Lavoratori dipendenti, pensionati, esodati. Pesa sulle loro spalle il grosso della stangata salva-Italia. Mentre rentier, professionisti, banche e imprese...
(di Stefano Livadiotti e Maurizio Maggi - l'Espresso)
In sette anni un balzo indietro di un quarto di secolo. Tra il 2007 e il 2014 il reddito disponibile pro capite, ovvero quanto resta in tasca ai cittadini dopo aver pagato le tasse (e incassato i sussidi pubblici), tornerà al livello del 1986: 28 anni perduti. La recessione da un lato e l'urgenza di aggiustare i conti pubblici stanno provocando una poderosa marcia indietro dell'economia italiana che è ben illustrata dal grafico qui sopra, elaborato da Prometeia e basato sulle previsioni della società di ricerca fino al 2014, l'anno in cui dovrebbe esserci un po' di ripresa.
È il salatissimo tributo che prima il morente governo di Silvio Berlusconi poi quello tecnico di Mario Monti hanno chiesto agli italiani. Nel pieno di una recessione a due stadi una manovra da almeno 81 miliardi a regime (nel 2014), con la beffa di un'appendice non prevista per finanziare la riforma del mercato del lavoro. Dall'articolato che doveva aumentare la flessibilità in entrata e in uscita dei lavoratori è spuntato infatti un altro pugno di tasse: taglio alla deducibilità fiscale per le auto aziendali, stangata sui proprietari di case che affittano senza usare il sistema fofettario di tassazione del 20 per cento, due euro di aumento per la tassa di imbarco sugli aerei, riduzione della deducibilità della quota Rcauto destinata al Servizio sanitario nazionale.
Tasse, tasse, tasse e ancora tasse: un'ossessione. Il cui impatto non è ancora stato percepito del tutto dall'opinione pubblica. Sarà anche vero che l'obiettivo di riconquistare la fiducia dei mercati internazionali e di avviare il riequilibrio tra entrate e spese pubbliche era, ed è tuttora, prioritario ma la mazzata è pesante. Paolo Onofri, l'economista che guida Prometeia, descrive questo scenario per l'Italia da qui al 2020: "La crescita media annua non andrà oltro lo 0,5-1 per cento; il Pil tornerà al livello del 2007 soltanto nel 2019; il deficit pubblico sarà azzerato nel 2014; lo spread si abbasserà a 100 punti base nel 2018". Se tutto va bene. E non è detto. Perché in mezzo ci sono le elezioni e nulla garantisce che il futuro governo riesca a garantire un avanzo primario (entrate meno uscite al netto degli interessi) del 4-5 per cento per altri otto anni almeno. E poi ci sono le incognite internazionali: la stabilità dell'Euroarea dove il contagio si estende subito dai paesi che non rispettano gli impegni agli altri; la ripresa americana; la tenuta della locomotiva cinese (vedere l'articolo di Minxin Pei a pag. 150). I progressi dell'Italia nel controllo dei conti pubblici rischiano di essere vanificati dalle tensioni di ogni tipo che riportano in su lo spread e fanno crollare gli indici di Borsa. Come sta succedendo in questi giorni a causa dei brutti dati sulla creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti oppure del cattivo esito di un'asta di titoli di Stato spagnoli.
Monti è stato onesto quando, nel corso del recente viaggio a Pechino, ha ammesso che il cocktail di tasse, balzelli e rincari è "rozzo". Ma ha aggiunto che, senza bere questo amaro calice, l'Italia rischiava di finire come la Grecia. Il risultato è che la sequenza di manovre a base di inasprimenti fiscali costerà alle sole famiglie qualcosa come il 3,5 per cento del Pil: 55 miliardi, euro più euro meno. E la contropartita di questo salasso senza precedenti è, di fatto, sopravvivere: con una crescita del Pil pari allo 0,5 per cento annuo la prospettiva di recuperare il reddito e i 900 mila posti di lavoro che sono scomparsi nei sette nerissimi anni della crisi è molto lontana. Le famiglie avranno meno margini per indebitarsi con le banche, saranno costrette a ridurre la propensione al risparmio per mantenere il più possibile invariato il tenore di vita, in molti casi dovranno intaccare la ricchezza accumulata vendendo attività finanziarie e immobili.
