Recentemente hanno fatto - immeritatamente - molto rumore i sondaggi di due istituti: SWG e Tecnè. Per ragioni diverse, che provo a descrivere.
Su SWG mi sono ampiamente espresso: la sua sovrastima del partito di Grillo è stata scoperta recentemente da un articoletto non firmato del Corrierone, e presa per oro colato dal Corriere, e dai media che lo hanno ripreso. Sarebbe bastato un minimo di professionalità per verificare ciò che noi abbiamo verificato in poche ore di lavoro: metodologia raffazzonata, informativa metodologica a dir poco disinvolta, segmentazione della parte di campione intervistata online ignota, e assolutamente incontrollata. Inoltre, né il Corrierone, né gli altri media, si sono accorti che la SWG non assegna a Grillo una fantasmagorica crescita, ma che lo sopravvaluta da sempre - rispetto agli istitui seri - del 40/60%. Trovate tutto ampiamente documentato nei nostri post di analisi e di inchiesta:
La SWG, il Corrierone, e Grillo che vola-vola-vola
Ancora sugli strani sondaggi della SWG sul grillismo
Il fantastico mondo dei sondaggi SWG, e Grillo che vola al 7,5%
Uno sconosciuto amico del Tafanus si è iscritto alla "Community" SWG: ecco come
Chi non si è accorto - nel mondo mediatico e politico - di queste cose, ed ha innescato un dibattito a reti unificate su Grillo, su dati sballati non nuovi (visto che sono più o meno sballati nella stessa misura da mesi e mesi), andrebbe denunciato per procurato allarme. Un dibattito sul nulla.
E passiamo alla Tecné
Qui non ci troviamo di fronte a comportamenti "disinvolti" in termini metodologici, ma alla scoperta in buona fede dell'acqua tiepida (scoperta di cui non faccio alcuna colpa alla Tecné, visto che io stesso ero stato tentato dalla fascinosità di una ipotesi). Solo che, tanto per cambiare, prima di lasciarmi affascinare, mi sono premurato di verificarne il significato ragionando sui numeri. La ormai famosa metofologia della "separazione dei fatti dalle pugnette". Ma andiamo con ordine.
Tecné ha pubblicato il 14 Aprile l'abituale sondaggio sulle intenzioni di voto. Lo trovate sull'ormai notissimo sito ufficiale dei sondaggi. La Tecné svolge opera meritoria, perchè da mesi pubblica, in tabelle molto chiare, i dati delle intenzioni di voto per i partiti, riassumendoli in tabelle che crescono in progress nel tempo, dando così modo di leggere in maniera anche abbastanza immediata l'evoluzione del consenso per i singoli partiti.
La Tecné compie un'altra opera meritoria: pubblica anche un grafico che indica, in progress, l'andamento della tendenza al non-voto.
Ma recentemente anche la Tecné ha trovato la sua "buccia di banana". Un peccato veniale, di cui non faccio colpa alla Tecné, visto che anch'io ero stato tentato da una certa ipotesi, che mi affascinava. Solo che prima di rendere nota questa ipotesi urbi et orbi, ho contato fino a dieci. Ne ho voluto verificare la significatività, trovandola prossima allo zero, e quindi abbandonandola.
L'ipotesi - che invece Tecné ha sposato e diffuso senza verificare se avesse un senso, e quale - è che fra i simpatizzanti per i singoli partiti ci possa essere una significativa differenza di comportamento (chiamiamolo impropriamente l'orgoglio - o la vergogna - dell'appartenenza), per la quale elettori di diversi partiti sono più o meno restii a dichiarare la propria appartenenza politica.
Il presupposto sarebbe che per alcuni partiti - specie per partiti estremisti o populisti - ci sia maggior pudore a dichiarare le proprie intenzioni di voto, che non per partiti socialmente commestibili. Niente di più sbagliato, come tenterò di dimostrare più avanti.
Ma iniziamo col pubblicare la nuova tabella che ha affascinato la Tecné, e molti in rete, e che per un attimo ha tentato anche me: che, come ho detto, ho abbandonato l'idea dopo una rapida verifica di insignificanza, che illustrerò alla fine. La tabella che ha aperto il fuoco riporta le intenzioni di voto calcolate non già facendo pari a 100 il numero di chi esprime una dichiarazione di voto, ma facendo pari a 100 il totale degli intervistati, inclusi quelli che si rifiutano di esprimere una intenzione di voto, rifugiandosi nel "non voto, non so ancora se voterò, non ho ancora deciso, voto scheda bianca", eccetera.
