Quello che segue è il testo dell'articolo de l'Unità del 15 luglio 2012:
«Nicole, resisti!». Un fiume in piena di tweet sommerge l'ultimatum di Angelino Alfano a Nicole Minetti. Gli utenti di Twitter, armati di ironia mista a indignazione, criticano infatti la richiesta di dimissioni della consigliera regionale del Pdl.
E anche qualche esponente del partito di Berlusconi non nasconde le sue perplessità. Guido Crosetto, deputato Pdl ed ex sottosegretario, cita Manzoni: «'Vergin di servo encomiò, non me la sento oggi di speculare con 'codardo oltraggiò. Minetti non è un tema politico e non la si può usare».
Poi in un altro tweet spiega: «Gli errori si fanno, si ammettono e si cercano di correggere. Ma lei non è causa di alcun problema, solo di imbarazzo». Certo, non mancano i tweet di sostegno ad Alfano e di sollievo per una richiesta 'meritocraticà. Ma prevalgono di gran lunga i 'cinguettiì di chi, come Roberto, si schiera «con Nicole Minetti contro l'ipocrisia del Pdl».
Perchè «farla dimettere ora è quasi più ingiusto che averla candidata». E allora c'è chi lo dice con un hashtag: #Nicoleresisti. «Attendiamo di sapere - scrive Diego - da Alfano perchè la Minetti deve dimettersi e se, con lei, devono dimettersi anche Berlusconi e Formigoni». «E dell'Utri, e Cosentino?». «'Chi è senza peccato scagli la prima pietrà. Si dimetta anche chi l'ha candidata», intima più d'uno. Perchè «le dimissioni chieste solo adesso - si indigna Daniele - sono più scandalose della candidatura. È il potere usa-e-getta».
C'è chi paragona la consigliera regionale al Trota e chi a Rosi Mauro: «Sacrificano loro e poi è tutto a posto, no? Che vigliacca mediocrità», scrive Stefano. I più, insomma, affermano di voler difendere la consigliera regionale in quanto «capro espiatorio» sacrificato sull'altare del nuovo corso del Pdl. E ricordano come il 25 gennaio 2011 Silvio Berlusconi in una telefonata all'Infedele di Gad Lerner difendesse Minetti: «Una splendida persona, intelligente, preparata, seria. Svolge un importante, apprezzato lavoro con tutti gli ospiti internazionali della Regione».
PER LEI IN CAMPO ANCHE FEDE - «Ma quale ultimatum: ho consigliato io a Nicole Minetti di dimettersi, per giocare d'anticipo rispetto alle polemiche. È accaduto a cena, dieci giorni fa. Lei mi ha dato ragione e mi ha detto che il giorno dopo l'avrebbe comunicato a Berlusconi. Non so cosa sia successo poi, perchè non l'ho più sentita. So però che lei aveva intenzione di dimettersi».
Emilio Fede lo scrive su Twitter e poi lo spiega al telefono: ancor prima che la richiesta arrivasse dal Pdl, fatta propria anche dal segretario Angelino Alfano, l'idea di fare un passo indietro era già tra i pensieri della consigliera regionale lombarda del Pdl Nicole Minetti. «Venerdì della scorsa settimana ci siamo visti a cena da Giannino: io, lei e il suo assistente - racconta l'ex direttore del Tg4 - Abbiamo parlato di come vanno le cose, lei era amareggiata e incerta sul da farsi e le ho consigliato: gioca d'anticipo e rassegna le dimissioni. Ne abbiamo discusso e lei mi ha detto: 'Hai ragione, domani vado ad Arcore e lo comunico a Berlusconì. Insomma, accettando il mio consiglio aveva già preso la decisione».
Ma questa settimana Minetti ha smentito di volersi dimettere: «Mi sembra una reazione legittima - afferma Fede - Deve aver preso male l'idea che la richiesta venisse dal partito e ha detto: 'A questo punto cacciatemì. L'avrei fatto anche io». «Ora fanno tutti i puri - aggiunge il direttore - Qualcuno (e non faccio nomi) ha pensato fosse il momento giusto per aggredirla. Nella stupida caccia alla Minetti tutti vogliono la taglia, ma sicuramente non è Berlusconi a voler fare una campagna contro di lei: lui non ama le vendette, è molto generoso».
A costo di soprendervi, dico che anch'io appartengo alla categoria di coloro che invitano Nicole Minetti a resistere. Noin fraintendetemi. Nessuna stima per una che sapeva benissimo per quali "meriti politici" fosse stata catapultata nel ben retribuito consiglio regionale lombardo. Ma non confondiamo i ruoli. Minetti è accusata di essere stata una efficace organizzatrice di puttane, e di essersi resa corresponsabile di induzione alla prostituzione di minori. Penseranno le patrie procure a stabilire se queste accuse siano fondate o meno.
Ma quello che è certo è che tutte le parti in causa (quelle che oggi sperano di diminuire l'imbarazzo proprio non già cancellando i fatti, ma nascondendone l'oggetto) potrebbero legittimamente chiedere le dimissioni della superflua Nicole solo a patto di salire insieme a lei sul rogo. Se Nicole Minetti dev'essere esposta alla gogna, insieme a lei dovrebbero entrare nel "gabbio" anche Berlusconi (che ha preteso il suo inserimento nel listino bloccato) e Formigoni (che ha accettato senza opporre alcuna resistenza).
Quindi, a costo di scandalizzare i miei amici, dico a Nicole: "resistere, resistere, resistere". Finchè resterai in quel posto, sarai la testimonianza vivente (e imbarazzante) della pochezza etica di chi in quel posto ti ha messo. Appena ne dovessi venir fuori, sarai la testimone - presto dimenticata - solo della tua pochezza. A te la scelta. Tafanus.
Più che una spending review il provvedimento varato dal Governo la scorsa settimana è una manovra finanziaria. Con alcune sorprese: non ci sarà alcun risparmio nei prossimi tre anni associato ai tagli nella Pubblica Amministrazione perché i risparmi negli stipendi verranno compensati dagli aumenti della spesa previdenziale. Non si poteva allora fare una vera riforma (e spending review) del pubblico impiego?
Sulla base della relazione tecnica della Ragioneria, è possibile approfondire la valutazione delle “disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati” (come recita il titolo ufficiale del decreto legge sulla spending review).
LE SORPRESE NEI CONTI DELLA RAGIONERIA
Come si vede dalla tabella qui sotto, il saldo netto a regime è praticamente zero (27 milioni). Le misure infatti servono integralmente a finanziare la rinuncia ad aumentare le aliquote Iva dal settembre prossimo per un anno e a coprire le spese per la ricostruzione nelle aree terremotate e per gli esodati. Ma ci sono anche altre voci di spesa nel 2013: le immancabili misure per l’autotrasporto, le missioni di pace (1 miliardo nel 2013), il 5 per mille, un indecifrabile fondo esigenze indifferibili (700 milioni). Insomma, si tratta di una vera e propria manovra finanziaria lorda, che movimenta fino a 23 miliardi. La principale sorpresa rivelata dalla tabella è che non ci sarà alcun risparmio nei prossimi tre anni associato ai tagli alla pianta organica della Pubblica Amministrazione (meno 20 per cento per i dirigenti e meno 10 per cento per il personale non dirigenziale). Al contrario, ci sarà un piccolo incremento (attorno ai 100 milioni) dei costi. Come avevano anticipato qualche giorno fa, i risparmi sugli stipendi pubblici verranno più che compensati dagli oneri aggiuntivi per la spesa pensionistica (e poi ci sarà, una tantum, l’erogazione della liquidazione). Inoltre i tagli lineari alle piante organiche previsti dal provvedimento avranno effetti relativamente modesti sugli effettivi, che sono spesso molto inferiori agli organici soprattutto nelle amministrazioni con un più alto tasso di turnover (quindi maggiormente colpite dal blocco delle assunzioni).
ALCUNI INTERROGATIVI
Al varo del provvedimento, avevamo posto un quesito all’esecutivo: perché, invece di diluire ulteriormente la riforma previdenziale e fare uscire dalla PA dipendenti sulla base unicamente di criteri anagrafici (che spesso non hanno nulla a che vedere con la produttività e sono contrari a principi meritocratici) non si è fatta una mappatura degli esuberi, premessa di tagli mirati alle amministrazioni con personale in eccesso?
La risposta che ci è stata data è che mancava il tempo per un’operazione di questo tipo. E’ una risposta insoddisfacente che non spiega perché si sia perso tutto questo tempo, perché la spending review non sia partita fin dal giorno di insediamento del nuovo Governo. Ma, alla luce dei dati della Relazione tecnica, questa spiegazione è ancora meno convincente. Dato che i provvedimenti non migliorano i conti pubblici nei prossimi tre anni, non si potevano prendere ancora tre mesi e varare, subito dopo la pausa estiva, una vera spending review della PA, magari assieme ad una vera riforma del pubblico impiego?
Il Governo ha promesso che avrebbe allargato al pubblico impiego le riforme del mercato del lavoro. Poteva essere l’occasione buona per ridurre il divario di trattamenti fra pubblico e privato, che è stato accentuato dalla riforma Fornero.
Al di là dei risparmi, un’operazione di questo tipo riuscirebbe a migliorare la qualità dei servizi pubblici, soprattutto nel Mezzogiorno. Ciò di cui c’è bisogno è una serie di piani industriali, settore per settore, amministrazione per amministrazione, che è proprio quello che si intende quando si parla di spending review.
Infine permetteteci un’ultima domanda ai tecnici della Ragioneria: cos’è il "fondo esigenze indifferibili"? E il "fondo contributi pluriennali"? Non sarebbe il caso di essere più trasparenti nella rendicontazione?
Fonte: Relazione Tecnica - Ragioneria Generale dello Stato
Quello che segue è il testo dell'articolo di Francesco Bei che uscirà domani su Repubblica online. Bei non ha approfondito troppo, a mio avviso, quali siano le ragioni che hanno spinto Berlusconi a quella che - più che la mossa del cavallo - sembra la mossa del bue. Una mossa disperata, per cercare di salvarsi dalla macellazione incombente. nella lotta alla sopravvivenza che ormai Berlusconi combatte su più fronti:
I processi: per ogni processo che si chiude, se ne aprono due. E Silvio non può rischiare di restare privo di scudi, diritti di veto, legittimi impedimenti e quant'altro.
La roba: la quotazione dei titoli Mediaset è passata dagli 8,5 € del collocamento, a 1,25 €. Il che significa che il pezzo maggiore del patrimonio è dimagrito dell'85%.
I debiti: il bilancio a fine 2011 riporta debiti ber 1775 milioni di €, cioè dello stesso ordine di grandezza di quelli del '93 (3500 miliardi di lire) che avevano fatto candidamente ammette e Confalonieri che Silvio era sceso in campo per non dover portare i libri in tribunale. Da allora l'audience delle reti Mediaset non ha fatto che scendere (gli investitori non si sentono più vincolati a favorire il Re).
Da Pisanu a Tremonti, aria di diaspora - "All'ex premier restano solo i devoti" - E gli ex An avvertono: se torna Forza Italia, andiamo via (di Francesco Bei - Repubblica)
La diaspora è iniziata. Dietro gli evviva, i bentornato, le pacche sulle spalle, dietro tutto quello che s'è visto dopo il gran rientro di Berlusconi, c'è un partito sull'orlo di una crisi di nervi. Perché magari sarà pur vero, come ha detto ieri il Cavaliere a Vespa, che senza di lui il Pdl sarebbe precipitato a percentuali a una sola cifra. Ma il rovescio della medaglia è il sospetto che corre di bocca in bocca: le liste del "nuovo" Pdl - si tornerà probabilmente al vecchio nome di «Forza ltalia» - stavolta saranno tutte militarizzate, epurate nome per nome, per lasciare posto a una nuova generazione di berluschini. Per questo chi può e chi sa già di essere nella lista nera, sta meditando di fare fagotto.
Tra peones e nomi illustri è una carovana di parlamentari quella che sta come d'autunno sugli alberi le foglie. I generali sono tanti. C'è Lamberto Dini e c'è Beppe Pisanu, che da tempo guarda a Casini e Fini. Del resto entrambi lo scorso aprile promossero un documento, firmato da una trentina di senatori, in cui auspicavano la nascita di «un nuovo movimento liberaldemocratico».
Saranno accontentati, ma il «nuovo movimento» farà a meno di loro. Un altro che ormai fa storia a sé è Giulio Tremonti. L'ex ministro dell'Economia confida in questi giorni agli amici di non essere affatto sorpreso perla nuova " epifania" del Cavaliere. La considera «inevitabile» vista la «natura dominicale» del Pdl, il suo essere proprietà del signore. E soprattutto considerata lanecessità di Berlusconi di tutelare le sue aziende. Eppure Tremonti non sembra troppo convinto del successo dell'operazione. Non ha fiducia nei sondaggi che individuano un bacino di potenziali elettori berlusconiani vicino al trenta per cento. «Ormai - l'hanno sentito dire a una cena - Berlusconi può raggiungere un massimo di 10-12 per cento di zoccolo "devozionale".
Anche perché gli imprenditori guardano tutti altrove». E dove guardano questi «imprenditori» orfani del centrodestra? Tremonti sta riflettendo, è pronto a mettersi in gioco di persona per costruire un approdo, «le risorse ci sono». Se Giorgio Stracquadanio è sceso dal predellino e si appresta a lanciare il movimento «Sedizione Liberale» («perché la rivoluzione liberale ormai è stata tradita da Berlusconi») insieme a Oscar Giannino e Marco Taradash, un altro nome storico forzista pronto a fare le valigie è Gaetano Pecorella.
Così come Marcello Pera, da tempo in rotta con il suo partito d'origine. Al Senato i rapporti fra Pera e il gruppo Pdl sono ridotti a zero. Con Schifani ormai è ai minimi termini, tanto da averlo attaccato pubblicamente in aula per la conduzione «di parte» del dibattito sulle riforme costituzionali. In molti si chiedono poi che fine farà Guido Crosetto, uno che aveva creduto alla leadership di Alfano. Tra le file degli ex forzisti sono in molti i personaggi a rischio, da Deborah Bergamini a Paolo Amato, da lsabella Bertolini allo stesso Mario Valducci, considerato come la mente politica che ha sostenuto l'iniziativa dei giovani "formattatori" del Pdl.
C'è poi Frattini. L'ex ministro degli Esteri è più montiano di Monti. E se il Cavaliere sterzasse su una campagna elettorale troppo urlata, prenderebbe il largo a vele spiegate. Tanto per far capire come la pensa, ieri ha rilasciato un'intervista a Liberal senza citare nemmeno di striscio Berlusconi candidato premier e augurandosi, al contrario, il proseguimento di Monti oltre il 2013 «perché il bene dell'Italia non finisce a marzo».
Un caso a parte è costituito da Gianfranco Rotondi, furibondo per essere tenuto sistematicamente lontano dalla stanza delle decisioni. L'ex ministro lo ha preannunciato in una telefonata ad Alfano: «È finita la fase dei parenti poveri; se voi sciogliete il Pdl me lo prendo io e vado avanti. Siete voi e Berlusconi che ve ne andate». Rotondi è pronto a difendere i suoi diritti di "cofondatore" in tribunale (...oddio... non è che la eventuale dipartita di Gianfranco Rotondi abbia creato del panico... Sono in molti a sperare che mantenga la minaccia di andarsene. NdR)
Ma la minaccia più grave è quella che arriva dagli ex An. Il passa parola tra i big è questo: «Berlusconi vuole chiamare il Pdl Forza Italia. Se lo fa ce ne andiamo tutti insieme». La decisione è presa, il nervosismo cresce. Tra i banchi della Camera gira anche un foglietto con un simbolo che lo stesso Ignazio La Russa si sarebbe presola briga di depositare. «Unione italiana», il nome ipotizzato. Pronti alla rottura anche Gasparri e Meloni (quoque tu, Gasparrus? NdR)
Ci eravamo già coperti di ridicolo, quando era uscita questa splendida copertina - quella volta di "Der Spiegel" - dedicata a Berlusconi: "Der Pate" (Il Padrino). Adesso col "Padrino 4 - Il Ritorno", apparso ieri in prima pagina su "Die Welt", ci copriamo non sono di ridicolo, ma anche di vergogna.
Pensavamo che Silvio fosse "sexually addicted" per conto suo, e invece oggi scopriamo che la colpa era della Spectre, del baion, del negro zumbon e della superflua Nicole Minetti. Meglio tardi che mai. Ecco come come Francesco Merlo descrive la storia della Maga Circe A/R, che prima trasforma gli uomini in maiali, e poi, sacrificandosi, ritrasforma i maiali in uomini, attraverso un processo catartico. Tafanus
La Minetti da love of my life a maga Circe che trasformava Silvio in maiale - Il Berlusconi Redento manda al rogo la Strega
Ha relegato Nicole Minetti, che fu la sua mezzana-sottana, al ruolo della strega, della maga Circe che lo aveva trasformato in maiale, pur non essendo lui un marinaio di Ulisse. Uscito dalle scene orgiastiche che frequentava da assatanato, Silvio Berlusconi rientra dunque in politica come un Fra Cristoforo pentito e compunto e costringe Nicole alle dimissioni da consigliere regionale della Lombardia. Nel ruolo del ricandidato redento vorrebbe liberarsi di lei come di un peccato subito, la debolezza di un giovane ultrasettantenne, la stecca di un tenore senza stile.
E così il destino della Califfa, che Berlusconi fece eleggere nella lista bloccata di Formigoni, diventa lo stesso destino di Alfano, che sta a Silvio come il trota stava a Bossi, lo stesso destino di Emilio Fede e di tutti gli altri. E chissà quante e quanti ancora ne vedremo cadere in questa eterna commedia che per Berlusconi è la politica.
Impresario teatrale, il cavaliere assegna ruoli che sono sempre estremi perché ha un alto senso della comicità. E difatti la Minetti, che adesso per lui è la maliarda malafemmina, fu "la lady che, splendida, competente, studiosa, laureata con lode e con un inglese di madre lingua, permetteva alla Regione Lombardia di fare una bellissima figura con gli ospiti internazionali". Allo stesso modo Alfano si ritrovò ministro della Giustizia, delfino, candidato premier: l’uomo che fu quid per diventare ticket. E Fede fu il grande tele giornalista, Lavitola lo sherpa, Lele Mora il trimalcione… Ebbene, Berlusconi si è liberato di tutti loro come si è ora alleggerito di quattro chili di grasso.
E le dimissioni della Minetti sono come la vendita di Ibrahimovic e Thiago Silva al Paris Saint Germani per 150 milioni in due anni, passaporti per la sobrietà di moda, come quella dieta sbandierata dai suoi giornali che lo raccontano smilzo e lesto al pari di un gatto, un aggiornamento dei finti capelli che Carlo Rossella gli metteva in testa truccando le foto di Panorama e degli album celebrativi di Alfonso Signorini. Insomma ancora un lifting che copre gli altri lifting, un’estrema mano di stucco su crepe mille volte stuccate.
Secondo le indiscrezioni, Berlusconi ha offerto alla Minetti la conduzione di uno spettacolo televisivo in prima serata. Non sappiamo se la Circe di Arcore accetterà il declassamento, proprio lei che aveva dichiarato a Repubblica: "Punto alla Farnesina" (...quando si dice avere ambizioni modeste e coscienza dei propri limiti... NdR). Sicuramente Silvio ha chiaro che, riportandola dalla politica attiva - "per te c’è un posto in Parlamento", le ripeteva - al "Colorado Caffè", dove la Minettia veva esordito, ammette implicitamente la serietà delle imputazioni di induzione e favoreggiamento della prostituzione (anche minorile).
La sola differenza rispetto ai Pubblici Ministeri, con i quali Berlusconi finalmente solidarizza nelle accuse alla sua Nicole ridotta a fattucchiera, è che quelli le prospettano la galera, mentre lui la vuole rinchiudere nel varietà televisivo. Ma ormai tutti sanno che le trasmissioni di risarcimento sono l’estrema risorsa che sta nel fondo del suo borsellino, l’ultimo pugno di granturco gettato ai tacchini e alle pollastre. E sono , queste compassate compensatorie, anche le condanne definitive al "fine pena mai", come insegna la carriera di Vittorio Sgarbi, accontentato e ghigliottinato in prima serata su Raiuno .
E tra le colpe di Berlusconi c’è anche il terribile destino di una bella donna, il cui seno diventava maestoso per lui e le cui labbra si sporgevano generose per lui, come se fosse questo il destino delle belle donne italiane: finire nella mani di un ramarro. Berlusconi incontrò un’affascinante arrabbiata di Rimini, che è "la città delle donne" di Fellini, e la trasformò in una sboccata madame de Pompadour che sceglieva e "briffava" e "confessava" le favorite per meglio farsi favorire.
La proclamò maitresse di Stato, e la Minetti fu la lupa, la capobranco e l’istitutrice delle Ruby, delle Iris e di tutte le ragazze stacchetto, "trasvestite" da infermiere o poliziotte, tutte bambole sexy. La Minetti, come risulta dalle intercettazioni, si vestiva da uomo, una specie di Calamity Jane, oppure danzava nuda nel Berlusconi-Satyricon. Di sicuro non aveva bisogno di passare di classe sociale come le altre ragazze che erano spinte dai fratelli e dalle mamme, tutte fiere del "mestieraccio", purché esercitato ad Arcore. La Minetti infatti chiamava Silvio "love of my life", era già in Consiglio Regionale, amministrava appartamenti e beni immobili, il suo futuro era il ministero degli Esteri.