È questo, oltre a un (robusto) pizzico di equità in più, che manca nel pur grande sforzo compiuto dal governo Monti: la speranza di una rapida inversione di rotta. Accontentarsi di essere riusciti a evitare la catastrofe del default e di aver riassaporato per un attimo il gusto di uno spread sotto ai 300 punti non basta. Il problema è oggi rianimare un sistema spremuto, reduce da un arretramento di proporzioni bibliche che di fronte a sé ha solo la prospettiva di non soccombere, trascinandosi per anni con tassi di crescita micragnosi. Mentre tutt'intorno ancora la Grecia, il Portogallo e la Spagna minacciano di travolgere l'area dell'euro con le loro difficoltà.
E allora "l'Espresso" è andato a vedere in quali tasche hanno frugato gli ultimi governi per capire quali sono stati gli effetti dei vari provvedimenti su diverse macrocategorie di contribuenti, a chi sono richiesti i sacrifici più pesanti per arrivare al tragurado del pareggio di bilancio nel 2013. Ne è uscita una classifica in cui nessuno vorrebbe primeggiare e che assegna la maglia rosa, come sempre, a chi, più di tanto, non può prendere scorciatoie. Come i pensionati, i lavoratori dipendenti, i proprietari di case. E chi possiede un'automobile. Il tentativo di raddrizzare la barca fa perno su di loro.
PROPRIETARI DI CASE - Botte da orbi sui proprietari di case, e cioè sul 75 per cento circa degli italiani, che dal 2012 dovranno fare i conti con l'Imu, l'imposta municipale unificata varata in sostituzione della vecchia Ici e dalla quale è atteso un gettito per le casse delle Stato di 21,4 miliardi (tenendo conto anche degli immobili non residenziali). Con l'Imu torna a essere tassata la prima casa. Non solo. L'aliquota sale dallo 0,4 allo 0,76 per cento e si applica su un valore catastale (che in futuro sarà calcolato sui metri quadrati e non più sui vani) ottenuto moltiplicando per 160 (invece che per 100) la rendita rivalutata del 5 per cento. Dall'imposta dovuta per l'abitazione principale si detraggono 200 euro. Prima però bisogna fare i conti con i Comuni, cui è lasciata la facoltà di aumentare (fino all'1,06 per cento) o di diminuire (entro lo 0,3 per cento) l'aliquota di base. In corsa si è aggiunto il taglio dello sconto fiscale per chi incassa l'affitto.
BANCHE: PAURA RIENTRATA - Sembrava in arrivo una sberla da 2 miliardi di euro con l'abolizione delle commissioni sulle linee di credito. Ma la rivolta dei banchieri ha fatto cancellare la nuova norma, alleggerendo assai gli effetti delle manovre governative sugli istituti di credito. Che sono obbligati ad aprire un conto corrente senza nessuna spesa per i pensionati che non ce l'hanno e incassano una pensione di massimo 1.500 euro al mese e rinunciare alle commissioni sulle carte di credito quando si fa rifornimento di carburante fino a100 euro.
Inoltre, devono sveltire i tempi per la surroga dei mutui: dopo 10 giorni scattano penali fino all'1 per cento del valore del prestito. E se vogliono che il cliente assicuri il mutuo che sta per accendere, gli devono sottoporre due preventivi di compagnie senza legami con il gruppo bancario che eroga il prestito.
ESODATI: FIGLI DI NESSUNO - Il governo ha promesso loro un salvagente, in mancanza del quale sarebbero chiamati a pagare il contributo più salato. Sono i cosiddetti esodati, e cioè i lavoratori che dopo aver perduto o lasciato il loro posto di lavoro contando di andarsene tranquillamente in pensione si sono poi visti cambiare sotto il naso i requisiti per incassare l'assegno. In base ai primi calcoli, il ministro Fornero aveva stanziato una cifra (partendo da 240 milioni per il 2013) sufficiente a metterne in salvo 65 mila. Ma ora, mentre il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, ha ammesso in parlamento di avere difficoltà a contarli con precisione, si dice siano invece 350 mila. Così, in attesa di conoscere le reali dimensioni del fenomeno, il governo ha garantito che ci metterà una pezza: per chi non potrà andare in pensione con le vecchie regole, potrebbe scattare un sussidio.
