Genova, 20 giugno 2012. – PREMESSA. «Il Giornale di Berlusconi» a firma di un sedicente giornalista, tal Andrea Macco della redazione di Genova, con un articolo postato il 15 giugno 2012, narra e si vanta di avere mandato una raccolta dei miei scritti, pubblicati in rete, alla congregazione del clero in Vaticano, accusandomi di fatto di eresia, e chiedendo implicitamente (ma non tanto) un intervento, cioè una sanzione disciplinare.
Il tapino non sa o fa finta di non sapere che appena diventerò papa, col nome di Francesco I, abolirò non solo la congregazione del clero, oggi governata dal fascista cardinale genovese Mauro Piacenza, ma smonterò col cacciavite, bullone dopo bullone, tutto il Vaticano, dalla cima del cupolone fino al sotterraneo più segreto. Di seguito l’articolo de «Il Giornale»:
Don Farinella «scomunicato» dalla Congregazione per il Clero
(di Andrea Macco)
«Questa volta non ci sono dubbi: l’operato di Don Paolo Farinella va contro il Diritto Canonico della Chiesa, ne infrange ben quattro specifici articoli, e per tale «delitto» - come definito dallo stesso Diritto Canonico - è prevista punizione. A stabilirlo, dopo aver analizzato i recenti scritti del prete genovese, è la Congregazione per il Clero della Santa Sede, quel dicastero che si occupa proprio di definire quanto concerne l'attività e la disciplina dei sacerdoti.
«Lo scorso 1 giugno, infatti, avevamo chiesto un parere proprio alla Santa Sede in merito alle continue prese di posizione di don Farinella ora contro il Vaticano, ora a favore di esponenti politici di una ben precisa parte politica (e ciò, per giunta, durante la celebrazione della S. Messa), ora contro l'operato di quello o quell'altro Cardinale (S.E. mons. Bertone e S.E. mons. Piacenza in particolare nell'ultimo mese), ora a favore di una aperta ribellione contro l'operato del Papa, della Santa Sede e pure della Conferenza Episcopale Italiana guidata dal Card. Bagnasco.
«Avevamo pertanto messo insieme una raccolta di recenti lettere, missive, omelie e proclami mediatici scritti e firmati di proprio pugno da «Paolo Farinella, prete» e, senza alcun commento, alcuna modifica e alcun taglio, li abbiamo presentati alla Congregazione per il Clero chiedendo un parere. Questa la risposta:
“Nell’accusare ricevimento della Lettera del 1° u.s., relativa all'operato del Rev. Don Paolo FARINELLA, dell'Arcidiocesi di GENOVA, mi reco a premura di significarLe che il Codice di Diritto Canonico sancisce che:
- per qualsiasi fedele cattolico, il divieto di ledere all'altrui buona fama (cfr. can. 2220, CIC);
- l’obbligo dei chierici di prestare speciale obbedienza e rispetto al Romano Pontefice ed al Proprio Ordinario (ossia, il proprio Vescovo, N.d.R.) (cfr. can. 273, CIC);
- la punizione del delitto di chi eccita i sudditi alla disobbedienza contro la Sede Apostolica o l'Ordinario;
- il divieto per tutti i chierici di avere parte attiva nei partiti politici e nella direzione di associazioni sindacali (cfr. can. 287, §2, CIC);
- l’obbligo dei ministri sacri di osservare le norme dei libri liturgici nella celebrazione del Santo Sacrificio dell'Eucaristia e degli altri sacramenti (cfr. cann. 846, §1, 850, 928, CIC)”.
La lettera, a firma del sotto-segretario Mons. Antonio Neri, non specifica se nei confronti di don Farinella ci saranno o meno dei provvedimenti (diretti, da parte della Santa Sede, come accaduto per altri sacerdoti in altre diocesi d'Italia, o indiretti, tramite il superiore di don Farinella ossia il Card. Bagnasco); la lettera è infatti indirizzata a un privato cittadino e non sarebbe corretto che venisse informato prima lui del diretto interessato, tuttavia la lettera risponde chiaramente e senza ombra di equivoco alla domanda in merito al Farinella-pensiero: gli scritti farinelliani sono scritti che non possono essere seguiti, l'operato di don Farinella è un operato che la Chiesa non riconosce né come proprio né come buono, ma in cui ravvisa svariate violazioni e delitti meritevoli di punizione. Ora, fatta chiarezza, solo una domanda resta aperta: quali saranno i provvedimenti verso don Farinella?».