Poi, quando scoppiò lo scandalo, Berlusconi si spaventò. Propriola Minetti poteva diventare in tribunale la sua tomba, l’arma letale contro di lui. Depositata nelle intercettazioni c’era infatti la sua voglia implacabile di vendicarsi, quando il sogno di farcela comela Carfagna, "come Mara", divenne un incubo: "Qua la cosa si fa grossa. Sono nella merda seria più di tutti quanti". E dunque "per quel briciolo di dignità che mi rimane", per quel padre per bene che rimase ferito… E Berlusconi era "un pezzo di merda", e "quando si cagherà addosso per Ruby", e insomma "c’è un limite a tutto". E poi l’epigrafe più famosa: "E’ un culo flaccido".
Invece Berlusconi ne riconquistò il sorriso e se ne assicurò il silenzio. Per lui la Minettia ffrontò, con il coraggio che Berlusconi non ha mi avuto, la Boccassini, il tribunale, gli avvocati, l’esposizione ai giornalisti e ai fotografi che la trattarono da donna pubblica: "Ogni volta che mi fate una domanda è sempre su Ruby e sul gossip. Ma io di questa vicenda non parlo". Persino adesso, che non si presenta in tribunale e rivendica "il legittimo impedimento", lo fa con un sorriso sardonico, sottolinea e scandisce "legittimo impedimento" con uno sfottò ammiccante e quasi sexy a favore di telecamera, e non certo verso la Corte. Il suo "legittimo impedimento" , infatti, non è una formula giuridica ma una citazione, e quel sorriso seducente è "un mandare a dire", il messaggio di un’intimità sotterranea con il suo ex pigmalione, rispetto al quale giganteggia.
La Minetti è stata a un passo dalla propria liberazione, poteva decidere il palinsesto, tornare alla decenza, pulirsi del crimine: "Io al massimo prendevo le contravvenzioni, ma non arrivavo a commettere reati". Non l’ha fatto.
E non l’ha fatto per lui che, rinnegandola, adesso rinnega anche quel se stesso mozartiano e libertino al quale noi non abbiamo mai creduto, ma che i suoi giornali hanno lungamente esibito componendo con lascivia corriva il più triste elogio del mascalzone della storia della pubblicistica italiana. La verità è che il satrapo lazzarone e guadente, il Caligola orbo di crudeltà ma sazio di lussuria, è un vecchio sconfitto che non sa uscire di scena, non riesce a lasciare il palco, e come in "amici miei atto terzo" si ricovera nella naftalina, pur disprezzando i propri coatanei che ieri, in 150, all’hotel Ergife hanno inutilmente sperato di applaudirlo.
Non c’è andato. Ha saputo che quella era "claque" reclutata in un centro anziani: "Basta con tutti questi vecchi". Eppure è solo da loro che può ora farsi eleggere a capo di una destra perdente da casa di riposo. Perciò con energia arzilla tradisce anche la Minetti. E per dimostrare il proprio pentimento, come i vecchi sporcaccioni del seicento, implicitamente l’accusa di essere l’organizzatrice dei diabolici sabba notturni di Arcore e poi, assumendosi il ruolo di giustiziere, la brucia nel pubblico autodafé delle dimissioni. Manca solo che dia l’incarico al ragioniere Spinelli di far radere al suolo l’Olgettina per erigere al suo posto una colonna infame.
Ecco l'articolessa di ieri su Libbbero, non firmata, e quindi attribuibile al Direttore (sic!) Maurizio Belpietro. Al quale vorrei spiegare qualcosa sul suo mestiere: scrivere cazzate sul proprio giornale - specie se è un giornale "non distante" dagli interessi di bottega del padrone - non è vietato, in assoluto. Solo che è una cosina di pessimo gusto. Perchè delle due l'una: o si è in malafede, e totalmente asserviti agli ordini del padrone, oppure non si è in grado nemmeno di distingure quando si può far passare qualcosa come un complotto del truce comunista Bersani, e quando non si può. Ma addiamo al riassuntino del suo articolo:
Partito (poco) democratico - Bersani ha paura di Renzi: così lo esclude dalle primarie.
Il leader del Pd pensa ad un regolamento-beffa: alle consultazioni potrà partecipare solo un rappresentante per ciascun partito. La vecchia guardia teme l'effetto Pisapia e Doria. Per concorrere il sindaco rottamatore di Firenze dovrebbe stracciare la tessera e creare una propria lista
Vietato sfidare Pierluigi Bersani, almeno all'interno del Partito democratico. E soprattutto se ci si chiama Matteo Renzi. Nel Pd si discute animatamente di primarie, di meccanismi di voto, di regolamenti, di partecipazione. Tutto bello, tutto molto - ça va sans dire - democratico. Sabato il segretario darà qualche delucidazione ai compagni di partito ma secondo Dagospia l'uomo di Bettola avrebbe in serbo una amarissima sorpresa per il sindaco rottamatore di Firenze, suo "leale avversario" (come si era definito lo stesso Renzi un paio di giorni fa, parlando di un Bersani dalle idee "novecentesche") e praticamente unico serio sfidante nel partito.
Altro che "primarie aperte" promesse da Pierluigi. Aperte sì, ma solo per gli altri, i rappresentanti dei partiti della coalizione (Udc, Fli, Idv, Sel?), la società civile, le liste civiche alla Roberto Saviano. Renzi, con la tessera del Pd in tasca, in uno scenario simile starebbe a guardare: il candidato Pd alle primarie del centrosinistra sarebbe solo e soltanto Bersani. Paradossalmente, avrebbe più chance di partecipare alle primarie Beppe Grillo (che qualche anno fa ci provò, chiedendo addirittura la tessera del Pd, ma per paura della figuraccia i vertici del partito gliela negarono) (...no, Belpietro, nessuna paura della "figuraccia". Oltretutto all'epoca Grillo valeva il 3/4%. Semplicemente, non può entrare in una coalizione un tizio che vomita dalla mattina alla sera sul partito-guida di quella coaliziome. In una coalizione si entra se ci sono ideali e programmi condivisi, non si entra per rompere i coglioni. Mi dica che ci arriva persino lei... NdR)
Al di là del boicottaggio dei leader del partito, la vecchia guardia, nei confronti dei giovani come Renzi e Pippo Civati, ci sarebbe anche il timore di ripetere risultati clamorosi come quelli delle primarie di Milano (vinse il rifondarolo Giuliano Pisapia) o Genova (il vendoliano Marco Doria) con il trionfo di candidati giudicati (a torto) minoritari perché vicini all'ala estrema. A questo punto Renzi avrebbe solo una scelta: lasciare il Pd e fondare una propria lista autonoma. Il rischio è perdersi nella galassia della sinistra, la scommessa quella di far saltare le poltrone su cui sono seduti comodamente, da anni, Bersani, Veltroni, D'Alema & Co. (...quindi, per capire il suo discorso: in una eventuale coalizione dove ci siano i rifondaroli e i vendoliani, non ci potrebbe essere né un candidato di Rifondazione, né uno di SEL? E' questa la minchiata-chiava che sta cercando di veicolare? NdR)
Caro Belpietro, facciamo l'elenco delle minchiate che ha scritto (per scrivere le quali sarebbe bastato un fattorino di Libbbero, senza bisogno di attingere alla scienza politologica sua o a quella dell'uomo di Dagospia:
-1) Bersani non ha bisogno di pensare ad alcun regolamento-beffa, perchè un regolamento per le primarie alla premiership, in caso di coalizione, c'è già. E' reperibile da qualsiasi cretino dotato di un collegamento Internet, e illustrato (e non da ieri) sullo Statuto del PD, all'art. 20. Dice esattamente che in caso di primarie di coalizione per la candidatura a premier, il candidato del PD è uno solo, ed è il segretario pro-tempore. Ma nessuno vieta a Renzi, o al Ciwati, di raccogliere le firme per una riunione speciale del Consiglio, presentare una mozione di sfiducia nei confronti di Bersani, prendere il posto di Bersani come Segretario, ed essere, a norma di statuto, il candidato premier.
-2) Gli ultimi a poter dare lezioni in materia siete i c.d. "giornalisti" di Libbbero e del Geniale, embedded ad Arcore. Avete appena annunciatop, infatti, con rumore di grancassa, le primarie del PdL, salvo poi cancellarle perchè adesso c'è un Candidato Unico, auto-elettosi candidato-a-tutto, senza bisogno di scomodare impicci come le primarie, i congressi, e neanche una riunione in pizzeria dei maggiorenti del partito. Quindi questa predica cretina dovrebbe farla all'uomo di Arcore, non all'uomo di Bettola.
-3) Gli altri partiti della eventuale coalizione, se vogliono entrare in coalizione col PD, non devono far altro che accettarne le regole e i programmi. Sarebbe singolare che il partito del 30% si autolimitasse a presentare un candidato, e partitini del 4/7% pretendessero di presentare una decina di candidati a testa, le pare? Si scannino fra di loro, scelgano il loro candidato, e competano. Un candidato a partito.
-4) Non faccia confusione, Bellissimo Pietro; in aprile si è votato per le amministrative, lei adesso sta parlando di politiche. O sbaglio? Se sbaglio, mi corriggerete.
-5) Renzi, così caro alla famiglia Berlusconi, vuole presentarsi, e non riesce a scalzare Bersani dalla segreteria? Facile: crei un suo partitino; accetti il programma di coalizione, e si presenti alle primarie di coalizione, col suo partitino, contro quell'uomo del novecento che risponde al nome di Bersani. Sono sicuro che Renzi, proprio perchè è un modernissino ggiovane 2.0, tutto casa, chiesa e feisbuk, ci metterebbe un attimo a raccogliere i click (pardon... i voti) per assurgere a guida spirituale della eventuale coalizione di centro-sinistra.
P.S.: Mentre spedisce questi suggerimenti pratici a Renzi, sono sicuro che potrà fare un copia&incolla per il suo padrone, il quale di primarie ha parlato solo per 5 giorni, ma scherzava, come sappiamo sia io, che lei, che quel tizio di Dagospia. Quando si è così attenti alle regole democratiche (altrui), sarebbe buona norma intanto adottarle in casa propria, non crede? Tafanus.
Oggi, 14 Luglio: Festa Nazionale Francese. In ricordo del 14 Luglio 1789, giorno della "Presa della Pastiglia". Potremmo avere anche noi una pastiglia, e il nostro "quatorze juillet"?.
Bye bye Montecitorio - Un plotone di parlamentari rischia di saltare alle prossime elezioni. Così, tra paure e manovre tentano di salvarsi (di Susanna Turco - l'Espresso)
Porcellum o Provincellum, il problema è stare "in listum". L'urlo, nel mezzo di raffinati dibattiti sulla legge elettorale, proviene da un anonimo deputato leghista. Ma il terrore, quello di non riavere la poltroncina rossa, è trasversale. Ferisce in pratica mezzo Parlamento. Girano previsioni da paura, salmodiate tra i banchi d'Aula come versetti dell'Apocalisse. Alla Camera 130 pidiellini su 210 non torneranno più, e così pure se ci riprovano accadrà a 35 leghisti su 60 (ma ci sono sondaggi che li danno sotto la soglia fatidica del 4 per cento).
Spazzati via i Responsabili e gruppuscoli satellite del centrodestra (altre venti-trenta persone), letteralmente dimezzati i futuristi. A casa - stando alle regole del Pd - un'ottantina di parlamentari democratici, candidati alla rottamazione per legge interna. Mentre il gruppo dell'Italia dei Valori attende d'essere raso al suolo in nome del rinnovamento. Insomma una carneficina. Molto più ampia di un fisiologico turnover. Conclusione degna di una legislatura lunga, sgangherata e ormai estenuante, cominciata all'insegna dell'ordine costituito e finita in una inarrestabile slavina dell'esistente.
In mezzo alle rovine si aggira, dunque, il gregge di coloro che non torneranno. Una marea dolente, il cui lamento non è ancora esploso ma serpeggia eccome. Centinaia di persone, centrodestra per lo più, che ballano l'ultima estate, l'ultimo tango da parlamentari: odore della fine che accomuna sconosciuti baciati dal colpo di fortuna, elefanti marini arrivati a fine corsa, ragazze non più ragazzine, vecchi non anziani, stufi, entusiasti e non rassegnati. Fra qualche mese, dopo la mareggiata delle elezioni, la gran parte di loro non ci sarà più. Non là dentro, almeno, ma fuori, nel vasto mondo e ignoto. Molti già l'hanno capito - come il peone di rango Mario Pepe che teorizza un ritorno al policlinico Umberto I, dove è in aspettativa da endocrinologo. Altri, come supernovae che brillano pur essendo stelle morte, non se l'aspettano.
INCONSAPEVOLI. «Io sto lavorando come e più di prima, incertezza non ne vedo, ho un sacco da fare e sono molto sereno», si bea Maurizio Paniz. Balzato di botto, un annetto fa, nell'olimpo berlusconiano in quanto alfiere della strepitosa teoria per cui il Cavaliere credeva seriamente di tutelare, in Ruby la nipote di Mubarak, l'avvocato di Belluno continua a lavorare così, «con tutto l'impegno possibile», come ai tempi in cui pareva la quadratura del cerchio (un nuovo Ghedini, non dipendente del Cav), ma con gli occhi chiusi sul futuro: «La prossima legislatura? Un problema che non mi sono posto. Sono sereno, molto sereno, molto», spiega bordeggiando la rimozione.
Forse, l'atteggiamento di chi, privo di una cordata che lo agganci a una rielezione, si puntella da sé. Come fa Catia Polidori, pidiellina di ritorno (fu ricompensata con un posto da viceministro) che, nella speranza di recuperare (forse) posizioni, intanto socializza dando feste. Sempre sorridenti, e per lo più sostanzialmente inconsapevoli, le cosiddette "ragazze", le quindici-venti giovani e belle del Pdl come Gabriella Giammanco e Barbara Mannucci: a rischio, in realtà, non tanto perché Berlusconi non intenda garantire la categoria in sé ("Forza gnocca" è tra le poche sue certezze), quanto perché - spiegano spietati - «esiste già il ricambio, le nuove leve: stessa categoria, più giovani».
EX PICCONATORI . Nel si salvi chi può di un Pdl dove ormai si ragiona nelle proporzioni del ne sopravviverà uno su tre, stile formicaio impazzito, particolarmente abili nel consolarsi da soli (perché già sicuri di essere falciati via) sono quelli che hanno picconato la coda del berlusconismo di governo. «Io francamente mi sarei anche stufato di stare in un posto dove si fa sempre il contrario di quel che sostengo», dice Giorgio Stracquadanio, da un anno in cerca di una strada diversa, da ultimo insieme con Isabella Bertolini, Gaetano Pecorella e altri (vedasi la neo associazione "Un'altra Italia"): «Non dovesse funzionare, avrei il mio piano B: comunicazione d'impresa, relazioni istituzionali. Qualche proposta di consulenza l'ho già avuta», prova a rassicurarsi.
Il partito di chi, in mancanza di un futuro da parlamentare, si ricorda di avere un'alternativa, è del resto folto - e va forte soprattutto tra chi sa di aver tirato molto la corda. «Tornerò a fare l'avvocato, pazienza. Peccato però», ripete da mesi (a giorni alterni) il futurista Nino Lo Presti, che qui si prende ad esempio per quella trentina di parlamentari che ha seguito fino in fondo Gianfranco Fini nel divorzio da Berlusconi, e che oggi sa che, tra grandi coalizioni e società civile, ben che vada ci sarà spazio per una metà del gruppo attuale. «La paura della rielezione», l'ha chiamata il presidente della Camera nell'ultima riunione, beccandosi applausi caldi e spauriti (del resto il leader centrista Pier Ferdinando Casini, potesse decidere da solo, ne salverebbe giusto due: Benedetto Della Vedova e Giulia Bongiorno).
AUTO-ROTTAMATI . «Il cosa fare nessuno lo sa, bisogna aspettare che passi agosto. Però certo, l'idea di mollare c'è: un altro giro, mi chiedo, per fare cosa?». Paolo Guzzanti, agitatore d'altra stagione (si pensi alla Mitrokhin), oggi parte di una componente liberale del gruppo misto («Siamo in tre»), dà voce a una ipotesi che - a carature e forze d'urto diverse - percorre nomi noti del Parlamento. Prossimo al passo indietro, dicono nel Pdl, è per esempio Sandro Bondi, per il quale è già apparecchiato un posto in Mondadori: l'apparente mite triumviro del Pdl, che ormai siede mansueto nella sua poltroncina da senatore con l'aria di chi alla politica non saprebbe più che chiedere, potrebbe così lasciare spazio per la rielezione della compagna Manuela Repetti (peraltro anche in questo caso tutt'altro che scontata).
Si vocifera, poi, che Claudio Scajola stia cercando sì di piazzare i suoi (forse con Casini) ma restando lui fermo un giro: non a sua insaputa, stavolta, ma in rottamazione forzata, causa una legislatura nella quale, a furia d'essere evocato, si è soprattutto consumato. Nel Pd, invece, l'aver ventilato Massimo D'Alema di essere forse disposto al passo indietro ha diffuso il panico tra i big: Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Franco Marini, Livia Turco, Walter Veltroni, Beppe Fioroni, Giovanna Melandri e la restante ottantina di parlamentari che ha raggiunto il limite dei tre mandati previsto dallo statuto del partito. Perché è vero che sono prevedibili (non poche) eccezioni alla regola, ma se il lìder Maximo volesse sua sponte non ricandidarsi, sarebbe assai più difficile per gli altri tenersi lo scranno. Di qui l'agitazione.
VIETATO MOLLARE. «Sono entrato in Parlamento per cambiare la politica, da dentro è 100 mila volte peggio che da fuori, ma voglio continuare». Santo Versace, ex Pdl, ora deputato Api, resiste attaccato allo scoglio e non lo nega. Non è che facciano a gara per contenderselo: «Ma io non mollo. Chi mi candiderà? Si vedrà, non lo so. Vorrei un movimento nuovo, leader nuovi. A Parma avrei votato per Pizzarotti, ma di diventare grillino non me la sento. Vedremo». Più raffinato, il centrista Rocco Buttiglione gioca l'argomento del cosa farebbero senza di me: «È bello il segnale per cui rinnovamento significa che qualcuno va a casa, e a me non dispiacerebbe tornare all'Università», dice il professore che siede in Parlamento da diciotto anni. Poi aggiunge: «Però sto contribuendo a generare un nuovo partito, non mi sembrerebbe leale lasciare proprio ora». Ci rifletterà, assicura.
PRIMA FILA ADDIO . Domenico Scilipoti, reuccio dell'epoca dei Responsabili, da qualche tempo è ancora più agitato del solito. Ha capito che si è abbattuto su di lui lo stesso virus che colpì Clemente Mastella ai tempi della caduta del secondo governo Prodi: preziosissimo fino a un momento prima, «inacquistabile» un momento dopo (proprio così lo definì il Professore). Additato oggi come sovrana causa della rovina del governo Berlusconi (altro che tappeti rossi) Scilipoti ha annunciato l'abbandono del gruppo Popolo e territorio per dedicarsi anima e corpo alla sua creatura dall'impronunciabile sigla Mrn: dove finirà, non sa.
Su tutt'altro livello, ma accomunati dalla cesura netta tra un prima e un poi, ce ne sono tanti. Ex golden boy come il leader dell'Api Francesco Rutelli che, in attesa di riprendersi dal colpo mortale dell'inchiesta sui rimborsi della Margherita che ha portato in galera il suo ex tesoriere, si sarebbe fatto garantire una postazione nel polo casiniano: a patto però - par di capire - che tenga almeno per qualche tempo un conveniente basso profilo. O Giulio Tremonti: già leader in pectore del centrodestra berlusconiano, già protagonista di qualsiasi scenario politico-istituzionale, squagliatisi tra le mani Pdl e Lega (per non parlare delle proprie aspettative dopo il caso Milanese) starebbe lavorando con l'ottantacinquenne Rino Formica per rifare una sorta di partito socialista. Un futuro scintillante.
SPETTRO GRILLINI . Non è solo lo stare all'opposizione del governo Monti che accomuna i parlamentari di Lega e Idv. È anche l'incertezza verso il proprio futuro, diversamente minato dal Movimento 5 Stelle, che incarna in modo più efficace l'attacco ai tecnici e all'ordine esistente. Nel Carroccio, l'annuncio del "via da Roma" del neosegretario Roberto Maroni è soprattutto oggetto di rimozione collettiva: tra gli 80 parlamentari leghisti in teoria prossimi a fare le valigie, c'è chi dice di aver «comunque già aperto una segreteria elettorale in Valcamonica, non si sa mai»; chi teorizza la soluzione schizofrenica di un piede a Roma e un altro in Padania; chi, come Jonny Crosio, immagina disperato l'espatrio elettorale: «Mi potrei candidare in Svizzera».