LAVORATORI DIPENDENTI: ADDIZIONALI ASSASSINE - Il governo Monti non ha cambiato le aliquote Irpef (per chi la paga, quindi soprattutto i lavoratori dipendenti) ma ha ritoccato le addizionali regionali. Nel decreto Salva Italia l'aliquota sale dallo 0,9 all'1,23 per cento. Ogni regione può decidere un ulteriore aumento, fino a un massimo dello 0,50 per cento. Chi vive in regioni con i conti sanitari disastrati (tipo Calabria, Campania, Lazio) potrà vedersi appioppare un balzello aggiuntivo dello 0,30 per cento. Con la media di Trilussa, ogni italiano dovrebbe sborsare 62 euro in più all'anno, considerando l'imponibile medio di 19 mila euro. Se il reddito è di 30 mila, l'aumento è di 99 euro, mentre con 50 mila euro l'incremento sale a 165 euro. Con 50 mila euro di reddito, in Calabria e Molise si pagano complessivamente 1.015 euro, nel Lazio 865 e in Sardegna 615. E se tutti i sindaci sfruttano l'addizionale Irpef
comunale massima (0,80 per cento)? Per i cittadini, altra botta da 1,7 miliardi.
IMPRESE: TRA SCONTI E MAZZATE - Le imprese hanno "avuto" (sgravi per chi ricapitalizza, deducibilità del costo del lavoro dall'Irap, sconti per giovani e donne) ma dovranno pure aprire il portafoglio. La riforma del mercato del lavoro dovrebbe aumentare complessivamente le loro spese di 1,7 miliardi nel 2013 e di 2,9 miliardi l'anno dopo. L'Imu costerà 1,5 miliardi di euro in più solo per gli immobili produttivi: un miliardo, secondo la Cgia di Mestre, graverà su industriali e artigiani, con un maggior esborso medio di 1.566 a testa. L'aumento peserà per almeno 225 milioni sui terreni, agricoli e non. Le aziende che sfornano prodotti alimentari, per la cura del corpo e della casa, pagano l'aumento dell'Iva, che accresce i prezzi e deprime le vendite. Ogni punto di Iva in più, secondo Centromarca, lima mezzo punto di consumi. E se in autunno scatterà l'aumento dal 21 al 23 per cento gli acquisti caleranno ancora.
RISPARMIATORI: DEPOSITI SALVI - Chi ha scelto i sempre più gettonati conti di deposito o tieni i quattrini sul conto corrente è contento perché il prelievo fiscale sugli interessi dei depositi è sceso dal 27 al 20 per cento. Ma è l'unica nota positiva. Su tutti gli strumenti finanziari, infatti, da quest'anno grava l'imposta di bollo (con l'esclusione dei fondi pensione, dei fondi a carattere sanitario e i buoni fruttiferi postali per somme sotto i 5 mila euro). I risparmiatori dovranno tutti sganciare 34,20, ai quali va aggiunta un'imposta calcolata in modo proporzionale: pari allo 0,10 per cento della somma, fino a un massimo di 1.200 euro, per i depositi fino a 1,2 milioni di euro, per il 2012. L'anno prossimo il balzello salirà allo 0,15 per cento e sparirà il tetto massimo. L'imposta di bollo colpisce azioni, titoli di Stato, fondi comuni, obbligazioni, polizze assicurative dal contenuto finanziario.
AUTOMOBILISTI: CARISSIMO PIENO - Categoria trasversale e bacchettatissima. Nell'ultimo anno, le quattro ruote hanno ricevuto varie mazzate. In un mercato già depresso, l'aumento dell'1 per cento dell'Iva - dal 20 al 21 per cento - è stata la ciliegina avariata su una torta che si sta afflosciando. E il decreto Salva Italia prevede un possibile ulteriore rialzo, in ottobre, fino al 23 per cento, se i conti pubblici lo richederanno. Sul groppone è arrivato pure l'incremento dell'Ipt, l'Imposta provinciale di trascrizione: le province possono aumentarla fino al massimo del 30 per cento, la maggioranza lo farà. La bastonata più pesante arriva però dall'aumento delle accise sui carburanti, che ormai pesano più del 50 per cento della benzina o del gasolio alla pompa. Cattive notizie pure dal fronte assicurativo: l'aliquota dell'imposta sull'Rc Auto può essere incrementata o limata del 3,5 per cento. Inutile dire che la maggior parte delle province ha optato per l'aumento.
