Massacro di bambini a Homs - Foto AP
Il dittatore di Damasco è un uomo grigio, prevedibile e senza carisma. Ma capace di grandi crudeltà. E, mentre la sua gente muore, scarica canzoni da Internet
(di Federica Bianchi - l'Espresso)
Non è carismatico. Non è bello. Non è coraggioso. E non è neppure megalomane o stravagante come la media dei dittatori. Al contrario, Bashar Al-Assad, 46 anni, l'oftalmologo che per virtù dinastica controlla la Siria da 12 anni, è un uomo ordinario, persino prevedibile, nella sua asettica crudeltà: la personificazione della "banalità del male" per prendere in prestito la fulminante definizione che Hannah Arendt usò per il gerarca nazista Adolf Eichmann.
Sul web il suo nome è invariabilmente accompagnato dalla parola "macellaio", declinata in tutte le lingue e adottata dai commentatori come dai politici. Per David Cameron, ad esempio, il rais di Damasco ha messo in atto "un'atroce macelleria".
Fino a qualche mese fa nessuno sapeva molto su Bashar Al-Assad. Non era, e non voleva essere, una star della geopolitica mondiale. Adesso uccide, o meglio fa uccidere dalle truppe scelte del fratello minore Maher, per non perdere il potere. Non ha ambizioni ideologiche. E della guerra, dei morti non gli interessa granché. Purché rimanga al potere. Lo aveva fatto capire in un'intervista alla catena televisiva Abc l'anno scorso: "L'esercito non è cosa mia. Appartiene al governo". Non importa che poi sia lui il governo.
Nelle ore in cui gli altri sparano è incollato al pc per cercare su iTunes una canzone con cui inviare alla moglie un messaggio affettuoso. Homs è bombardata 300 volte, centinaia di persone perdono la vita, e Assad manda per e-mail ad Asma "God gave me you" di Blake Shelton:
"Ho combinato un macello con me stesso/ la persona che sono ultimamente /non è quella che voglio essere/ ma tu sei proprio qui vicino a me/a sopportare la tempesta in corso".
[...] Per strada di amore ce n'è poco. Moltissimi, oltre 10 mila, sono invece i morti, colpevoli di avere messo in discussione la dittatura e i privilegi di questa setta sciita - gli alawiti - che, pur essendo minoranza, tiene in pugno il Paese da oltre cinquant'anni.
Fino a un paio di anni fa Bashar era chiamato "il dittatore per caso" oppure "il gattino isterico" per sottolineare la sua inadeguatezza rispetto al padre Hafez, il Leone, l'uomo che ha disseminato ordine e terrore per tre decadi e che pur di rimanere inchiodato al potere, esattamente 30 anni prima del massacro di Homs da parte di Bashar, aveva fatto uccidere in una sola notte 20 mila persone ad Hama. Il suo successore avrebbe dovuto essere il figlio maggiore Bassel, molto più conforme al profilo tradizionale del despota: bello come il sole, carismatico e spietato sì, ma con classe. Peccato che l'amore per l'alta velocità lo abbia fatto schiantare a bordo della sua Maserati a soli 32 anni e che il terzo dei fratelli Assad, Maher fosse considerato una testa troppo calda per ricoprire la più alta carica del Paese.
Così il padre scelse lui, l'esatto contrario: timido, freddo, logico. Quando il Leone morì, nel 2000, l'erede aveva solo 34 anni, sei in meno di quelli richiesti dalla Costituzione per diventare presidente. Ma il testo venne emendato e il giovane Assad salì al "trono" tra le lusinghe di una corte che, ignorandone l'espressione da topo, le orecchie da Dumbo e la "s" sibilante, si inchinò al punto di elogiarne le doti fisiche. Poco dopo sposò Asma, un'amica frequentata mentre viveva a Londra, figlia di un cardiologo siriano. Dieci anni più giovane di Bashar e irrimediabilmente ambiziosa, non ci pensò due volte a scambiare la prospettiva di una noiosa carriera nella City londinese con l'opportunità di trasformarsi in una novella Farah Diba, che divenne imperatrice sposando lo Shah di Persia Reza Pahlavi.