Nel partito di Antonio Di Pietro, invece, la faccenda ha preso una piega strana: il leader ha infatti annunciato l'intenzione di radere al suolo l'attuale dirigenza, non tanto perché scottato dalle esperienze scilipotesche, ma soprattutto perché si attrezza contro la concorrenza dei grillini. Conseguenza: terrorizzati dal finire sotto la mannaia, i parlamentari dell'Idv non aprono più bocca. Non si azzardano a criticare il leader in pubblico (vedasi il più recente attacco a Napolitano, ad esempio), e nemmeno a discuterci in privato: nelle ultime due riunioni del partito, a differenza del solito, ha parlato solo Di Pietro e tutti rasenti il muro. Risultato: il para-grillino Franco Barbato, sempre più raffinato («Avete rotto i coglioni»), dilaga. Lui, par di capire, tornerà.
Grandissima eccitazione nel mondo per il ritorno del Nano Pelato. I maggiori vignettisti di tutto il mondo si sono ubriacati fino all'alba. I bloggers lubrificano i contatori dei propri siti. I redattori del Cuore si incontrano in segreto, per esaminare la possibilità di riaprire il mitico settimanale. Qualche preoccupazione è stata espressa solo dalle maggiori cancellerie europee, ma si può capire: temono la concorrenza di Crapa Asfaltata.
Intanto impazza il toto-ticket: chi sarà la fortunata che affiancherà il futuro premier? Ecco i nomi più gettonati (non è satira, sono indiscrezioni provenienti da fonti solitamente ben informate): Daniala Santanscié, Mara Carfregna, Maria Stalla Gelmini 'de Neutrini, Michaela Biancofiore, Giorgia Meloni, Vittoria Michela Brambilla.
Di seguito una piccola galleria di cattiverie passate.
Angelino Alfano, appena un anno e dieci giorni fa, pensava di essere stato "acclamato" all'unanimità, su ordine del Padrone, Segretario del PdL. Adesso si accorge, con stile, che era tutto un gioco di specchi. Anzi, di specchietti. Angelino è stato, e sempre sarà, il "segretario di Silvio". Insomma, un "facente le feci" del suo Padrone. I partiti di proprietà non hanno Segretari, solo maggiordomi e serventi.
Correva il luglio 2011: Angelino Alfano "acclamato" Segretario
Persino Stracquadanio, fino all'altro ieri talmente succubo del padrone da chiamare il suo sito - senza vergogna - ilpredellino.it, alla patetica frase di Angelino che, per salvare il lato B della faccia, affermava: "sono stato io a chiedere a Silvio di scendere in campo", commentava: "...vero... peccato che la risposta di Silvio sia arrivata prima della richiesta di Angelino..."
La finta designazione dell'inutile Angelino a candidato Premier del Pdl (o come diamine si chiamerà in futuro il partito di plastica), è durata ancora meno. Quattro mesi. Ed ecco come Curzio Maltese tratta oggi su Repubblica la ridicola faccenda:
Le promesse del Rieccolo (di Curzio Maltese)
Sembrava incredibile che Berlusconi potesse mantenere una promessa, una sola nella vita, l’ultima. Infatti, rieccolo. In fondo a quattro mesi di sceneggiata, è ormai ufficiale che l’investitura di Alfano era l’ennesima pagliacciataIl candidato del Pdl alle prossime elezioni sarà ancora lui, il Cavaliere. Chi l’avrebbe detto? Tutti. Nella sua totale inaffidabilità, Berlusconi rimane un personaggio molto prevedibile. Basta pensare il contrario di quanto lui dice e nel giro di poche settimane arriva puntuale la conferma. Negli ultimi giorni ha ricominciato ad agire da leader. Nella sua visione, che consiste nel dire tutto e il contrario pur di occupare la scena. Ha proposto di uscire dall’euro e di stampare moneta, poi di far uscire dall’euro la Germania, infine ha ammesso che si trattava di una serie di scemenze.
Insomma, stava preparando un’altra campagna elettorale delle sue. Certo l’età, sia pure per uno unto dal Signore e da Scapagnini, costituisce un ostacolo. Ma che volete, le televisioni vanno male, Alfano non esiste, Feltri risulta antipatico anche ad alcuni parenti. Non c’erano molte alternative. E' vero che se vincesse, ipotesi per fortuna remota, il patriarca del centrodestra potrebbe compensare nominando un governo di giovani. Magari perfino di minorenni. Dipende anche da come finiranno i processi. La ridiscesa in campo di Berlusconi, a 76 anni suonati, è comunque il simbolo di un’Italia sempre aperta al nuovo e ansiosa di futuro.
Vent’anni fa, nella lettura storica del nostro, un orrido complotto di magistrati impedì al popolo sovrano di mantenere per altri vent’anni una giù attempata classe politica di ladri e di corrotti. Una buona parte della quale si è comunque riciclata sotto le bandiere del nuovo. Oggi siamo alla vigilia di un altro trionfo dei gattopardi. I partiti della seconda repubblica hanno fallito, consegnando a un governo tecnico un paio di missioni rese impossibili da vent’anni di cattiva politica: rimettere in ordine i conti dello Stato e far crescere l’economia. In altri paesi a questo punto scoppia una rivoluzione e va al potere una generazione di trentenni. In Italia per ora il quadro è il seguente. Alle prossime elezioni si potrà scegliere fra gli stessi leader di vent’anni fa, più o meno, ma con vent’anni di più.
Oppure puntare sulle strepitose novità rappresentate da un ex comico di 65 anni, che spopolava ai festival di Sanremo degli anni Ottanta, a fine repertorio. O ancora, nella più fortunata delle ipotesi, su Luca Cordero di Montezemolo, altro simbolo dei favolosi Ottanta, che potrebbe scendere in campo vent’anni dopo, come nei romanzi di Dumas. L’anagrafe, si capisce, non costituisce di per sé un merito, come la stessa figura di Angelino Alfano si è incaricata di ricordarci. Ma farsi venire un paio di idee, vista la portata epocale della crisi, è chiedere troppo?
Le idee di Berlusconi sono le stesse di vent’anni fa, comprese la lotta agli ormai introvabili comunisti e le leggendarie riforme liberali. Sono tutte lì, ancora da realizzare dopo il più lungo e forte governo della storia repubblicana. Ma gli elettori del centrodestra ci si sono affezionati. Del resto, che il destino del centrodestra si sarebbe esaurito nella parabola biografica del leader l’abbiamo scritto fin dal primo giorno. Nessuna sorpresa, dunque. Con la ridiscesa in campo, si completa il quadro della fantasmagorica campagna elettorale prossima ventura, all’insegna di chi la spara più grossa. Era proprio quello che ci voleva, dopo una breve, ma faticosissima parentesi di serietà nella vita pubblica italiana. Il re buffone non poteva perdersi l’ultimo show.
Curzio Maltese (da "La Repubblica" del 12/07/2012).
P.S.: Il Cavaliere deve scendere in campo - di nuovo - per disperazione. Nel bilancio 2011, rispetto a quello del 2012, l'utile netto di Mediaset si è dimezzato (da 350 milioni a 176 milioni). L'indebitamento è passato da 1590 milioni a 1775 moilioni (cioè, in soldoni, più alto di quello del '93, quando lo stesso Confalonieri affermò che Berlusconi "aveva dovuto" scendere in politica, per evitare la bancarotta.
Non conosco le (eventuali) trimestrali 2012, ma è facile immaginare che le cose siano ulteriormente peggiorate, e di molto-
La quotazione del titolo Mediaset è passata, in un anno, da 2,20 euro a 1,25 euro. Inutile ricordare che i fedeli berlusclones, in fase di collocamento in borsa, si erano picchiati per potersi aggiudicare il titolo a 8,50 euro. Quei fortunati, oggi possono registrare una perdita in conto capitale di circa l'85%. Che culo! Tafanus.
Indiscrezioni dalla Francia: "Stop alla Torino-Lione" - Secondo Le Figaro Parigi è intenzionata a riesaminare dieco progetti Tav; fra questi, anche la tratta dello scontro in val Susa
La Francia intende riesaminare - ed eventualmente rinunciare a - dieci progetti di linee ferroviarie ad alta velocità, tra cui la Torino-Lione: è quanto riporta Le Figaro. "Lo Stato ha previsto una serie di progetti senza averne fissato i finanziamenti. Il governo non avrà altra scelta che rinunciare ad alcune opzioni", ha dichiarato il ministro del bilancio, Jerome Cahuzac. Secondo il quotidiano, sotto esame anche la Torino Lione, a causa del costo elevato (12 miliardi) e del calo del traffico merci.
In realtà, secondo l'Osservatorio tecnico guidato dall'architetto Mario Virano non cambia nulla: semplicemente anche Parigi, come già ha fatto Roma, applicherà il "fasaggio" (...brrrr!!!...). Dividerà la realizzazione dell'opera in più fasi per diluirne i costi. In una prima fase sarà realizzato il tunnel di base e una galleria sul versante francese di circa 15 chilometri. Due opere indispensabili per abbassare l'altitudine della linea storica ferroviaria (il dislivello si ridurrebbe di 700 metri) poi per il resto sarà utilizzato l'attuale tracciato. Tra l'altro Oltralpe hanno già realizzato le tre gallerie di servizio preliminari al tunnel di base lungo 57 chilometri. Rinunciare alla Tav vorrebbe dire buttare a mare milioni di investimento.
Il senatore del Pd, Roberto Della Seta, chiede chiarezza: “Si vedrà nei prossimi giorni se davvero il Governo francese intende rimettere in discussione la scelta sulla Tav Torino–Lione. Intanto alcune verità sono incontestabili: quest’opera ha un costo molto elevato e riguarda una direttrice di traffico lungo la quale da 15 anni viaggiano sempre meno merci".
Per chi volesse darsi una rinfrescata, richiamiamo un post tecnico sulla TAV, con tanto di riferimenti, tabelle e grafici allo studio più completo che sia mai stato pubblicato sui flussi di traffico della linea Lione-Torino, sull'andamento dei flussi, sui necessari paranetri costi/benefici. Numeri da brivido. Tafanus.
...se Monti è stanco o incapace di guidare un governo tecnico super partes, si faccia da parte...
Quarto giorno di esternazioni, quarto colpevole del mancato calo dello spread. Il primo giorno la colpa era di Squinzi; il secondo giorno dell'incertezza politica; il terzo giorno dei sindacati; ieri dellla concertazione (cioè di Giuliano Amato e di Carlo Azeglio Ciampi).
Siamo sempre in attesa che arrivi il giorno dell'autocritica. Perchè è ormai "as clear as fresh water" che il giorno della lotta alla corruzione ed alla grande evasione, il giorno della patrimoniale, il giorno della dismissione del patrimonio pubblico, è ormai un ritornello privo di significato.
Per fare questa ennesima pisciata fuori dal vaso, oltretutto, Monti ha scelto la sede più impropria: una rimpatriata fra amici, presso quell'ABI che riunisce quei banchieri che qualche piccola responsabilità nel dissesto dell'Italia dovrebbero pur avvertirla. Monti si è prodotto in una serie allucinante di sciocchezze che raggiungeranno solo l'obiettivo di incanaglire ancora di più la lotta politica, e di contribuire a resuscitare persino Berlusconi. Perchè se questo è il modo si governare e di esternare, a molti verrà voglia di invocare "il ritorno del puzzone". Almeno ci si diverte. Già ieri, dopo la ventilata ipotesi della ri-discesa in campo del Cavaliere Maskarato, folle di vignettisti hanno festeggiato stappando casse di spumante.
La stroria della Grande Pisciata è su tutti i giornali e su tutte le agenzie, ma ho deciso di estrarne i punti salienti dall'articolo di Rossella Lana sul Messaggero poichè, come giornale appartenente al suocero del più bieco sostenitore del montismo (quel Pierferdi aspirante sponsor di un futuro Monti politico, e aspirante alla guida dell'improbabile "Partito dei Carini", che prima di nascere era già morto); così sono sicuro di attingere ad un giornale che di tutto può essere accusato, tranne che di essere pregiudizialmente contrario al Pisciator Cortese. Ecco alcuni brani:
[...] Nonostante l’agenda affollata di impegni internazionali e interni Mario Monti ha trovato il tempo per partecipare ieri all’assemblea annuale dei banchieri. E’ stata l’occasione per ricordare quello che il suo governo ha fatto. E chiarire che se su qualche fronte, come quello dello spread che non scende quanto dovrebbe ed «è per noi motivo di frustrazione perché è un aspetto negativo che viene imputato la governo», i risultati tardano ad arrivare, non bisogna stupirsi. Cambiare la percezione dei mercati sul fatto che l’Italia ha voltato pagina ci vuole tempo. «Siamo in guerra contro i diffusi pregiudizi sul nostro paese, contro le ciniche sottovalutazioni di noi stessi, una guerra contro eredità come il grande debito pubblico, contro gli effetti inerziali di decisioni del passato e contro i vizi strutturali della nostra economia»
Una guerra che il governo sta conducendo anche grazie ad una profonda «innovazione nel metodo». Con Confindustria e sindacati Mario Monti è categorico. «Le parti sociali devono essere consultate ma devono restare parti, e non soggetti ai quali il potere pubblico dà in outsourcing responsabilità di politica economica». Nella sua relazione il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, aveva detto che questo governo non è tenero con le banche, ma che le banche rinnovano al governo il loro pieno sostegno. Con chiaro riferimento al presidente Squinzi, Monti ha notato che invece «altre parti sociali come Confindustria, che con la riforma del lavoro ha avuto aperta la strada per contratti più flessibili» non esprimono lo stesso riconoscimento (...Traduzione: "ma come, abbiamo lasciato alla Confindustria 46 forme di "contralli dlessibili" su 47, e questi ingrati ci criticano?" NdR)
L’innovazione nel metodo significa fine della concertazione, aggiunge poi, aprendo un nuovo fronte di scontro con i sindacati. «In passato ci sono stati esercizi profondi di concertazione che hanno creato debito perché lo Stato poi interveniva a compensare gli squilibri creati. Esercizi di concertazione che hanno creato i mali contro cui noi combattiamo e a causa dei quali i nostri figli non trovano facilmente lavoro». Monti recita il de profundis della stagione nella quale «lo Stato era il compensatore ultimo», ma alla parola concertazione, il pensiero di tutti, e non potrebbe essere altrimenti, corre a Ciampi e ad Amato, che comunque proprio con quel metodo hanno tagliato le gambe all’inflazione e permesso all’Italia di salire sul treno dell’euro insieme agli altri grandi paesi europei [...]
Insomma, un disgustoso scambio di masturbazioni reciproche. Peggio di quelle che intercorrevano tra Berlusconi e i vassalli delle confindustrie di Amato e/o di Fossa. E una condanna senza appello al grande lavoro svolto per il risanamento dell'Italia da Carlo Azeglio Ciampi.
Oggi su Repubblica Massimo Riva spiega perchè Monti, sparando sulla concertazione, abbia scelto il bersaglio sbagliato:
“Che Mario Monti non ami la concertazione fra governo e parti sociali è risaputo da anni – inizia così il commento di Massimo Riva su La Repubblica – . Ma un conto sono i numerosi e argomentati editoriali che ha scritto sulla materia in passato, tutt' altra cosa iI duro e perentorio giudizio sulla questione pronunciato ieri nelle vesti di presidente del Consiglio. Sarà anche vero che il metodo delle consultazioni a Palazzo Chigi con sindacati e Confindustria è scaduto sovente in una liturgia di così scadente o nulla efficacia da legittimare critiche anche aspre. Ma il premier si è spinto molto più in là indicando in questa pratica la fonte dei ‘mali contro cui combattiamo e a causa dei quali i nostri figli e nipoti non trovano facilmente lavoro’. C'è un eccesso di semplificazione e di disinvoltura storica in queste parole che lascia interdetti”(continua su rassegna.it)
Massimo Giannini, che pure ha sempre difeso l'operato di Monti con convinzione, ha trasmesso questo duro commento su Repubblica Video:
Glaciale, durissimo il commento della Camusso, che condivido aL 100%, nel merito delle cose che dice, e nei toni: "Monti non sa di cosa parla
11/07/2012 - Sandra Poppi, candidata a Modena nel 2009, diffidata dall'utilizzare il simbolo del M5S (da Giornalettismo)
“Sandra Poppi non ha titolo a rappresentare il Movimento5stelle ne’ all’uso del logo ed e’ diffidata dal farlo”. Parola di Beppe Grillo. Attraverso il suo blog, in due righe il leader del M5s oggi caccia dal movimento la neoconsigliera del Comune di Modena, Sandra Poppi, senza aggiungere spiegazioni. Poppi, entrata in Consiglio esattamente dieci giorni fa dopo le dimissioni di Vittorio Ballestrazzi, nel 2009 si era candidata alle amministrative con la lista Modena5stelle-beppegrillo.it, arrivando seconda.
ALLE ELEZIONI REGIONALI – Nel 2010 si era presentata anche alle elezioni regionali, piazzandosi seconda dietro Giovanni Favia per la circoscrizione modenese. Ma una consultazione interna ha fatto si’ che in Regione entrasse Andrea Defranceschi. Da allora, fra Poppi e il Movimento sono iniziati i dissapori, rimasti sopiti fino a dieci giorni fa, quando la presidente del Wwf e’ stata chiamata a sostituire Ballestrazzi. “Non ho fatto nemmeno in tempo a entrare in Consiglio che mi hanno gia’ cacciata”, osserva Poppi incredula. Soltanto l’altroieri ha acceso per la prima volta il microfono del Palazzo Comunale. “Nei giorni scorsi ho scritto allo staff di Grillo per consultarmi sull’ingresso in Consiglio. Non ho avuto alcuna risposta”, fa sapere. “Eppure non sono iscritta ad alcun partito, non ho condanne penali e non ho offeso nessuno. Non capisco”, protesta. Entrando in Comune, Poppi ha ripristinato il simbolo del movimento con cui si era candidata, togliendo quello dell’ex grillino, Vittorio Ballestrazzi (che a sua volta, per questo gesto le ha dichiarato guerra).
...insomma, qui siamo finiti in mano a una banda di galantuomini...Tafanus.
...se per caso qualcuno dovesse avvistare un Monti che si prende una piccola parte di responsabilità, mi avverta...
...un Mario Monti che parla sempre più come Tre Monti. Invidia del tri-pene? Di tutto quello che sta succedendo (e che NON sta succedendo) da quasi un anno a questa parte, non c'è nulla che sia imputabile a Monti o ai suoi ministri. Non la mancata legge anticorruzione, non la riforma del lavoro che ha lasciato intatte 46 forme di precariato su 47, non la mancata riforma elettorale, non l'assenza di una seria lotta all'evasione, non l'assenza di equità, con uno straccio di politiche antirecessive. La mancata vendita degli immobili è, naturalmente, colpa degli immobili. Che - lo dice la parola stessa - non si possono muovere...
...lunedì l'attacco a Squinzi, ieri l'attacco "all'incertezza politica" (e a chi che si rifiuta di incoronarlo premier di qualcosa a futura memoria, per il 2013); oggi - poteva mancare? - è colpa della Camusso. Domani si vedrà. Per oggi si è limitato a prendere le difese del "povero Berlusconi". Diamogli tempo, e riuscirà anche a difendere Tremonti, Verdini e Lusi...
Finalmente sappiamo. Grazie al più raffinato retroscemista politico degli ultimi 150 anni, abbiamo capito.
Il Porcellum sarà abolito, di riffa o di raffa, perchè i partiti hanno paura. Di Grillo. Il quadro è ormai chiaro. I partiti sono morti. Le coalizioni sono morte. E neanche l'economia ha una bella cera. Quindi il futuro è già delineato.
Il Porcellum non potrà essere conservato, perchè il Movimento 5 Stalle è ormai virtualmente il primo partito (pardon... "movimento") italiano. E se si votasse col Porcellum, col premio di maggioranza che prevede il 55% dei deputati al partito (pardon... movimento) di maggioranza relativa, i giochi sarebbero fatti. Nella nuova Camera il MòViMento potrebbe avere 346 deputati.
Disciamoscelo, chi di noi non sarebbe felice di avere un governo costituito da cloni di Pizzarotti, di Favia e del Bimbominchia di Segrate?
Il non-programma del futuro governo non-governo a guida Mattia Calise è già pronto: una playstation a tutti i minori di anni 18, un tablet coi colouring-books a partire dalle materne, collegamento a 100 mega per tutti. Le pagelle scolastiche saranno fatte per autocertificazione, coi click al posto dei voti. Beppe Grullo avrà non meno di 47 milioni di "mi piace" su facebook.
E sarà sempre Natale, e festa tutto l'anno. Morfeo Napolitano sarà passato per le armi in un meetup segreto, e Casaleggio scriverà sia l'orazione funebre che il discorso della Corona. Per risparmiare, saranno abolite le dirette parlamentari (GRParlamento, i siti satellitari di Camera e Senato, Radio Radicale). Tutte le dirette saranno trasmesse in esclusiva, in streaming, sul blog beppegrillo.it, a garanzia della massima obiettività e completezza dell'informazione.
Gli interventi in aula dei Depiutati saranno separati da stacchetti musicali, per i quali Casaleggio, che è pesona colta, ha suggerito di usare la Sinfonia n. 9 in mi min. di Antonin Dvořák (op. 95), più nota col titolo di Sinfonia "Dal Nuovo Mondo", grazie al suo elevato potere evocativo e simbolico. Schiere di professori di lingua madre ceca sono impegnate ad insegnare a Grillo che non si dice "divorack" ma "vorgiak".
