignazione. Né pensava di scatenarla la Fornero, irridendo i figli che non vogliono allontanarsi da mamma e papà. Sono stati ingenui, bisogna dirlo. Ma lasciamo stare un attimo loro. Cosa ci sta succedendo? Perché invece di concentrarci sulle politiche di Monti & co. ci attacchiamo alle frasette? Io ho una teoria.
C’era una volta, pochissimo tempo fa, l’Antiberlusconismo. Era un movimento di massa, oddio, movimento, diciamo che era una massa che ogni tanto ondeggiava. Qualche frangia più o meno importante ogni tanto mostrava più definiti segni di vita, organizzando anche girotondi, cortei, raccolte di firme, boicottaggi: ma lo zoccolo molle dell’Antiberlusconismo seguiva a distanza, con prudenza. Ogni tanto, a intervalli quasi regolari, lo si osservava ribollire e fremere: erano le avvisaglie dell’unica vera ritualità degli antiberlusconiani, l’Indignazione Condivisa. Di solito funzionava così: Berlusconi andava in tv, o in una conferenza stampa, o al parlamento, e sparava una cazzata. No, chiedo scusa, Berlusconi adesso è a riposo e non posso più nascondermi dietro di lui per indulgere al turpiloquio. Insomma ogni tanto Berlusconi diceva una sesquipedale corbelleria, raccontava una barzelletta spinta, commetteva una gaffe monumentale… e la grande balena berlusconiana fremeva di sdegno, schizzava getti d’acqua dai pori, e correva a fotografare l’immagine di sé stessa indignata per la gallery di Repubblica. Tra tanti esempi, mi viene in mente quando prima di una tornata elettorale Berlusconi a un comizio disse che avrebbe vinto, perché gli italiani non erano così coglioni da votare contro i loro interessi – ecco, in quell’occasione molti si fecero fotografare col cartello IO SONO UN COGLIONE, che in alcuni casi risultava pleonastico. Eravamo così, noi antiberlusconiani. Avevamo bisogno di questi sussulti di indignazione per riconoscerci, svegliarci, ricordarci che quell’uomo ci stava rovinando l’esistenza – e poi tornare alle nostre occupazioni un po’ più leggeri.
C’era una volta l’Antiberlusconismo e c’è ancora, da qualche parte sotto le ceneri. Ma è confuso. In fondo ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti a Berlusconi. E però non vorremmo abbassare la guardia, vorremmo riuscire a opporci alle cose che non ci piacciono del governo Monti. Il problema è che non sappiamo come fare, perché Monti e i suoi ministri tecnici fanno una cosa alla quale non siamo più abituati. Politica. Niente a che vedere coi teatrini messi su da Berlusconi e Bossi negli ultimi anni. Ma la politica è complicata, e l’Antiberlusconismo è una creatura semplice, assuefatta alla semplicità. Sa solo fremere e sbuffare. Non gli resta che trovare qualcosa di Monti & co. che lo faccia fremere e sbuffare. Possibile che non dica mai una battuta scema? Possibile che i suoi colleghi non facciano mai qualche gaffe?
Dai e dai qualcosa si trova. Un sottosegretario che dica “sfigati” agli studenti fuoricorso. Cosa che in realtà è capitato a tutti di dire, pensando ad almeno uno dei fuoricorso che abbiamo conosciuto: però il sottosegretario non si doveva permettere. Un ministro che dice che il lavoro a vita è un’illusione. Un’altra che biasima quelli che vogliono lavorare “nella città di mamma e di papà”. E l’indignazione è esplosa, finalmente! Ne sentivamo un po’ la mancanza. Adesso però l’effetto è finito e magari c’è tempo per chiedersi: ma perché quelle frasette ci hanno fatto arrabbiare tanto?
Non è una domanda retorica. È davvero così importante sapere cosa pensa il sottosegretario Martone dei fuoricorso? Chi conosceva Martone fino alla scorsa settimana? Monti è stato indelicato a parlare di monotonia del posto fisso, ma è davvero questo il problema che abbiamo col governo Monti, le sue gaffes? O le scelte non sempre tecniche sul lavoro, sull’economia, sulla scuola? Perché ci concentriamo su frasette infelici, spesso estrapolate da un contesto? È come se fossimo in crisi d’astinenza dalle figuracce di Berlusconi: forse possiamo sopportare le manovre di Monti, ma non che B. si sia ritirato lasciandoci senza un gaffeur par suo.
Forse stiamo semplicemente guarendo, forse tra qualche mese le battute infelici di un governante che non ci rappresenta non ci faranno più sobbalzare e nemmeno discutere. Avremo cose più importanti a cui pensare. Saremo finalmente fuori dal berlusconismo, e dall’anti-medesimo.
Scritto il 10 febbraio 2012 alle 07:59 nella Politica | Permalink | Commenti (10)
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L'ho saputo solo oggi. Tre giorni fa Rita ha perso sua sorella, dopo una lunga malattia senza vie d'uscita. Marisa ed io - anche a nome dei tanti amici del Tafanus che hanno avuto il privilegio di conoscere Rita - desideriamo esprimere a lei, a Carlo, ad Anna, a Chiara, tutto il calore della nostra vicinanza e del nostro affetto.
Antonio e Marisa
Scritto il 09 febbraio 2012 alle 22:28 | Permalink | Commenti (12)
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La "banda dei quattro": Alemanno, Gasparri, La Russa, Matteoli
"Case, consulenze e donazioni" - Guerra con Fli sull'eredità. Sottratto un terzo del capitale. I tesorieri di Alleanza Nazionale e del popolo della libertà sono entrati nel mirino della procura dopo la denuncia finiana. Poca chiarezza anche nell'ingente patrimonio immobiliare.
(di Carmelo Lopapa e Francesco Viviano - Repubblica)
Preoccupati di finanziare l'attività politica del Pdl piuttosto che avviare a liquidazione di An, gli amministratori filo berlusconiani del partito che fu di Fini rischiano di pagare adesso le loro leggerezze nella gestione dei conti. Ricche parcelle ad avvocati per "non meglio precisati motivi", consulenze dalle finalità tutte da verificare, locazione di immobili a prezzi stracciati, attività di propaganda a beneficio del Pdl come se An ne fosse una corrente. E i conti adesso non tornano per 26 milioni di euro. C'è questo e tanto altro nelle 23 pagine della relazione degli ispettori del Tribunale di Roma dalle quali muovono le indagini della Polizia tributaria e l'inchiesta della Procura della Repubblica della Capitale. E tanto basta per mettere altra benzina al fuoco tra pidiellini e finiani, anche perché tutto parte dai sospetti e dalla denuncia degli uomini di Fli ai quali è stato in gran parte sottratta la gestione del tesoro da oltre 400 milioni di euro (immobili inclusi). Insomma, tra le due fazioni tornano a volare gli stracci.
La denuncia parte dal deputato Antonio Bonfiglio e da Rita Marino, storica segretaria di Fini e ex vicepresidente del Comitato di gestione di An e in queste settimane ha trovato riscontri nella relazione dei periti, il professore Simone Manfredi e l'avvocato Giuseppe Tepedino. Il primo elemento a destare i sospetti dei periti è un prestito da 3,7 milioni di euro al Pdl, restituito dopo appena un mese: guarda caso dopo la denuncia dei finiani sulle presunte anomalie di gestione. Era il 2010, Raisi e altri vicini a Fini lasciano il comitato di gestione, subito rimpiazzati da Matteoli, Alemanno, Gasparri e La Russa.
