Dunque, secondo la Suprema Corte è "inammissibile" il ricorso della Procura di Palermo che si appella per chiedere una pena superiore ai sette anni alla quale una sentenza d'appello condanna Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Leggere quanto scritto dal PG Francesco Iacoviello genera un senso di vertigine. Iacoviello derubrica il reato di concorso esterno in "un reato autonomo, in cui nessuno crede". Di grazia, Iacoviello, spiegherebbe anche a noi cosa significa questa frase? Ma diamo un piccolo estratto delle perle giuridiche di Iacoviello:
Per il procuratore generale Iacoviello "l'accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurisprudenziali non ce ne sono e non viene mai citata la sentenza "Mannino" della Cassazione, che è un punto di riferimento imprescindibile in processi del genere" (...insomma, per assolvere Dell'Utri del PdL, si deve citare e accettare che faccia giurisprudenza la "sentenza Mannino" del PdL. Mi viene in mente il famoso dipinto "I ciechi" di Breughel: l'uno si appoggia all'altro, e segue senza farsi domande, e senza sapere dove stia andando.
Iacoviello si pone delle domande: "Chiedo alla Corte: esiste il ragionevole dubbio? Nessun imputato ha più diritti di altri e nessun imputato ha meno diritti di altri". "La sentenza impugnata sostiene l'esistenza del reato di concorso esterno in associazione semplice fino al 1982, poi parla di concorso esterno in associazione mafiosa fino al '92”. E rivolto alla Corte : “Nessuno ha mai sostenuto una tesi del genere, voi sareste i primi". Il concorso esterno in associazione mafiosa, secondo Iacoviello, "è diventato un reato autonomo" in cui "nessuno crede. Io ne faccio una questione non a favore dell'imputato, ma a favore del diritto". Il pg ha voluto, invece, sottolineare che il ricorso della procura di Palermo "non è conforme agli schemi del ricorso per Cassazione, perché è fatto per episodi, non per motivi" (come il 99,9% dei ricorsi per Cassazione. La Legge è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale. NdR).
Inoltre, il ricorso è incentrato sul "vizio motivazionale". La "realtà giuridica - ha osservato - è che il ricorso per vizio motivazionale presentato dal pubblico ministero deve essere accolto solo in casi eccezionali. Se lo presenta il difensore, viene accolto nel caso in cui si dimostri il ragionevole dubbio, se lo presenta il pm, questo deve dimostrare che l'ipotesi alternativa resta al di sotto del ragionevole dubbio". (Con tanti saluti al principio della parità fra accusa e difesa. Qualcuno ricorda l'ignobile proposta del Governo Berlusconi, che voleva concedere alle difese il diritto ad appellarsi contro le condanne in primo grado e in appello, ma voleva vietare alla pubblica accusa di appellarsi contro una sentenza d'assoluzione in primo grado? Non era magnifica? NdR)
Dell’Utri era stato condannato dal Tribunale di Palermo l'11 dicembre 2004, a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa perché l'accordo con la mafia e, in particolare, con i fratelli Graviano, era stato ritenuto provato anche dopo il 1993. Secondo la Procura di Palermo rappresentata da Antonino Gatto, i giudici di appello, che avevano ridotto la pena a 7 anni, avevano dato scarsa rilevanza alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che, nelle sue dichiarazioni, aveva parlato di un vero e proprio "patto tra Cosa Nostra e Forza Italia". Un giudizio non condiviso dalla Procura della Cassazione. I legali di dell’Utri avevano chiesto l’assoluzione: "I giudici di Palermo sono stati assediati da una Procura che, a ogni costo, voleva provare quello che non si poteva provare e hanno finito con lo scrivere una sentenza che contiene solo acrobazie". (Agenzia "Il Velino")
Ma il concorso esterno esiste o non esiste? e comunque lo si voglia definire, il problema principale resta il seguente: Dell'Utri è stato o meno organico agli interessi mafiosi? Ha dato una mano? si è servito della mafia? la mafia si è servita di lui? Questo, caro Iacoviello, dovrebbe essere il tema, non se la sentenza di condanna e l'appello della procura abbiano o non abbiano citato la sentenza Mannino, che soffre esattamente della stessa malattia che rende inaccettabili le sue parole. Il formalismo contro la sostanza. L'Italia ricorda ancora il lavoro immane di alcuni maxi-processi vanificato da un giudice dal cognome carnascialesco, magari per vizi veniali di forma (una firma messa su una riga sbagliata, ed altre amenità di questo genere).