Saranno abrogati per legge, con decorrenza immediata, tutti gli inceneritori, i mezzi di trasporto a benzina, e i detersivi per lavatrice; le centrali termoelettriche, i concimi azotati, e tutte le altre diavolerie del c.d. "progresso".
Nel Nuovo Mondo, ci sarà posto solo per le wash-balls. E per le balls tout-court
Il Nuovo Mondo sta per cominciare, e io non so cosa mettermi... Tafanus.
NonSoloLongostrevi. Qualcuno si ricorda ancora degli undici disgraziati arsi vivi nella camera iperbarica di Ligresti, al quale la "Eccellenza Lombarda" aveva appaltato, a prezzi d'affezione, un servizio che sarebbe costato molto meno se la Regione si fosse attrezzata direttamente? Ecco, per gli smemorati, un "ripassino", tratto da un articolo de "l'Espresso" del 13/11/1997, firmato da Enrico Arosio, e dal caro amico Mario La Ferla. Tafanus
Da una decina d'anni è uno degli uomini più importanti di Milano. Attraverso la Antonino Ligresti Sanità, la finanziaria da lui creata alla fine del 1995, controlla il gruppo ospedaliero privato più ricco e prestigioso d'Italia. Ed è anche socio fondatore, con Mediobanca, Fiat, Pirelli e Comit, dell'Istituto Europeo di Oncologia di Umberto Veronesi. Catanese, 59 anni, cardiochirurgo, fratello minore del più noto Salvatore, il re decaduto del mattone protagonista di alcune delle più azzardate avventure politico-finanziarie degli anni Ottanta, Antonino Ligresti ha fatto un salto di qualità anche nella considerazione della business community milanese.
Nel febbraio 1996, con un'operazione dalle modalità non del tutto chiarite, è riuscito ad assicurarsi l'intero controllo del settore ospedaliero, uno dei gioielli dell'impero, un tempo floridissimo, del fratello. Salvatore Ligresti, che ai suoi bei dì nell'era craxiana era considerato uno dei padroni di Milano, era stato costretto, per evitare il crack finanziario e ripianare i pesanti debiti accumulati (oltre tremila miliardi), ad accettare il piano di salvataggio studiato da Mediobanca. E dentro al piano di salvataggio la dismissione delle cinque cliniche comprate negli anni d'oro.
Ebbene, di queste cinque cliniche, oggi controllate dalla sua nuova holding, Antonino Ligresti usava definire "il mio fiore all'occhiello" proprio l'Istituto Ortopedico Galeazzi, teatro della strage di venerdì 31 ottobre. Con quegli 11 sventurati, dieci pazienti e un infermiere, divorati dalle fiamme sprigionatesi all'improvviso dentro una camera iperbarica.(foto accanto)
Per il Galeazzi, per la Lombardia delle cliniche private e per Antonino Ligresti è un colpo durissimo. La Procura di Milano ha aperto immediatamente un'inchiesta per accertare le responsabilità della sciagura: errore umano, omesso controllo o inefficienza degli impianti. L'incidente rischia di avere gravi conseguenze anche per alcuni protagonisti della politica, a cominciare dal presidente della giunta lombarda Roberto Formigoni, che ha giocato tutte le sue carte proprio nella privatizzazione dei servizi sanitari.
Ora è attaccato sia dal ministro della Sanità Rosy Bindi sia dall'opposizione in Consiglio Regionale. Sono divampate polemiche sulle garanzie di qualità e sicurezza che il sistema della sanità convenzionata è in grado di offrire al cittadino; e sul particolare business, alimentato da generosi contributi pubblici, della camere iperbariche. Quanto ad Antonino Ligresti, ex cardiologo di punta del Policlinico, sostenitore appassionato delle nuove tecnologie medicali, si trova oggi ad aprire, con l'amministratore delegato Silvano Ubbiali, la lista dei sei indagati. Ipotesi di reato: disastro e omicidio colposo.
Alla magistratura Ligresti assicura la massima collaborazione. Ai familiari delle vittime manifesta sincero cordoglio. Ma da uomo d'affari si interroga sul danno che questa vicenda causerà ai suoi interessi. Che sono notevoli. Nel 1996 la Antonino Ligresti Sanità ha fatturato 180 miliardi. Oltre al Galeazzi, acquisito nel 1982, controlla due cliniche di lusso molto note: la Città di Milano, la prima a entrare (nel 1979) nell'orbita del fratello, e la Madonnina. In provincia di Bergamo possiede i policlinici San Marco di Zingonia e San Pietro di Ponte San Pietro. La grande maggioranza delle entrate proviene dal danaro pubblico. Le cliniche di Ligresti, infatti, sono in buona parte convenzionate con la Regione Lombardia.
Al Galeazzi, in particolare, l'ente pubblico rimborsa anche le spese delle famose camere iperbariche: 160 mila lire a seduta per una media quotidiana di 125 pazienti. Fatti i conti, risulta un incasso di 20 milioni al giorno. E le due camere (la terza è di emergenza) hanno lavorato finora a ciclo pressoché continuo. È lo stesso Ligresti a confermare che sono in funzione 365 giorni all'anno.
Nell'ambito dell'attività specialistica dell'Istituto Galeazzi, le tre camere iperbariche (da 14, 10 e 2 posti) rappresentano per così dire un'isola a parte. Non solo in senso terapeutico: l'utilizzo in ortopedia copre, infatti, solo una quota minima del totale. Ma anche e soprattutto in senso economico. Perché le camere iperbariche sono in realtà per Antonino Ligresti un grande affare. Vediamo perché.
Questo servizio speciale del Galeazzi assiste in media ogni anno 32 mila pazienti. Moltiplicati per le 160 mila lire a persona rimborsate dalla Regione Lombardia alla clinica, risulta un incasso complessivo di 5 miliardi 120 milioni. Dove sta il business? Prima di tutto nell'entità del rimborso della Regione che è molto, ma molto remunerativo: il 50 per cento di questa somma rappresenta il guadagno secco per la casa di cura. In secondo luogo nel rapido ammortamento degli investimenti. Una camera iperbarica come quella in dotazione al Galeazzi costa all'incirca 500 milioni e funziona così com'è per dieci anni; dopo di che dev'essere sottoposta al rinnovo di tutte le strutture deperibili.
La camera della sciagura del 31 ottobre, prodotta dalla Drass Galeazzi S.p.A. di Boltiere, Bergamo è stata installata nel 1989. L'investimento per la messa in opera delle tre camere, calcolabile in un miliardo e 300 milioni, si è dunque ammortizzato in meno di un anno. In altre parole, è da sette anni che le camere iperbariche sono per il Galeazzi di Ligresti una fonte di profitti ipergarantita.
Non è la prima volta che i rapporti tra i fratelli Ligresti e la Regione diventano materia di inchiesta giudiziaria. Già nel 1985 Salvatore era riuscito a far convenzionare la sua clinica Città di Milano per l'impiego, allora d'avanguardia, del litotritore, un sofisticato apparecchio per la cura dei calcoli renali (assessore alla Sanità era Sergio Moroni, il tesoriere del Psi lombardo poi suicidatosi all'inizio di Mani pulite). Nel luglio 1988, con un autentico blitz, la Regione approvò una nuova delibera che estendeva ad altre cliniche di Ligresti lo stesso tipo di convenzione. La vicenda sfociò nello scandalo delle cosiddette "cliniche d'oro".
Il terribile incidente del 31 ottobre minaccia ora di causare ferite più profonde di quelle inferte dai magistrati. Ma Antonino Ligresti le sue cinque cliniche le difenderà con le unghie e con i denti. Medico per vent'anni tra Pavia e Milano, azionista sì ma sempre agli ordini del fratello, Antonino ha lungamente coltivato un sogno: diventare il proprietario unico delle cliniche che a lungo aveva soltanto amministrato. Alla fine c'è riuscito. Nel febbraio 1996, quando Mediobanca, con il consenso di Salvatore, mise in vendita tutta una serie di società per ripianare il dissesto del gruppo, Antonino, che già possedeva il 49 per cento delle case di cura, si impuntò per ottenere anche il restante 51. E convinse le cinque maggiori banche creditrici (Credito Italiano, Banca Commerciale, Banca di Roma, Banco di Napoli, Fonspa) che lui era l'acquirente migliore. L'operazione gli è costata, in contanti, soltanto 69 miliardi. Nel suo genere, un colpo da maestro.
Da "Il padrone delle iperbariche" (di Enrico Arosio e Mario La Ferla - l'Espresso del 13/11/97)
Dunque, se nel pomeriggio si discute dello scudo antispread, non era tutto già pacifico dal 28 giugno, come Monti aveva millantato. Professore, non ci faccia pentire di aver tifato per lei... Impari fal mitico Trap: "...mai dire gatto se non l'hai nel sacco..."
Niente paura. Non voglio parlarvi di tennis, ma di varia umanità (o, se ritenete, di varia disumanità). Raccontando di un paio di episodi di cui nessun giornale italiano - e men che meno inglese - ha parlato.
I personaggi sono:
-a) una ragazza italiana, Karin Knapp, di 25 anni, da Brunico;
-b) una ragazza "inglese" di circa trent'anni, nata a Kiev: tale Elena Baltacha;
-c) il raffinatissimo pubblico inglese di Wimbledon, con la bocca sempre piena delle classiche fragole con la panna, e del non meno classico termine "fair play".
Perchè una ragazza che si chiama Elena Baltacha, nata a Kiev, è inglese? Semplice: perchè nella loro crisi d'astinenza di talenti tennistici al femminile, gli inglesi "naturalizzano". Chiunque abbia una classifica intorno alla 100ma posizione (non parliamo quindi di top players) può aspirare al passaporto di sua maestà. Basti pensare che le attuali top players inglesi sono, nell'ordine:
Anne Keothawong n° 77, di origini laotiane; Heather Watson, n° 79, inglese; la sunnominata Elena Baltacha, 29 anni, nata a Kiev; Laura Robson, n° 113, nata in Australia. Poi si passa direttamente oltre la 200ma posizione, su nomi assolutamente sconosciuti. Comunque gli inglesi sono contenti così: quando una di queste ragazzotte d'importazione riesce a passare un paio di turni, gli inglesi sono felici, orgogliosissimi delle loro vittorie.
Karin Knapp - lo dico a chi non ha familiarità col tennis - è una meravigliosa ragazza con una storia sfortunata. Ragazza piena di talento, con ottimi fondamentali, a 21 anni è una "promessa mantenuta" del tennis italiano. Arriva vicina alla 30ma posizione, e qui si ferma. Per ben due anni.
Due anni di calvario. Due interventi molto seri al cuore, due interventi molto seri al ginocchio sinistro. Sembra persa per lo sport. Ma Karin - lo dice il nome stesso - è una "crucca" (lo dico con tutta la simpatia possibile). Testarda, mai sconfitta. Due anni fa riprende la racchetta. Praticamente è fuori dal ranking. Ricomincia da torneini da 10.000 $ di montepremi (pochi soldi, e pochi punti), e in un paio d'anni ricostruisce la sua classifica. N° 200, n° 150, con qualche fugace apparizione fra le top 100.
Quest'anno, finalmente, il sole. Al torneo dell'Estoril gioca e vince le qualificazioni (si tratta di superare tre turni). Entra nel tabellone principale, e batte (quarta partita in quattro giorni) la n° 1 greca Daniidilou. Al secondo turno trova (e demolisce) Maria Kirilenko (numero due del seeding, e n° 14 del mondo), che al primo turno aveva demolito - quando si dice la combinazione!) la "signora" Elena Baltacha; al terzo turno batte la n° 1 kazaka, Galina Voskoboeva. Il giorno dopo è semifinale, contro Carla Suarez Navarro. Ma questa è anche la settima partita in sette giorni, e Karin non ha nelle gambe le sette partite importanti di seguito. Cede nettamente, ma noi siamo sicuri di aver ritrovato una giocatrice dal grande potenziale.
E poi arriva Wimbledon. Al primo turno è Knapp - Baltacha. Karin la prende a pallate, con un tennis estremamente concreto,e incamera il primo set. Stesso copione all'inizio del secondo set. Ma qui la maledetta erba bagnata di Wimbledon le gioca un brutto scherzo. Scivola, e forse, nel tentativo di proteggere, inconsciamente, il ginocchio operato due volte, si contrae, forse cade male. Sta di fatto che le va il quadricipite in iper-estensione (cosa dolorosissima). Karin cade (e giace per alcuni minuti) immobile, con la faccia ficcata nell'erba bagnata. Sono tutti molto efficienti, cortesi e preoccupati. Tutti. Tranne la sua avversaria. Quella che da qui in avanti chiamerò, affettuosamente, "la stronza",
Dunque, la stronza non fa una piega. Non fa neanche finta di chiedere "come stai". L'unica cosa che la stronza è capace di fare, all'approssimarsi della scadenza dei tre minuti regolamentari di "medical time-out", è di prendere la racchette, farsi dare le palline, e cominciare ad agitarsi vicino alla linea di servizio, per significare tutta la sua insofferenza per l'indebito prolungarsi - di qualche secondo - dei tempi regolamentari di sosta. Sente l'odore del sangue. Non sembra più neanche un essere umano. Si trasforma persino nei tratti somatici.
Karin potrebbe tranquillamente piantarla li in mezzo al campo e andarsene, senza neanche stringerle la mano, e non darle la soddisfazione di vincere con un punteggio ufficiale che non reciti "retired". Invece è crucca. Resta li, perde il secondo set, nel terzo non riesce neanche a camminare, cede in pochi minuti per 6/0. Karim, come si dice "fair play" in crucconia? Magari non si dice, ma si pratica.
Dal momento in cui la belva Karin è ferita, la stronza, ad ogni punto che riceve in regalo, abbaia i suoi "come on!", una, due, tre volte di segutio, con le vene del colpo che le scoppiano e il pugno sbattuto smetaforicamente sul viso della dolorante Katin. Ogni tanto dimentica di essere, da alcuni anni, suddita di Her Majesty, e abbaia in ucraino: "davai, davai!". Sempre con abbondante esposizione di pugni, decibel, vene del collo, tonsille e zanne. Al confronto, un rottweiler addestrato alla lotta, sembra un tenero pelouche.
Le miti signore inglesi, equivalenti delle nostre casalinghe di Voghera, applaudono felici ad ogni urlo della stronza. Hanno un alibi? No, non lo hanno. Conoscono la storia di Karin, perchè è sul magazine del torneo. E comunque anche un cieco vedrebbe che la stronza sta portando avanti l'impresa della vita (passare un turno a Wimbledon, per la gioia degli inglesi), giocando contro una disabile. Ma cosa importa? Forse, negli stessi campi sui quali fra due settimane inizieranno i Giochi Olimpici, già volteggia a mezz'aria la frase di De Coubertin:
L'importante non è partecipare, ma vincere!
Ma vorrei concludere con questo discorso su Wimbledon parlando ancora della "nota lieta":il sito della WTA ha scoperto tardivamente, come tanti, Camila Giorgi, e le ha fatto una lunga intervista, che non traduco, perchè è abbastanza lunga. Chi volesse leggerla può cliccare sull'immagine sottostante per accedere all'articolo (è in inglese molto piano:
Voglio solo riportare (e tradurre), due domande e relative risposte, dalle quali ho dedotto che o Camila è totalmente pazza, o è totalmente consapevole del proprio potenziale, e della propria determinazione nel lavorare duramente. Eccole:
Who has been your toughest opponent? - CG: I don't know, because I have played with so many players and all of them are tough and give me different challenges. I try to concentrate on me and what I am doing on the court and not to worry about the opponent.
What are your goals in tennis? - CG: I would like to be No.1. It will take time, but this is my main goal. In the short term, I am just looking to improve, because then the ranking will come. I try not to worry about my ranking, because if I just focus on one match at a time the results will come.
Chi è stata la tua avversaria più dura? - Non saprei... Ho giocato contro tantissime giocatrici, e ognuna mi ha posto di fronte a problemi diversi. Io provo a concentrarmi su me stessa e su coa IO sto facendo, e a non preoccuparmi dell'avversaria.
Quali sono i tuoi traguardi? - Mi piacerebbe diventare la numero 1. Questo richiederà del tempo, ma è il mio obiettivo principale. Nel breve termine, mi propongo solo di migliorare, perchè allora la classifica segue. Provo a non pensare al ranking, quando gioco, perchè mi concentro su un match alla volta. I risultati arriveranno.
Oggi lo spread è salito oltre i 486 punti prima di ripegare (si fa per dire...) a 476 punti. Che anche altri, oltre a Squinzi e alla Camusso, si stiano convincendo che con questa politica depressiva siamo in viaggio verso Atene?
Della Croce Rossa non si parla mai male. Per principio. Per definizione. Non si poteva sparare sulla Croce Rossa, neanche quando a dirigerla era un personaggio come Maurizio Scelli. Non piacciono, al Prof. Monti, le critiche di Squinzi. Fanno salire lo spread.
E mentre oggi lo spread viaggia veloce oltre quota 480, e la salita era iniziata esattamente 48 ore dopo il "Proclama della Vittoria" del Prof. Monti per la riunione del 29 Luglio, e ben prima delle critiche di Squinzi, la colpa della risalita dello spread non è di Monti, delle mancate politiche per l'equità e per la crescita, di un anno di politiche sempre e solo recessive, della mancata lotta alla corruzione ed all'evasione, di tagli solo e sempre sui redditi dei poveracci (i pensionati prima, gli impiegati dello stato adesso).
La colpa non è del mancato coraggio di azioni incisive sui grandi patrimoni e contro la criminalità economica. No, la colpa è di Squinzi, che ha definito la riforma del lavoro una "boiata" (siamo d'accordo con Squinzi), e la spending-review semplice "macelleria sociale" (siamo d'accordo con Squinzi). Berlusconi non avrebbe saputo fare meglio, in termini di scaricabarile.
Ed ora Monti "non esclude" di volersi candidare a premier nel 2013. Sostenuto da quale coalizione? Probabilmente dal Grande Centro di Pierferdi e dei quattro gatti di FLI, con l'apporto del "Partito dei Carini" di Luca Cordero Viendalmare, Granduca di Montezemolo. Intanto l'Italia nuota a vigorose bracciate verso il Mar Egeo, e oggi il Professore è di nuovo all'Ecofin, a tentare di fare la metà di ciò che diceva di aver già fatto (ovviamente im maniera invidiabile) già il 29 Luglio.
Ma leggiamo l'articolo di oggi su Repubblica, che da conto dell'osceno scaricabarile:
E' scontro sulle critiche di Giorgio Squinzi al decreto sulla spending review
Parlando alla Conferenza Economica di Aix-en-Provence, Mario Monti ha speso poche, ma dure parole contro il presidente di Confindustria per il giudizio espresso sulle scelte del governo in tema di revisione della spesa: "Dichiarazioni di questo tipo - ha detto il premier - come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito, ma anche delle imprese; quindi invito a non fare danno alle imprese" (...evidentemente al Professor3e coi comuni cittadini non frega un cazzo. Basta non danneggiare le imprese. NdR)
Per Monti le critiche di Squinzi rappresentano l'ultimo di una lunga serie di attacchi alla politica economica del Governo. "A fine marzo la Marcegagliaaveva detto alla stampa internazionale che la riforma del lavoro è pessima, il 19 giugno Squinzi ha detto che la riforma del lavoro è, cito, "una vera boiata". Ieri il medesimo presidente Squinzi si è associato ai commenti di un leader sindacale nel sottolineare i rischi di macelleria sociale e ha poi dato un voto al governo. E sempre Squinzi ha dichiarato che gli sembra pericoloso che l'Italia si avvii a realizzare il pareggio di bilancio nei tempi che il precedente governo aveva già fissato". (Monti non ci faccia il roiassuntino di cosa hanno detto Tizio e Caio. Siamo informati. Ci dica, piuttosto, se nel merito dicono delle stronzate, o fanno osservazioni con qualche non trascurabile contenuto di sostanza. NdR)
La strana sintonia mostrata dal vertice confindustriale con la Cgil di Susanna Camusso ha dunque lasciato il segno nei rapporti fra il capo del governo e Viale dell'Astronomia. Monti ritiene che la quota "giusta" di differenziale fra i Btp e i bund decennali sia intorno ai 200 punti e sottolinea che invece il livello attuale "è più alto. Credo che ci siano fattori di non ancora piena credibilità nel mercato e nei meccanismi a disposizione dell'Eurozona, mentre per quanto riguarda l'Italia c'è anche l'incertezza su quello che succederà nella politica italiana dopo le elezioni del 2013".
"Spero che l'Italia riesca a dimostrare presto con le riforme politico-istituzionali che il ritorno a un normale processo elettorale sarà pienamente compatibile con la continuità delle politiche che l'Europa sta apprezzando" (sic!). Tra l'altro, dice il premier, "l'aumento degli spread dopo il vertice Ue è dovuto anche a dichiarazioni, che considero inappropriate, di autorità di Paesi del Nord che hanno avuto l'effetto di ridurre la credibilità delle decisioni prese dal Consiglio Ue". Il riferimento è a Finlandia e Olanda che avevano criticato la decisione favorevole allo scudo anti spread (il Professore tralascia di dire che la Merkel, dopo le dichiarazioni dei finlandesi e degli olandesi, non si è dissociata, ma ha detto che "certo, delle decisioni dei singoli stati dobbiamo tener conto". Tanto per certificare, ancora una volta, da che parte penda. NdR)
In questo contesto, dunque, secondo Mario Monti, certe critiche da parte di figure istituzionali come Squinzi hanno effetti molto negativi sui mercati e sulle valutazioni delle organizzazioni internazionali. "Quindi - precisa - suggerirei di fare più attenzione, non tanto per rispetto al governo, che evidentemente non lo merita sulle basi di ciò che viene detto, ma per le imprese".
