Ieri Repubblica ha scoperto qualcosa che qualsiasi frequentatore di Facebook sa da anni: che guardando il profilo, le preferenze, i commenti dei bostri "amici", scopriamo che il re è nudo. Non c'è bisogno di investigare, basta leggere. Gruppi ai quali è iscritto, commenti sui quali clicca il fatidico "mi piace", analisi semantica dei suoi commenti. Ma molti non lo sanno. Io ho scoperto tanti amici animati da spiriti destrorsi, a volta persino carichi di odio per chi la pensa in maniera diversa da loro. Confesso di averli lasciati quasi tutti fra i miei contatti, senza bannarli. In primo luogo perchè cerco di essere voltairiano non solo a parole. In secondo luogo, perchè trovo utile, e persino divertente, farmi sorprendere da persone che credevo di conoscere a fondo... Questo l'articolo di Repubblica:
Sai per chi vota il tuo amico? La sorpresa arriva via post
Studio del Pew Research Center di Washington su Facebook, Google plus e Linkedin: due persone su cinque scoprono sul social network che le idee politiche dei propri contatti sono diverse da quelle che si aspettavano. Ma solo meno del 10 per cento rimuove il contatto indesiderato (di Mauro Menafò)
Per chi votano i propri amici adesso lo si scopre sul web, non senza qualche sorpresa. Secondo una ricerca americana, quasi due persone su cinque capiscono sui social network che le idee politiche dei propri contatti sono diverse da quel che si aspettavano. E, nonostante una generale tolleranza, c'è anche chi cancella o blocca un amico se la pensa diversamente o gli infesta la timeline parlando di politica.
Che i social network siano diventati ormai un luogo di dibattito, sempre più importante anche al momento della campagna elettorale, è evidente negli States come in Italia e basterebbe citare il caso di Obama e gli ultimi referendum per ricordarlo. Quello che l'ultimo studio del Pew Internet, centro di ricerche e sondaggi del Pew Research Center di Washington, prova invece a far emergere è che reazioni provochi questo dibattito sugli utenti dei siti sociali e come influisce nel loro modo di gestire le relazioni virtuali.
Scoprire che nella propria rete ci sono pensieri diversi, anche in ambito politico, è quindi da interpretare come una buona notizia, confermata dal fatto che oltre il 60% degli utenti dichiara di essere d'accordo solo a volte con i "post" politici dei propri contatti. Non è tuttavia detto che le opinioni diverse siano apprezzate da tutti, e infatti non mancano i casi di rimozione per il proprio pensiero: quasi un utente su dieci (il 9%) afferma infatti di aver bloccato chi ha condiviso contenuti con cui era in disaccordo o giudicava offensivi.
Una percentuale tutto sommato bassa, e inferiore a quanti, il 10%, cancellano amici perché troppo assidui nel condividere il proprio pensiero politico online. Difficile inoltre che la vittima del blocco sia una persona frequentata anche fuori dalla rete, e buona parte delle cancellazioni è diretta verso gente mai vista di persona o poco presente nella propria vita quotidiana.
La ricerca di Pew, eseguita su un campione di duemila persone, si spinge fino a cercare di capire se una diversa appartenenza politica coincide con differenti comportamenti online. Si scopre così che sono i liberal (la sinistra americana) ad utilizzare i social network in maggior numero rispetto a conservatori e moderati: un dato che, con le dovute attenzioni, sembrerebbe confermato anche in Italia. Secondo un sondaggio condotto il luglio scorso da Ipsos (commissionato dal Partito Democratico), gli elettori di area Pd che prima dei referendum hanno partecipato a discussioni politiche online sono stati il 13%, contro l'11% degli elettori dell'area Pdl e Lega.
Tornando negli States, è quasi un democratico su due ad aver scoperto online di non aver capito la fazione politica di un amico e sono soprattutto i liberal a dichiarare di non parlare di politica nei social network per paura di offendere qualcuno (i meno preoccupati sono i moderati, solo il 18% contro il 30% dei liberal). Non stupiscono invece i risultati sulla partecipazione alle discussioni politiche, con gli appartenenti alle fasce di pensiero più radicali (ultaconservatori e ultraliberali) che si dichiarano maggiormente propensi a fare like o commentare post politici rispetto alla media.
...intanto l'altro giorno ho apprezzato moltissimo un'Amaca di Michele Serra, nella quale, sostanzialmente, sostiene che Twitter fa schifo. Pensiero che condivido largamente. Può essere utile come strumento organizzativo "mordi e fuggi" per l'organizzazione di eventi e proteste (vedi rivoluzione araba), ma come strumento di dibattito è il peggio che ci sia:
Concordo totalmente con Serra: cinguettii da 160 battute sono, mediamente, pensieri da buttare nel cesso. Estraggo un pezzo di questo stesso post, per raffigurare cosa siano 160 battute:
Che i social network siano diventati ormai un luogo di dibattito, sempre più importante anche al momento della campagna elettorale, è evidente negli States com [...]
Dibattere su Twitter??? No, al massimo si impara il linguaggio idiota degli adolescensiali SMS, col ke al posto del che e col ki al posto del chi. Il Pensiero (?) corre via veloce, sparisce in un attimo dalla pagina, non lo ritrovi più, non segui il filo del dibattito. Rispondi a uno cge a scritto un messaggino 5 minuti prima, ma quessto messaggino è già sparito dalla homepage da quattro minuti e 50 secondi. Ha ragione Serra. Twitter mi fa schifo. Fortuna che non twitto...
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