Abbiamo dato voce, nel dirimere questa sottile questione, a due giornali di opposta tendenza: Il Fatto, e Il Giornale. A coloro che volessero farsi un'idea personale su chi sia Dell'Utri, in calce suggeriamo tre libri d'inchiesta sull'argomento. Libri che invano i diretti interessati hanno tentato - con tutti i mezzi - di far sparire dalla circolazione. Ricorsi legali (respinti) e addirittura - sembra - acquisti massicci, nelle librerie e nelle edicole, dei libri in questione. Ecco, quei libri esistono, non ne è stato ordinato il ritiro dal mercato, e l'editore non è stato condannato. Vorrà dire qualcosa. O no?
Mafia, il concorso esterno esiste. Decine di condanne, non solo eccellenti (Il Fatto)
Dopo l'annullamento della sentenza contro Marcello Dell'Utri, si riapre il dibattito sul reato "inventato" da Falcone e Borsellino. Che ha portato a pene definitive per decine di colletti bianchi collusi con Cosa Nostra e per diversi politici siciliani. Ma anche a processi controversi. Il dibattito spacca anche la magistratura
Pino Giammarinaro fu assolto perché una norma provvidenziale introdusse l’obbligo per i pentiti di ripetere in aula le accuse, Filiberto Scalone (An) e Gaspare Giudice (Forza Italia) vennero assolti in appello dopo una condanna in primo grado, Calogero Mannino (Dc) ha fatto scuola per la Cassazione: la sua sentenza restringe notevolmente l’ambito di applicazione del reato. E dc sono anche gli unici politici a pagare con una condanna definitiva, Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo.
Assoluzioni, ma anche molte condanne, da Bruno Contrada e Ignazio D’Antone, a decine di professionisti. Negli anni ’80 era il reato dei colletti bianchi, nell’Italia mafiosizzata di oggi è l’imputazione dei potenti: sono indagati per 110 e 416 bis, tra gli altri, il presidente del Senato Renato Schifani, l’ex ministro Saverio Romano, a Palermo, e a Catania l’editore Mario Ciancio. ”Utile, ma complicato”, come dice il procuratore di Palermo Pietro Grasso, il concorso esterno lo hanno inventato Falcone e Borsellino a metà degli anni ’80, e fu subito polemica tra procura e ufficio istruzione: i pm parlarono di mera contiguità, i due magistrati uccisi nel ’92 lo ritennero un termine inadeguato per descrivere il rapporto tra i boss e la società civile "che conta" e nell’ordinanza del maxiprocesso posero le basi per la nascita del concorso esterno in associazione mafiosa: medici, ingegneri, architetti, avvocati e naturalmente politici collusi con le cosche avevano trovato una sanzione penale dall’unione di due articoli, 110, concorso di persona nel reato, e 416 bis, associazione mafiosa.
Da trent’anni il concorso esterno è al centro di una guerra di religione tra due culture giuridiche, risolta, finora, dalla Cassazione, in favore dell’esistenza, e dell’applicabilità, di questa fattispecie: se nel ’94, la sentenza Demitry aveva limitato ai casi di sola "emergenza", e quindi anormalità, della vita dell’associazione criminale la possibilità di riconoscere un “concorso esterno”, nel 2002 le Sezioni Unite scrissero nella sentenza sul giudice Corrado Carnevale, annullata senza rinvio: “Conclusivamente deve affermarsi che la fattispecie concorsuale sussiste anche prescindendo dal verificarsi di una situazione di anormalità nella vita dell’associazione’’. Parole autorevoli sia per chi le ha pronunciate, sia per la qualità dell’imputato, in attesa di essere confermate o smentite dalle motivazioni del verdetto di annullamento del processo Dell’Utri.
Ma se l’esistenza, fino a oggi, del 110 e 416 bis è stata progressivamente accettata e confermata, l’ambito della sua applicabilità ha scatenato gli scontri più accesi tra i pm e le fazioni politico-giudiziarie ultragarantiste e persino all’interno degli stessi uffici giudiziari, divisi sulla valutazione in caso di imputati eccellenti: in disaccordo con i colleghi il pm Gaetano Paci lasciò il processo Cuffaro avviato verso un’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia. Sostenne che se al postino delle informazioni riservate sulle indagini antimafia, l’ex assessore Mimmo Miceli, si applica il concorso esterno, alla fonte – Cuffaro – non si può applicare un reato minore [...]