Nella polemica a distanza, chi si schiera decisamente dalla parte di Monti è Luca di Montezemolo (...ma va??? NdR): "Dichiarazioni come quelle di Squinzi - dice il manager, ex presidente degli imprenditori - , sia nel merito che nel linguaggio, non si addicono a un presidente di Confindustria, fanno male e sono certo che non esprimano la linea di una Confindustria civile e responsabile, che anche quando esercita un diritto di critica costruttiva non dimentica mai di mettere al primo posto l'interesse e soprattutto la credibilità internazionale del proprio Paese" (traduzione: l'interesse della classe c.d. imprenditoriale. NdR)
"Chi ha l'onore di rappresentare gli imprenditori italiani - ha aggiunto Montezemolo - ha l'obbligo di contribuire a sostenere l'immagine e la credibilità del Paese. Soprattutto in momenti di crisi così difficile occorre grande senso di responsabilità, coesione, spirito civile e massimo sostegno al Presidente del consiglio, che con grande impegno e capacità, sta faticosamente ricostruendo la credibiltà internazionale del nostro Paese".
...e noi, testardamente, aspettiamo che dopo aver così brillantemente ricostruito con grande impegno e capacità la credibilità internazionale del nostro paese, il Professore metta mano al problemino della crescita (finora affrontato solo con politiche recessive pro-cicliche), al problemino dell'equità (ad iniziare dall'equità fiscale), e a quello della moralizzazione del paese.
Perchè la riforma della giustizia non può esaurirsi nella chiusura di 28 procure, ma deve spingersi - guarda un po' - fino alla lotta seria contro i falsificatori di bilanci, i grandi evasori, la corruzione, la concussione. Ce la farà a dare questi dispiaceri a quelli che sembra ormai chiaro che siano i suoi gruppi sociali di riferimento? Tafanus
In affari con Assad - Finmeccanica ha fornito alla Siria un sistema speciale di comunicazioni. Usato anche dalle forze del regime impegnate nella repressione. Con assistenza dall’Italia nel mezzo degli scontri (di Stefania Maurizi - l'Espresso)
Una rete di comunicazione formidabile al servizio di un regime sanguinario, che stermina e tortura i suoi cittadini. Quindicimilaottocento morti in sedici mesi: è questa la contabilità della guerra civile in cui è sprofondata la Siria a partire dal 18 marzo 2011, quando le forze governative hanno cominciato a sparare sulla popolazione. Il massacro non risparmia nessuno: le Nazioni Unite hanno documentato le torture sui ribelli e persino l’uso di bambini come scudi umani sui carri armati fedeli al dittatore Bashar al-Assad. E anche oggi gli apparati della repressione possono contare sulla tecnologia avanzata italiana, fornita dalla Selex Elsag del gigante Finmeccanica.
Lo rivela un database di 2.434.899 documenti ottenuti da WikiLeaks: sono i “Syria Files” a cui “l’Espresso” ha avuto accesso esclusivo per l’Italia. Julian Assange è in trappola, rintanato da oltre due settimane nella minuscola ambasciata dell’Ecuador a Londra. In attesa che il governo ecuadoriano, a cui ha chiesto asilo politico, decida. Ma non rinuncia alla sua sfida per la libertà di informazione e torna a colpire con questo giacimento di dati che riguardano il governo siriano.
Dalle centinaia di migliaia di missive spuntano i rapporti commerciali tra Selex Elsag e l’ente del regime Syrian Wireless Organisation. Una mail interna dei siriani lascia capire come componenti del sistema fornito dalla Selex siano stati ordinati per essere spediti alla polizia di Muadamia, un sobborgo di Damasco, proprio a ridosso dei giorni in cui era teatro di violenti scontri. I vertici italiani di Selex e Finmeccanica erano consapevoli che i loro prodotti sarebbero finiti nelle mani dei pretoriani di Bashar al-Assad? Un’altra e-mail preannuncia l’arrivo degli ingegneri della Selex a Damasco, per istruire all’uso della rete di comunicazione, da impiegare anche sugli elicotteri: porta la data del febbraio 2012, quando il dramma del paese era già diventato un caso mondiale. Un sostegno tecnologico mentre il nostro ministero degli Esteri e la nostra diplomazia condannano «le massicce violazioni dei diritti umani che continuano senza sosta», esortando «le autorità siriane a porre immediatamente fine alla violenza brutale contro i civili».
AFFARI E REGIMI - Finmeccanica ha venduto alla Siria uno dei suoi prodotti leader: il sistema Tetra, una rete per le comunicazioni che permette conversazioni e trasmissione di dati, e ha avuto un successo commerciale mondiale. È affidabile, sicuro e garantisce il funzionamento in qualunque situazione. Lo hanno adottato forze dell’ordine, vigili del fuoco, organizzazioni di protezione civile e aziende di settori delicati, come quelle energetiche. Non è un apparato dichiaratamente militare, ma può diventarlo: permette comunicazioni criptate a prova di intercettazione e collega qualunque veicolo, elicotteri inclusi. Alcune componenti di Tetra, come i programmi di cifratura, sono “dual use” e l’esportazione deve essere autorizzata dal governo italiano.
I cablo di Wikileaks hanno raccontato le pressioni dell’ambasciata americana di Roma proprio per impedire che nel 2006 lo stesso prodotto venisse venduto alla polizia iraniana. Il contratto con Damasco risale invece al 2008, quando il feeling tra l’Italia e la Siria era ottimo e la primavera araba lontanissima. All’epoca al vertice di Finmeccanica c’era Pierfrancesco Guarguaglini, mentre Selex era guidata dalla moglie Marina Grossi. L’accordo da 40 milioni di euro venne siglato con una società greca, la Intracom-Telecom, e prevede la fornitura di Tetra alla Syrian Wireless Organisation, l’ente del governo siriano. Le mail rivelate adesso da WikiLeaks mostrano come i rapporti con la casa madre italiana per il programma siriano siano stati intensi e continui.
IL BAGNO DI SANGUE. Lo schema del business è semplice: Selex e la greca Intracom vendono Tetra alla Syrian Wireless Organisation attraverso la branca siriana della ditta di Atene: la Intracom Siria. Proprio da questa azienda viene inviato in magazzino un ordine per 500 radio mobili VS3000 della Selex. «Questa fornitura andrà al deposito della polizia di Muadamia», recita il messaggio, che porta la data del 7 maggio 2011.
Pochi giorni prima, come riportano i media internazionali, Muadamia era stata teatro di rivolte contro la dittatura e in Siria, ormai, dilagava il fuoco della ribellione. Nel database non c’è un solo messaggio in cui l’azienda del gruppo Finmeccanica tratti forniture direttamente con le forze di polizia di Damasco. Il cliente e l’utente finale per Selex è la Syrian Wireless Organisation, come poi questo ente del regime smisti e utilizzi Tetra sembra un affare di cui l’holding italiana non si occupa. Nonostante l’esplosione degli scontri, i rapporti d’affari però proseguono. A fine maggio 2011, i siriani si mostrano interessati «a un’espansione del 25 per cento del progetto», senza peraltro specificarne le finalità. Il 25 luglio, Selex fa sapere di essere disposta a parlarne con la Syrian Wireless Organisation.
Dalla scorsa estate i combattimenti aumentano, viene assediata la città di Hama con la morte di oltre cento civili. Da Damasco premono per avere i sistemi di cifratura Tea3, necessari per criptare le comunicazioni. Li chiedono alla Selex per settimane, ma per questi apparati che possono avere impiego militare è necessario il via libera del governo di Roma. E, recitano le mail, «la decisione finale delle autorità italiane è stata rinviata a fine giugno». Quando alcune componenti da riparare vengono spedite negli stabilimenti di Firenze, i siriani ne cancellano la memoria «per ragioni di sicurezza». È solo una procedura di tutela della riservatezza o i terminali contenevano dati compromettenti? Certo è che, per l’assistenza tecnica, i greci indirizzano Damasco sull’Italia: «È meglio chiedere al venditore (Selex) perchè qui non abbiamo la necessaria esperienza con la tecnologia Selex».
Tetra sembra avere un ruolo chiave anche per un altro settore vitale del regime siriano: quello petrolifero. In un’e-mail del 29 dicembre 2011, la Intracom Siria riceve la richiesta di collegare la rete telefonica interna della Syrian Petroleum Company alla centrale Tetra di Deir Ezzour (o Deir Alzor). I siriani sembrano poco convinti di avere le competenze tecniche per farlo: «Avremo bisogno del supporto di Selex», scrivono. Annotando anche nelle loro e-mail interne: «Deir Alzor non è una città calma (c’è gente armata ovunque), meglio andare lì con una soluzione già chiara». Tre mesi dopo, la Syrian Petroleum Company finisce colpita dalle sanzioni dell’Unione Europea come azienda di Stato che garantisce supporto finanziario alla dittatura: è anche la compagnia da cui l’Eni importava petrolio in Italia. Infine un messaggio del 2 febbraio 2012 annuncia l’arrivo a Damasco degli ingegneri della Selex per istruire i tecnici della Intracom Syria sull’uso di varie componenti della tecnologia Tetra, tra i cui i terminali degli elicotteri. Nell’e-mail non si specifica se si tratti di elicotteri della polizia o anche militari. I velivoli di entrambi i corpi però stanno avendo un ruolo chiave nella repressione: i mitragliamenti dal cielo contro ribelli e popolazione sono segnalati da tutti gli osservatori. Il giorno dopo nella sola città di Homs vengono massacrati 200 civili.
DA ATENE A MOSCA . Selex piazza la tecnologia Tetra a Damasco attraverso un’azienda greca della Intracom Holding. Appartiene al magnate Socrates Kokkalis, già presidente della più importante squadra di calcio ellenica: l’Olympiacos. Ricchissimo e in passato al centro di inchieste che andavano dalla corruzione, al riciclaggio fino allo spionaggio, perché negli archivi della famigerata Stasi, l’agenzia di intelligence della Germania dell’Est - dove Kokkalis è cresciuto prima di trasferirsi a Mosca e poi in Grecia - c’era un dossier sul suo conto di 350 pagine. La sua holding opera in tutto il mondo. È controllata al 51 per cento dalla russa Sitronics, a sua volta parte del gruppo Sistema dell’oligarca Vladimir Yevtushenkov. Che, due anni fa, era a Roma per una tavola rotonda con il direttore generale di Finmeccanica, Giorgio Zappa, il direttore generale del colosso russo dell’aeronautica, Sukhoi, e l’italiano che apre tutte le porte a Mosca: Antonio Fallico di Banca Intesa. Non a caso Tetra è stata venduta da Selex pure alla Russia. Che continua a tutelare il governo di Damasco da qualunque iniziativa della comunità internazionale.
Ma le mail ottenute da WikiLeaks mostrano anche i rapporti tra Selex Sistemi Integrati e la società off shore EastMed Cast International, registrata nella zona franca di Dubai. EastMed appartiene all’Alfadel Group, fondato e guidato da Adib Alfadel, nominato nel 2005 Cavaliere della Repubblica Italiana e molto attivo nella promozione del business Italia-Siria. L’Alfadel Group è anche azionista della potente Cham Holding, il cui uomo forte era Rami Makhlouf, cugino del presidente Assad: noto come “banchiere della famiglia Assad” o anche “Mister 5 percento”, dal 2008 è nel mirino di provvedimenti degli Stati Uniti e poi dell’Unione europea. Makhlouf è accusato anche di aver permesso le violenze contro i manifestanti. Quelli che, quando la rivolta è esplosa, intonavano in coro: «Makhlouf, ladro!».
L'intervento congiunto sui tassi di giovedì non è bastato a ridare fiducia alle Borse. L'euforia per il summit Ue è scomparsa in 48 ore. Ora occhi puntati sulla Fed. E sul motore bloccato da cui tutto parte: l'economia reale (di Federico Rampini - Repubblica)
Crescita "anemica" in America col tasso di disoccupazione inchiodato all'8,2%. La Triplice delle banche centrali umiliata dai mercati. Il nodo delle banche spagnole torna a dominare le paure: ormai all'ordine del giorno c'è un salvataggio della Spagna come stato sovrano, non dei singoli istituti. Il Fondo monetario estende l'allarme per un rallentamento a tutte le ex-locomotive emergenti, dalla Cina all'India. Quattro colpi duri, quattro sviluppi nefasti in sole 48 ore.
La settimana si è chiusa in un clima completamente rovesciato rispetto all'euforia del 29: ogni illusione suscitata da quel summit Ue si è già dissipata da tempo. L'ultimo venerdì di giugno sembra una data lontanissima nella storia, per il ritmo convulso degli eventi. La realtà si è presa la sua rivincita, e dice che nulla è cambiato nell'eurozona otto giorni fa.
La Spagna per collocare tra gli investitori i suoi titoli del Tesoro è costretta di nuovo a offrire rendimenti vicini al 7%: cioè insostenibili nel medio-lungo periodo. Avevano ragione dunque quei "maligni" del fronte euroscettico angloamericano, dai grandi media Usa agli uffici studi delle banche di Wall Street e di Londra, che non credettero alla versione del trionfo di Mario Monti su Angela Merkel.
Lo scudo anti-spread si è già arenato di fronte alla minaccia di un veto della Finlandia e a quella - ben più sostanziale - della Csu bavarese che è parte della coalizione di governo a Berlino. Dunque non ci saranno i massicci e risolutivi acquisti di bond italiani e spagnoli per arginare l'escalation dei rendimenti. Peggio: neppure l'operazione-salvataggio delle banche spagnole va in porto come si era sperato e creduto al summit del 29.
La novità risolutiva in quel caso doveva essere la ricapitalizzazione diretta: fondi travasati dall'Europa alle banche stesse, senza passare attraverso il Tesoro di Madrid. Era indispensabile quel passaggio diretto, per spezzare "il circolo vizioso tra debiti bancari e debiti sovrani", così era stato spiegato a Bruxelles otto giorni fa. Chiaro: bisognava evitare cioè l'effetto perverso di un'esplosione del debito pubblico spagnolo, che è automatica se gli aiuti transitano prima sul bilancio dello Stato. E invece il "circolo vizioso" è vivo e vegeto, più funzionante che mai. Con una giustificazione iper-tecnicistica: l'attuale fondo salva-Stati Efsf non può ricapitalizzare direttamente le banche, potrà farlo solo il suo successore Esm quando sarà nato, in futuro.
Arrivarci, al futuro. La ragione vera è politica. Angela Merkel ha detto sì alla ricapitalizzazione diretta delle banche spagnole solo "dopo" che sarà creata una vera vigilanza europea su tutti gli istituti di credito. Richiesta logica e ragionevole. Ma i mercati hanno capito subito che ciò equivale a rinviare tutto verso orizzonti lontani: della vigilanza europea si parla da tempo, le resistenze nazionali sono enormi, quella European Banking Authority che doveva esserne l'embrione è una patetica e impotente caricatura.
La Bce di Mario Draghi ha le sue reticenze e riserve sull'argomento, per non essere in conflitto d'interessi chiede una separazione rigida, una "muraglia cinese" fra i due mestieri di prestatore di ultima istanza e di guardiano dei suoi "clienti" (i banchieri). Insomma ci vorranno ancora mesi, se non anni, perché qualcosa di concreto appaia. Nel frattempo gli investitori stanno suonando le campane a morto per la Spagna, i rendimenti che esigono per sottoscrivere i suoi bond la spingono inesorabilmente verso il default. Ora si torna a parlare di un vertice "risolutivo", stavolta è l'Ecofin di questo lunedì: ma ormai l'eurozona ha speso le ultime riserve di credibilità, a furia di evocare la sua "ultima spiaggia" forse ci sta arrivando davvero.
Il disastro dell'eurozona ha già contagiato ampiamente il resto del mondo. Non lo dice solo la direttrice del Fmi Christine Lagarde che ammonisce sul rallentamento generalizzato dagli Stati Uniti ai Brics. Lo dicono soprattutto le reazioni dei mercati al "giovedì della Triplice", la giornata in cui Bce, banca centrale inglese e cinese sono intervenute simultaneamente con tagli dei tassi d'interesse e pompaggio di liquidità d'emergenza. Un flop micidiale, un buco nell'acqua, che non ha ricostituito la fiducia neanche per pochi minuti.
Uno spettacolo d'impotenza disarmante, che si riverbera adesso anche sulla più potente e rispettata delle banche centrali, la Federal Reserve americana. Saprà essere efficace lei, dove le altre hanno fallito? Le attese di un intervento salvifico della Fed si sono rafforzate ieri, dopo un altro dato deludente sul mercato del lavoro americano. Appena 80.000 posti di lavoro in più, il saldo netto del mese di giugno fra nuove assunzioni e licenziamenti: pochi, troppo pochi per un'America che è uscita dalla recessione con 15 milioni di disoccupati (reali). E infatti con una crescita così debole il tasso di disoccupazione resta inchiodato all'8,2%, un record storico per un periodo così prolungato dal dopoguerra.
La Fed ha il dovere istituzionale di agire contro la disoccupazione, questo ne ha sempre fatto una banca centrale più interventista e risoluta di altre. Ha anche interesse a non lasciare che s'indebolisca troppo l'euro, perché già ieri a quota 1,22 era avviato su un piano inclinato che non piace all'industria esportatrice americana. Ma la Fed è entrata da tempo nel suo "semestre bianco": il banchiere centrale Ben Bernanke deve meditare se gli convenga agire troppo energicamente quando manca così poco all'elezione presidenziale. Il 6 novembre potrebbe vincere il repubblicano Mitt Romney, che al momento del rinnovo dei vertici della Fed forse si vendicherebbe contro chi ha aiutato troppo Barack Obama.
Più ancora dell'elezione, un'altra angoscia esistenziale attanaglia Bernanke: e se la Fed dovesse fallire, come hanno fallito le sue consorelle dall'Europa alla Cina? Il tasso d'interesse negli Usa è già a quota zero: da tre anni e mezzo. Le precedenti operazioni di massiccia iniezione di liquidità hanno fornito una "droga leggera" a Wall Street e alle banche Usa, ma non hanno sostanzialmente rinvigorito l'economia reale.
La politica monetaria ha dei limiti, conosciuti fin da quando li studiò John Maynard Keynes durante la Grande Depressione. Esiste una "trappola della liquidità", nella quale la moneta viene inghiottita e scompare: se manca fiducia tra i consumatori e le imprese, il denaro può anche costare zero ma nessuno lo prende e lo spende. Draghi lo ha ricordato usando un'altra immagine: "Non si può spingere con una corda". Un suo predecessore alla Banca d'Italia, Guido Carli, aveva coniato l'espressione "il cavallo non beve".
Negli Stati Uniti uno studioso della Depressione come Bernanke ha immaginato ogni possibile "offensiva anti-convenzionale" fino a ipotizzare una Fed che manda elicotteri a lanciare banconote su tutti gli Stati Uniti: resta da verificare che i consumatori beneficiati dalla manna celeste la vadano a spendere, non a tesaurizzare per accumulare un risparmio precauzionale (o per ripagare i propri debiti). Il Fondo monetario evoca un altro Armageddon entro la fine dell'anno: nella stasi tra Obama e la Camera a maggioranza repubblicana, scatterebbero degli aumenti automatici d'imposte riducendo ulteriormente il reddito disponibile e il potere d'acquisto delle famiglie. È quello il motore bloccato su cui il Fmi attira l'attenzione: l'economia reale, a cui nessuno sta rifornendo il carburante. (Federico Rampini)
Cos'altro aggiungere? Solo che purtroppo il mondo ha scarsa memoria. Davvero si pensava che la corsa dello spread si sarebbe fermata, quando già 24 ore dopo il trionfalismo del vertice economico la Merkel era già in giro a spiegare che - lei vivente - mai si sarebbe arrivati agli eurobond? E che il meccanismo anti-spread ci sarebbe stato, ma dopo aver fatto alcune piccole cosine che non si faranno mai? Davvero si pensava che la Merkel avrebbe rinunciato a farsi finanziare il debito pubblico dagli altri paesi?
Ma l'ultima follia è stata quella di aspettare come un toccasana la riduzione di un quarto di punto nei tassi s'interesse da parte della BCE. Bene ha fatto Rampini a ricordare ai distratti la celebre frase di Guiro Carli, "il cavallo non beve". Questa frase si riferiva sia agli investimenti che alle quotazioni di borsa, essendo le due cose collegate. Il "cavallo non beve" stava a significare che in presenza di una profonda, strutturale crisi della domanda, si può ancxhe regalare il danaro a tasso zero alle imprese: queste ugualmente non investiranno in nuovi impianti produttivi, destinati a produrre merci che i consumatori non comprano.
Rampini, uno dei pochi commentatori "forniti di memoria", certamente ricorda delle periodiche, continue discese a "tasso zero" del costo del danaro in Giappone. Ci sono state a metà degli anni ottanta, e poi nel '91, nel 2001, nel 2005, nel 2010... Niente da fare. Il cavallo non beve. Le monomaniacali politiche SOLO di bilancio della Merkel producono e chiedono agli altri paesi di produrre solo ulteriori cali di sicurezza, di reddito, di tassi di occupazione, di consumi, di domanda, e poi muovamente di calo di domanda di beni strumentali, in un circolo vizioso di cui non si vede la fine.