Molto ruota attorno alla discrepanza tra il patrimonio netto dell'associazione An certificato al marzo 2009 e quello registrato il 18 novembre 2011. "La differenza tra i due valori - scrivono i periti - risulta essere negativa per circa 26 milioni di euro a conferma che nel lasso temporale l'associazione ha continuato ad essere gestita con criteri di "continuità" e non di "liquidazione"". Ma a destare dubbi è anche l'impossibilità di accertare tutti i movimenti: sono i "buchi neri" dei rendiconti. Altro tassello, i pagamenti di parcelle e consulenze da migliaia di euro "per i quali non è stato possibile riscontrare causale ed effettivo pagamento". Nella relazione c'è anche il riferimento ad una richiesta di pagamento per 60 mila euro per prestazioni rese dal senatore ed avvocato Mugnai, oggi presidente della Fondazione, sebbene non risulti poi nella lista dei creditori.
Un capitolo della relazione riguarda le dismissioni di immobili "senza nessuna indicazione sulla valutazione" né tantomeno sul "vantaggio economico per l'associazione". Nei bilanci non sarebbe stata registrata a norma di legge la donazione derivata dall'eredità della famiglia Colleoni per 365 mila euro, "cessione avvenuta circa un anno e mezzo prima". A quel cespite apparteneva la famosa casa di Montecarlo. E se la somma non risulta, spiega al telefono Mugnai, è perché il conto "è ancora all'estero ma stiamo provvedendo a farlo rientrare". Quindi, i 3milioni 750 mila euro "prestati" al Pdl e subito restituiti. "Appare necessario chiarire - si legge - che di tale movimentazione non vi è traccia nel rendiconto chiuso al 31 dicembre 2010". È solo uno dei prestiti, altri ne emergono invece dal bilancio, tutti "concessi a fondo perduto". Poca chiarezza viene denunciata inoltre sugli inventari dei beni mobili e immobili. Chi li usa e per far cosa?
Raccontano sia stato assai "schietto" il chiarimento tra La Russa e Bocchino, andato in scena nel pomeriggio a margine del vertice Pdl-terzo polo sulla legge elettorale. "Anziché liquidare e chiudere An, gli amministratori hanno speso ed è bene che si faccia chiarezza" dice il vicepresidente di Fli Bocchino. "Non è un altro caso Lusi, ogni euro è tracciato" gli replica La Russa. Ma ormai è guerra aperta. "Gravissimo se hanno finanziato il partito del miliardario Berlusconi" attacca Granata, col presidente della Fondazione, il senatore Mugnai che si difende: "Nessuna sparizione, bilancio chiaro e documentato". Storace vuole andare a fondo: "Se le cose stanno così, faranno la fine di Lusi".
...e ora i gentiluomini Gasparri, La Russa, Alemanno e Matteoli hanno molte cose strane da spiegare. Si, proprio loro, gli eredi del Partito dalle Mani Pulite. Eia, eia, alalà!
Scritto il 09 febbraio 2012 alle 20:00 nella Criminalità dei politici | Permalink | Commenti (0)
Tag: alemanno, fondi AN, gasparri, la russa, matteoli
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La video-intervista di TIME a Mario Monti
Il premier italiano a Washington: "Stati Uniti credono in svolta Italia". Incontri al Congresso, discorso al Peterson Institute, poi il faccia a faccia con il presidente alla Casa Bianca, l'Onu insieme a Terzi, e infine la tappa a Wall Street. Al centro dei colloqui le misure per evitare l'esplosione dell'eurozona e le ripercussioni sulla ripresa dell'ecomomia Usa
Gli Stati Uniti credono nella "svolta politico-finanziaria" dell'Italia che in questa fase può spingere tutta la Ue a dare più attenzione alla crescita "con vantaggio generale per le due sponde dell'Atlantico", ha detto il presidente del Consiglio italiano al termine dell'incontro con lo speaker della Camera John Boehner. "Ho notato molto interesse al Congresso - ha spiegato Monti - per la svolta politico-finanziaria dell'Italia: incoraggia gli Stati Uniti che vedono nell'Italia non solo un partner storicamente vicino, ma anche un Paese che in questa fase può contribuire a dare più impulso all'Unione europea per la crescita, con vantaggio generale per le due sponde dell'Atlantico". Poi ha sottolineato l'importanza dei Parlamenti: "È significativo che la mia visita inizi dal Congresso, vista la fondamentale importanza che i parlamenti hanno nelle nostre democrazie. E quindi, cosi' come in Italia il nostro interlocutore fondamentale è il Parlamento, è giusto iniziare questa visita a Washington al Congresso".
"Aiutiamoci a crescere", è stato l'invito di Monti, lanciato in un'intervista alla tv Usa Pbs. "La salda gestione di Obama aiuta l'Europa, così come noi possiamo aiutarlo", evitando appunto "l'esplosione dell'eurozona". Che Obama apprezzi la linea Monti, tesa appunto allo sviluppo e non solo al rigore finanziario, non è un mistero. E che a Monti possa servire la sponda della Casa Bianca è altrettanto chiaro, per convincere tutta la Ue e soprattutto la cancelliera Angela Merkel della necessità di puntare sulla crescita e di rafforzare i firewall a protezione dei titoli di stato più esposti sui mercati.
Su Twitter l'ambasciatore americano a Roma, David Thorne, spiega intanto come "l'intervista rilasciata da Barack Obama alla Stampa mostri l'importanza della visita di (Mario) Monti negli Usa". Il presidente americano nell'intervista a Maurizio Molinari ha formulato un giudizio positivo sulle soluzioni della crisi avanzate dal presidente del Consiglio italiano. Sotto la sua "leadership", ha affermato Obama alla Stampa, "l'Italia sta ora adottando passi impressionanti per modernizzare la sua economia, ridurre il proprio deficit attraverso una combinazione di misure su entrate e spese, riposizionando la nazione sul cammino verso la crescita" (continua su Repubblica)
Scritto il 09 febbraio 2012 alle 19:00 nella Berlusconi | Permalink | Commenti (2)
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Scritto il 09 febbraio 2012 alle 18:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 09 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (2)
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...se un'idea del genere fosse venuta non alla "riverita Deutsche Bank" del paese del mastino Angela Merkel, ma - ipotizziamo - ad una qualsiasi banca del "paese di Pulcinella", le rotative di "Der Spiegel" sarebbero già in moto per stampare la copertina del prossimo numero, con una bella bara piena di spaghetti. Ricordate la P38 sul piatto di spaghetti? O le recenti generalizzazioni intelligenti, per la serie "Schettino poteva essere solo un italiano"?
Ebbene, se io fossi bravo con photoshop (ma purtroppo non lo sono) vorrei costruire una copertina dello Spiegel con un simpatico "Dottor Morte", con la faccia dello Herr Doktor Josef Ackermann, fino alla settimana scorsa Presidente della Deutsche Bank, che banchetta con un cadavere, con contorno di krauti. Che dite, i tedeschi la prenderebbero bene? Ma leggiamo quale sia questa brillante idea, narrata da Stefano Rodotà, su Repubblica di ieri.