Nella nuova "prima coppia" - lui medico dai modi gentili, lei un'informatica in carriera, poliglotta e colta - le diplomazie europee vollero vedere il volto futuro di quello che in realtà è un temibile Stato di polizia. Speravano in una sua trasformazione democratica in economia come in politica. E in effetti nei primi anni al potere Assad iniziò a smantellare una parte di quei cartelli economici con cui il padre controllava settori vitali dell'economia (dalle banche al petrolio) per rimpiazzarli con strutture più competitive, e concesse ai cittadini perfino una parziale apertura della Rete. Ma la liberalizzazione politica, quella, non è mai davvero avvenuta.
Inizialmente aveva promesso di volere rispettare i diritti umani, e si era spinto fino a offrire a intellettuali e oppositori del regime la possibilità di esercitare un'opposizione controllata. Sembrava stesse accarezzando l'idea di svincolarsi dall'abbraccio mortale con l'Iran per avvicinarsi lentamente agli Usa: un passo che avrebbe portato alla pace con Israele e a un Medio Oriente dagli equilibri meno instabili.
Ma fece presto dietrofront. La primavera si trasformò in inverno e i dissidenti furono incarcerati. Si rese conto che la fine delle ostilità con Israele avrebbe significato anche il capolinea del suo potere: senza più lo spauracchio del nemico non avrebbe potuto giustificare l'enorme spesa a favore di quei militari che gli garantiscono il ruolo. Fatti i suoi calcoli, ha deciso che non sarebbe stato lui il Gorbaciov del Deserto. Così è tornato ad allacciare rapporti con la Russia, felice di concederle influenza nella regione in cambio di armi, e con quell'Iran dove aveva compiuto una parte dei suoi studi.
A dispetto di tutta "la formazione occidentale" che la politica europea gli ha recentemente attribuito, Assad a Londra ha vissuto solo per 18 mesi, durante il tirocinio medico. La vera influenza su di lui non l'ha avuta il modello inglese ma il padre. Dal massacro di Hama del 1982 ha appreso due lezioni: l'esitazione non paga quando la minaccia è vitale; il potere alawita non sarà mai accettato dalla maggioranza sunnita.
Dunque occorre stare perennemente in guardia. Con gli anni ha fatto sua la tecnica paterna di dividere tra loro i consiglieri per evitare che qualcuno possa diventare tanto forte da essere considerato un rivale; a negoziare con l'Occidente senza mai concedere nulla perché ogni concessione è una debolezza e ogni riforma è una concessione; e, infine, a esercitare l'arte della menzogna e della dissimulazione. Un campo quest'ultimo, in cui, detrattori e sostenitori ugualmente, ammettono che è diventato un maestro. Lo hanno dimostrato anche gli ultimi eventi: il mondo attendeva con trepidazione che rispettasse come promesso il piano di pace discusso con Kofi Annan ma, a due giorni dalla scadenza, ha vincolato il ritiro delle truppe a garanzie scritte sul disarmo dell'opposizione e ha preso a sparare sui ribelli in fuga verso la Turchia.
Racconta nelle interviste di essere al potere per volontà popolare, ma più che il popolo Assad ha dalla sua parte una cerchia intima di parenti che godono direttamente dei benefici del potere in nome del quale sono disposti a tutto. Per cominciare Maher, il fratello sanguinario che gioca nella politica di oggi lo stesso ruolo che lo zio Rifat aveva avuto con il padre: quello del macellaio su cui far ricadere ogni colpa di sangue. Poi il marito della sorella Boushra, Assef Shawkat: inizialmente inviso alla famiglia, ora vice ministro della Difesa e uno dei più ascoltati consiglieri di Assad. E ancora Rami Makhlouf, cugino per parte di madre, odiato dalla popolazione per la sua cupidigia senza limiti: ha le mani infilate in ogni settore, dalle telecomunicazioni al petrolio.