La festa dello spread dopo i clamori del 29 Giugno è durata meno di 48 ore. Il festino delle borse ancora meno. Il calo di un quarto di punto nei tassi della BCE ha fatto crollare di nuovo le borse. Davvero si pensava che abbassando di 0,25 punti i tassi d'interesse, l'economia avrebbe fatto come nello spot di Gatorade? "Gatorade, e riparti di slancio". Sembra che non sia "as simple as that"
A chi fosse interessato a capire la inutilità di certe iniezioni di viagra praticate a pazienti in coma vegetativo, consiglierei la lettura di questo articolo:
"...i mitici anni in cui il Giappone cresceva ad un tasso doppio rispetto alla media occidentale e si conquistava un primato in tutti i settori industriali di punta sono finiti da tempo. L’ultimo decennio ha visto l’economia giapponese immersa in una stagnazione quasi assoluta, prodotto dell’esplosione della immane bolla speculativa degli anni 80. Le contradditorie politiche neoliberiste applicate dagli ultimi governi a tutto servono tranne che a rimettere in moto il regolare meccanismo della crescita..."
Più avanti l'articolo parla delle ripetitive (e sempre inutili) politiche del "tasso zero" praticate nei decenni dal Giappone per uscire da una crisi che da tempo è sistemica:
"...per stimolare la domanda interna e alleviare le difficoltà del sistema bancario, la Banca del Giappone ha via via ridotto il tasso di interesse ufficiale dal 6% nel 1990 all’1,75 nel 1993, continuando ad abbassarlo ulteriormente fino al minimo storico dello 0,5% nel settembre del 1995, superato poi dallo 0,1% del settembre 2001. Ma le banche non sono riuscite ad usare le facilitazioni di credito offerte della Banca del Giappone per espandere le capacità di prestito dato che il valore del loro capitale continuava a diminuire..."
Makoto Itoh é docente di economia presso l’Universitá Kokugakuin di Tokyo nonché Professor Emeritus dell’Universitá di Tokyo. È nato a Tokyo nel 1936 e ha insegnato in svariate università estere. Fra le altre opere é autore di The Japanese Economy Reconsidered (2000), Political Economy of Money and Finance (1999), Political Economy for Socialism (1995), e The Basic Theory of Capitalism (1988).
Peccato che - essendo l'articolo del novembre 2002, non abbia fatto in tempo ad occuparsi degli altri due fallimenti di queste politiche: quello del 2005, e quello del 2010.
Adesso è proprio giunto il momento che l'Italia smetta di dire solo dei si, e cominci a far valere il potenziale ricattatorio (se vi piace chiamarlo così) di un paese al quale è stato consentito di accumulare da solo un quarto dell'indebitamento dell'intera area euro. E' la nostra debolezza, ma anche la nostra forza.
Come è noto, in un microsistema come può essere quello costituito dai rapporti fra una banca e un creditore, la banca è molto dura con chi ritarda il pagamento di una rata del frigorifero, ma è impotente di fronte ai grandi - e spesso inesigibili - crediti concessi ai grandi gruppi industriali. Portare alla bancarotta un grandissimo gruppo, significherebbe dover iscrivere di colpo a bilancio, fra le perdite, una cifra che fino al giorno prima era iscritta fra le attività. Se già il mondo è spaventato dal défault di un paesetto che produce solo yoghurt acido e formaggio pecorino, cosa succederebbe se un paese come l'Italia dovesse anche solo ipotizzare un suo dèfault controllato? L'Italia starebbe malissimo, ma la Germania della Merkel non scoppierebbe di salute. Tafanus
Per una volta, plaudiamo alla sentenza della Cassazione che manda a casa i vertici della Polizia, anzichè far volare i soliti stracci di basso livello gerarchico. E poco importta che prima o dopo la "macelleria messicana" alcuni di loro abbiano ben operato. Lo scandalo di Genova non poteva finire che così. Meglio tardi che mai. E ora si guardi ancora più in alto. Per esempio, De Gennaro è assolutamente esente da colpe? E l'esecutivo? I Berlusconi, gli Scajola, i Fini?
A sinistra, oggi suona ancora più sporca e macabra la posizione assunta dopo i (mis)fatti di Genova da Tonino di Pietro, schieratosi senza se e senza na per far abortire in culla la commissione parlamentare d'inchiesta. Spero che Di Pietro ora si decida, finalmente, a chiedere scusa alle vittime della macelleria messicana. Tafanus
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Dalla sintesi riportata dal Sole, emergono cose positive, ma anche spunti di pura demagogia, proposte di assai dubbia legittimità, e decisioni che non saranno mai attuate, pena la ribellione sociale, e la caduta del governo. Ad esempio, la normativa sulle consip è non solo possibile, ma persino benvenuta. Ma quando si scrive, ad esempio:
"Acquisti della Pubblica amministrazione, diritto di recesso - Nei contratti in essere stipulati viene inserita ex lege una clausola che attribuisce alle amministrazioni il diritto di recesso, qualora le imprese non adeguino il contenuto delle prestazioni ancora da effettuare alle migliori condizioni previste in convenzioni Consip successive alla stipula dei contratti", si scrive una sciocchezza impraticabile. Se io stipulo un contratto, per esempio per l'acquisto di un appartamento, non posso poi recedere perchè il crollo del mercato immobiliare, in vigenza del mio mutuo, fa scendere i prezzi!
Alcune frasi sono di kafkiana incomprensibilità. Per esempio questa:
"Autorità portuali, intervento sui compensi - Il secondo decreto legge sulla spending review prevede la riduzione dei compensi degli organi delle Autorità portuali" (???) - Di quali compensi parliamo? si quanto è la riduzione prevista?
Reggio Calabria città metropolitana, con abolizione della provincia? Ma qualcuno di lorsignori ha mai visto le aree su cui si apprestano a legiferare? E qual'è la fonte di risparmio e/o di maggior efficienza a chiamare la provincia di Reggio Calabria "Area Metropolitana"?
"Scuola, libri di testo gratuiti - Il decreto destina 103 milioni per la gratuita dei libri di testo nella scuola secondaria di primo grado ( per le primarie i libri di testo sono assicurati gratuitamente dai Comuni). Lo stanziamento rimane invariato rispetto a quello degli scorsi anni" (...bellissimo...ma visto che i comuni, grazie alle varie leggi di stabilità, sono già alla canna del gas, chi paga?)
"Spesa per acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati - In relazione alla spesa per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, la misura prevista consiste in una riduzione del budget assegnato alle singole strutture pari all'1% per il 2012 e al 2% per il 2013, rispetto al budget 2011" (Grandioso! così potremo dire di aver toccato i privilegi dei vari paradisi economici privati. Magari quelli "accreditati" da Formigoni. Li tocchiamo, ma con estrema cautela: con un taglietto dell'1%...)
Ed ecco un'altra norma che si sfracellerà al primo ricorso alla magistratura:
"Spesa per farmaci, sfondamento del tetto - Nel caso di sfondamento del tetto della farmaceutica territoriale viene confermato il meccanismo di ripiano totalmente a carico della filiera farmaceutica (aziende, grossisti, farmacisti). Per lo sfondamento della spesa farmaceutica ospedaliera, che fino a oggi è stato tutto a carico delle Regioni, viene introdotto un meccanismo di ripiano che pone a carico delle aziende farmaceutiche il 50% del totale" (Insomma, l'amministrazione pubblica sfora, e le farmacie dovrebbero ripianare il 50% dello sforamento a pié di lista??? Ma chi ha potuto immaginare una simile mostruosità giuridica?)
"Uffici delle amministrazioni statali, riduzione degli spazi - Si riducono gli spazi a uso ufficio a disposizione delle amministrazioni statali. Negli uffici di nuova costruzione (o che, in generale, abbiano strutture flessibili nella configurazione degli spazi interni) il parametro di riferimento è compreso tra i 12 e i 20 metri quadrati per addetto" (...possiamo timidamente informare Bondi che nelle aziende sia private che pubbliche uffici individuali da 3x4 metri, o addirittura da 4x5 metri, il personale d'ordine se li sogna? Mi sembra una norma scritta da chi ha in mente - come fosse la norma - gli uffici megagalattici nei quali è abituato ad operare. Bondi visiti l'open space della 3M a Segrate, o gli uffici INPS di Milano, o un call-center...)
Non mancano anche provvedimenti utili. Ma lascia l'amaro in bocca il silenzio totale sulle spese per armamenti (leggi F35), sulla legge anticorruzione che non decolla, sulla seria lotta all'evasione fiscale attraverso una seria politica di incrocio delle varie banche-dati. Così come allarma la faciloneria con la quale si pensa di tagliare le spese per posti-letto, anzichè imporre alle regioni meno virtuose gli stessi parametri (in termini di durata dei ricoveri ospedalieri per tipologia di intervento) delle regioni virtuose. E prendere esempio dall'Emilia, che ha curato la diffusione dell'assistenza domiciliare, con enormi benefici economici e di qualità della vita? Tafanus.
Per mesi, in ogni talk-show che Dio ci infligge, il Celeste, anzichè rispondere alle domande sulle favolose vacanze "aggratis" ad Aguilla o su mega-yachts, ci ha letteralmente sfrantumato le palle parlandoci delle "eccellenze" della sanità lombarda. Ora abbiamo deciso di faru un paziente lavoro d'archivio, per raccontare chi sia il Celeste, e da quanti lustri sia ammanicato con tutti gli "eccellenti" (preferibilmente nell'area degli affari sanitari privati) della Lombardia. Iniziamo con la sintesi di un articolo d'archivio de l'Espresso, risalente al 9 Gennaio 1997. Sono passati più di tre lustri, ma sembra ieri... Tafanus
Vi prego, restate con noi". E' il contenuto di una lettera che la Usl 39 di Milano, una delle più popolose della città, ha mandato ai suoi assistiti il primo novembre. Il giorno dopo sarebbero entrate in vigore le nuove regole volute dalla giunta della Regione Lombardia, capeggiata da Roberto Formigoni: tariffe più care per visite ed esami, ma soprattutto libertà di scelta tra strutture pubbliche e private, senza più bisogno del timbro della Usl. (di Luca Carra - l'Espresso - 9/01/1997)
[...] In gioco sono le spoglie del Servizio sanitario nazionale e i 135 mila miliardi destinati alla cura degli italiani. Da una parte sono schierati i vecchi ospedali e laboratori pubblici, afflitti dalle piaghe di sempre. Dall'altra c'è una nuova generazione di centri clinici privati che si stanno attrezzando per garantire tempi rapidi e alti standard alberghieri. Il tutto pagando gli stessi ticket degli ospedali pubblici, poiché su di loro la Regione Lombardia ha fatto piovere un'insperata manna: tutti quei centri che godevano della vecchia convenzione, anche se parziale, si sono visti automaticamente accreditare tutti i letti. Per ogni degente, sarà la Regione a pagare la tariffa corrispondente alla prestazione: ovvio che la sanità tornasse ad attrarre capitali.
Capostipite dei nuovi ospedali milanesi privati è il San Raffaele, emanazione della Fondazione del Monte Tabor di Don Luigi Verzè. Dalla sua fondazione nel 1972 è cresciuto fino a diventare una Silicon Valley della medicina milanese. Oggi conta 1.100 posti letto, con 600 mila prestazioni ambulatoriali e 400 mila giornate di degenza all'anno. Solo nel 1995 i ricoveri sono aumentati del 30 per cento, contro una media del 6 per cento degli ospedali pubblici. Nato come centro di riferimento per la cura del diabete e delle altre malattie del metabolismo, oggi il San Raffaele comprende tutte le specialità e si sta lanciando nella nuova avventura della medicina molecolare e della terapia genica. Nel perimetro del Parco scientifico appena costituito, si trova, oltre l'ospedale, il
Dipartimento di ricerca biologica e tecnologica (Dibit), con 350 ricercatori; l'università privata del San Raffaele e i laboratori di ricerca delle principali società farmaceutiche, come Roche, Bayer, Schering-Plough e Boehringer-Mannheim. Il nuovo consigliere per gli affari economici della Fondazione, l'ex presidente della Cariplo Roberto Mazzotta, sta cercando soci per portare il San Raffaele in Borsa e far partire le cliniche previste a Roma e a Taranto. (...bene ricordarli, i 350 ricercatori di boiologia... Fra questi, c'era la figlia di uno dei miei più cari amici. Una ragazza preparatissima, gran testa... Anni ed anni di precariato senza orari e senza prospettive a 800 euri al mese, finchè, per disperazione, ha fatto, come tanti, la valigia... NdR)
Il confronto con il privato è impari. Giuseppe D'Amico, primario di Nefrologia del San Carlo di Milano, fa un esempio: .Alla Clinica Mangiagalli, un ospedale di altissimo livello dove avvengono la maggioranza dei parti della città, ci sono 116 letti, ma solo 7 bagni, 23 water, 13 bidet, 7 docce, 2 vasche.. Collasso anche sul versante delle liste d'attesa: 120-180 giorni per una Tac, 150-300 giorni per un'ecografia, 180 giorni per una coronarografia. In un ospedale ortopedico di punta come il Gaetano Pini, per ricevere una protesi all'anca bisogna aspettare dai 4 mesi ai due anni; per un'artroscopia, dai 3 mesi a 1 anno.
Di fronte a questà sanità zoppicante, spicca a Rozzano il nuovo ospedale Humanitas, inaugurato lo scorso marzo. Costruito in tre anni con un investimento di 200 miliardi dal gruppo Techint (famiglia Rocca), l'ospedale è dotato di 378 letti, in camere singole o da due; 68 ambulatori; 16 sale operatorie; con 140 medici assunti e 250 infermieri. Più che un ospedale sembra la Rinascente: in un decor di tinte pastello e finiture di ciliegio, le scale mobili portano agli ambulatori, ciascuno con una reception e una caffetteria per passare il tempo in attesa del proprio turno. La qualità sembra garantita dai nomi dei medici soffiati ai principali ospedali pubblici di Milano.
L'accreditamento da parte della Regione non è ancora arrivato, ma lo si dà per scontato. Spiega l'amministratore delegato dell'Humanitas Rosario Bifulco, già dirigente Fiat e master in Business Administration ad Harvard: .I capitali investiti, che rientreranno in due-tre anni, permetteranno di garantire un'alta qualità di assistenza e di dedicare risorse anche alla ricerca e alla didattica.. Che l'efficienza sia al centro della gestione del nuovo ospedale di Rozzano lo rivela, per esempio, la lunghezza della degenza media: 4,9 giorni. Meno di così proprio non si può.
Il direttore scientifico Nicola Dioguardi, uno dei grandi nomi dell'epatologia, ha lavorato per molti anni al Policlinico come internista. Oggi si innova soprattutto con i capitali privati., spiega. .Comunque credo che tra pubblico e privato non ci sarà una competizione distruttiva, ma piuttosto un processo di emulazione.. A giudicare dalle polemiche le cose non stanno proprio così: .E' osceno il modo in cui si sta programmando la morte della sanità pubblica, con il beneplacito della giunta regionale capeggiata da Formigoni., sbotta Alberto Malliani, primario di Medicina interna all'Ospedale Sacco e coordinatore del Forum della salute dell'Ulivo. .Dobbiamo renderci conto che in sanità i privati fanno profitti con i soldi pubblici, e questo non è ammissibile..
Franco Rilke, direttore dell'Istituto dei tumori, se la prende con la Regione che, nel delineare i dipartimenti oncologici, non ha considerato l'istituto un punto di riferimento per lo studio e la cura dei tumori. Una bella sberla. Si fanno insistenti anche le voci di un mini esodo di medici dall'Istituto di via Venezian verso strutture private forse favorito dall'entrata in vigore, il 31 gennaio prossimo, dell'incompatibilità tra lavoro in ospedale e libera professione. Certo, la vita all'INT non è più la stessa da quando Umberto Veronesi lo ha lasciato per creare l'Istituto Europeo di Oncologia (IEO), nato nel 1994 da una Fondazione non profit costituita da Fiat, Montedison e Mediobanca. Oggi che i suoi 175 letti sono accreditati dalla Regione, l'IEO si prepara a entrare in competizione con l'Istituto dei tumori [...]
Di tanto in tanto, vado a dare un’occhiata a quel che succede a Parma, (ancora niente) dove è entrato in funzione da quasi due mesi il laboratorio della nuova iperdemocrazia e lavora il Bosone di Grillo, la giunta a cinque stelle che cambierà l’universo.
La rivoluzione, ci è stato detto, parte dal Comune di Parma (...veramente il Grullo, con la consueta modestia, da specialista dell'understatement, ci aveva anche spiegato che a Sarego era iniziata la Terza Repubblica... NdR)
Dunque dobbiamo vedere. Bene. A parte la zoppia della Giunta che ancora non è completa e ci vuole molta pazienza e comprensione per i bambini che assumono la gestione dell’asilo devastato dagli adulti, poi leggo il tronfio e trombonesco comunicato di Marco Bosi, capo gruppo dei Grillini in Consiglio e allibisco. I bambini si sono messi a parlare come i vecchi. Scrive:
“Se perciò qualcosa del Consiglio, in quanto tale, presenta difficoltà, non è a causa della sola minoranza o della sola maggioranza. In democrazia, infatti, è il potere esecutivo (in questo caso la Giunta) ad essere espressione della maggioranza, ma il potere legislativo, o deliberativo, è espressione della maggioranza e della minoranza insieme. In estrema sintesi se si sbaglia, si sbaglia tutti. Qualora si dovesse criticare il Consiglio, in un contesto di formalità e burocrazia, trovo più corretto farlo nella sua globalità: giudicare la sola maggioranza è sintomo di mal conoscenza della democrazia stessa”.
Un desolante esempio del peggior buro-politichese, con un robusto tocco di scaricabarile molto all’italiana, “se si sbaglia si sbaglia tutti”. The horror, the horror. Se Casaleggio, il maestrino di comunicazione pubblicitaria e l’allenatore di Grillo lo leggesse, dovrebbe cacciarlo dalla costellazione. La fortuna del suo cliente, Grillo, è infatti costruita tutta sul linguaggio, verbale come gestuale, il punto dal quale partono sempre le rivoluzioni e muovono le operazioni di seduzione politica. Non c’è cambiamento nella storia che non muova dal cambiamento del linguaggio. Se, davanti ai primi, inevitabili intoppi procedurali, neppure sostanziali, i Grandi Innovatori sfoderano questa “lingua di legno” da Pravda 1950, da fumoso editoriale cerchiobottista del Corsera o da “comunicato all’Ansa”, la rivoluzione è finita prima ancora di cominciare.
Dal semplice “vaffanculo tutti” al marmoreo “contesto di formalità e burocrazia” c’è tutta la distanza che separa la facilità della protesta dalla durezza della responsabilità. Inutile lamentarsi e piagnucolare contro i media tanto cattivi che vogliono rubare la merendina: quando si vuole la biciclettina, poi si deve pedalare.
“In quest’epoca di precisione e nitidezza digitali e di dissolvenza delle condizioni e delle relazioni sociali, la domanda che ci si fa è la stessa per tutti: dove accidenti sono finito nella vicenda sociale?” (Nichi Vendola, “La sfida di Nichi”)
(Credits: ringrazio Nonna Mana per pa preziosa segnalazione)
Indagati i vertici del circuito - Nascosero i rischi per Melandri & C. - Le telefonate fra il direttore dell'autodromo, il responsabile delle gara e quello della pista confermano
Le ipotesi della Procura: la pioggia costituiva un pericolo serio per i campioni della Superbike, il 6 maggio scorso, e i tre non solo non intervennero, ma addirittura fecero di tutto per nascondere il problema
Sapevano che c'era pericolo per i piloti, ma non hanno fatto nulla per rimediare alla situazione. Anzi, hanno cercato di tenere nascosto il problema. Il problema è provocato dalle bolle che si sono formate sulla pista dell'autodromo di Monza, all'altezza della parabolica. Una cinquantina di imperfezioni che sono proprio sulla traiettoria di passaggio dei piloti, e che domenica 6 maggio, in occasione della Superbike, sono costate la caduta a tre di loro (compreso Marco Melandri, anche lui come gli altri finito lungo alla parabolica, ascoltato poi dai pm).
LE INTERCETTAZIONI: "Sono caduti in tre, il problema salterà fuori" - "Digli che lo abbiamo scoperto adesso"
Una grana nota negli uffici di Sias (la controllata di Aci che gestisce il circuito), come confermano le intercettazioni telefoniche tra Enrico Ferrari (direttore dell'autodromo di Monza), Giorgio Beghella Bartoli (direttore di gara) e Stefano Tremolada (responsabile tecnico della pista). Il terzetto è indagato dalla Procura di Monza per omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Nelle conversazioni registrate dalla guardia di finanza i tre parlano dell'asfalto dissestato, ma decidono di non informare nessuno. Il giovedì precedente alla gara, il 3 maggio, al cellulare con Ferrari, Beghella Bartoli dice: “Ci sono due bolle in mezzo alla curva... tienitelo per te, stai zitto!”. Pronta la risposta di Ferrari: “Certo...non sono mica matto”.