Nella frenetica ricerca di nuovi “prodotti finanziari”, con i quali continuare ad intossicare il mercato, la riverita Deutsche Bank ha superato ogni limite, facendo diventare la vita stessa delle persone oggetto di speculazione. Il caso si può così riassumere. Si individua negli Stati Uniti un gruppo di cinquecento persone tra i 72 e gli 85 anni, si raccolgono con il loro consenso le informazioni sulle condizioni di salute, e si propone di investire sulla durata delle loro vite. Più rapidi sono i decessi, maggiore è il guadagno dell´investitore, mentre il profitto della banca cresce con la sopravvivenza delle persone appartenenti al campione. Sono così nati quelli che qualcuno ha definito i “bond morte”.
Molte sono state le reazioni: la stessa associazione delle banche tedesche ha detto che «il modello finanziario di questo fondo è contrario alla nostra morale e alla dignità umana». Ma il fatto rimane, segno inquietante di che cosa stiano diventando i nostri tempi. La vita entra senza riserve a far parte del mercato, è puro oggetto di calcolo probabilistico, è consegnata a uno dei tanti algoritmi che ormai regolano la nostra esistenza. E tutto diventa ancor più inquietante se si guarda alla composizione del campione. Si scommette sugli anziani, un gruppo che già conosce forme crescenti di discriminazione, con l'esclusione della gratuità di taluni farmaci e con il divieto di accesso ad una serie di trattamenti sanitari.
Non più produttiva, la vita degli anziani diventa “vita di scarto”, la loro dotazione di diritti si impoverisce, appare incompatibile con la logica dell´economia. Si scivola verso un “grado zero” dell´esistenza, con il trascorrere degli anni si entra in un´area nella quale si è sempre meno “persone”, disponibili come di uno dei tanti oggetti con i quali si costruiscono i prodotti finanziari. Tra il mondo delle persone e quello delle cose non vi sono più confini, si stabilisce un perverso continuum.
Josef Ackerman - DB
Non voglio evocare con colpevole superficialità tragedie del passato. Ma la decisa reazione dell´associazione delle banche tedesche non si comprende se si ignora che proprio lì, negli anni del nazismo, la formalizzazione giuridica delle “non persone”, gli ebrei in primo luogo, portò a considerare vita e corpi come oggetti disponibili per il potere politico e medico. Oggi il potere sommo della finanza pensa di avere titolo per impadronirsene, in un modo immediatamente meno distruttivo, ma che porta con sé l´insidia della vita come merce.
Non a caso i banchieri tedeschi evocano la dignità, la barriera che si volle levare contro la perversione giuridica del nazismo, scrivendo in apertura della costituzione tedesca che “la dignità umana è inviolabile”. È ragionevole ritenere, allora, che i giudici tedeschi sapranno intervenire in maniera adeguata se quel prodotto finanziario continuerà a circolare. La questione è della massima rilevanza, perché tocca il tema attualissimo del rapporto tra libertà economica e diritti fondamentali. Nel 2004, la Corte di giustizia europea pronunciò una importante sentenza, indicando proprio nel rispetto della dignità umana un limite insuperabile nell´esercizio dell´iniziativa economia privata. Sentenza giustamente citata, ma che non può far dimenticare che la Costituzione italiana quel limite lo ha già esplicitamente segnato.
Nell´articolo 41, infatti, si afferma che l´iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Questa non è la rivendicazione di una primogenitura, dell´abituale lungimiranza dei nostri colti costituenti. È la sottolineatura di un rischio che stiamo correndo, visto che decreti di ieri e di oggi si aprono proprio con forzature interpretative che vogliono imporre letture dell´articolo 41 tutte centrate sulla preminenza della libertà economica. Queste letture riduzioniste e “revisioniste” sono costituzionalmente inammissibili, e sarebbe bene che ne avessero memoria tutti coloro i quali invocano un ritorno della politica, che non è possibile se vengono recise le radici dell´ordinamento repubblicano.
La dignità umana non è violata solo in casi limite come quello dei “bond morte”. È violata quando si capovolge il rapporto tra principio di dignità e iniziativa economica, attribuendo a quest´ultima un valore prevalente, come si cerca di fare oggi in Italia. L´esistenza “libera e dignitosa”, di cui parla l´articolo 36 della Costituzione, viene negata quando una considerazione tutta efficientistica del lavoro affida la vita delle persone al potere dell´economia, consegnandola alla logica della merce. Indigniamoci per le cose tedesche, ma diamo uno sguardo anche in casa nostra.
Stefano Rodotà - Repubblica - 8 Febbraio 2012
Scritto il 09 febbraio 2012 alle 00:26 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 08 febbraio 2012 alle 20:00 | Permalink | Commenti (0)
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Scritto il 08 febbraio 2012 alle 18:21 | Permalink | Commenti (5)
Tag: banca intesa sanpaolo, compagnia di sanpaolo, elsa fornero, hugef, posto fisso, silvia deaglio, silvia fornero
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Caro Monti,
su certe cose lei sembra proprio non voler capire, e allora ci tocca continuare nella nostra opera di "divulgazione". E ricordiamo i fatti.
-1) FATTO: il governo Berlusconi, grazie anche all'apporto del craxiano Sacconi, ha sprecato una legislatura intera ad affrontare le mille criticità del mercato del lavoro, parlando ossessivamente di una sola cosa: l'articolo 18. Tutti felici, tentativi (a volte riusciti, a volte no) di spaccare il sindacato. Quello vero, da quelli gialli Angeletti e Bonanni. Poi un giorno, persa la partita, come per incanto Sacconi ci ha spiegato che l'art. 18 non era la chiave di volta del sistema-lavoro. Insomma, hanno scherzato per più di un anno su un aspetto marginale.
-2) FATTO: l'art. 18 non è una difesa corporativa di ladri e fannulloni, ma una conquista di civiltà nei rapporti fra aziende e lavoratori. Il dipendente ladro o fannullone può essere licenziato (anche in vigenza di art. 18); l'operaia che non permette al figlio del padrone - o al padrone - di palparle il culo, non può essere licenziato.
-3) FATTO: su circa 31.000 cause contro licenziamenti illegittimi avviate dalla Cgil negli ultimi 5 anni, le decisioni del giudice nel senso del reintegro nel posto del lavoro sono state appena 300 (l'1%). Sui circa 300 ordini di reintegro nel posto di lavoro decisi dai giudici, le persone reintegrate sono state solo 70, mentre le altre 230 hanno scelto il risarcimento.
-4) FATTO: lei sta ricominciando a fare sull'art. 18 - col supporto della Fornero - la stessa battaglia ideologica persa da Sacconi, lisciando il pelo al revanchismo della destra e della parte più becera della Confindustria. Magari perchè pensa che i banditi del PdL possano ricattarla e farla cadere, mentre il PD sarebbe impedito dal compiere una mossa speculare e opposta, per senso di responsabilità. Non si illuda. Anche la pazienza degli elettori del PD ha dei limiti. Quindi si occupi dei problemi seri (l'abolizione del precariato che somiglia allo schiavismo, gli incentivi alle assunzioni dei giovani, la formazione, le coperture minime per i periodi di vuoto lavorativo. Erano queste le cose illustrate nel suo programma, non il ritorno a Maurizio Sacconi sotto altre spoglie).
-5) FATTO: Stiamo rimettendo in discussione una relativa pace sociale per un problemone che in cinque anni ha riguardato ben 70 reintegri per licenziamenti privi di giusta causa. I reintegri per questa motivazione sarebbero sacrosanti anche se anzichè essere stati 70 fossero stati 70.000. Ma sono stati 70 (settanta) in 5 anni. Quattordici all'anno. poco più di uno al mese. Lasci perdere, Professore. Non saranno 14 reintegri all'anno a frenare l'economia italiana.