Eppure gli stessi fatti sono stati qualificati come reato dalla Cassazione, che ha considerato, per esempio, la candidatura di Mimmo Miceli come frutto di un accordo politico-mafioso con il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. La domanda finale investe uno dei nodi delle inchieste in corso: quell’accordo (e dunque l’accordo politico-mafioso, ove provato) costituisce favoreggiamento alla mafia, come già stabilito dalla Cassazione, oppure qualcosa di diverso e più grave?
Questo il parere del"Fatto". Ma per il Geniale il concorso esterno non è reato. E' solo una birichinata... Solo nel titolo, però. Perchè nel corpo dell'articolo qualche dubbio sorge anche al giurista consultato dal Geniale:
"Ecco perché il concorso esterno non è reato" - L’intervista a Paolo Pittaro, esperto di diritto penale (di Emanuela Fontana - Il Giornale)
Professor Paolo Pittaro, il sostituto procuratore generale della Cassazione Iacoviello, nella sua requisitoria precedente l’annullamento della sentenza Dell’Utri, ha dichiarato che al reato di concorso esterno in associazione mafiosa non crede più nessuno. È un’esagerazione?
«Personalmente credo che questa frase abbia un fondamento».
Il concorso esterno è un reato che è un «non reato»?
«È un reato che soffre di una certa dose di indeterminatezza. Parlare di un concorso esterno è difficile e quasi contraddittorio. Come può esistere un concorso se il soggetto non fa parte dell’associazione? A meno che non ci sia un favoreggiamento, ma in relazione a ogni singolo reato».
Il pg Iacoviello, sempre nella sua requisitoria, ha accusato i pm di Palermo e i giudici della corte d’Appello che hanno gestito il caso Dell’Utri di non aver mai fatto riferimento alla sentenza Mannino. Cosa significa?
«La sentenza Mannino sostanzialmente dice che non basta che un politico al momento dell’elezione esprima una certa vicinanza, o una disponibilità a esponenti mafiosi per configurare un concorso esterno. Deve esserci stato un contributo concreto da parte del politico. Deve aver fatto qualcosa per tenere in piedi l’associazione. Deve esistere un nesso di casualità e non solo di contiguità. E questo contributo concreto deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio. Questo è il punto fondamentale a mio parere della decisione della Cassazione di annullare con rinvio la sentenza Dell’Utri».
Altrimenti, per dire, anche Frank Sinatra sarebbe potuto essere accusato, per il solo fatto di avere amici mafiosi. (...qui siamo alla domanda con risposta incorporata... NdR)
«Le cattive amicizie sono moralmente condannabili ma giuridicamente devono avere delle prove. Il soggetto deve aver fatto qualcosa di specifico a favore dell’organizzazione».
Il concorso esterno quindi è ormai contestabile da molti punti di vista?
«È un reato creato dalla giurisprudenza e non dalla legge. La prima obiezione che molti muovono è se possa esistere il concorso esterno senza iscrizione all’associazione: il concorso o c’è, o non c’è, o si deve parlare di favoreggiamento, ma per delitti singoli. Il secondo, se il reato associativo è permanente, ossia dura nel tempo, come fa a essere compatibile con un contributo sporadico? Essendo poi un delitto, tutto deve essere supportato dal dolo, ovvero deve esserci stato un contributo per tenere salda l’associazione».
Ma anche qui servono le prove.
«Il pentito è una fonte notevole di prove, ma che deve essere suffragata da altre prove. Le indicazioni devono essere confermate. Questo non vale solo per il concorso esterno».
Crede sia giunto il momento di annullare o di rivedere questo reato?
«La mera disponibilità, l’appoggio che non si concretizza, non può allargarsi alla fattispecie del reato. Ho forti perplessità sul concorso esterno, è un problema di garanzia per i cittadini, un discorso di legalità che non riguarda solo i politici. Oppure diamo una formulazione diversa al concorso, con determinati criteri definiti dal legislatore».
Queste le posizioni sul "concorso esterno". Ma se questo reato non esiste, quelli che sono in galera per concorso esterno potrebbero chiamare in giudizio lo Stato per sequestro di persona... O no? Ma nella sostanza, i rapporti di Dell'Utri (funzionali, non solo di imprudente amicizia), sono ben documentati e provati nei libri citati all'inizio di questo articolo (editi dalle Edizioni Kaos), di cui forniamo i sommarietti:
DOSSIER DELL’UTRI - Prefazione di Gianni Barbacetto - Il testo integrale della requisitoria dell’accusa al processo di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, condannato per concorso in associazione mafiosa.
