Dopo le recenti discussioni su nucleare ed energie rinnovabili, capita come il cacio sui maccheroni questo articolo di Stefano Vergine sul progetto "Desertec". E con questo forse dovremmo porre fine a qualsiasi diatriba sull'argomento. Ecco uno stralcio dell'articolo:
Si chiama Desertec. È un progetto faraonico. Per generare e portare in Europa energia dal deserto. La centrale, potente come una nucleare, partirà entro l'anno. Ecco come funzionerà
Sfruttare il sole africano per creare energia pulita. Sembrò un'idea fantastica quella del fisico tedesco Gerhard Knies che nel 1986 riassunse le sue ricerche in questa frase: "In sole sei ore arriva nel continente africano una quantità di energia solare pari a quella consumata nel mondo in un anno intero". Insomma, se solo in una piccola parte del deserto del Sahara fossero installate strutture capaci di trasformare quella luce in energia, l'Europa avrebbe risolto buona parte dei suoi problemi. E a 25 anni di distanza, l'utopia è diventata un progetto. Si chiama Desertec, ha tra i sostenitori parecchi pesi massimi dell'industria europea e vanta un doppio obiettivo. Da un lato fornire elettricità alle popolazioni di Nord Africa e Medio Oriente; dall'altro importare verso Nord l'energia in eccesso, diminuendo così la nostra dipendenza dai combustibili fossili.
Per la precisione, Desertec punta a soddisfare entro il 2050 l'intero fabbisogno energetico di Nord Africa e Medio Oriente, oltre al 15 per cento delle necessità europee. E vuole farlo costruendo una immensa rete di impianti solari ed eolici connessi al Vecchio Continente attraverso dei cavi sottomarini. Le incognite però non mancano. A partire dal finanziamento necessario per realizzare il progetto. Per finire alle incognite sulla stabilità politica dell'area. E poi gli interrogativi tecnici: gli impianti reggeranno alle tempeste di sabbia del Sahara? Ci sarà abbastanza acqua per farli funzionare? E alla fine, l'energia sarà davvero conveniente per i consumatori?
Ma i soci di Desertec Industrial Initiative (DII), il consorzio a maggioranza tedesca promotore dell'iniziativa, non sembrano preoccupati. Alla fine dell'ottobre scorso, Ernst Reuch, amministratore delegato di Munich Re, gigante assicurativo e socio forte di Dii, annunciava che i lavori di costruzione della prima centrale inizieranno quest'anno. Un'accelerazione di marcia improvvisa, visto che nel 2009, quando il consorzio fu creato, la data d'inizio era fissata al 2015. Il primo tassello di Desertec dovrebbe sorgere nella città marocchina di Ouarzazate, ultimo avamposto urbano prima del Sahara: una centrale solare da 500 MW, che per intenderci equivale a quanto può produrre un impianto nucleare. La centrale marocchina costerà circa 2 miliardi di euro e sarà costituita da quattro impianti fotovoltaici e due solari termodinamici.
Proprio su quest'ultima tecnologia sembra voler puntare Dii. A differenza del fotovoltaico, dove l'energia solare viene convertita in elettricità grazie ai semiconduttori (solitamente il silicio), nel solare termodinamico la luce viene riflessa da una serie di specchi verso un tubo al cui interno scorre un fluido. Raggiunta la temperatura ideale, il fluido (oli o sali fusi) finisce dentro uno scambiatore di calore dove produce vapore che, come in qualsiasi centrale termica, aziona una turbina da cui si genera elettricità. Il vantaggio principale è che, a differenza di eolico e fotovoltaico, grazie alla possibilità di accumulare calore, il solare termodinamico permette di produrre elettricità senza sosta. Proprio come una centrale a gas o a carbone. Con il vantaggio di emettere una quantità di gas serra infinitamente più bassa. Inoltre i pannelli sono ormai quasi tutti fatti in Cina, mentre il solare termodinamico è una tecnologia finora prodotta per gran parte in Europa. In Germania, in particolare. Le tedesche Siemens e Schott Solar, entrambe azioniste di Dii, sono tra le poche società al mondo capaci di realizzare i tubi di vetro attraverso cui scorre il liquido riscaldabile.
Per preparare il terreno, a metà dicembre Dii ha firmato un memorandum di intesa con Sonelgaz, il monopolista algerino di gas ed elettricità. Anche con la Tunisia del dopo Ben Ali i contatti per installare impianti sono stati già avviati, mentre resta per ora il silenzio sulle trattative con Egitto e Libia. Di certo a far parte del Desertec non sarà solo il Marocco, sicuramente oggi tra i paesi nordafricani più stabili a livello istituzionale e già dotato di un collegamento con l'Europa grazie a due cavi sottomarini con una capacità complessiva di 1.400 megawatt che arrivano in Spagna.