-6) FATTO: Abissale per stupidità e inattuabilità l'éscamotage pensato dal suo governo per superare l'impasse. Scrive il Manifesto del 5 gennaio scorso: "...partiamo dall’art. 18. comunque. Il cavallo di Troia sarebbe rappresentato da una norma che lo sospende «solo» per i nuovi assunti, i disoccupati e i dipendenti di «nuove aggregazioni industriali». In pratica, per tutte le newco – secondo il modello inaugurato per Alitalia e poi «standardizzato» da Marchionne. In ogni caso, si tratterebbe di una mezzuccio ben rodato da molti anni: formalmente non si tocca un certo istituto, ma si introduce una «eccezione limitata», che poi diventa la norma. Era accaduto anche per i «contratti atipici», fino alla mega-presa in giro del «modello Pomigliano», che si giurava sarebbe valso solo per lo stabilimento campano…"
Non funziona, Professore. Anche perchè è una norma che si spiaccicherebbe (con danni) al primo ricorso di incostituzionalità. Un professore come lei dovrebbe saperlo, e farsene una ragione. Non possono coesistere due diversi "diritti del lavoro", magari nella stenza azienda e per le stesse funzioni, solo in funzione di una diversa data di entrata in azienda. Si concentri, Professore. Da lei ci aspettiamo di meglio.
-7) FATTO: In gennaio era venuta fuori la fola (sempre la stessa) di un'Europa che non ci chiederebbe di mettere a posto e poi tenere in ordine i fondamentali della nostra economia, ma ci chiederebbe in dettaglio quale articolo di quale legge abrogare. Useless to say, "dobbiamo riformare l'art. 18 perchè ce lo chiede l'Europa". Menomale che è una minchiata, perchè se non lo fosse, la cosa sarebbe ancora più grave. Sarebbe una inaudita cessione di sovranità. Non già sui fondamentali (abbiamo liberamente accettato, col patto di Maastricht, di tenerli in ordine), ma persino sugli strumenti operativi coi quali ottenere l'obiettivo. E questa è un'idiozia che l'ultimo, agonizzante Berlusconi, ha chiesto all'Europa di chiederci. E che l'Europa non ci ha mai chiesto in questi termini.
-8) FATTO: Ieri il Segretario Generale dell'OCSE - Miguel Angel Gurria - spiega papale papale il pensiero dell'OCSE: la riforma non può consistere solo nell'abrogazione o nella modifica dell'art. 18:
"...Il segretario dell'Ocse, Miguel Angel Gurria, mette in luce i temi della riforma del lavoro al centro della manovra economica del governo Monti. Oltre alla riforma della norma sui licenziamenti, si deve parlare anche di flessibilità e ammortizzatori sociali [...] L'articolo 18 "non è il punto fondamentale" della riforma del lavoro allo studio Italia: in realtà "si parla di flessibilità, ma anche di reti di protezione per chi oggi non ce l'ha, e di reinserimento nel mercato del lavoro..."
Ecco... non è tutto e solo l'art. 18 ciò che non riluce. Vero, Professore? Si può fare di meglio, si può fare di più.
Professore, non la preoccupa l'improvvisa, sconfinata ammirazione di una super-fascista come Daniela Santanchè? Estraiamo fior da fiore dalle sue dichiarazioni di ieri, riprese dal Foglio, (quindi affidabili);
Pasionaria a ruota libera: Monti è nostro, Fornero pure. Svolta grande di Santanchè
[...] “La Fornero deve diventare mia sorella, va protetta dai sindacati, va aiutata a vincere sull’articolo 18”. La nuova Daniela Santanchè, da ex anti montiana di ferro, dice tutto quello che non ti aspetti da lei: “Il governo di Monti va sostenuto fino in fondo. Chi non cambia idea è un cretino, e io ho cambiato idea. Fornero e Cancellieri sono due donne cazzutissime, cento volte meglio di Merkel. Cancellieri ha parlato dei ‘mammoni’, di quelli che vogliono il posto fisso. Queste due ministre sono politicamente scorrette e se ne fregano del consenso, non vogliono compiacere ma vogliono agire. Sono brave”. E poi:
“Questo è il nostro governo, fa le cose che vogliamo noi. Stanno smontando uno per uno i dogmi consolidati di questo paese, la concertazione, il potere dei sindacati. Hanno riformato le pensioni e ora vogliono intervenire sul mercato del lavoro. Come possiamo non stare con loro? Sono politiche di destra, sono il nostro programma” [...]
Caro Professore, a leggere queste dichiarazioni in arrivo sulla sua testa da parte di una delle peggiori rappresentanti della destra becera, razzista e classista, non sente un brivido percorrere la sua colonna vertebrale? Fino a che punto, e fino a quando, pensa di poter avere il sostegno del PD (che, qualora non avesse afferrato, è vitale per lei esattamente quanto quello di Berlusconi?). Davvero pensa di poter contare all'infinito sulla nostra pazienza, e sul nostro sostegno? A quanti altri episodi come quello del voto conto i magistratri voluto da un leghista evasore fiscale pensa che possiamo reggere? Perchè al Senato su questo ignobile voto non pone la questione di fiducia? Ci rifletta, Professore, ci rifletta...
Tafanus
APPENDICE: Un ripassino sulla licenziabilità (dal citato articolo del Manifesto):
[...]Non è inutile ricordare che in Italia le aziende possono licenziare ricorrendo a ben quattro tipologie diverse.
La più nota riguarda i licenziamenti collettivi in caso di crisi aziendale, che richiedono però una trattativa con i sindacati, il rispetto di criteri stabiliti dalla legge e la verifica da parte del ministero del lavoro.
Ma ci sono anche i licenziamenti individuali per «giustificato motivo oggettivo», in pratica la scomparsa di una determinata posizione lavorativa in azienda (ne sanno qualcosa tipografi e dattilografe).
Sui «motivi soggettivi» non c’è ovviamente nessun ostacolo giuridico (grave insubordinazione, rissa, danneggiamento dei beni aziendali, ecc).
E infine c’è il licenziamento per «giusta causa», più difficile da dimostrare («fatti gravi» addebitabili al singolo lavoratore, ecc). L’art. 18, insomma, sanziona soltanto il licenziamento «illegittimo» da parte dell’azienda. Ovvero quello in cui si accusa falsamente di qualche mancanza il lavoratore per mascherare la volontà aziendale di disfarsi di delegati sindacali o dipendenti «troppo attenti» a far rispettare i propri diritti o i confini contrattuali della prestazione lavorativa (turni, ritmi, nocività, ecc). Insomma, quei dipendenti che costituiscono in genere la spina dorsale del «movimento sindacale» in qualsiasi posto di lavoro.
Per questo la partita sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è da oltre 10 anni una partita decisamente politica, non solo sindacale. Riguarda il mantenimento di un tasso accettabile di democrazia sui luoghi di lavoro, né più né meno [...]
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Scritto il 08 febbraio 2012 alle 14:20 nella Berlusconi, Economia, Lavoro, Leggi e diritto, Politica, Razzismo, Tafanus | Permalink | Commenti (50)
Tag: art. 18, camusso, CGIL, fornero, gurria, monti, OCSE, sacconi, santanchè
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Scritto il 08 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (3)
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Caro professore Monti, ora basta. Metta la museruola ai suoi cani, o noi (per quel poco che contiamo) da sostenitori del suo governo, scioglieremo i nostri pochi cani contro di lei. La ricreazione è finita, e la luna di miele pure. Ora, cessato - come lei stesso dice - il momento dei provvedimenti emergenziali, è giunto il momento di smettere di lisciare il pelo alle politiche della destra (con timide operazioni di maquillage a sinistra), e di iniziare a fare ciò che aveva promesso. Messa in sicurezza dei senza-lavoro, smantellameno delle "46 forme di precariato 46", reali politiche di sviluppo, spostamento delle risorse recuperate attraverso la lotta all'evasione fiscale, verso la riduzione delle aliquote basse dei redditi bassi. Ma di questo parleremo in altra occasione (così come parleremo di legge elettorale, e di guerra ai magistrati).