A lavorare sul caso sono i sostituti procuratori Walter Mapelli e Caterina Trentini, che a partire dall'esposto di Paolo Guiaitamacchi, presidente di Sias ed estraneo ai fatti, hanno messo sotto controllo i vertici del tracciato brianzolo. Nel corso delle indagini, secondo i pm, è emersa una gestione scarsamente trasparente condotta con "profili criminali" finalizzati "all'arricchimento personale" da parte di Ferrari e Beghella Bartoli.
Ancora manovre pro-cicliche. Ancora tagli (questa volta annunciando il licenziamento di 300/400.000 impiegati dello stato, chiusure dì ospedali, tagli brutali alla sanità). Ancora politiche recessive che approfondiranno il baratro economico nel quale siamo piombati. Questi licenziamenti vanno ad aggiungersi ai circa 250.000 esodati della Fornero senza alcuna copertura. Fra Fornero e statali, considerando i congiunti a carico, almeno 1.200.000 persone vedranno il futuro farsi improvvisamente buio.
Ma la riffa della decimazione degli statali produrrà i suoi effetti recessivi ancor prima di cominciare. Perchè chi appartiene ad una categoria dalla quale uno ogni dieci è a rischio disoccupazione, non cambierà la macchina, non andrà in pizzeria, e non andrà in vacanza. L'effetto-annuncio è garantito.
Come dice, SuperMario? che non si tratta di licenziamenti, ma di mancato turn-over? Non spiegherebbe a noi incolti cosa cambia, in termini di occupazione globale? Se dal complesso degli occupati (circa 23 milioni) spariscono per mancato turn-over 400.000 lavoratori, gli occupati diventeranno 22.600.000. Sbaglio qualcosa?
Nella sanità, saranno peggiorate di molto le condizioni medie di assistenza, e si vuole introdurre un parametro arbitrario devastante: le spese per farmaci non potranno superare l'11% della spesa complessiva. Vale anche nella aree ad elevato tasso di tumori? (Eternit, Porto Margera, grandi città super-inquinate, poligoni di tiro?). E se ci si ammala di tumore in queste aree, arrivati all'11% di spese per farmaci che facciamo? Diamo delle belle boccettine di placebo?
Questa, caro Monti, è esattamente la via per Atene. E lei non ha capito che alla Merkel non basterà. Alla Merkel non basta mai, perchè il maledetto spread è quella cosa che permette alla Germania di finanziare qualsiasi politica di sviluppo derlla Germania a tasso zero, mandando il conto agli altri paesi (a quelli che devono finanziare il debito interno e quello della Germania).
Aspettavamo Delano Roosevelt e Maynard Keynes, abbiamo avuto lei, la Fornero, Passera e il dott. Bondi. Ma uno stato è una realtà più complessa della Parmalat, caro Monti. Più lei taglia per farsi dire "bravo" dalla Merkel (che sta già provvedendo a giurare che di eurobond non se ne parla proprio, finchè lei è in vita), e più dovrà tagliare. E' una spirale, caro Monti, Ecco perchè speravamo che con lei cominciasse il New Deal italiano. Così non è stato.
Nella sua Teoria Generale, Keynes difende le politiche destinate a stimolare la domanda in periodi di disoccupazione, anche attraverso un incremento della spesa pubblica. Poiché Keynes non ha piena fiducia nella capacità del mercato lasciato a se stesso di esprimere una domanda di piena occupazione, Keynes ritiene che in talune circostanze debba essere lo Stato a stimolare la domanda. Teoria confermata dai risultati ottenuti col New Deal dopo la Grande Depressione del '29.
Noi fissiamo il tetto alla spesa per farmaci. Roba da matti! su quale criterio? eventualmente potremmo privare dei farmaci le persone su un criterio anagrafico (una cosa che piacerebbe molto anche a Renzi...). Potrebbe funzionare così: una volta raggiunto il tetto dell'11% per spese farmaceutiche, si inizia a togliere i farmaci a partire dalle età più elevate. Intanto sono in quelle fasce d'età i tassi di morbilità croniche più elevati. Poi sono ceti improduttivi (anzi, sono un vero e proprio peso). E inoltre gravano sulla spesa pensionistica. Tre piccioni con una fava. Risparmiamo sui farmaci, sulle pensioni, e ringiovaniamo il paese.
Eh si, caro Monti! che bello, se lei si chiamasse Delano, anzichè Mario! Proviamo a leggere due note su Roosevelt:
"...dei vari programmi di riforma iniziati dall'amministrazione Roosevelt il più ampio e profondo fu l'istituzione del sistema della Social Security Act, una forma di stato sociale che fu ideato per fornire sostegno ai cittadini a basso reddito ed a quelli più anziani. La legge prevedeva sussidi in caso di disoccupazione ed altri aiuti dei quali gli americani erano precedentemente sprovvisti. Il sistema era finanziato in parte dallo Stato e in parte dai contributi dei datori e dei prestatori di lavoro..."
E pensi, tutto ciò mentre gli USA erano ancora totalmente immersi nella peggior crisi economica della loro storia!
Caro Delano Monti, quando leggo che "le spese militari saranno ridotte di 100 milioni, un brivido mi corre per la schiena. Wow! Ridurremo le spese militari di meno del costo di un solo cacciabombardiere F35! Infatti siamo impegnati (dopo congrua riduzione del programma) ad acquistare 90 cacciabombardieri, per la modica cifra di 10 miliardi (escluse le spese di gestione, addetramento, manutenzione). Ma chi cazzo dobbiamo andare a "cacciabombardare"?
Tutta la spending-review di Bondi (il commercialista di Delano), forse ci porterà a reperire 4,5 miliardi - insufficienti persino a coprire tutto l'aumento dell'IVA previsto, e tagliamo agli armamenti l'equivalente dell'80% di un solo F35? Sembra davvero di sognare!
Nel frattempo, i veri giacimenti auriferi delle risorse (la corruzione - 70 miliardi all'anno, e l'evasione fiscale - 120 miliardi all'anno) vengono lasciati nel loro ben protetto recinto. La legge anticorruzione langue, è soggetta a veti e trattative, e alla fine ciò che resterà (se resterà) sarà un pannicello caldo, buono solo per le conferenze stampa.
Sull'evasione fiscale, stendiamo un velo pietoso. Due milioni di appartamenti sconosciuti al catasto (e quindi al fisco) e nessuno che si decida a mettere in moto l'operazione più semplice del mondo: l'incrocio delle anagrafi dei fornitori di servizi (acqua, elettricità, telefono), con il database del catasto...
Dopo le operazioni mediatiche sugli scontrini fiscali - in favore di telecamera - il nulla. Davvero, caro Delano, pensa di mettere in produzione con questi sistemi i due giacimenti auriferi di cui sopra? Davvero pensa che il versamento in banca delle grasse pensioni da 999 euro ci farà recuperare l'evasione fiscale?
Ma lei (o la Fornero) siete mai andati una volta, una volta sola, in un ufficio postale, nel giorno di pagamento delle pensioni, a vedere che facce hanno, come vestono, come parlano questi potenziali evasori fiscali? E su cosa dovrebbero evadere? Non riusciamo, a botte di cavilli, a ridurre a Felice Crosta la sua pensioncina da 1400 euro (al giorno, non al mese), ma coi pensionati da due volte il minimo saremo implacabili!
Caro Delano Monti, credo che lei abbia avuto le sue occasioni, ma adesso o faccia una politica economica vera (stiamo ancora aspettando i capitoletti mancati... "equità" e "crescita", ricorda ancora?) o passi la mano. Tanto una politica recessiva pro-ciclica riuscirei a farla persino io. Magari un filino più equa. Tafanus.
Quando mi capita di leggere bestialità simili, credo che noi italiani, prontissimi a creare idoli e a distruggerli alla prima défaillance, siamo già sulla buona strada per rovinare la carriera e la vita della giovane Camila Giorgi. Tafanus
Questa perla di articolo, pubblicato su L'INCHIESTA, è firmato da tale Marco Fattorini, giornalista (nientemeno) che de "l'Opinione" (giornale sconosciuto ai più, diretto da Arturo Diaconale.
E' esattamente con questi discorsi "a cazzo" (mi si passi il francesismo), che si riesce, a volte, a far perdere il contatto con la realtà ad una ragazzina che è una promessa, ma che prima di diventare "la numero uno al mondo" ha una lunga strada da fare (checcè ne dica Marco Fattorini, nuovo talent scout del tennis... Che però ha aspettato il Luglio 2012 per accorgersi dell'esistenza di Camila Giorgi.
Vede, Fattorini, noi ne parliamo da un anno e mezzo, da quando non ne parlava nessuno, e Camila navigava intorno alla 200ma posizione, e giocava solo torneini challenge e ITF da 10/25.000 dollari. Lei dov'era, l'anno scorso?
Vale la pena di riportarle, le brevi note autobiografiche di Fattorini:
Marco Fattorini:1989, giornalista pubblicista, studia Giurisprudenza alla Luiss di Roma. Ha collaborato con Il Sussidiario.net, per il quale ha seguito le vicende calcistico-societarie dell'As Roma nelle stagioni 2009-2010, 2010-2011. Oggi scrive sul quotidiano L'Opinione e sulla testata online NotaPolitica. Da febbraio 2012 è analista di Tv Talk.
Mi sfuggono totalmente le competenze tennistiche di Fattorini, ma mi lascia di sasso la leggerezza con la quale si alimentano aspettative che potrebbero anche dimostrarsi fuori portata, in una promettentissima ragazzina che ha bisogno di realismo, e non di fughe in avanti.
Le nostre idee tecniche sulla Giorgi le abbiamo scritte ieri, in questo post col quale, per l'appunto, invitavamo TUTTI a lasciar crescere tranquillamente questa ragazzina. Poi arriva il Fattorini, e spara (usando l'indicativo, mica il condizionale!) il titolone:
Perchè Camila Giorgi diventerà la numero uno nel mondo
E darle magari prima il tempo di assestarsi fra le prime cento? Ora tutti a fare iniezioni di viagra mentale a Camila, quando fino al'altro giorno (e Camila era già agli ottavi), sui patri giornali c'erano sette pagine sul pallonarismo, e neanche sette righe sulla Giorgi.
Si, lo sappiamo. Il papà è da anni che "promostica" il numero uno per Camila, e noi lo abbiamo già sgridato, per questo. Per questa follia di unirsi al coro di chi impedisce a questa ragazza di maturare con realismo. Secondo il papà, doveva essere già da un paio d'anni la numero uno al mondo. Ora arriva l'Opinione delle Libertà. Spero che la cagnara finisca qui. Lasciatela crescere in pace. Tafanus.
Non che me nme freghi più di tanto che l'Italia abbia vinto o perso la finale contro la Spagna. Al massimo, questa sconfitta spingerà i nostri opinionisti da talk-show ad una maggior prudenza pre-partita, qualora dovessimo ancora arrivare in finale in qualcosa.
Ma leggere le dichiarazioni di Travaglio e di Grillo, così vicine a quelle di Grillo da sembrarne una fotocopia, può aiutare a capire bene quanto Grillo sia "de sinistra". Almeno quanto Radio Padania. Tafanus
Il punto è questo: al gufo si perdona persino di essere gufo, la sua iattura rientra a pieno titolo nella retorica del tifo. Stucca un po' quando il discorso si ammanta di ideologia. Sotto questa stella, in questi giorni di sogni e batoste pallonare, è comparso il “gufo engagé”. Gufa, ma mica come qualunque altro tifoso. No, il gufo impegnato dà lezioni. Di moralità, diritto, civismo.
Il mondo del calcio è un piccolo mondo – e corrotto. Perciò bisogna mettere in guardia gli italiani dal fango che rischiano di tirarsi addosso se per caso tifano per la vittoria degli Azzurri. Perciò, si gioca contro la nazionale tedesca? Si diventa tutti crucchi. Si va in finale contro la Spagna? Ma quale sogno, vincere sarebbe un colpo di spugna su tutti gli scandali del calcio italiano. A svegliare i tifosi italiani ci hanno pensato Travaglio, Grillo, il pm di calciopoli Narducci e i paladini di Radio Padania. Tra tutti, probabilmente i conduttori della radio della Lega sono quelli a cui fregava meno impartire lezioni di civismo, ma certo non le hanno sparato meno grosse degli altri. Ecco una breve rassegna delle loro invettive.
TRAVAGLIO: IO NON TIFO ITALIA - Marco Travaglio, 15 giugno: «Io non tifo Italia, tifo per la Germania. Tifo quasi sempre Germania, raramente ho tifato Italia. Le uniche volte che l’ho fatto è stato quando c’erano squadre che mi piacevano, tipo l’Italia di Bearzot, quella di Zoff e quella di Trapattoni. Tifo contro l’Italia soprattutto a questi Europei, in cui se dovessimo vincere ci dimenticheremmo subito dello scandalo Calcioscommesse, come nel 2006 ai mondiali. Insomma, spero che l’Italia venga eliminata subito, immediatamente».
Marco Travaglio, 1 luglio: «Se è per questo ho tifato pure per Spagna, Croazia, Irlanda e Inghilterra quando giocavano contro l’Italia».
BEPPE GRILLO: ITALIA BUE - Beppe Grillo, 2 giugno: «Vincere gli Europei significa la prescrizione da parte dell'opinione pubblica di qualunque reato».
Beppe Grillo, 2 luglio: «L'Italia ha perso, l'Italia ha vinto. Contro la Spagna lo spread è stato di 4 a 0 a favore degli iberici. Noi abbiamo fatto la parte del toro, o forse del bue». Così Beppe Grillo, sul suo blog, sintetizza l'esito della finale europea di ieri sera. «Chi ha vinto? Le banche spagnole - aggiunge- che hanno finanziato il calcio (senza di loro non esisterebbero nè il Barcellona, nè il Real Madrid attuali) e che oggi vengono salvate dalla Bce, e quindi anche dall'Italia, con 100 miliardi di eur [???
RADIOPADANIA ESULTA AI GOL SPAGNOLI - Giuseppe Narducci: «Il rischio che con una vittoria della Nazionale agli Europei ci possa essere un 'colpo di spugna' sull'inchiesta è reale. La parte che non vuole fare i conti con la realtà e che cerca di cancellarla con un colpo di spugna, pensa sempre di approfittare del trionfo. Tutto sommato fu l'operazione che scattò alla vigilia dei Mondiali in Germania [...]
Ora che il grande Wimbledon della ventenne Camila Giorgi è terminato, vorrei scrivere su questa ragazzina - come promesso - alcune note destinate agli appassionati di questo sport. Note umane, e note tecniche. E cominciamo dalle prime. Per capire l'aspetto umano e competitivo di questa ragazzina, leggiamo, dal sito di Eurosport, cosa ha dichiarato in conferenz:a stampa.
E' decisamente arrabbiata Camila Giorgi, la grande sorpresa di questo Wimbledon. E' partita dalle qualificazioni, e prima di arrendersi alla polacca Agnieszka Radwanska ha vinto sei match senza perdere neppure un set.
Alla stampa straniera, che le rivolge le prime domande in inglese dice secca: "Ho giocato un tennis orribile". Poi si rasserena un po' quando è il turno della stampa italiana: "E' vero che la mia avversaria è la numero tre del mondo, però io ho giocato male, non ero al massimo. Ho fatto molti errori sia al servizio che nelle voleé, succede".
Ha gli occhi lucidi e ammette: "Dopo il match ho pianto". Non cerca scuse parlando delle condizioni di gioco molto difficili: vento, pioggia e freddo anche in questa settima giornata del torneo: "Erano le stesse dei giorni precedenti".
Resta però un grande torneo: prima italiana a raggiungere gli ottavi a Wimbledon partendo dalle qualificazioni e ingresso nelle top 100: da lunedì salirà intorno alla novantesima posizioni dalla 145ma occupata prima del torneo. "Sono stati giorni fantastici, il mio obiettivo è salire nel ranking e sono sulla strada giusta". Ora l'attende il rientro a casa a Miami, qualche giorno di riposo, poi si ricomincia da San Diego con la stagione sul cemento americano. In attesa degli US Open di fine agosto: e questa volta non dovrà passare per le qualificazioni.
Questo quanto scrive Eurosport. Ma lasciatemi aggiungere qualcosa di mio.
E' una che non cerca alibi. Ho perso? Si, ho perso, ma niente scuse. Ho giocato un tennis orribile. C'era la pioggia, c'erano le interruzioni? Anche nei giorni scorsi. E poi c'erano per me come per le altre. Ma si può piangere per aver perso agli ottavi di finale di Wimbledon a vent'anni, contro la numero 3 al mondo? Si, Camila può, perchè dopo aver battuto la Glatch (finalista di Fed Cup contro l'Italia) al terzo turno delle qualificazioni, la Pennetta (n°17 ed ex top-ten), la Tatishvili (n° 70), la Petrova per la seconda volta nell'anno (n° 20, ma ex n° 3), sa di avere lo strumentario per crescere, e molto.
Parliamo di un altro aspetto straordinario del suo carattere: non le ho mai visto mostrare il pugnetto all'avversaria, mai sbattere la racchetta per terra, mai guardare storto un giudice di linea, mai chiedere il controllo elettronico su un punto dubbio.
E veniamo all'aspetto tecnico. E' una ragazza atleticamente molto attrezzata, resistente, velocissima di gambe e di braccio. Gioca bene tutti i fondamentali, ma ha un limite psicologico, dovuto al mix fra la giovane età e la potenza dei suoi colpi. Cerca di giocare solo vincenti. Non conosce colpi interlocutori. Le avversarie non vuole batterle con pazienza. Vorrebbere spaccarle a pallate da tutte le posizioni. Ora che entrerà di diritto nei maggiori tornei, dovrà necessariamente capire che non tutte possono essere prese a pallate sempre e comunque, e che a volte qualche colpo interlocutorio, di preparazione, non è un disonore.
Camila non conosce mezze misure neanche nel servizio, ma sono certo che entrando stabilmente nel circuito maggiore, troverà maggior equilibrio anche in questo. Ha una bassa percentuale di prime (intorno al 50%), e credo che ciò derivi dal fatto che fa con la seconda di servizio (che gioca sia piatta che in kick), una percentuale di punti addirittura superiore, seppur di poco, a quella relativa alle prime di servizio. Il giorno in cui imparerà a moderare leggermente la prima, migliorando le percentuali, sarà davvero difficilissimo strapparle il servizio, mentre per lei già adesso è abbastanza frequente strappare il servizio alle avversarie. Perchè o queste giocano un fior di servizio vincente, o si vedono tornare indietro dei missili a dieci centimetri dalla riga di fondo o dalle laterali.
Insomma, se riusciremo a non caricarla di aspettative troppo pressanti, sono certo che fra un anno sarà pronta una nuova "sorella d'Italia". Chiudo con una nota di colore: qualche anno fa, quando era poco più che una bambina, un tizio che di tennis se ne intende (tale Adriano Panatta) vedendola giocare, aveva esclamato: "... è la prima volta che vedo giocare una bambina coma Agassi!...". L'altro giorno, a un giornalista che in conferenza stava le ha ricordato l'episodio, per chiedere cosa pensasse di questo accostamento, la ineffabile ragazzina ha risposto: "...si, però io so giocare anche le volées!..."
Finlandia e Olanda dicono no allo scudo anti-spread. I problemi dell'euro non sono ancora finiti? (di Vito Lops - IlSole24Ore)
I mercati azionari proseguono in rialzo dopo lo straordinario allungo di venerdì seguito alla conclusione (migliore del previsto) del Consiglio Europeo. Adesso gli operatori si aspettano una mossa della Banca centrale europea che il 5 luglio, come ogni primo giovedì del mese, si riunirà per orientare la politica monetaria. Cè chi ipotizza che Mario Draghi possa far scendere per la prima volta nella storia dell'euro il tasso di riferimento sotto l'attuale minimo storico dell'1%.
Le decisioni della Bce sono una delle prossime incognite su cui si interrogano investitori e risparmiatori. A questa si unisce il ruolo di Finlandia e Olanda nella partita a scacchi tra i 17 Paesi dell'area euro per rafforzare la moneta unica e l'area, rendendo meno vulnerabili i debiti sovrani.
Dal Nord Europa, infatti, questa mattina sono arrivate dichiarazioni che rischiano di indebolire l'efficacia dei risultati ottenuti nel vertice Ue in occasione del quale, tra le varie novità (unione bancaria europea con sorveglianza che passa alla Bce, Esm - meccanismo di stabilità permanente - con poteri di ricapitalizzare direttamente le banche, unione economica e pacchetto crescita da 120 miliardi), si è deciso di potenziare il ruolo del nascente Esm (inaugurato a luglio in sostituzione del fondo salva-Stati, con al momento una dotazione finanziaria da 500 miliardi) dotandolo della capacità di acquistare titoli di Stato per frenare eventuali scorribande all'insù degli spread, senza l'autorizzazione della Troika (Ue-Bce-Fmi, come attualmente previsto) ma con un intervento delle banche centrali dei singoli Paesi membri, coordinate dalla Bce.
In una nota al Parlamento il primo ministro della Finlandia, Jyrki Katainen (nella fotina) ha comunicato di non essere d'accordo con l'intervento dell'Esm per acquistare bond sovrani sul mercato secondario, ritenendolo «un'inefficiente via per stabilizzare i mercati».
Della stessa opinione l'Olanda. Niels Redeker, portavoce del ministro delle Finanze olandese, ha ribadito che il Paese «non è a favore dell'acquisto di obbligazioni» da parte dell'Esm.