Commento e lezione di giornalismo
(di Paolo Farinella, prete)
Un giornalista degno di questo nome non farebbe mai un’azione del genere perché indegna della professione, e meritevole di sanzione disciplinare per tradimento della deontologia. Da questa pagina, infatti, si evincono alcune cose che ritengo gravi non solo in sé, ma specialmente perché compiute da un «giornalista».Penso che un giornalista dovrebbe registrare i fatti e le circostanze, descriverle oggettivamente, e, se lo ritiene opportuno, commentarle a parte con ragioni e valutazioni. Può chiedere chiarimenti su determinati punti, se a suo parere apparissero contrastanti. Dovrebbe riportare le diverse opinioni o punti di vista senza entrare nel merito di quanto affermato o scritto dagli interessati, a meno che non siano materia palesemente illegale.
Il giornalista Andrea Macco, che, al contrario, deve dimostrare al suo padroni di essere un fedele cane addomesticato, non è nuovo a questo procedimento, che prosegue quello inaugurato dal suo giornale e meglio conosciuto come «metodo Boffo», e per il quale il suo ex direttore (Vittorio Feltri) è stato sanzionato dall’Ordine dei Giornalisti con la sospensione. Egli ha sempre sperato, sollecitandomi a rispondere ai suoi attacchi che ormai durano da anni con ritmo quasi quotidiano. Non ho mai risposto per non scendere ad un livello di degrado che non mi tocca. Il Giornale può scrivere quello che vuole, tanto tutti sanno che essendo un giornaletto prezzolato dal padrone, chi vi scrive è assunto per fare gli interessi della padronanza e bacchettare chiunque non si adegui al servilismo berlusconiano. Sappia l’Andrea Macco che ha sbagliato indirizzo, e si rammenti che ho denunciato il suo padrone, Silvio Berlusconi, alla Procura della Repubblica, per attentato alla Costituzione, altro che congregazione del clero.
Trasmetterò questo materiale (articolo di Macco e mia risposta alla congregazione del clero) all’Ordine dei gionalisti perché valutino una interferenza nella vita di un cittadino con la richiesta ad un dicastero vaticano d’intervenire «nel merito» perché sarei, a quanto leggo, meritevole di «scomunica». Credo che questo non sia fare giornalismo, ma sciacallaggio, come è costume sistematico del Giornale. Il Macco Andrea è un frequentatore abituale della curia di Genova e forse ha qualche udienza da parte di qualche curiale, per cui, attaccandomi, crede di accreditarsi presso il cardinale come un «fedele suddito» (CJC can. 1373), difensore dell’ortodossia.
Comincio a credere che parlare di me gli dia quello sprazzo di notorietà di cui ha bisogno per sopravvivere o forse pensa di accattivarsi qualche benevolo apprezzamento in qualche ambiente curiale, visto che quando non si occupa di me, per lui è buio pesto. Mi auguro che abbia ancora una coscienza, a meno che, «tenendo famiglia», non sia costretto a vendersi a qualunque prezzo per mantenere la prole. Nel qual caso posso anche fare una colletta nella mia chiesa.
Ritengo che il giornalista Andrea Macco sia venuto meno alla deontologia della sua professione per i seguenti motivi:
-1) Non scrive informando i suoi lettori su quello che ho detto o fatto, ammesso che ciò possa avere un interesse pubblico, ma confonde i suoi desideri con la realtà. Egli scrive da «avversario».
-2) In quanto giornalista entra nel merito dei contenuti e decide «ex sese» che io non sono consono con la dottrina cattolica per cui si sente in obbligo di ristabilire l’ortodossia ufficiale.
-3) Egli invia un dossier alla congregazione del clero non per confrontare opinioni diverse, ma per chiedere una valutazione etica o disciplinare. Scrive, infatti: «Questa volta non ci sono dubbi: l’operato di Don Paolo Farinella va contro il Diritto Canonico della Chiesa, ne infrange ben quattro specifici articoli e per tale «delitto» - come definito dallo stesso Diritto Canonico - è prevista punizione». Queste affermazioni non sono diritto di cronaca, ma valutazioni dottrinali che non sono di sua pertinenza. L’Ordine dei Giornalisti dovrebbe approfondire.