Per capirci: se esprimono il voto per un dato partito solo la metà degli intervistati, è chiaro che il 28% di intenzioni di voto assegnati al partito da chi si esprime, diventa il 14% di consenso del totale degli intervistati. Vuol dire qualcosa? Lo vedremo.
Pensate che un entusiasta attivista mestrino del "PSI" col simbolo del garofano (esiste, esiste...) su facebook si è talmente eccitato che ha scritto un post dal titolo-sgub "Adesso vi svelo qual'è in reale consenso ai partiti". Poi scolpiva: "Il PdL è all'11,9%, il PD è al 13,5". Notizia falsa? no, semplicemente una non-notizia. Peccato che in parlamento, nei comuni, nelle regioni, i voti non si assegnino sulla base delle percentuali rapportate agli aventi diritto, ma ai votanti. Se nel mio paesello votassimo solo io e mia moglie su 8000 aventi diritto, prenderemmo ognuno di noi due la metà dei consiglieri, non lo 0,0125% dei consiglieri, cioè una piccola frazione - un dito, un ciuffo di capelli - di un consigliere.
E adesso pubblichiamo analoga tabella - sempre dello stesso sondaggio Tecné - dove sono calcolate le intenzioni di voto solo sulle dichiarazioni di voto espresse - come fan tutti, e come faceva e continua a fare anche la Tecné:
Ed eccoci, finalmente, ai semplici, chiari, comprensibili dati ai quali siamo abituati. Con PD al 26% e non al 13,5, e con SEL al 6,5% e non al 3,4%. Ma allora perchè questa analisi, che confonde le idee, e che ha tentato anche me? Non so cosa abbia tentato la Tecné, so cosa ha tentato me: l'idea di trovare significative differenze di comportamento fra militanti di partiti diversi. Ciò che ho definito - forse impropriamente - "l'orgoglio - o la vergogna - dell'appartenenza".
Ma, prima di sposare questa tesi, ho voluto fare una verifica, doverosa: esiste DAVVERO una differenza nei comportamenti di "outing" fra militanti di diversi partiti? C'è gente che dichiara perchè è orgogliosa, e altra che si nasconde per vergogna? Vediamo:
Ebbene, questa piccola verifica dimostra - a prova di scemo - l'assoluta uniformità di comportamento fra i militanti di TUTTI i partiti. Il rapporto fra le intenzioni di voto di chi dichiara un'appartenenza, e di chi non dichiara, è immobile fra 1,9 e 2,0. In altri termini, si conferma la teoria che tutti i militanti di tutti i partiti sul parametro orgoglio/vergogna si comportano allo stesso modo. Il che, se ci riflettiamo, è abbastanza ovvio. E' solo una nostra idea che il militante del PdL, o della Lega, o de "La Destra", si vergogni. No, non si vergognano, perchè altrimnenti voterebbero qualche altra cosa. Sono convinti e felici di votare La Destra, PdL, Lega. Da questa assoluta uniformità di comportamenti deriva l'assoluta inutilità della tabella delle intenzioni di voto rapportata all'universo degli "intervistati.anche-non-dichiaranti". L'intuizione è legittima, la verifica doverosa, l'accantonamento post-verifica un atto doveroso che spero la Tecné voglia compiere.
E veniamo all'ultimo punto, Complimenti alla Tecné, che pubblifa il "film", e non la "fotografia", della tendenza al presunto astensionismo. Chiamatelo come volete. Nausea della politica, reticenza, non-voto di protesta... Prima il grafico, poi le considerazioni:
Il dato è impressionante, ma la Tecné avrebbe fatto opera meritoria a confrontare anche le serie storiche fra l'astenzionismo dichiarato negli ultimi vent'anni, e la susseguente partecipazione reale al voto. Da quando mi occupo di politica - cioè da sempre - non c'è stata una sola consultazione elettorale che alla vigilia non facesse temere un tracollo dell'affluenza al voto. Salvo poi doversi ricredere DOPO. Di fatto, l'Italia è costantemente caratterizzata da un'elevatissima affluenza alle urne, con comprensibili eccezioni: le europee (che la gente fatica a capire a cosa servano), le provinciali (idem), i ballottaggi (dai quali chi si sente ugualmente rappresentato - o non rappresentato - dai due finalisti).
