La deriva di Antonio Di Pietro somiglia sempre più a un naufragio che, nella sua preoccupante sequenza, riserva momenti a volte ridicoli. L’ex pm ormai ha scelto ostinatamente la via di una durissima opposizione anti-sistema che lo sta portando tra le braccia di Grillo e lo allontana da qualsiasi operazione di governo del Paese.
Su questo c’è poco da aggiungere, perché la decisione è chiara: in questo modo il leader dell’Idv spera di capitalizzare un tesoretto elettorale che gli consenitrà, nella prossima legislatura, di condurre una stramba opposizione contro il centrosinistra. A nulla servono le voci che si levano contro la linea della rottura. Nei partiti personali si usa così: comanda il capo, e tutto il resto è considerato fastidioso rumore di sottofondo.
Ora però il fatto è che Di Pietro, nella sua furia antagonista, dice delle cose che non c’azzeccano né con la logica né con i fatti. Così lunedì, nel suo consueto vergognoso attacco a Giorgio Napolitano, ha tirato in ballo addirittura un interrogatorio di Bettino Craxi durante il processo per la tangente Enimont. In quell’occasione, sostiene, il leader socialista «descriveva Napolitano come un uomo molto attento al sistema della Prima Repubblica specie coltivando i suoi rapporti con Mosca». Che cosa vuol dire? Che Craxi, spiega, stava rivelando «fatti veri di finanziamento illecito ai partiti».
Allusioni pesanti. Fatte oggi, a vent’anni di distanza e con il condannato Craxi morto, che la dicono lunga sulla natura della “sporca guerra” populista di Di Pietro. Ma c’è di più e di più sorprendente. L’ex pm si pone retoricamente un interrogativo: o quei fatti non avevano rilevanza penale, oppure non si capisce perché si sia usato il «sistema dei due pesi e delle due misure».
Argomento, come si sa, usato prima dai socialisti e poi dalla destra. Il problema è però che il pm che interrogò Craxi era allora proprio l’inflessibile Di Pietro. Se ci fosse o meno rilevanza penale, quindi, avrebbe dovuto saperlo lui e agire di conseguenza. E se si sia usato il sistema di due pesi e due misure è cosa che riguarda sempre lui e chi condusse quell’inchiesta, chi avanzò le richieste di rinvio a giudizio e chi inviò gli avvisi di garanzia.
Ma evidentemente Di Pietro, dopo quasi vent’anni di attività politica, deve aver dimenticato i fondamentali dell’attività giudiziaria. Qualche giorno fa, in una strabiliante intervista al Fatto, è arrivato a dire che se fosse ancora pm chiederebbe la «condanna politica» del Capo dello Stato.
Nei Paesi democratici di solito i pm cercano prove di colpevolezza e poi chiedono le condanne giudiziarie e non quelle politiche. Lui no. Così come Travaglio ha recentemente introdotto una nuova figura, il «non ancora indagato» da intercettare in libertà, Di Pietro introduce rilevanti novità nel codice penale assegnando al pm un compito che nessun ordinamento costituzionale gli riconosce. Finirà che, preso dal furore revisionista, l’ex pm arriverà, da politico, a chiedere il rinvio a giudizio?
Chissà, le vie del populismo sono infinite. Ormai orfano del Cavaliere, Di Pietro deve inventarsi per forza un nuovo nemico. E poco importa se, nel farlo, dopo Napolitano e Monti considerati peggio di Berlusconi, anche Bersani e Vendola diventeranno golpisti antidemocratici. E Craxi invece potrà guadagnarsi finalmente il suo posto in paradiso.
(da "Giubbe Rosse" - l'Unità)
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