Ma ora parliamo d'altro. Parliamo del concorso per la "Minchiata d'Oro 2012" che sembra essersi scatenata nel suo governo. Sembra che un'epidemia, una sorta di cupio dissolvi, abbia colpito il suo governo. E sembra che neanche lei, fino a ieri apprezzato capo branco, sia rimasto indenne. Non è il caso di fare troppo affidamento sulla luna di miele. Gli italiani, per fortuna, stanno imparando a non fare credito a NESSUNO a scatola chiusa. E più forte è l'investimento emotivo che le persone hanno fatto, in termini di stima, sul suo governo, più brusca e fragorosa potrebbe essere la disullusione.
Ora bisogna che TUTTI VOI, lei incluso, iniziate a contare fino a cento prima di sparare minchiate che siete costretti a "rettificare" nel giro di 24 ore. Lasciate l'arte della rettifica al Maestro Venerabile del ramo, al famoso "Fra' Inteso". Nel dubbio, tacete. Ho un grande rimpianto per quel Padoa Schioppa che - massacrato da destra e da sinistra - osò affermare che "pagare le tasse è bello". Tutti - a destra e a sinistra - hanno fatto finta di non capire. Era una forma provocatoria per dire che è equo, è giusto, è sano, e che le tasse devono pagarle tutti, perchè coprono servizi di cui godono tutti. E' rimasta, fin qui, la battuta migliore del mazzo, di indiscutibile contenuto etico.
Poi siete arrivati voi. Fra i nostri scroscianti applausi, e con le folle osannanti in piazza del Quirinale, in gioiosa attesa della cacciata del nano, e dell'arrivo del suo governo. Siete arrivati, ed avete "fatto i compiti" che Berlusconi non aveva saputo o voluto fare. Siete stati bravi, avete abbassato lo spread di 200 punti, avete ridato dignità al ruolo dell'Italia in Europa, anche a costo di qualche orribile forzatura (lo scalone di 5/6 anni alle pensioni non sono state una idea eccelsa, vero, Professore?) Se si portano improvvisamente alla fame 50.000 persone, poi bisogna trovare delle soluzioni alternative, o no? Oppure pensa che possiamo far morire di fame 50.000 persone, e poi accumularne i cadaveri in Piazza Montecitorio?
Ecco, Padoa Schioppa è stato l'ultimo esempio - isolato - di battuta felice, che molti hanno scelto di fraintendere, perchè così il canaio politicosarebbe stato più vivace.
Poi siete arrivati voi. Non erano trascorse 24 ore dall'insediamento del suo governo, è già iniziava l'ignobile canaio delle dichiarazioni a cazzo. Ha iniziato Corrado Clini, Ministro dell'Ambiente. E' stato il più rapido ad afferrare un microfono che passava nei dintorni, per rilasciare una bella dichiarazione a favore del nucleare. A pochi mesi dal secondo referendum popolare che bocciava per la seconda volta, con percentuali bulgare, il nucleare; a pochi mesi dalla catastrofe di Fukushima, e dalla decisione dei paesi pià avanzati (ad iniziare dalla Germania) di uscita dal nucleare; e - massimo della sfiga - a poche ore dalle ultime, terrorizzanti notizie in arrivo da Fukushima: trovate le prove della fusione del nocciolo in ben tre reattori; monnezza radioattiva già arrivata sulle coste occidentali del Canada; quarant'anni almeno per il decommissioning del sito, costi sconosciuti, scorie che non si sa dove mettere, minerali uraniferi in esaurimento, e lei lascia andare Corrado Clini in giro per TV a sparare minchiate sul "nucleare è bello"? Ma nessuno l'aveva avvertita che questo sedicente Ministro dell'Ambiente (che più tardi le avrebbe creato altri problemi perchè pretendeva di mantenere - in pieno conflitto d'interessi - anche la Presidenza dello "Area Science Park" di Trisete), era di provenienza ENEA, e cioè un lobbista in piena regola del nucleare?????
Lei al traguardo è arrivato secondo, in ritardo su Clini, però è arrivato armato di una doppia minchiata: una sulla "monotonia del posto fisso", l'altra - più grave perchè sistemica - e recidiva, sull'articolo 18.
Partiamo dall'articolo 18. Caro Monti, in questa faccenda, lei sta assumendo i toni e l'impegno del peggior Sacconi. E, mi creda, non è un complimento. E, come Sacconi - e più tardi Marchionne - sta sposando la tatticuccia di tentare di spaccare il sindacato.Da una parte la Camusso, che su questo tema non le farà mai sconti, e dall'altra i "disponibili", Angeletti & Bonanni. Quelli che andavano a cena di nascosto a Palazzo Grazioli, passando dal retro, come ladroni. E che sull'affaire Alitalia hanno osteggiato almeno quanto Berlusconi la soluzione Air France.
Vede, Monti, il problema non è l'art. 18. L'anno scorso le cause da lavoro intentate sulla base dell'art. 18 sono state meno di 1000, e quasi tutte risolte con concordati. Pochissimi i reintegri. Lei lo sa benissimo, ma il problema dell'occupazione non si chiama art. 18. Si chiama caduta del reddito spendibile, di chiama precarietà, si chiama crollo della domanda. Vogliamo far finta che senza l'art. 18 l'Italia diventerebbe l'Australia? Facciamolo, ma lei sa benissimo che con questa guerra alla Sacconi all'art. 18 non sta incentivando la competitività, ma sta lisciando il pelo a Confindustria e a Berlusconi. Mi scusi per la crudezza del linguaggio.
Il problema della caduta dei consumi è legato ad altro. Ai 3.300.000 precari che si azzannano fra di loro, con l'armamentario di bel 46 possibili forme di precariato legalizzate in questi anni. Non bastano ancora, 46 forme di precariato, per rendere "flessibile" il mercato del lavoro?. E vogliamo per caso discutere di quegli altri 2.200.000 giovani c.d. "NIT" (Not in Economy) che non lavorano, non studiano (perchè non possono o perchè hanno perso fiducia), e che non possono frequentare neppure inesistenti corsi di formazione professionale o artigianale? Infine, ad altri milioni di giovani che il lavoro lo cercano (persino precario, se possibile) senza trovarlo.
Professor Monti, lei sa bene, meglio di me, perchè non si apre il mercato del lavoro ai giovani. L'Italia da mezzo secolo è inchiodata a 22/24milioni di posti di lavoro. Finchè inchioderemo alla scrivania, o - peggio - alla catena di montaggio, masse di sessantacinquenni stanchi, demotivati, smonati, eviteremo accuratamente l'ingresso nel mondo del lavoro di altrettanti giovani. Elementare, Mr. Watson.