Infine, l'arma segreta: Asma, la moglie chic, definita dal settimanale Paris Match "un raggio di luce in un Paese dalle molte ombre". È stata lei, almeno fino all'inizio del massacro, il ponte tra il regime e l'Occidente e l'artefice della trasformazione dell'immagine (solo quella) di Assad da dittatore senza scrupoli a riformista frustrato. Raffinata amante del lusso è finita sulla copertina di "Vogue" che l'ha lanciata come "la più fresca e magnetica delle first ladies" proprio in quel febbraio 2011 in cui è iniziata la repressione. In un articolo più tardi cancellato dal Web, il mensile la descriveva come una donna analitica che veste con curata modestia, dedita senza sosta a educare i giovani siriani alla partecipazione civile.
Era riuscita nell'impresa di farsi benvolere da tutti, prima di mostrare la sua vera faccia, se persino Giorgio Napolitano, nel 2008, le ha consegnato una medaglia d'oro "per il ruolo di ambasciatrice straordinaria del cambiamento, e per l'impegno nell'assicurare che la crescita economica in Siria si traduca in un beneficio per l'intera popolazione". Poi, quando i siriani l'hanno presa sul serio e sono scesi in strada per rivendicare i loro diritti, si è trasformata in una moderna Maria Antonietta: mentre i suoi concittadini muoiono a grappoli lei ordina su Internet ad antiquari londinesi e stilisti parigini candelabri, vasi, tavoli, gioielli, persino un set per la fonduta di cioccolato e un paio di scarpe Louboutin intarsiate di diamanti da 5 mila euro.
In questo dorato isolamento in cui Asma e Bashar si sono rinchiusi, convinti che tutto tornerà come prima, visto che l'Occidente non sembra intenzionato ad intervenire, le ipotesi di riforma costituzionale sbandierate dal despota finiscono per diventare nient'altro che uno scherzo da condividere. "Torno alle 5. Ti amo", gli scrive lei in un mail. E lui: "Torni alle 5? È questa la migliore riforma per un Paese. La adotteremo invece di quella cavolata di leggi sui partiti, sulle elezioni, sui media". n
Ecco cosa prevede il piano delle Nazioni Unite
Il piano Onu, approvato il 21 marzo 2012 ufficialmente accettato ma già largamente disatteso sul campo, è una dichiarazione presidenziale e non una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si sarebbe scontrata con un ennesimo veto russo e cinese. La dichiarazione non ha il carattere vincolante di una Risoluzione ma ha tuttavia bisogno del consenso unanime di tutti i membri del Consiglio di Sicurezza per essere approvata. Ha però l'indubbio merito di avere costruito il consenso internazionale attorno alla necessità di avviare una fase di transizione politica senza Bashar Al-Assad. Allo stesso modo, soddisfa la richiesta russa di considerare responsabili della violenza il governo e i gruppi armati all'opposizione. E chiede la cessazione della violenza, la salvaguardia dell'unità, della sovranità e della stabilità della Siria e il rispetto dei diritti umani.
In particolare, il piano si prefigge di arrivare gradualmente alla creazione di un regime democratico e pluralistico, in grado di rappresentare tutti i cittadini senza discriminazioni etniche e confessionali. Questa fase di transizione prevede l'avvio di un dialogo tra il governo, rappresentato da un personaggio chiave con potere decisionale, e un gruppo completo dell'opposizione siriana. Condizioni per l'avvio di questo dialogo sono:
1. La rapida cessazione della violenza armata in tutte le sue forme e da tutte le parti coinvolte. In particolare, il ritiro dell'esercito dai centri abitati e la cessazione dell'uso delle armi.
2. L'arrivo degli aiuti umanitari con una tregua di due ore al giorno per fare pervenire gli aiuti nelle aree maggiormente colpite dai combattimenti.
3. Il rilascio dei prigionieri politici e di tutti coloro che sono stati arrestati arbitrariamente insieme con la lista dei luoghi in cui sono detenuti.
4. La libera circolazione dei giornalisti.
5. La libertà di raggrupparsi e di manifestare pacificamente.
Il Consiglio di Sicurezza chiede infine al governo e all'opposizione di lavorare in buona fede con l'inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan. Il quale stilerà dei rapporti che saranno la base dalla quale partire per prendere ulteriori misure in grado di garantire la cessazione delle ostilità.
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