...e non mollano... (l'Espresso)
[...] Fatto sta che più passano i giorni, più si moltiplicano gli scandali e le inchieste in mezza Italia. Pm, Corte dei conti, Guardia di Finanza. Nascono comitati per abolire le Regioni, fino a pochi mesi fa baluardo del sogno federalista di Bossi. Non c'è più solo il Parlamento a buttare milioni, insomma, ma pure loro. E la Pisana, quel palazzone lontano da tutto e da tutti, bastione degli sperperi nel quadrante ovest della capitale, diventa così il simbolo della nuova Tangentopoli, anzi meglio sarebbe dire Arraffopoli. La casta che ruba per delibera, che spreca per decreto. Se fai un giro lassù, due chilometri fuori dal Grande Raccordo, dove anche i tassinari scafati fanno fatica senza navigatore, un perché di questo disastro salta subito agli occhi.
Questi bizzarri onorevolini hanno un complesso da Seconda Repubblica. Si sentono politici a metà, da quando si sono messi in testa di imitare Montecitorio e palazzo Madama a colpi di delibere e fondi pubblici. Vogliono strafare, magnare, guadagnare, comandare. Si fanno chiamare deputati, spendono migliaia di euro per fotografi e marketing personale, magari sperano pure un giorno di ottenere i voli aerei gratis e un altro bel giorno l'immunità dalla galera. Intanto, però, ce l'hanno fatta a mettersi in tasca quanto, se non più, degli onorevoli veri.
Con buste paga come quella di un consigliere laziale, che viaggia attorno ai 17 mila euro lordi, fra indennità, diaria e rimborsi. Con le auto blu ad aspettarli fuori dal palazzo. Con i segretari al seguito come segugi. Con i cellulari sempre in carica a spese dei cittadini. Ed ecco che diventa «normale», anzi «legittimo» che le Regioni eroghino 96 milioni e mezzo solo per foraggiare i partiti. E che questi ultimi li spendano come ha fatto Fiorito. Talmente normale che i titoli delle delibere suonano come una presa per i fondelli: "Corretto funzionamento dei gruppi", e giù milioni, o ancora "Rapporto tra elettore ed eletto". Invece è il contrario. È una sprecopoli, quella laziale, identica per cifre e metodi in tante altre parti d'Italia.
Sul podio, nemmeno dirlo, la Sicilia che ai gruppi gira un bonifico di 13,7 milioni l'anno, e che deve fare i conti con una nuova inchiesta della Procura di Palermo.
Poi viene la Lombardia di Formigoni, devastata dalle mazzette, da Boni a Penati, passando per i 196 milioni alla fondazione Maugeri e per i cinque milioni di regali dell'amico imprenditore Pierangelo Daccò. Yacht, vacanze a scrocco, cene a cinque stelle. Aria di festa al Pirellone, dunque, dove se ne spendono 12 di milioni per i partiti e anche là, a sentire i consiglieri, è tutto lecito, sono montature giornalistiche, attacchi personali, sciacallaggio. A sentire i pm, invece, ce n'è abbastanza per chiudere baracca e burattini. Basti pensare che l'unico requisito richiesto per spendere quei soldi pubblici sono le ricevute. E nemmeno quelle arrivano. A "Er Batman", da buon super eroe dello spreco, bastava un foglietto scritto a penna, con su la cifra da erogare. Dieci, ventimila euro poco importa, affari del consigliere di turno decidere come diavolo spenderli.
Pure altrove, però, i rendiconti sono all'acqua di rose fra autocertificazioni, fatture smarrite e scontrini che non combinano con gli acquisti. Ed è per questo che dal Friuli alla Puglia ottenere quei dati è difficilissimo. I politici, proprio loro, invocano la privacy. E assicurano controlli. Niente paura, ci sono le commissioni di verifica, ribattono dalle Regioni. Peccato siano composte dagli stessi consiglieri, che finiscono per spendere più dei controllati. Che si tratti di comprare caviale o di stampare 739 mila euro di manifesti come ha dichiarato il Pd laziale, o di spendere 131 mila euro fra alberghi e ristoranti come la lista Polverini o, ancora, 50 mila di "locomozioni" come l'Italia dei Valori. E avanti nel resto d'Italia, fra radio private pagate per spot filo governatore, leggi "mancia" con elenchi infiniti di prebende che finiscono dritte sotto l'albero di Natale di amici e sostenitori.