-4) Il Giornalista è ansioso di giungere ad una conclusione di condanna: «tuttavia la lettera risponde chiaramente e senza ombra di equivoco alla domanda in merito al Farinella-pensiero: gli scritti farinelliani sono scritti che non possono essere seguiti, l’operato di don Farinella è un operato che la Chiesa non riconosce né come proprio né come buono».
-5) Il suo accanimento contro di me è patologico, insano e meritevole di cure psichiatriche: a meno che non voglia farmi pagare ad ogni costo, la mia avversione verso la persona e l’operato del suo padrone, di cui lui è un esplicito «suddito» a libro paga.
-6) Chiedo che l’Ordine dei giornalisti valuti se vi siano gli estremi del tradimento della professione giornalistica e rispettiva deontologia.
Guai a quella nazione i cui giornalisti invece di essere cani da guardia e mastini attenti al poterer in ogni sua forma, si offrono, prostituendosi, come esecutori di sanzioni verso chi non è allineato. Se lo avesse fatto un giornalista di un qualsiasi giornale, pazienza, ma che lo faccia il Giornale di Berlusconi, è segno che l’indecenza ha raggiunto livelli ormai irrecuperabili.
Risposta di Paolo Farinella, prete, alla Congregazione del Clero
(e per conoscenza al Card. Angelo Bagnasco)
[spedita martedì 19-06-2012, ore 8,30]
Congregazione per il Clero
Piazza Pio XII, 3
00193 Roma
e p. c.
Card. Angelo Bagnasco
Piazza Matteotti, 4
16123 Genova
Il mio nome è Paolo Farinella, sono un prete della diocesi di Genova, oggetto delle amorevoli cure de «Il Giornale», proprietà della famiglia Berlusconi. Da anni codesto giornale mi ha preso di mira perché non sono a libro paga dell’immondo ex presidente del consiglio e dei suoi «sudditi», mentre al contrario, da cristiano e da prete, in nome dell’etica pubblica e cattolica come della dignità civile, fondata sulla Carta costituzionale, combatto lo spirito berlusconista basato sull’immoralità, la falsità e la corruzione. Questo spirito ha fatto breccia anche su ecclesiastici e laici cattolici come anche su organizzazioni religiose (Opus Dei, Comunione e Liberazione, Legionari di Cristo, Neocatecumenali, ecc.), visto che da quasi venti anni hanno sostenuto, con avvertita coscienza e deliberato consenso, la politica e i comportamenti del proprietario de «Il Giornale», Silvio Berlusconi, che ha perseguito solo interessi individuali e di gruppo, negando sistematicamente ogni decenza etica e legale, con atti personali e governativi contrari ai principi elementari della Morale e della Dottrina sociale della Chiesa.
Non ho mai risposto a codesto giornale per non scadere al suo livello di «centrale del fango» e di menzogne contro tutti coloro che non sono proni di fronte al suo padrone e signore, Silvio Berlusconi. Credo che tutti, anche in codesta congregazione, ricordino il «metodo Boffo», inaugurato appunto da «Il Giornale» pur di mettere a tacere chi non era allineato alla servitù di coscienza. Io stesso ne anticipai le mosse e le conseguenze al card. Angelo Bagnasco, mio vescovo, in una udienza privata, tre mesi prima che il giornale mettesse in atto la sua consapevole e immonda campagna denigratoria contro il direttore di «Avvenire», Dino Boffo.
Prendo atto che un tale Andrea Macco, a libro paga di quel giornale di quel padrone, contravvenendo al proprio stato deontologico di giornalista, di cui si occuperà l’ordine interessato, si è premurato di spedire a codesta congregazione del clero un file con materiale vario, contenente miei interventi sul piano politico, sociale e religioso (in senso ampio), chiedendo, con un obiettivo censorio, un intervento disciplinare contro di me.
A mio parere, un giornalista dovrebbe solo registrare i fatti e, eventualmente, commentarli separatamente esponendo le ragioni del proprio dissenso. Il giornalista in questione, Andrea Macco, invece, non solo capovolge la verità, se non collima con l’interesse del suo padrone, ma osa ergersi a tutore dell’ortodossia cattolica, auspicando provvedimenti disciplinari, sostituendosi al vescovo naturale e all’autorità costituita, comminando «scomuniche» in un chiaro delirio di onnipotenza e cessando di essere giornalista, ma difìventando galoppino del suo padrone e signore.