«Il ruolo e la posizione di Marcello Dell’Utri rispetto all’organizzazione mafiosa, le sue relazioni, la sua posizione di garante degli interessi mafiosi negli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi, con particolare riferimento al gruppo Fininvest... Fatti obiettivi e concrete condotte dell’imputato, sviluppatesi nell’arco di un trentennio a partire dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, condotte che hanno costituito un contributo più che significativo al consolidamento e al rafforzamento di Cosa nostra, così da agevolarne il perseguimento delle sue finalità criminali...
Così come è stata acquisita la prova del pieno inserimento di Gaetano Cinà nell’organizzazione mafiosa, [nonché] la prova dei rapporti di Cinà con il coimputato Dell’Utri, e dei rapporti di entrambi con Vittorio Mangano e con altri elementi di spicco dell’associazione mafiosa come Stefano Bontate, Girolamo Teresi, i Di Napoli, i Citarda, Giuseppe Albanese, per arrivare fino ai Pullarà, ai Graviano, a Nitto Santapaola, a Pippo Calò, via via fino a Salvatore Riina e a Bernardo Provenzano.
Il pubblico ministero ha provato in definitiva che l’imputato Dell’Utri ha intrattenuto continuativi rapporti di complicità con Cosa nostra, organizzazione mafiosa che Dell’Utri ha favorito e dalla quale è stato a sua volta favorito nell’ultimo trentennio, e che tali rapporti si sono costituiti, consolidati e sviluppati nel tempo soprattutto per mezzo dell’imputato Gaetano Cinà...
La piattaforma probatoria del processo non è costituita da quel che la vulgata mediatica della disinformazione imperante vuol far credere, e cioè da “chiacchiere di pentiti per sentito dire”, ma da ben altro. Certamente da dichiarazioni di collaboratori (tutte puntualmente riscontrate), ma non solo. Testimonianze, intercettazioni telefoniche, risultanze relative ai dati del traffico telefonico di Dell’Utri, documenti, perfino risultanze fotografiche e filmati relativi a incontri clandestini dell’imputato Dell’Utri con soggetti destinati a inquinare le prove di questo processo...».
DOSSIER MANGANO - A cura di Lorenzo Ruggiero - Il boss mafioso Vittorio Mangano, stalliere nella villa ex Casati Stampa di Arcore a metà degli anni Settanta, è uno dei tanti buchi neri della biografia di Silvio Berlusconi. Un enigma mantenuto tale dalla più ferrea censura mediatica.
Questo libro ricostruisce la biografia criminale di Mangano, e risolve l'enigma della sua presenza nella villa berlusconiana di Arcore, attraverso i documenti. Anzitutto, il rapporto della Criminalpol dell'aprile 1981 «concernente il crimine organizzato imperante in Milano e Lombardia, strettamente collegato sia con quello di altre regioni italiane, e in particolare della Sicilia e della Calabria, sia con quello di oltre oceano, denominato Cosa nostra». Quindi le dichiarazioni di numerosi pentiti di mafia negli anni Novanta. Infine la requisitoria - comprensiva di riscontri, testimonianze, intercettazioni telefoniche - dei pubblici ministeri al processo di Palermo a carico di Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa (2004).
L'ONORE DI DELL'UTRI - I legami del berlusconiano Marcello Dell'Utri con Cosa Nostra, nella richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa
1. Gli anni dal 1960 al 1973 – Dell'Utri all'Edilnord; I rapporti con la Banca Rasini; Le prime conoscenze mafiose; La famiglia Malaspina; Il lavoro presso la Sicilcassa; La seconda assunzione da parte di Berlusconi; I rapporti coi boss Vittorio Mangano e Gaetano Cinà.
2. I rapporti di Dell'Utri con Mangano, Cinà, Rapisarda e Berlusconi fino ai primi anni '80 – Le dichiarazioni dei “collaboratori di giustizia”; Lo spessore criminale di Vittorio Mangano; Le dichiarazioni di Filippo Alberto Rapisarda; La vicinanza di Dell'Utri al Mangano; Il reinvestimento dei capitali illeciti; Dell'Utri e Teresi al matrimonio di Jimmy Fauci (Londra, aprile 1980).