PENSIONATI: TOSATURA GENERALE - Stretta sulle pensioni di anzianità che diventano "anticipate": per il 2012 serviranno 42 anni e un mese di contribuzione per gli uomini, 41 e un mese per le donne, a prescindere dall'età, ma con una penalizzazione per chi esce prima dei 62 anni. Innalzamento dei requisiti per gli assegni di vecchiaia (da 65 a 66 anni; da 60 a 62 anni per le donne del privato). Passaggio al sistema di calcolo contributivo per le anzianità maturate dal 2012 anche per chi aveva più di 18 anni di versamenti nel 1995. Adeguamento dei requisiti ai dati sulla speranza di vita. Soppressione per due anni dell'indicizzazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo (circa 1.400 euro al mese). La riforma non ha salvato nessuno. Lo dice la relazione al provvedimento: risparmi per oltre 12 miliardi nel 2017 e per 15,261 miliardi nel 2021.
RENTIER: PAGANO PURE LORO (Moderatamente) - Sì, i ricchi stavolta un po' pagano. Anche se hanno evitato la patrimoniale, nemica giurata di chi vive di rendita. Il manipolo dei 30 mila contribuenti sopra i 300 mila euro di reddito deve sborsare il contributo di solidarietà del 3 per cento. I possessori di case di lusso (anche all'estero) sono colpiti dall'Imu e dalla rivalutazione delle rendite catastali. Capitolo scudo fiscale: sui capitali "scudati" rimasti fuori dall'Italia a fine 2011 è dovuta un imposta di bollo del 4 per mille; quest'anno l'imposta sale all'1 per cento e all'1,35 per cento nel 2013. Uno 0,1 per mille (che dal 2013 diventa 0,5) grava sulle attività finanziarie regolari oltre confine. Pesanti i balzelli sulle auto di lusso potenti (20 euro a kiloWatt dopo la soglia di 185) e sui posti barca: 5 euro al giorno dai 10,1 ai 12 metri fino a 703 euro al giorno per gli yacht oltre i 64 metri. Persino gli aerei executive sono finiti nel mirino: in questo caso la tassa va a peso.
STATALI: GIÀ DATO A TREMONTI - Il contributo di solidarietà (una trattenuta del 10 per cento sulle buste-paga oltre i 90 mila euro) l'aveva introdotto già nel 2010 Giulio Tremonti da inquilino di via XX Settembre. E lo stesso vale per il blocco dei contratti stabilito esplicitamente per il 2010-2012 ed implicitamente (non sono infatti previsti stanziamenti in bilancio) per il triennio successivo e quello dell'organico (fino al 2013 si può fare un'assunzione per ogni cinque persone che lasciano il lavoro). Alla norma che consente agli enti pubblici di procedere al licenziamento per giustificato motivo economico-finanziario aveva invece già pensato l'allora ministro Renato Brunetta. Se non si può certo dire che fosse stato raschiato il fondo del barile nello sgangherato mondo del pubblico impiego, è dunque vero che al governo Monti restavano margini di manovra ridotti. Tipo il tetto allo stipendio dei mega dirigenti. Che puntualmente è arrivato.
COMMERCIANTI: TRA I BLITZ E LE TASSE - Sono sotto schiaffo. Mentre la Guardia di Finanza e gli 007 dell'Agenzia delle entrate intensificano i blitz a caccia di evasori, sui consumi già depressi dalla crisi incombe la minaccia di un incremento autunnale dell'Iva (dal 10 al 12 per cento quella ridotta e dal 21 al 23 per cento quella ordinaria). In più, devono fare i conti con la nuova Imu, che secondo la Cgia di Mestre, avrà un costo supplementare di 569 euro l'anno per ogni bottega, e con la deregolamentazione del regime degli orari e delle aperture degli esercizi varata dal governo: se prima si poteva stare aperti per non più di 13 ore consecutive tra le sette del mattino e le dieci della sera nei giorni feriali e nei festivi era prevista la chiusura salvo deroghe, ora c'è la possibilità di tenere le saracinesche alzate per ventiquattr'ore su ventiquattro in tutto l'anno. Costi certi e incrementi di fatturato dubbi, vista l'aria.