Sarebbe stato logico che la congregazione avesse dichiarato «irricevibile» la missiva dell’interessato, dichiarando che non è competenza di un giornale discettare sull’ortodossia di un prete perché questo compito è di esclusiva pertinenza del vescovo. La risposta del sotto-segretario, pubblicata da «Il Giornale» on line in data 15 giugno 2012 (cf allegato), può dare l’impressione che la congregazione accetti l’intrusione del «de cuius», illecita giuridicamente, immorale nel metodo e senza alcun distinguo. Inoltre potrebbe avvalorarne i contenuti e quindi la richiesta sanzionatoria nei confronti di un prete che ha i suoi referenti ecclesiali e giuridici.
E’ grave che da anni egli attacchi la mia credibilità ecclesiale con volontà espressa di volermi colpire. Non riuscendo però ad avere fino ad oggi una mia risposta a qualsiasi attacco proditorio e ignobile, appena ricevuta la risposta del sotto-segretario, non esita a pubblicarla con un articolo in cui dichiara perentoriamente: «Don Farinella “scomunicato” dalla Congregazione del Clero» e subdolamente conclude con una interrogativa retorica: «quali saranno i provvedimenti verso don Farinella?», lasciando intravvedere nei lettori un processo in corso. Era questo lo scopo che si voleva raggiungere, servendosi strumentalmente di codesta congregazione.
Veniamo al contenuto che sintetizzo brevemente: nessuno dei rilievi evocati dai canoni citati dal sotto-segretario mi toccano direttamente perché non ho leso la fama di alcuno, ma ho sempre argomentato con idee e ragioni le questioni, per altro di natura opinabile (politica, etica pubblica, economia, sociale, comportamenti ecclesiastici e politici, ecc.), sulle quali l’autorità ecclesiastica non ha giurisdizione magisteriale specifica. Si potrebbero tutt’al più catalogare i miei interventi come inopportuni in un regime di intrallazzo reciproco, ma il criterio della «opportunità» non è contemplato nel diritto evangelico e credo anche in quello canonico. Anzi, San Paolo incita il suo discepolo Timoteo ad essere importuno: «oportune inportune argue, obsecra, increpa» (2Tm 4,2). Questo è l’orizzonte dottrinale di mia competenza: in dubiis libertas.
Se il mio comportamento e la mia predicazione, che io per altro e il mio popolo giudichiamo ineccepibile, dovessero essere censurati come pretende il giornalista de «Il Giornale» di Berlusconi, codesta congregazione del clero avrebbe dovuto scrivere e richiamare a disciplina canonica l’attuale segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone e il vicario emerito del Papa per la diocesi di Roma, card. Camillo Ruini. I due eminentissimi, infatti, sono andati a uno a cena e l’altro a pranzo con l’ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, uomo notoriamente immorale, corrotto e corruttore, utilizzatore finale di prostitute anche minorenni. Era presente anche Gianni Letta, nobiluomo del Papa e garante presso la gerarchia ecclesiastica di un individuo indegno che nessun capo di Stato vuole più incontrare. Lo scopo del desinare, notturno e diurno, verteva sull’individuazione di strategie elettorali per fare vincere la sindacalista Renata Polverini alle regionali del Lazio. Non credo che rientri nelle prerogative etiche e giuridiche di un prete, anche se cardinale, manovrare perché alle elezioni regionali del Lazio vinca la candidata di destra. Se i cardinali militano a destra, si può vietare a chiunque di fare equilibrio, solo un pochino, a sinistra?
Non sono iscritto ad alcun partito e/o sindacato e ho rifiutato anche candidature e relative prebende al parlamento, proprio perché ritengo questa scelta incompatibile con il mio servizio pastorale che sul piano sociale si colloca in quello che i convegni ecclesiali della Chiesa Italiana, definiscono «ambito prepolitico». Non ho mai organizzato manifestazioni a favore di qualcuno.
In occasione delle elezioni comunali di Genova, in quanto credente incarnato nella storia del mio tempo e per dare un servizio al mio popolo, mi sono avvalso dei criteri della dottrina sociale della Chiesa, per esaminare insieme ai miei parrocchiani chi dei candidati realizzava meglio la prospettiva del «bene comune» e non interessi privati o di lobby. Abbiamo escluso a priori i partiti dove militano politicanti corrotti e corruttori, fautori di leggi ignobili per uso personale e del proprio gruppo.