E veniamo a questa criminalizzata ricerca del posto fisso (che non vuol dire sedia garantita a vita). Monotono, vero, il posto fisso? Posso capirla. Lei, magari favorito da uno status familiare non da poveraccio (figlio di un direttore di banca, nipote del banchiere Raffaele Mattioli, liceo al Leone XIII, Bocconi, master a Yale col premio Nobel Tobin) non ha avuto - con questo curriculum - molti problemi a sfuggire alla monotonia del posto fisso. Ha potuto cambiare e migliorare tutte le volte che ha voluto. E vorrei vedere...A un livello infinitamente più basso del suo, non l'ho avuto neanche io. Dal 1960 a fine carriera, nel mio piccolo, non mi sono annoiato... Euratom, Unesco, Unilever, Vick International, Leo Burnett, Heinz Group, Barilla, TBWA. Poi una mia società di consulenza. Scelte mie, non imposte da stati di necessità. Aziende che cercavano noi ex giovani ex rampanti, non viceversa. Comoda la vita per la nostra generazione, vero professore?
E ora alle nostre figlie e ai nostri figli che hanno consumato la giovinezza passando da una forma all'altra delle 46 forme di precariato, con alcuni significativi passaggi attraverso il nulla, cosa diciamo? Che devono avere il sole in tasca, perchè la loro si che è stata una bella vita "non monotona"?
Vede, Professore, neanche la mia vita è stata monotona, fatta di "posti fissi", ma non di "posti a vita": io passavo da un'azienda all'altra senza cercare, senza fatica, senza grandi rischi, e migliorando sempre. Che tristezza, la mia vita monotona! E che divertimento, quella non monotona dei nostri figli!
Ma un giorno le racconterò la storia non monotona di alcune giovani coppie che, vivendo non monotonamente, e dovendo rinunciare alla sicurezza nel domani, e persino al mutuo per il bilocale, hanno rinunciato persino alla cosa che avrebbero desiderato di più: un piccolo bambino o una piccola bambina che allietasse le loro vite. Caro Professore, se ne faccia una ragione: la sua non è stata una piccola gaffe. E' stata una frase estremamente idiota, che vale 100 punti di spread.
Quindi c'è stata l'irruzione sulle scene del mitico Michel Martone, con la sua minchiata concorrente sugli "sfigati se non laureati entro 28 anni" A lui non dedicherò la quantità di parole dedicate a Lei. Perchè? Perchè non le merita. E' un piccolo "idiot de poche", un cretino tascabile. Mi denunci pure, se crede. Gli ho dedicato fin troppo del mio tempo, a questo pontificante figlio di papà docente nientemeno che alla Luiss, dove insegnano persino Paolo Bonolis e Quagliariello. Un figlio dei cascami del craxismo, e a sua volta cascame del brunettismo e del previtismo. Non perdiamo tempo. Chi vuole, si rilegga il primo post, che così concludevamo:
"...Sul piccolo cazzaro Michel Martone abbiamo scritto, fin troppo. Il primo post si concludeva con queste parole:
...ecco... questo è il brillante curriculum di un giovane cazzaro che si permette di sputare sentenze su chi si guadagna la vita e si suda la possibilità di fare una carriera accademica. Un raccomandato, un "figlio di" un alto magistrato di non specchiata carriera, uno che ha cercato (e - a quanto sembra - trovato) la sua strada meritocratica fra cascami del craxismo, scodinzolamenti verso e da Brunetta, frequentazioni del "Premiato Studio Previti" e di Verdini. Fulminea, incomprensibile carriera accademica non supportata da nulla. Siamo indignati col giovane cazzaro (...ma non ci avevano detto tutti che "ggiovane è bello"?...), ma siamo sconcertati anche - Mario Monti non ce ne vorrà - con chi lo ha imbarcato al governo. Al cazzaro non abbiamo nessuna domanda da rivolgere. Non abbiamo tempo da perdere. A Mario Monti una sola domanda: PERCHE' ?..."
Tafauns
Il giorno dopo abbiamo chiesto ancora, con un altro post, aggiungendo altri elementi, il perchè di questa improvvida imbarcata al governo di questo ragazzotto presuntuoso, alquanto imbecille, arruolato su pressioni della parte peggiore di Forza Italia. Si attendono risposte.
Ma lasciamo il ggiovane Martone alla sua ggiovanile imbecillità, e passiamo al peggio: le improvvide "uscite a rimorchio" della Cancellieri e della Fornero.
«Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare - ha detto Fornero - Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni»
Partiamo dal caso meno grave, quello della Cancellieri. Sessantanove anni, dal 1993 (cioè da circa vent'anni) prefetto, con una retribuzione che viaggia intorno ai 150.000 € annuali (trecento milioni del vecchio conio, per i nostalgici), si è iscritta al concorso "Minchiata dell'Anno 2012" con questa dichiarazione:
"...noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà..."
Bella dichiarazione. Intelligente. Fatta da chi non sa cosa significhi campare la vita da operaio, con 1300 euri al mese e un figlio disoccupato. Che preferisce "stare con mammà" perchè altrimenti dovrebbe stare sotto i ponti. E dovrebbe stare sotto i ponti, se non "stesse con mammà", anche se lavorasse a 700 euro al mese godendo di una delle 46 forme di precariato.
Cosa le è successo, signora Cancellieri? Nostalgia di Catalano e delle catalanate? Invidia per la fama improvvisa guadagnata dai primi iscritti al concorso "minchiata"? Gelosia nei confronti dell'altra primadonna, la Fornero? Insomma, anche se la sua è una minchiatina di riporto, resta pur sempre una pisciatina fuori dal vaso, di cui non avvertivamo l'esigenza.
Vede, signora, mia figlia, in uno dei tanti passaggi "non monotoni" della sua vita, lavorava a Milano, a 1200 euro al mese (una privilegiata), e ce la faceva solo perchè stava "con mammà", visto che per ogni giorno spendeva (salvo multe, guasti ed imprevisti), 3 euri di tangenziale, 1,50 di parking, 3,00 di metrò, 7/10 euri per un "panino con qualcosa, un bicchiere di coca-cola, un caffè quando voleva sprecare. Dimenticavo: 50 chilometri al giorno da casa al parking del metrò A/R (costo chilometrico: 12 euri). So che lei non ha mai avuto di questi miserabili problemini, ma faccia la somma, signor prefetto: siamo a 28 euro al giorno solo per la mobilità. Siamo a 600 euro al mese, salvo imprevisti. Vede, signoramia? Mia figlia non era una mammona, ma proprio a vivere da sola con 600 euri residui non poteva farcela. Allora ha fatto la scelta vigliacca di "vivere con mammà". Si faccia un regalo: non si unisca anche lei al coro della stronzata libera.
E veniamo al non plus ultra, a quella Elsa Fornero detta "La Madonna Piangente". Confesso che la sua improvvisa commozione - alla prima conferenza stampa - in favore dei poveri, ma anche in favore di telecamera, mi aveva quasi convinto. Poi però qualche dubbio l'ho avuto. Anzichè massacrare con un impervio, insuperabile scalone di 5/6 anni decine di migliaia di persone senza alternative, anzichè avallare quella decisione e piangere, non avrebbe potuto evitare di prenderla, e di dover piangere? Misteri! Ma il peggio di se doveva ancora darlo. e lo ha dato:
"...bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare. Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni..."
