Il tesoriere lumbard e l'ex cassiere dei Nar. Insieme in affari con 'ndrangheta e massoneria. Ecco cosa emerge dalla sorprendente indagine reggina. Che rilegge la storia del Carroccio
(di Lirio Abbate - l'Espresso)
Il tesoriere della Lega e l'ex cassiere dei terroristi neofascisti: una connection da brivido che emerge dagli atti dei magistrati. Non l'unica, perché tutta l'indagine condotta dalla procura antimafia di Reggio Calabria sugli affari spericolati del Carroccio mostra un incredibile filo nero che corre lungo tutta la Penisola, intrecciando massoneria, 'ndrangheta, eversione, fino ad arrivare a casa Bossi: il tradimento di tutti gli slogan dell'orgoglio padano, quasi uno sfregio per l'identità legalitaria lumbard. Un'inchiesta solo apparentemente sorprendente: vent'anni fa, nel momento di massima crisi della prima Repubblica, lo stesso disegno venne tentato da fratellanze deviate, estremisti di destra e padrini per replicare a Sud il partito lumbard di Umberto Bossi. Oggi a muoversi su quel solco è stato Francesco Belsito, che si autodefiniva "il tesoriere più pazzo del mondo": è nato a Genova, ma da una famiglia di immigrati che ha mantenuto radici forti tra Pizzo Calabro e Vibo Valentia.
In quella zona hanno sede le logge più potenti del Meridione, capaci di mobilitare i fratelli in ogni parte del pianeta e metterli "a disposizione" degli altri iscritti. Una vocazione massonica che - stando agli investigatori - avrebbe trovato adepti anche nelle file della Lega. Così Belsito entra in contatto con un altro calabrese residente a Genova: Romolo Girardelli, detto "l'ammiraglio", con una militanza di estrema destra e considerato dagli inquirenti vicino alla potente cosca De Stefano. Dall'intesa tra i due si apre un canale che sarebbe servito per ripulire grosse somme di provenienza oscura: soldi da far transitare attraverso le casse della Lega.
Sull'origine di questi fondi ora indaga il pm Giuseppe Lombardo, che sta facendo analizzare migliaia di ore di intercettazioni per ricostruire la rotta del denaro e i suoi sbocchi. A partire da uno studio del centro di Milano, proprio accanto a piazza San Babila, dove ha sede la Mgim srl: una sigla di cui è socio Pasquale Guaglianone, altro calabrese trapiantato a Nord con una storia personale tutta a destra. In gioventù è stato un membro dei Nuclei Armati Rivoluzionari, NAR, gestendo la cassa della formazione di Giusva Fioravanti e Massimo Carminati: dal casellario giudiziario risulta una condanna a suo carico per banda armata e associazione sovversiva. Nel 2006 si è candidato alla Camera nelle liste di Alessandra Mussolini, poi si è schierato con Ignazio La Russa, a cui è ancora politicamente legato. Ma negli ultimi anni è stata soprattutto la sua attività di commercialista, curando le iniziative di aziende meridionali, a renderlo molto ricco. Ed è nel suo studio che approda un trentenne reggino, Bruno Mafrici, ingaggiato come consulente personale da Belsito quando era sottosegretario del ministro Roberto Calderoli: al telefono il giovane dottore in giurisprudenza mostra entrature profonde nella politica calabrese, incluso il governatore Scopelliti, e una fiorente attività anche in società estere.
Le intercettazioni effettuate dalla Dia di Reggio Calabria hanno permesso di ricostruire una lunga catena di affari in cui veniva utilizzata la "cassa" della Lega Nord, ma la strategia finanziaria era partorita nello studio di cui è socio Guaglianone. In questo modo in un ufficio a 500 metri dal Duomo di Milano, seduti attorno a una scrivania, i calabresi - ognuno dei quali aveva in tasca la tessera della Lega, la collaborazione con un ministro padano, l'iscrizione a una loggia massonica, un passato da estremista di destra e collegamenti con la 'ndrangheta - decidevano dove spostare grossi capitali.
Quanti? E dove sono finiti? È questo che l'indagine deve accertare, analizzando i pc e l'iPad sequestrati al tesoriere, seguendo la pista delle conversazioni e dei pedinamenti di Belsito e compari attraverso i palazzi del potere: le visite ai ministeri, le entrature nelle aziende statali, le mediazioni private per garantire lucrosi contratti. Quando il tesoriere verde fa affari con Fincantieri, corteggia Finmeccanica o sollecita convenzioni pubbliche agisce in conto proprio o è l'emissario dei suoi sponsor più spregiudicati?
Nel primo rapporto investigativo, la Dia sottolinea anche l'intreccio politico di fondo. Fin troppo simile al modello di quella clonazione meridionale del Carroccio tentata nei primi anni Novanta. Per questo gli investigatori stanno rileggendo una storia solo in apparenza remota, che risale agli albori della seconda Repubblica. Dagli accertamenti infatti emerge che quei movimenti sudisti "stabilirono rapporti con la Lega Nord" favoriti dal fatto che, soprattutto alle origini, vi erano importanti personaggi "legati alla massoneria" nel partito di Bossi. Un pentito di grande attendibilità come il mafioso Leonardo Messina sottolineò il ruolo del professore Gianfranco Miglio, l'ideologo della prima espansione bossiana. In quel periodo ci fu un proliferare di leghe meridionali, sponsorizzate da Licio Gelli, dall'ex esponente di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, con "l'appoggio fornito da Umberto Bossi alle loro iniziative anche con la diretta partecipazione ad alcune manifestazioni".
L'impronta nera è molto marcata anche a Nord. Fin dalla nascita del movimento, e in particolare all'interno della Liga Veneta, è presente una significativa componente legata agli ambienti dell'eversione neofascista. Risulta, da accertamenti eseguiti dalla Dia, che all'epoca venne candidato nelle liste della Liga Veneta, in alcune consultazioni elettorali, l'avvocato Stefano Menicacci, con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema, legale di Delle Chiaie, ma anche del leader della Liga Franco Rocchetta. Gli inquirenti antimafia che hanno analizzato il passato della Lega Nord, sono giunti alla conclusione che l'avvocato Menicacci è "l'elemento di collegamento principale" fra la Liga Veneta e le iniziative leghiste centro-meridionali sviluppatesi negli anni Novanta.
"C'è un grande passato nel nostro futuro", gridavano i nostalgici del Ventennio. E ora questo slogan sembra tornare vivo nella mescolanza di politici, affaristi e uomini d'oro che ha già portato alla fine dell'era di Umberto Bossi.
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