Sono intervenuto, a volte anche pesantemente, perché costretto dallo «stato di necessità» dal momento che qualche candidato e anche parlamentari che lo sostenevano dichiaravano di avere l’ap-poggio della Curia, cioè della gerarchia cattolica. Costoro, che pur si dichiarano cattolici, militano in partiti che hanno un altissimo tasso di delinquenza, di illegalità, di frode allo Stato, e fanno gli interessi di gruppi di pressione ben agguerriti.
A costoro nulla importa del «bene comune» che si realizza garantendo ai poveri il diritto evangelico alla vita, alla dignità attraverso i servizi sociali che solo la fiscalità generale può e deve sostenere. E’ il principio della solidarietà sociale che contraddistingue sia la religione che la Costituzione. E’ un dato di fatto che molti cattolici hanno scelto di militare in partiti ignobili che hanno fatto dell’immoralità pubblica la loro caratteristica peculiare, salvo poi andare in Curia a protestare la loro religiosità come moneta di scambio.
E’ vero, ho detto pubblicamente che avrei votato un candidato che si dichiara non credente e vorrei che tutti i credenti della mia Chiesa fossero non credenti come lui: in campagna elettorale ha preferito perdere voti piuttosto che dire una bugia o promettere falsità, spergiurando sulla testa dei figli, come ha fatto, invece, il proprietario del giornale che mi accusa. L’attuale sindaco di Genova, eletto anche con il mio modesto contributo, è persona seria, coerente e ha «il bene comune» come orizzonte del suo concetto di città. In nome e in forza della dottrina ordinaria, egli merita la nostra fiducia a differenza dei sedicenti cattolici che trafficano, corrompono, manovrano, delinquono pur di avere ed esercitare il potere. Sono certo che anche il Papa, informato correttamente, se avesse potuto votare a Genova, in coscienza e alla luce della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, avrebbe votato come me.
Personalmente predico che riconosco l’autorità del Papa e del mio vescovo in materia di fede e di morale, sempre pronto ad ubbidire al vescovo quando agisce da vescovo e in base al diritto evangelico e, se del caso, anche canonico. Non ho mai messo in discussione l’Autorità nella Chiesa perché alla luce della Scrittura è impossibile e perché non l’ho mai fatto: sono testimoni tutti i credenti e i non credenti delle mie parrocchie e anche i miei vescovi ancora viventi (card. Canestri, card. Tettamanzi, card. Bagnasco). Riconosco che il Papa è il Papa e il vescovo è il vescovo, ma lavoro perché si arrivi ad una riforma radicale della Chiesa, ripristinando l’uso di quella primitiva (almeno fino all’anno mille) quando il papato e l’episcopato non avevano ancora la forma storica di esercizio che hanno assunto dal Medio Evo ad oggi. Lo stesso papa Giovanni Paolo II nell’enciclica «Ut unum sint» si dichiarò disposto a «trovare una forma di esercizio del primato che … si apra ad una situazione nuova … affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (Encicl. Ut unum sint, n. 95).
Ciò significa che l’esercizio dello stesso ministero petrino può cambiare per adeguarsi «ad una situazione nuova», cioè alle esigenze che provengono dalla Storia che avanza verso il Regno. Lavorare perché si arrivi al più presto a questo mutamento di servizio e di forme storiche dell’esercizio dell’Autorità, a mio parere e a parere dello stesso papa, non significa essere contro l’autorità o «eccitare i sudditi» (termine orribile per la sensibilità odierna!) alla disobbedienza, semmai significa «incitarli» a comprendere sempre più profondamente il significato evangelico del ministero dell’autorità nella Chiesa che non s’identifica con essa.
Oggi per molti, erroneamente e senza fondamento teologico, il termine Chiesa è ridotto a sinonimo di gerarchia come si evince dalla mens stessa del giornalista che chiede la mia testa: egli vorrebbe un Cristianesimo senza Cristo, una religione civile, una Chiesa di solo clero, anzi di sola gerarchia con cui fare e disfare ciò che conviene alla sua fazione politicante al soldo del suo padrone, a seconda delle circostanze. Saremmo nella piena eresia perché la Chiesa è il «popolo di Dio» (Lumen Gentium, capitolo II) all’interno del quale c’è anche la gerarchia che non è padrona della Chiesa, ma è a servizio del popolo santo di Dio (cf Eb 5,1).
Chi legge voglia ricevere i miei saluti sereni e senza rancore.
Paolo Farinella, prete (Genova, 18-06-2012)
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