Eppure per anni questa "pork republic" simboleggiata dalle maschere da maiale ai toga party di Carlo De Romanis è rimasta mimetizzata. Chi cerca alla Pisana lo sfarzo in stile Montecitorio resta deluso ancora adesso. Anzi, quel palazzo sembra costruito apposta lassù, proprio per non dare nell'occhio. Sono 35 mila metri quadrati di cemento, protetti da venti ettari di parco. Basterebbe a contenerci un ospedale, quasi tutti i musei vaticani. Mandarlo avanti costa un sacco di soldi. Partono 7 milioni per pulizie e piantoni alla porta, altri 2,5 per usceri e commessi d'aula, 450 mila euro di cancelleria e 600 mila di telefono. Sono centinaia di stanze, infiniti corridoi, mosaici di finestre. C'è una banca là dentro, c'è la mensa e c'è pure una biblioteca.
Giù alla Buvette, poi, si fa la bella vita. Un consigliere con quel fior di stipendio e la famosa "stecca para" da 100 mila euro extra di Fiorito paga un caffè 45 centesimi. Addirittura a Montecitorio costa 80 cent. In più, alla Pisana puoi fumare dappertutto, in barba ai cartelli di divieto firmati da tale ingegner Vincenzo Ialongo, responsabile, figuriamoci, di quella che più che un parlamentino sembra una bisca. Nemesi ha voluto che fosse proprio qui, di fronte all'aula del Consiglio regionale che sta per sciogliersi, il celebre corridoio dove Ugo Fantozzi correva fino a svenire per timbrare il cartellino.
E, proprio come nel film di Villaggio, anche alla Pisana gli arredi attestano il rango. Il più alto è lui, il presidente del Consiglio Mario Abbruzzese. Dimora in un'intera palazzina nuova di zecca. Diciotto assistenti fissi e nove esterni, più di Obama. E poi salotti, ascensori in vetro e galleria di quadri. Segue l'ufficio del segretario generale Nazzareno Cecinelli: tripla finestra sul cortile, due segretarie, campanello, tre quadri. Tutti lo chiamano "Neno", sta qui dal 1982 e ha visto crollare la Prima Repubblica. A sentire lui, non s'erano viste cose del genere nemmeno a quei tempi. «E invece qui tirano in ballo noi dirigenti, io che non sono mai andato a una cena con nessuno in vita mia», si sfoga. «I tagli li stavamo facendo, non c'è stato il tempo». Il tempo sarà stato anche poco, ma nemmeno la voglia era troppa. Nel Lazio, come dappertutto. I governatori, da Zaia a Formigoni, hanno raccontato che avrebbero ridotto i vitalizi, poi si sono guardati bene dal farlo con i propri. La riforma entrerà in vigore dalla prossima legislatura e chi ha mangiato fino a oggi, continuerà a farlo.
Idem per il taglio delle poltrone nei parlamentini regionali, a regime si andrà solo dalla prossima tornata elettorale, seguendo l'esempio di Emilia Romagna e Umbria che hanno anticipato tutti tre anni fa. Ma c'è chi resiste, a partire dai piccoli. Guai a toccare le poltrone delle Province autonome, ad esempio, dove solo l'idea di sfrondare un po' scatena la guerra santa Trento-Bolzano. E chi in italiano chi in tedesco, si grida a chi spreca meglio: «Costiamo metà del Trentino», sbotta Elmar Pichler Rolle del Südtiroler Volkspartei per spiegare alla sua gente il "nein" alla riduzione. «Niente tagli, bisogna tutelare le minoranze linguistiche», gli ribattono gli altri. Morale: tutto come prima.
Ad Aosta, poi, c'è un consigliere ogni 3.500 abitanti. In certe zone di Roma ce ne sarebbero un paio a condominio, eppure la Regione ha definito «congruo» il numero. Mentre per il presidente del Consiglio lucano, Vincenzo Folino del Pd, ridurre le poltrone «diminuirebbe gli spazi di partecipazione e democrazia». Sardegna e Friuli Venezi Giulia, a dire il vero, ci hanno provato. Ma ci si è messo il Parlamento a perder tempo, loro che hanno tutt'altro a cui pensare. E così il taglio rischia di non passare il vaglio delle Camere e finire vanificato. Come già successo in Sicilia. Dove la dote del governatore Lombardo, dimissionario, è stata lo stop al taglio di venti deputati. Già votato e ora congelato. (2 - continua)
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