L'Italia, me non solo. Anche in Francia si pronosticava un crollo dell'affluenza alle presidenziali. I dati ex-post raccontano un'altra storia. Affluenza grandissima, intorno all'80% degli aventi diritto.
Guardate il grafico: quando si vota, siamo al 70/75% e oltre; quando si dichiara, la linea dei votanti tende allo zero. Memo male che a maggio si vota, perchè se dovessimo prolungare per alcuni anni il trend del non-voto da giugno dell'anno scorso in poi, davvero alla fine voteremmo solo io, mia moglie, e i parenti stretti dei candidati. Per fortuna, invece, dopo mesi di dichiarazioni così, quando arriva il momento di infilare una scheda nelle urne, tre italiani su quattro "escono" la Punto dal box, e fanno ciò che è giusto che ogni amante della democrazia faccia.
Tafanus.
Secondo me lei ha idee poco chiare riguardo al debito pubblico del nostro paese. Sui fondamentali, intendo.
1) Parlando in termini di bilancio di competenza e di saldi annuali finali, da almeno 15 anni l'Italia NON si indebita per finanziare il bilancio corrente PRIMARIO. Vale a dire: tutte le spese dello Stato ESCLUSE le spese per interessi passivi, sono interamente coperte da entrate correnti, non dall'accensione di nuovi debiti.
Poichè il deficit annuale di bilancio è interamente determinato da interessi passivi e poichè quel deficit è coperto contraendo una corrispondente quota di nuovo debito, si può dire che da 15 anni l'Italia aumenta il suo debito per pagare gli interessi sui debiti in essere.
Con questo meccanismo e solo per questo, negli ultimi 15 anni il complessivo stock del debito è, in termini assoluti, sostanzialmente raddoppiato.
Pertanto: lo stato emette continuamente bonds per alcune fondamentali ragioni:
Non si può diminuire il debito se non si azzera il deficit di bilancio.
Comunque, se sul piano della cassa, durante l'esercizio finanziario annuale l'emissione di bond può servire effettivamente a raccogliere denaro per pagare stipendi, forniture e quant'altro, quali conseguenze porta non poter accedere al credito? Nel migliore dei casi: rimandare i pagamenti finchè i soldi non arrivano in cassa, obviously.
Che bello: lo Stato non deve più pagare il debito, nè pagare interessi, nè tantomeno tartassare i cittadini per onorare i debiti contratti. E in culo agli speculatori!
Ci sarebbe però un altro lato della medaglia.
In caso di default:
Diciamo che, in termini pratici, in caso di un default del debito italiano, è molto alta la probabilità che la ricchezza della maggior parte di ciascuno di noi si ridurrebbe al solo denaro materiale che ha nel portafoglio e ai nudi beni materiali posseduti. E questo non riguarderebbe solo gli italiani, visto che metà del debito italiano è in mani straniere.
Le quantità, amico, contano all'atto di stabilire un discrimine fra ciò che è sopportabile e ciò che è fatale. E un po' contano anche le circostanze. Parlare di soluzione islandese nel caso italiano è fare i giocolieri con palloncini riempiti di nitroglicerina.
Forse gli irlandesi, la cui crisi finanziaria (socializzazione di perdite private) ha forti analogie e dimensioni comparabili a quella islandese, potevano giocarsi la carta del default. E dico forse perchè fra i due paesi corre una differenza importante. Mentre gli islandesi hanno potuto svalutare la loro valuta (la corona), per gli irlandesi questa via era preclusa.
Incidentalmente, non è che l'Islanda sia senza debiti (è dovuta ricorrere al FMI) e per gli islandesi il credito non è proprio accessibilissimo. Vedi numbeo.com e Bloomberg
La prego di perdonare il tono un po' pedestre di questo post, ma se avesse un'idea della distruzione di ricchezza che provocherebbe, con ogni probabilità, il default del debito italiano - non solo alla scala locale, bensì mondiale - andrebbe assai cauto a lasciarsi suggestionare dalle ricette demenziali dell'ennesimo uomo della provvidenza. Secondo me sarebbe meglio se un'idea se la facesse.
Gatto Nero.