I nodi sullo scudo anti-spread - come è stato definito il piano di intervento dell'Esm sui bondi sovrani che al vertice di Bruxelles del 28-29 giugno ha ricevuto l'ok della cancelliera tedesca Angela Merkel - dovranno essere sciolti all'Eurogruppo del 9 luglio.
Secondo il primo ministro finlandese la decisione di permettere al fondo Esm di acquistare bond sovrani dovrebbe essere presa all'unanimità dei 17 Paesi, mentre il regolamento del fondo prevede una maggioranza qualificata dell'85%.
Secondo Olli Rehn si tratta di un bluff - La minaccia del governo finlandese di porre il veto all'eventuale attivazione del meccanismo anti-spread, voluto e ottenuto dall'Italia durante il vertice Ue della settimana scorsa, è un bluff. È quanto risulta da una lettura attenta del trattato dell'Esm, il fondo di salvataggio permanente dell'Eurozona, confortata dall'interpretazione del nuovo portavoce del commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn.
Come ha confermato il portavoce, Simon O'Connor, l'eventuale "no" dei finlandesi all'acquisto sul mercato secondario, da parte dell'Esm, dei titoli di Stato di un Paese sotto l'attacco dei mercati non basterebbe a bloccare la decisione, se la Commissione europea e la Banca centrale europea (Bce) concludessero che la mancata azione minaccerebbe la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro.
In questo caso, infatti, cambierebbe la procedura di voto nel consiglio di amministrazione dell'Esm, passando dal cosiddetto "comune accordo" (equivalente all'unanimità) a una sorta di maggioranza superqualificata, corrispondente all'85% delle quote di partecipazione al capitale versato dell'Esm, assegnate a ciascuno Stato membro. La Finlandia ha appena l'1,7974% delle quote. E non riuscirebbe a raggiungere il 15% per bloccare la decisione neanche se si alleasse con l'Olanda, altro Paese che si è opposto al meccanismo anti-spread, che detiene il 5,7170% delle quote.
Da notare, per contro, che l'Italia, con il 17,9137% delle quote, da sola potrebbe bloccare decisioni non gradite, come anche la Germania (27,1464%) e la Francia (20,3859%). Sotto la "soglia di blocco" resta invece la Spagna, con l'11,9037% delle quote.
«Una procedura di votazione d'urgenza - si legge nel Trattato, all'art.4) è utilizzata nei casi in cui la Commissione e la Bce concludono che la mancata adozione di una decisione urgente circa la concessione o l'attuazione di un'assistenza finanziaria (...) minaccerebbe la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro. L'adozione di una decisione di comune accordo (...) nel quadro di detta procedura d'urgenza richiede una maggioranza qualificata dell'85% dei voti espressi».
Lo stesso meccanismo di voto (maggioranza qualificata all'85% delle quote in caso d'urgenza) vale anche per gli acquisti, da parte dell'Esm, di titoli di Stato sul mercato primario, ovvero al momento dell'emissione. Gli interventi sul primario, comunque, che sono generalmente considerati più efficaci e meno inclini ad alimentare la speculazione rispetto a quelli sul mercato secondario, non sono stati menzionati nella minaccia di "veto" finalndese.
Se però al coro dei no di Olanda e Finlandia si unisse qualche altro Paese tale da superare il 15% potrebbe riaffiorare un problema, l'ennesimo, da risolvere per far tornare a girare l'Europa.
La grinta del Piranha - Le barche di Luna Rossa Challenge hanno vinto l'ultima tappa dell'America's Cup World Series 2011-2012 (classifica regate di flotta), svolta nelle acque americane di Newport. L'equipaggio di Luna Rossa Piranha, composto da Chris Draper (timoniere), Francesco Bruni (wing trimmer), Pierluigi de Felice (trimmer), Nick Hutton (trimmer) e Dave Carr (freestyler), ha conquistato la vittoria nell'ultima regata, ottenendo così 30 punti valevoli per la prima posizione in classifica generale. I due catamarani di Luna Rossa, Piranha, appunto, e Swordfish, hanno lottato per il podio fin dalla partenza (Ap/Senne)
...intelligente, o almeno non totalmente cretino. Lo cerco da una vita, senza riuscire a trovarlo. Se qualcuno può aiutarmi ad individuarne almeno uno, riceverà in omaggio, a scelta, una bambola gonfiabile con le sembianze di Giorgia Meloni o, a scelta, un pelouche con le sembianze di Alemanno. ..
Come già è capitato spesso, tutte le volte che un nuovo cazzarismo s'avanza il Tafanus si mette di traverso, si fa molti nemici giurati, ex estimatori complottano per mesi per creare siti "contro" che poi spariscono in due settimane senza lasciare tracce, ex "fedeli collaboratori" passano all'insulto personale... Esimi giornalisti e storici del renzismo, una volta sviscerati laudatores del Tafanus, mi cancellano dai loro contatti facebook...Poi il tempo, questo galantuomo, rimette le cose a posto, ma NESSUNO che abbia il coraggio di tornare sul blog per dire: Antonio, forse quella volta abbiamo sbagliato noi...
La storia (molti fedeli lettori di lunga data del Tafanus la ricorderanno) è iniziata con "Vaffanculo Day", raffinata manifestazione di grillini nel settembre 2007, che è finita con minacce fisiche, insulti di amici, complottini finiti nel ridicolo, e tanta, tanta gente che oggi si vergogna persino di ammettere che "lui c'era". Oggi, di quell'epoca, non ne trovi più uno disposto ad ammettere che sbavava per il comico bollito. Certo, c'è stato un ricambio (purtroppo ogni anno arriva alla politica passiva una platea di 500.000 ggiovani che mai si sognerebbero di leggere un articolo di fondo su un giornale serio.
Poi è arrivato il Popolo Viola. Anche li, in questa mascherata targata Di Pietro e Ferrero, abbiamo dovuto lottare non poco per far "confessare gli autori". Anche li, minacce di querele da parte di teste di legno di Di Pietro, patetiche smentite che non smentivano nulla da parte del sito di Pancho Pardi, proclami d'indipendenza da parte di Franca Corradini, che gestiva "in piena autonomia" il sito "noberlusconyday" (salvo poi essere candidata (e trombata) ad Arezzo, guarda caso nelle liste dell'IdV; il superfluo Gianfranco Mascia, anche lui sempre "indipendentemente" allineato sulle posizioni dell'IdV, finchè non ha conquistato la sua poltroncina nel personale di partito, dopo diverse trombature come candidato.
Poi sono arrivati i Rottamatori Renzi & Ciwati, talmente uniti che sembravano due fratelli siamesi, salvo spaccarsi un mese dopo. Però il CiWati, che MAI sul sito "prossimaitalia" aveva risposto ad un commento di chicchessia, ha trovato il tempo di attaccarmi per giorni e giorni personalmente. Il Tafanus? è un troll, è chiaro! Ho dovuto spiegargli che gestendo un blog che a spanne riceveva dieci volte le visite di prossimaitalia, forse non avevo né tempo né voglia di "trolleggiare". A fiancheggiare il Ciwati si è impegnato il suo maggiordomo, tale Paolo Cosseddu. Le mie colpe? chiedere insistentemente - quando non ne parlava nessuno - perchè dal SUdR (Sito Unico dei Rottamatori), fossero spariti sia Renzi che Ciwati. Domanda ingombrante. Quindi insulti, e infine bannatura.
Poi, sempre Di Pietro mascherato da Gianfranco Mascia, ha organizzato i plotoncini di "fischiettatrici" in Burberry e borse di Prada, cammellate sotto le finestre del Quirinale per "svegliare" Napolitano.
Vi risparmio le altre iniziative cretine, che si contano a decine. La costante di queste manifestazioni era l'appoggio incondizionato degli organismi ufficiali del cazzarismo (da Santoro a Micromega, dal Fatto a - ahimé - l'Unità)... Poi, piano piano, qualcuno ha cominciato a svegliarsi dal "sonno della ragione". Ha iniziato Furio Colombo, contestando gli insulti a Napolitano di piazza Navona. Poi si è svegliato Micromega, con un dossier dal titolo "C'è del marcio nell'IdV"; l'Unità ha iniziato a defilarsi; il Fatto si è defilato quasi completamente (con l'eccezione di Marco Travaglio che, essendo fra i padri fondatori e fra i beneficiati del cazzarismo, non può saltare di colpo giù dal carro. Rischierebbe di rompersi una gamba). Persino Santoro - da non credere! - si è accorto di chi sia Grillo!
Ora, last but not least, dal cazzarismo post-democristiano scende giù persino l'Espresso. Meglio tardi che mai. La penna di Marco Damilano è mille volte più pungente e gradevole della nostra, ma il Tafanus è orgoglioso di essere "arrivato uno", con tre anni di anticipo sull'attrezzatissimo "Espresso", ad aprire il fronte di lotta contro il cazzarismo dello scudo crociato. Che prima o poi se ne accorgano anche Chiamparino e Zingaretti? Con la mitica Debora Serracchiani che si esercita nell'arte del pendolarismo? (...una volta coi rottamatori di Ciwati, la volta successiva con quelli di Renzi? Qualcuno spieghi a Debora che i due sono nemici, e che se proprio deve stare con qualche cazzaro, prima o poi le toccherà scegliere!)
Debora formato Civati Debora formato Renzi
Quello che segue è un estratto che potremmo intitolare "Il Risveglio de l'Espresso"
Il Renzi-Pensiero dalla A alla Z- Le parole d'ordine. I nemici. I miti. Le strategie. Le citazioni. Obiettivo: l'assalto a Bersani & C. (di Marco Damilano - l'Espresso)
Nuovo, troppo nuovo, nuovista? O vecchio politicante, astutissimo virgulto di scuola democristiana? Battustista irresistibile o insopportabile sbruffone? Populista ma di centro, unico possibile riformatore del Pd per i renzini, secondi solo a Grillo sulla Rete, anti-comunista, paninaro, craxiano e di destra per i rivali bersaniani. Oggetto del desiderio dei berlusconiani, "il solo giovane uomo che ci fa vincere", si legge nel piano Rosa Tricolore. Matteo Renzi a 37 anni si scalda per guidare l'Italia. Ma dove e con chi? Come candidato del Pd o fuori dalla sinistra, nel campo lasciato vuoto dal Pdl?
A - Amici Miei: La supercazzola di Tognazzi-Mascetti, super-citata. La scena degli schiaffi alla stazione che apre l'incontro della Leopolda, antipasto di ben altre zingarate verso i capi del Pd. La toscanità, anzi, la fiorentinità esibita, compiaciuta: "Obama, noi e ci s'ha il David, mica solo i ristoranti...". E una sola paura: "Un fiorentino accetta tutto: crimini, misfatti, tradimenti. L'importante è evitare un pericolo: passare da bischero".
B - Attrazione fatale: "Al primo incontro Berlusconi mi disse: "Ma come fa uno come lei a vestirsi di marrone e a stare con i comunisti? Venga con noi"", racconta Renzi (risposta: "Lei ci prova con tutti"). Segue pranzo con Silvio ad Arcore e pubblica avance della figlia Barbara: "Da lui mi sentirei rappresentata". Matteo ricambia: "Berlusconi è l'uomo che ha cambiato tutte le cose che amo: il calcio, il marketing, la politica. In tanti mi dicono che dovrei essere più anti-berlusconiano. Io non riesco a odiare Berlusconi, neanche sforzandomi". Il corteggiamento prosegue. Serrato.
C - Cattorenzismo: Wojtyla generation, un ex scout che conserva la foto con baciamano a Ratzinger. Cattolicesimo di popolo, solare ed entusiasta, senza complessi di inferiorità verso i laici: "Un cristiano è un tizio che crede che ci sia un dopo rispetto alla vita terrena. Non è una questioncina banale". Astensionista nei referendum sulla fecondazione assistita, fondatore con Paola Binetti dei Teo-dem nella Margherita, presente al Family Day, problematico su Eluana. E fedele per sempre alla moglie Agnese e ai tre figli.
D - Dante: "In un mondo di mezze calzette era uno tosto che non si tirava indietro quando c'era da parlare chiaro. E io penso che nella nostra stagione non ci sia futuro per i pavidi", scrive Renzi in "Stil Novo", e ci siamo capiti. Il Poeta "servirebbe alla sinistra perché aveva coraggio". Oggi correrebbe alle primarie.
E - Eredi Chiarini: Famosa sartoria di via Roma a Firenze che cura gli abiti del sindaco. Negli anni ha cambiato il look. Via l'adipe che faceva tanto dc irpino, un taglio al ciuffo alla Bobby Solo, la camicia bianca senza giacca. Fino a conquistare la copertina di "Max": un maschio appagato di sé, con un biberon in mano.
F - Fanfani: Il mito è Giorgio La Pira, ma il vero modello è lui, il (mezzo) toscano che modernizzò l'Italia, costituente a 38 anni, segretario della Dc e premier a 46. Arrogante, sicuro di essere il primo della classe: "Quando manca il gallo, si fanno avanti i capponi". Partito da sinistra e approdato a destra. "Sarà Renzi il nuovo Fanfani, lo smoderato tra i moderati?", si chiese Pietrangelo Buttafuoco. "Renzi vuole un'operazione di sfondamento a destra di carattere presidenzialista, come Fanfani con il voto sul divorzio nel 1974", ha scritto Miguel Gotor su "Repubblica". Non andò bene. E il vecchio capo tuonò contro chi voleva rottamarlo: "Chi nasce bischero resta bischero. Anche se ha quarant'anni".
G - Giovanotto: "Basta che un giovanotto dica che vuole cacciarci a calci in culo, e subito gli vengono date le paginate", si pronunciò Massimo D'Alema alla festa del Pd il 16 settembre 2010. Soave, però, se paragonato al responsabile Economia del Pd Stefano Fassina: "Renzi è un ex portaborse che ripete a pappagallo le ricette della destra".
I - Innocenti Sonia: l'imprenditrice che aveva tradito il potente assessore ex Ds Graziano Cioni alle primarie per il sindaco di Firenze. "Questo voltaspalle lo deve pagare", ringhia Cioni al telefono (intercettato) con l'allora presidente della Provincia. Il giorno dopo Renzi lo richiama: "Alla Sonia quel messaggio gliel'ho fatto dare in modo molto brutale". Stil novo e metodi antichi.
J - Jonas: L'alter ego di Renzi nel libro "Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro" scritto con Lapo Pistelli, il suo punto di riferimento nel Ppi: "Voi, che la politica dite di farla, siete dei maestri nel non farvi capire, nell'esprimervi con discorsi fumosi e inconcludenti", spara Jonas. Era il 1999. E Matteo già rottamava.
L - Leopolda: la Camelot del renzismo, l'ex stazione ferroviaria scenario dei grandi eventi. Messaggi a Bersani, discese in campo, programmi in cento punti. E soprattutto le playlist con Pippo Civati alla consolle, i cartoni giapponesi, Willy il Coyote per sfottere i duri e puri dell'anti-berlusconismo. Mary Poppins perché le cose non si rimettono a posto schioccando le dita. E poi le Polaroid, i Gormiti, "Boris", "L'Attimo fuggente", il salto di Fosbury... Veltronismo 2.0, ma Walter non avrebbe mai scelto come colonna sonora il tamarrissimo "Tacatà" ("La gente bailando y tu bla bla bla/mueve tu culito, tambien el bechito...") che ha lasciato perplessi anche i più audaci renziani.
M - Marketing: "Io vengo dal marketing...", scopre le carte Renzi. Più che una professione, una Weltanschauung, una visione del mondo. Il primo leader compiutamente formato dopo la fine di Carosello, nell'era della pubblicità da 30 secondi. Uno che alla voce Beppe Grillo ricorda: "Ero un fan del suo spot sullo yogurt". E che comunica con una raffica di slogan. Maledettamente efficaci.
N - Noi: "Finora siamo stati tanti io che sperano in uno strapuntino, tanti io che giocano per sé senza diventare noi. Noi che viaggiamo con Ryanair e che dobbiamo pagare i debiti dell'Alitalia", teorizzava già nel 2007. Il partito invisibile su cui punta Renzi: i non tutelati dal sindacato, i non rappresentati dai partiti, "una generazione senza un nome, strappata e divisa. Nulla da perdere, nulla da guadagnare, niente di niente", come cantano gli amati U2. Chissà se tanti Noi sono disposti a mettersi in marcia dietro un solo Io.
O - Ottanta: Il dalemiano Matteo Orfini ne fa una questione di gusti: "Se guardo ai Righeira o agli Europe le scelte estetico-musicali di Renzi mi ricordano i paninari. C'è un'idea figlia di quegli anni". Gli anni Ottanta, s'intende, la Milano da bere: dietro la leggerezza renziana, sospettano a sinistra, c'è il pesante fantasma del Cinghialone, Craxi. "Si assiste al restauro di una patina degli anni Ottanta furbescamente presentata come nuova", attacca Gotor: "Il progetto di Renzi ha un'impronta craxiana, si basa sul potere di interdizione e di ricatto, sembra il figlio ideale di Ghino di Tacco". Non un bel precedente per Bersani, però: in quel decennio Bettino trionfava. E il Pci declinava. (...Caro Gotor, con una piccola differenza: che Bettino è finito latitante a Hammamet, col PSI ridotto ad una pattuglia di nostalgici che ogni anno fanno una gita in volo charter in Tunisia, e poi a Boselli, a De Michelis e a Stefania Craxi. Bersani ha preso un partito che declinava verso il 20%, e adesso è più vicino al 30. Nonostante Renzi, Di Pietro, Grillo e Vendola. Diverso, vero? NdR)
P - Pep (Guardiola): Il testimonial: l'eroe del Barcellona che a 41 anni dopo aver vinto tutto lascia la panchina per rimettersi in gioco. "Volevo farvelo vedere in video", ha annunciato il sindaco, "ma ve lo porterò di persona, in campagna elettorale".
Q - Quarantotto milioni: La cifra incassata (in lire) al debutto in tv del diciannovenne Matteo Renzi, concorrente alla "Ruota della Fortuna", occhialuto e emozionato. "Un ragazzo bravo, simpatico. È toscano e sa l'italiano", si complimenta Mike. È il 1994, Berlusconi è appena entrato in politica, a dirigere Canale 5 c'è Giorgio Gori, oggi spin doctor di Renzi. La ruota non ha smesso di girare.
R - Rottamazione: Bossi aveva il cappio, Berlusconi il Predellino, Grillo il Vaffa, Renzi lancia la sua bandiera su "Repubblica" il 28 agosto 2010: "Basta con i dirigenti del Pd. È l'ora della rottamazione, senza incentivi". Rottamare D'Alema, Veltroni, Bersani, Bindi. E perfino l'incolpevole De Coubertin "rottamiamo il barone", ordina Renzi. I candidati allo sfasciacarrozze replicano con appelli allo statuto, alla buona educazione o almeno alla civiltà. Niente da fare.
S - Stelle: La citazione preferita, tratta dal poeta Mario Luzi: "Stellare la notte". E il Movimento 5 Stelle che vola nei sondaggi, il nemico da battere.
T - Tempo: Compare ogni tanto, come un'ansa, una malinconia improvvisa. "Mi sono guardato allo specchio e ho visto i miei primi capelli bianchi, nonostante i 36 anni...", confessa. "Non buttare via il tuo tempo o il tempo butterà via te", si legge nel libro renziano "Fuori". Correre, bruciare le tappe, consumare tutto e subito. Per non invecchiare. Per non finire come il personaggio di Baricco: "Cosa stiamo aspettando? Che sia troppo tardi, madame". L'estate sta finendo, anche per Matteo il giovane.
U - Unioni di fatto: "Una battaglia mediatica che tocca una minoranza di persone. Basti pensare all'assoluta inutilità dei registri civili nei comuni", diceva ad "Avvenire". Nei 100 punti renziani sono all'89° posto, dopo il quoziente familiare: "Regolamentazione delle unioni civili". Solo negli ultimi giorni sono salite di importanza, insieme alla legge anti-omofobia e alla tutela dei figli delle coppie gay. Miracoli delle primarie.
V - Vincere: L'obiettivo finale. "Come diceva Blair, amo tutte le tradizioni del mio partito. Tranne quello di essere un partito perdente", spiega. "Se scendiamo in campo non lo facciamo per fare i bischeri: lo facciamo per vincere". Tema sviscerato alla Leopolda da Alessandro Baricco: "Per anni a sinistra abbiamo mosso per secondi, abbiamo scelto i neri perché avevamo paura di perdere. Non abbiamo mai pronunciato la parola meritocrazia".
Z - Zuckerberg: Adora Facebook e Twitter, si ispira a Steve Jobs, è il politico più attivo in Rete dopo Grillo, ma, avverte Renzi, vecchia scuola dc, "Facebook non serve a nulla se non stai per strada". Il tweet da scrivere? "Il meglio deve ancora venire".
E noi, il meglio del renzismo vogliamo postarlo ancora una volta. A beneficio di chi non lo conosce, e per evitare rimozioni dalla memoria di chi già lo conosce: trattasi della raffinatissima colonna scelta da Matteo Renzi e Giorgio Gori in chiusura dell'ultimo Big Bang. Ospite d'onore: Debora Serracchiani. Buona settimana. Tafanus.
...scusate... potrei avere qualcosa di meno ggiovane? Grazie...
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