Proprio quello del trasporto è un problema ancora tutto da risolvere. Per ora Desertec ha firmato un accordo quadro con Medgrid, un consorzio a maggioranza francese composto da operatori delle reti europee, ma di progetti concreti ancora non ce ne sono. E diversi analisti sostengono che Medgrid, più che un consorzio complementare al Desertec, sia un progetto concorrente. Spiega Stefano Casertano, docente di Politica Internazionale all'Università di Potsdam, in Germania: ""In teoria Desertec produce e Medgrid trasporta, ma la pressione esercitata da Parigi perché Medgrid vedesse la luce e partecipasse all'impresa, unita alla presenza nel consorzio di aziende transalpine come Alstom e Areva, tradizionalmente produttrici di energia, lascia credere che la Francia non si voglia accontentare di mettere i cavi sott'acqua e stare a guardare i tedeschi che installano miliardi di euro d'impianti solari". Insomma una battaglia tra Francia e Germania che si è già fatta sentire con l'acquisto della società israeliana Solel, leader nella realizzazione di impianti solari termodinamici, conquistata infine da Siemens con un'offerta da 400 milioni di dollari che ha sbaragliato la concorrenza delle transalpine Alstom e Areva.
Per realizzare l'intero progetto, linee di trasmissione comprese, Dii ha ipotizzato che da qui al 2050 saranno necessari 400 miliardi di euro. La cifra è enorme, ma i nomi degli azionisti fanno pensare che alla fine, recessione permettendo, i quattrini si troveranno. Mettendo insieme i due consorzi emerge il gotha dell'economia europea: ci sono le tedesche E.on, Siemens, Rwe e Deutsche Bank; le francesi Alstom, Areva, Edf e Saint Gobain; le spagnole Red Electrica e Abengoa; le italiane Enel Green Power, Terna e Unicredit. Una ridda di nomi che ha già attirato le critiche di chi sperava che con la rivoluzione rinnovabile non si passasse semplicemente dal petrolio al sole, ma da un modello di produzione centralizzato ad uno diffuso, dalla grande centrale controllata dalla multinazionale ai piccoli impianti installati sul tetto di ogni casa.
E l'Italia non sta a guardare
Che ruolo avrà l'Italia nello sviluppo del Desertec? Quasi sicuramente sarà un punto di passaggio dell'energia visto che, cartina alla mano, i cavi che collegheranno Africa e Europa potranno passare sul nostro territorio, su quello greco e su quello spagnolo. Qui in prima fila c'è Prysmian, leader mondiale nella produzione di cavi, che vicino a Pozzuoli ha uno stabilimento di oltre 400 dipendenti dove si realizzano proprio quelli sottomarini. Nel consorzio Medgrid ci sono anche i francesi di Nexans, grandi concorrenti della ex Pirelli Cavi.
Non ci sono però solo i cavi. "I grandi vantaggi dovrebbero riguardare la nostra intera industria, perché abbiamo tutte le condizioni per ospitare una filiera completa", dice Cesare Fera, presidente Anest, l'associazione italiana che raccoglie 25 aziende attive nel settore del solare termodinamico, tecnologia candidata a diventare simbolo del Desertec.
Tra i soci italiani di Desertec e del francese Medgrid ci sono Enel Green Power, Terna e Unicredit. Nessuno di questi produce tecnologia. Eppure è stato il premio Nobel per la fisica, Carlo Rubbia, a inventare i tubi ricevitori a sali fusi, cuore di questo genere di impianti. Nonostante ciò, in Italia il solare termodinamico non si è ancora sviluppato. L'unica produzione arriva dalla mini-centrale di Priolo Gargallo (Siracusa), basata proprio sulla tecnologia inventata da Rubbia e messa in funzione dopo dieci anni di difficoltosa gestazione grazie a una collaborazione tra Enel ed Enea.
"È mancata la volontà politica per uno sviluppo del settore", sostiene Fera. Il Conto energia attualmente in vigore promette incentivi per 125 milioni di euro all'anno per 25 anni, ma secondo Anest i vincoli tecnologici e autorizzativi sono troppo stringenti. Il risultato è che mentre in Spagna ci sono 15 centrali funzionanti e 18 in costruzione, per un totale di 2.500 MW, in Italia ci dobbiamo accontentare dei 5 MW di Priolo Gargallo e dei 180 MW in corso di autorizzazione: oltre dieci volte in meno. L'associazione che raccoglie i produttori italiani di specchi, tubi e motori non ha perso però le speranze. Spiega Fera: "Meglio di noi hanno fatto anche Germania e Usa. Ora però, con il nuovo governo, sembra che le cose stiano cambiando. Il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, dovrebbe varare a breve un decreto per stimolare lo sviluppo di una filiera in Italia ed evitare, come accaduto già con i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, che anche questa tecnologia rinnovabile diventi un prodotto made in China". Anche perché i campioni nazionali non mancano. Nel 2009 la tedesca Siemens ha voluto creare una joint venture con Angelantoni, azienda umbra che per prima ha sviluppato industrialmente i tubi ricevitori a sali fusi inventati da Rubbia. Proprio quei componenti che potrebbero trasformare in elettricità il sole del Sahara.
(di Stefano Vergine - l'Espresso)
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