3. Gli investimenti – Gli interessi di Bontate e Teresi nel settore televisivo; La Trinacria Tv e la Par.ma.fid srl; La Massoneria e Bontate; Licio Gelli, Pippo Calò e gli investimenti della famiglia di Porta Nuova negli anni '80; Gli investimenti in Sardegna e l'affare “Olbia 2”; Il centro storico di Palermo.
4. Il rapporto con l'associazione mafiosa negli anni '80 – Le prime trattative per le “antenne”, e le dichiarazioni di Ganci, Anzelmo, Galliano, Cancemi, Scrima, Mutolo; Le intercettazioni telefoniche Dell'Utri-Cinà 1986-88; Lo spessore criminale di Gaetano Cinà.
5. I contatti con mafiosi e con persone “vicine” a Cosa nostra risultanti dalle agende di Marcello Dell'Utri.
6. I rapporti dei fratelli Dell'Utri con l'associazione mafiosa catanese e con il “mandamento” di Brancaccio.
CHI E' FRANCESCO IACOVIELLO (da PiemonteNews)
Nel 2006 riuscì a derubricare la corruzione di Renato Squillante a “intermediazione tra privati” [...] Gli apparve difficile da provare – soltanto quattro mesi fa – anche l’accusa d’istigazione alla falsa testimonianza, legata all’inchiesta sui pestaggi nella scuola Diaz di Genova, per il capo della Polizia Gianni De Gennaro, condannato in appello. Iacoviello chiese – e ottenne – l’assoluzione. De Gennaro era accusato di pressioni su Francesco Colucci, all’epoca questore di Genova, affinché ritrattasse la sua testimonianza su Roberto Sgalla, capo ufficio stampa della Polizia, arrivato alla Diaz. Per i pm che avevano svolto le indagini, comprendere se Sgalla era davvero arrivato su ordine di De Gennaro e perché, aveva un’importanza investigativa nella ricostruzione dell’evento. Iacoviello invece fu di parere opposto: “A Genova – disse, secondo un resoconto Ansa – stava succedendo il finimondo, c’erano stati pestaggi, la morte di Carlo Giuliani, mentre noi ci stiamo occupando solo di capire chi ha chiamato l’addetto stampa Sgalla”.
Per quanto riguarda l’entourage di Silvio Berlusconi, poi, quella di ieri non è stata una “prima volta”. Già nel 2001 Iacoviello bocciò il ricorso dei magistrati di Milano che impugnarono il proscioglimento di Berlusconi nell’inchiesta sul Lodo Mondadori. Il sostituto pg della Cassazione commentò così: “Il parametro deve essere l’utilità di un dibattimento: il processo ha un costo umano e sociale, che può essere pagato solo se originato dal giudizio di un giudice, non dalle previsioni di un aruspice su un futuribile probatorio”.
Cinque anni dopo si occupa del processo Imi-Sir e, quindi, della condanna a sette anni per Cesare Previti e l’avvocato Attilio Pacifico, accusati di aver corrotto Renato Squillante, ex capo dell’ufficio gip a Roma, e l’ex giudice Vittorio Metta, autore della sentenza sul maxi risarcimento da 1.000 miliardi di lire che lo Stato – l’Imi – avrebbe dovuto pagare alla Sir del petroliere Nino Rovelli.
Squillante non era corrotto perché aveva “venduto” le sue sentenze, ma perché aveva offerto i propri servigi ad alcuni imputati. Iacoviello derubricò il tutto a una “intermediazione tra privati”, poi chiese la condanna di Previti e l’assoluzione di Squillante. E la ottenne.
Insomma, Squillante aveva "venduto i propri servigi", non le proprie sentenze. Ma secondo Iacoviello un magistrato che "vende i propri servigi" con è un corrotto. Quali "servigi" abbia venduto Squillante, a chi, per quanto, a che scopo, con quali risultati per gli "acquirenti dei servigi", Iacoviello non dice. De minimis non curat praetor. Tafanus
P.S.: Ho cercato invano, su Google Images, una foto di Francesco Iacoviello. Provate anche voi. Digitate Francesco Iacoviello su Google Images, e troverete tante foto di Mangano, di Dell'Utri, e dell'ingegnere nucleare omonimo... Del PG Grancesco Iacoviello, neanche l'ombra. Significherà qualcosa?
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