E no, signoramia! POSTO FISSO non è "posto garantito a vita". E' un impiego regolare, senza finti contratti di 46 tipi, che possano dare almeno una prospettiva di vita. Il posto fisso non si può dare???? E' proprio sicura? ed è certa di essere la persona più adatta ad impartire queste lezioni? Si contenga, signora! Risulta a noi plebei che in casa sua, su tre persone, ci siano ben quattro posti fissi. Nessuno discute dei meriti. Ma la Famiglia Deaglio - Fornero non credo sia l'unica, in Italia, ad avere dei meriti. E poi... quella strana (e comoda) casualità, per la quale tre dei quattro posti fissi sono nello stesso luogo, l'Università di Torino... Niente di grave, ma comodo è comodo. Volendo, si può fare persino il car-sharing, risparmiando anche sulla benzina... Non capita a tutti.
Scrive il Corsera - che non è certamente la Pravda:
Silvia Fornero, e una famiglia molto unita
"...fra i bersagli delle proteste e delle ironie della rete c'è anche Silvia Deaglio, figlia del ministro Elsa Fornero e di Mario Deaglio, economista e giornalista. Perché, di posti fissi, denuncia il web, ne avrebbe addirittura due, a soli 37 anni: professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell'Università di Torino e responsabile della ricerca alla Hugef, una fondazione che si occupa di genetica, genomica e proteomica umana. Alcune sue ricerche sono state finanziate dalla banca Intesa Sanpaolo...". Dal ministero però si precisa che non ha due lavori, ma è docente universitario, pagata solo dall'ateneo. E che la ricerca, alla quale si è dedicata dopo avere lavorato per due anni ad Harvard, è sostenuta da un finanziamento internazionale.
OK, OK, uno dei due noiosi lavori fissi non è uno stipendio dell'Università, ma un "sostegno da finanziamento internazionale". Prendiamo atto, e aspettiamo di sapere quante altre ragazze, a Torino, abbiano il "sostegno da finanziamento internazìionale", e una docenza a 37 anni. (Ma che vecchietta, rispetto al Martone, docente a 29... NdR)
Certamente, in famiglia, tutti siete bravi. Ma se uno arriva, poniamo, da incarichi governativi nel 2001 (Governo Berlusconi); da incarichi dirigenziali in Banca Intesa (dalla quale, per combinazione, arriva anche Corrado Passera); da incarichi nella World Bank; da collaborazioni al Sole24Ore; da posizioni dirigenziali in Confindustria; da un matrimonio con l'economista Mario Deaglio... se uno arriva da tutto questo, converrà con me che:
-a) è più probabile che per la figlia della mia portinaia (laureata alla Statale di Milano con 110 e lode), accedere a così alta carica, e ritrovarsi con quattro introvabili (per gli altri) "posti fissi", da dividersi in tre;
-b) sfortuna nella fortuna, ciò la rende però, contestualmente, la persona meno adatta a fare la lezioncina agli altri sul "posto fisso che non c'è.
C'è, signoramia, c'è... l'importante è cercarlo nella direzione giusta, e provenendo dal contesto giusto. O no? Quindi informi pure questi giovani cretini che aspitrano ad un posto a tempo indeterminato (che non significa a vita, sa?) che non lo avranno mai, ma non lo faccia lei in prima persona. Mandi avanti un suo tirapiedi. Gli spieghi che non può farlo lei direttamente, perchè le scapperebbe da ridere.
Ai nostri figli, cari Monti, Clini, Martone, Cancellieri, Fornero, scappa da piangere. A Monti chiediamo solo una cosa: i nostri figli sanno già (glielo abbiamo spiegato noi) che dovranno penare, dovranno scontare gli errori fatti dalla NOSTRA generazione. Lo sanno, e potrebbero persino farsene una ragione. Ma il vostro involontario umorismo da Bagaglino non li aiuta. Quindi Monti metta la museruola agli membri del suo governo, ma anche a se stesso. Intere generazioni di sfigati - mammoni - non monotoni precari e disoccupati gliene saranno grati.
Tafanus
Scritto il 07 febbraio 2012 alle 23:30 nella Economia, Politica, Tafanus | Permalink | Commenti (42)
Tag: anna maria cancellieri, elsa fornero, mammoni, mario deaglio, mario monti, michel martone, padoa schioppa, posto fisso, sfigati, silvia fornero, tafanus
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...com'è vecchio, questo "nuovo che avanza!...
Scritto il 07 febbraio 2012 alle 16:15 nella Criminalità dei politici, Politica | Permalink | Commenti (8)
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Pini, il leghista evasore a sua insaputa. Chi è l’uomo che vuole farla pagare ai giudici - E' lui l'autore dell'emendamento sulla responsabilità civile. Il suo curriculum passa da inchieste per false fatturazioni alla richiesta di far trasferire il questore Germanà
Anche l’onorevole leghista Gianluca Pini, autore dell’emendamento approvato giovedì dalla Camera sulla responsabilità civile dei giudici- come da copione vanta una storia di una truffa avvenuta a “sua insaputa”. Quando la Guardia di Finanza scopre che la società Scyltian dicasi “cartiera” ha tra i vari clienti anche la sua ditta, la Nikenny, per impedire ogni verifica, ricorre all’alibi del furto della contabilità aziendale (per la legge è reato solo l’uso della fattura falsa). Così in mancanza di accertamenti ne esce “illeso” penalmente. Paga solo 196.467 mila euro più 23.920 mila euro di interessi sui 679.000 euro contestatigli dall’Agenzia delle Entrate. Pini è un imprenditore “flessibile” passa dall’import-export di elettronica di consumo – la Nikenny chiusa nel 2005 – alla Nikenny Corporation srl messa in liquidazione nel 2011 di cui Pini è procuratore institore con una vasta gamma di poteri.
Ma ad essere accusata dalla Procura della Repubblica di Forlì di aver “utilizzato ed emesso al fine di evadere le imposte sui redditi e o sul valore aggiunto fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2004 per complessivi euro un milione 419, 044 mila emesse dalla Tech line srl e nell’anno 2003 per fatture emesse dalla Full service srl per euro 627, 00 mi-la nonché l’emissione di fatture alla “Full service” srl per euro 217, 243, 61” è l’Amministratore, Alessia Ferrari, ex dipendente della Nichenny di Pini, società che era tra i clienti della “cartiera”.
Al momento della liquidazione è anche emerso che non erano state pagate multe per 4 mila e trecento euro. L’auto, ancora oggi usata dall’onorevole leghista, una Bmw X 6 nera, è una di quelle intestate alla società. A seguire nasce la Gold Choice srl, import-export di caffè, amministratrice la sua compagna Paola Ragazzini, infermiera all’ospedale di Lugo in aspettativa da quando è diventata suo “portaborse” ed infine germoglia la Grado Golf and Resort srl, con sede a Roma in via Frattina. Società che nasce esclusivamente per la realizzazione di un Resort sui terreni di proprietà di Zamparini della Palermo Calcio. Operazione da 150 milioni di euro. Ad occuparsi di trovare investitori è il professionista Roberto Zullo: nomi protetti dallo schermo di una società inglese Reset Ltd. Ma l’operazione salta e la società resta inattiva.
Pini fa eleggere consigliere comunale Francesco Aprigliano, poliziotto di Rossano Calabro in servizio a Forlì. E quando questo viene sottoposto a provvedimento disciplinare dal questore Calogero Germanà perché svolgeva l’attività di immobiliarista e imprenditore, Pini presenta un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Maroni, suo uomo di riferimento nella Lega, per chiedere l’immediato trasferimento di Germanà. Germanà, vale la pena ricordarlo, è l’investigatore miracolosamente scampato, dopo due mesi dalla strage di Via D’Amelio in cui venne ucciso Paolo Borselino di cui era stretto collaboratore, all’agguato sul lungomare di Mazzara del Vallo. A sparargli con fucili a pallettoni e kalashnikov il gotha di Cosa Nostra: Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Un eroe vivente, seppure sia stato nominato questore dopo 12 anni.