AVVOCATI: TARIFFARIO ADDIO - Poteva andare peggio. L'agguerrita e trasversale lobby che rappresenta la categoria nei palazzi della politica ha lavorato bene. Così, per esempio, alla fine è caduto l'obbligo per il professionista di presentare un preventivo nero su bianco, sostituito da un meno impegnativo dovere di informare il cliente sui possibili costi della causa. È passata invece la cancellazione delle tariffe minime e massime, che aumenta il potere contrattuale della clientela più forte (a partire da banche e assicurazioni) nei confronti dei 230 mila avvocati italiani (ma la novità è relativa, perché già con le lenzuolate di Bersani erano venute meno le sanzioni per la violazione delle tariffe minime). È stata inoltre introdotta la possibilità, per i soci di capitale, di controllare fino al 30 per cento delle società costituite con i professionisti del codice.
FARMACISTI: PIU' LICENZE, E NON SOLO - Le novità brutte sono due: il via libera del governo all'apertura di circa 5 mila nuovi negozi (già ce ne sono 18 mila) e l'età massima del direttore, fissata in 65 anni. "Molti titolari sono anziani e lavorano soltanto insieme a un familiare; spesso non c'è neppure un collaboratore part-time. Non hanno le possibilità finanziarie per pagare un direttore, che va nominato appena il titolare compie 65 anni. Molte farmacie sarebbero costrette a chiudere", si lamenta Annarosa Racca, presidente di Federfarma (16.700 farmacisti iscritti), che aggiunge: "E abbiamo già perso l'esclusiva sui farmaci costosi e speciali, che si possono ottenere in ospedale e all'Asl, e sui prodotti galenici e della veterinaria. Un disastro". Ma il vero pericolo, cioè la possibilità che i prodotti di fascia C tra cui il Viagra e simili fossero venduti al di fuori delle farmacie, l'hanno scampato.
NOTAI: SACRIFICI STUDIATI - Li ha ringraziati per la "sensibilità" il sottosegretario Antonio Catricalà. Perché le norme che potrebbero limare i loro introiti le hanno chieste loro, i notai. Il primo è l'aumento della pianta organica, con concorsi per 1.500 nuovi notai. Oggi le sedi notarili sono 5.779, a fine 2015 arriveranno a 6.279. Più concorrenza in un settore che, secondo il Consiglio nazionale del notariato, in quattro anni ha visto calare del 40 per cento i ricavi. Secondo punto: il notaio interverrà gratuitamente al momento della fondazione di una Srl semplificata, le nuove società promosse da giovani sotto i 35 anni con un capitale fino a10 mila euro, che nella prima stesura della legge avrebbero dovuto autocertificarsi. I notai hanno detto "occhio alle infiltrazioni mafiose", offrendosi di seguire le pratiche gratis. E la norma è cambiata.
TASSISTI: SCAMPATO PERICOLO - Considerati il simbolo della resistenza a oltranza davanti a ogni politica di liberalizzazione, i guidatori delle auto bianche hanno rischiato grosso, ma alla fine se la sono cavata abbastanza a buon mercato. La nuova autorità, che dovrà essere insediata entro il 31 maggio, non avrà poteri diretti in materia di numero di licenze e livelli tariffari: potrà solo fornire indicazioni (di sua iniziativa o su specifica richiesta) a Comuni e Regioni ed eventualmente rivolgersi ai Tar per ottenerne l'applicazione. Le altre due principali novità riguardano: la possibilità per i Comuni di disporre servizi sostitutivi a quello delle auto bianche (tipo: i taxi collettivi); l'opzione, per i titolari di licenza, di far fronte a richieste di potenziamento del servizio da parte dei municipi attraverso la cessione ad altre persone della guida del taxi al termine del normale turno di servizio. Come dire che Bittarelli & C. l'hanno sfangata ancora.
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