Pini prendendo a pretesto una denuncia, archiviata per infondatezza, nei confronti del questore da parte del sindacato Siulp in merito a presunte disparità di trattamento degli straordinari scrive: “Mi chiedo se il Ministro intenda provvedere celermente con un provvedimento di turnazione nei confronti del questore evitando altresì che la nuova sede non sia vicina a quella attuale”. Ritenendo Ravenna, sede vacante, troppo vicina a Forlì per un questore, ritenuto così “scomodo” chissà perché. Germanà, simbolo della lotta alla mafia, viene inviato a Piacenza dall’ex Ministro che ama rivendicare i meriti della cattura dei latitanti. Forse per questo Pini non potendo far trasferire i magistrati scomodi ha pensato ad una norma per punirli minandone l’indipendenza?
(di Sandra Amurri - Il Fatto Quotidiano)
Più informazioni su: Agenzia delle Entrate, aprigliano, Bagarella, forlì, germanà, graviano, lega, Maroni, maroniani, nicchenny, pini, procura, responsabilità civile giudici, scyltian, siulp
Ma l'onorevole patano non ci sta, e precisa:
Senza pregiudizio alcuno per le doverose azioni legali che il sottoscritto comunque attiverà nei confronti della persona che ha firmato del pezzo e della testata per diffamazione e danno di immagine, mi sia permesso, a norma delle vigenti leggi sulla stampa, di precisare, tra le tante varie insinuazioni che qualcuno dovrà rimangiarsi presto dovendone rispondere davanti alla magistatura, quanto segue:
– le cifre sulla verifica fiscale relativa ad un fatto a me non ascrivibile (ero all’estero! ) sono diverse da quelle riportate e comunque regolarmente da me saldate per correttezza e onestà nonostante a me non imputabili come colpa.
– i fatti sanzionati amministrativamente riguardano l’anno fiscale 2002 (non ero deputato), anno per il quale avrei potuto chiedere il condono tombale ma non l’ho fatto essendo sereno sulla correttezza dell’operato.
– pago di tasse circa il doppio di quanto ricevo di indennità parlamentare;
– grazie ad un mio emendameto approvato nel decreto di liuglio 2011 le società cartiere che frodano le dogane sono state bloccate, con un recupero di IVA evasa di circa 50 milioni di euro al mese, strana battaglia politica per un presunto evasore…
– riguardo alla ditta In liquidazione io sono, come altri miei soci, parte lesa.
– non sono mai stato inquisito ne conannato per nessun reato di natura fiscale ne per qualsiasi reato assimilabile; – posso tranquillamente produrre tanto il casellario giudiziale quanto i carichi pendenti, assolutamente puliti;
– dalla data delle mia prima elezione non ho più svolto il ruolo di procuratore o amministratore di alcuna ditta e quello al quale si fa riferimento nel pezzo è stato rimesso nel 2009. – non ho nessun portaborse, verso la quota alla Lega;
– la signora Ragazzini citata non è la mia compagna. – la mia compagna, che non fa l’infermiera e non lavora a Lugo, è si in aspettativa ma seguito di un infortunio grave occorso a suo figlio, mi auguro che qualcuno si vergogni come un cane per aver speculato sui problemi di un bambino.
– le ragioni circa la mia battaglia, alla luce del aole, contro il questore Germanà nascono da denuncie sindacali circostanziate e comunque il suo trasferimento è avvenuto 2 anni dopo la mia interrogazione e 7 anni dopo il suo arrivo a Forli. Una permanenza stranemente lunga per un questore in una piccola realtà, sulla quale se vuole sono disponibile a raccontarle per onor di cronaca.
– in quanto alla Grado Golf Resort che il suo stesso giornale l’ha definita un’operazione immobiliare senza successo, al massimo puó accusarmi di aver investito male 50mila euro, ma questi sono magari problemi miei, non suoi. Per inciso, non conosco Zamparini e non mai l’ho incontrato.
– ogni mia iniziativa imprenditoriale è stata fatta in prima persona, senza filtri o fiduciarie, non so se altri deputati che lei tanto esalta possono dire la stessa cosa.
– nessuna mia attività imprenditoriale si è mai sovrapposta o è stata aiutata dalla mia azione politica, semmai alcune di queste ne hanno subito un danno per la mia appartenenza politica. Le altre – tante – insinuazioni, falsità ed inesatteze le saranno poi chiarite nel momento in cui la testata e la giornalista dovrà risponderne in giudizio. Avviso gli “amici” (magistrati?) del il Fatto che hanno armato la penna di un falso e vecchio scoop e che da anni scandagliano la mia vita per sputtanarmi politicamente che non mi faccio intimidire da questi metodi mafiosi.
Sempre pronto al confronto, così come sono sempre pronto a reagire duramente a insinuazioni e accuse strumentali, con l’occasione porgo i miei saluti ed i migliori auguri di buon lavoro
Gianluca Pini
Scritto il 07 febbraio 2012 alle 12:00 nella Criminalità dei politici | Permalink | Commenti (0)
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Ora che l’incanto della città innevata è svanito, restano i marciapiedi ghiacciati, le tante strade mai pulite, le scale delle metro come a Cipro o a Lepanto dove si rischia l’osso del collo; perfino le vie dello shopping di via Cola di Rienzo sono lastre gelate. E sono passate 60 ore dalla grande nevicata. Sarà così per molti giorni ancora, se nessuno interviene, e ogni camminata reca con sé il rischio di una rovinosa caduta. Quell’uscita alla Petrolini, “ora spalate!”, diventa così anche metafora della destra al potere in questi anni. Una classe dirigente inadeguata.
Il giorno che Gianni Alemanno divenne sindaco di Roma, 28 aprile 2008, il berlusconismo, inteso come cultura politica e stile di vita, era al suo apogeo. Alemanno non aveva fatto malissimo come ministro, molti di sinistra lo votarono; oggi Roma è una capitale senza una visione, priva di una parvenza di futuro, infestata dalla criminalità e il suo sindaco infila una gaffe dopo l’altra.
Berlusconi ha portato il Paese sull’orlo della bancarotta, e trascorre i suoi giorni a presentare i libri dei discepoli Scilipoti e Razzi, e c’è sempre Sgarbi che a un certo punto spunta con il suo codazzo di pornostar; Formigoni a Milano è contestato e angustiato da scandali gravi; Tremonti, l’unico che a un certo punto aveva provato ad elaborare un pensiero politico, è dilaniato dal rancore; il giovane Alfano era una speranza, ed esordì con l’annuncio sul “partito degli onesti”, ma la mattina che si doveva decidere del destino di Cosentino alla Camera lo accompagnò a palazzo Grazioli per il viatico decisivo. Le “bravissime” Brambilla, Carfagna, Gelmini dovranno trovarsi un altro lavoro. Nella Sicilia del 61 a 0 la gente invoca i forconi.
Non un leader degno di questo nome, un’idea che sia rimasta. “Spalate!” Sì, ai cittadini tocca rimuovere le macerie lasciate dalla destra italiana al potere.
(di Concetto Vecchio)
Scritto il 07 febbraio 2012 alle 10:30 | Permalink | Commenti (3)
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Scritto il 07 febbraio 2012 alle 08:00 | Permalink | Commenti (5)
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