[...] Città dopo città, insomma, la terra trema sotto i piedi della casta. E il terremoto si muove verso Roma, proprio come avvenne con i barbari. Punta dritto ai sacri palazzi della politica, agitando riti spendaccioni e ruberie di un sistema partitico agli sgoccioli. Come la beffa dei cosiddetti monogruppi, esseri mitologici mezzo uomo e mezzo poltrona. Consiglieri singoli, senza partito, con la dote di essere presidenti di se stessi e, per farlo, di percepire un'indennità aggiuntiva di circa mille euro. Alla Pisana ce n'erano otto, e hanno dovuto traslocare mezzo edificio per far stare tutti. «Sa com'è, per ogni singolo servono alla fine due o tre stanze», spiega un addetto. Uno e trino, insomma, come lo stipendio che si piglia. A parte gli otto laziali, ce ne sono 77 in tutta Italia e costano 30 milioni l'anno. La Lombardia li ha graziati con un epitaffio («Non chiudere spazi di espressione politica»), agli abruzzesi piacciono parecchio, ne hanno sei su dodici gruppi e, solo quest'anno, lo scherzetto costerà 946 mila euro. C'è pure il solito Molise, eden di questi signori: 30 onorevolini, 17 capigruppo di cui dieci presidenti di se stessi. Il tutto per un milione e fischia di euro.
Quanto agli stipendi, va bene tagliare ma in tempi di crisi nessuno rinuncia a una busta paga che spesso sfora i 10 mila euro al mese. C'è da campare. La Basilicata ad esempio si è tolta il 10 per cento della sola indennità (leggi 300 euro), ma quando si è trattato di votare il dimezzamento, tutti si sono opposti. Per ottenere un risultato simile in Friuli c'è voluto un apposito "tavolo politico-istituzionale". Come in Piemonte dove per il brainstorming sono al lavoro ben 25 eletti.
Il genio italico ha comunque dato ancora una volta il meglio di sé in Lombardia, dove gli stipendi sono collegati a quelli di Montecitorio. Quassù la riduzione del 10 per cento è stata calcolata, certo, ma sui livelli del 2010. Prima, cioè, della sforbiciata del governo: «Il segnale comunque lo abbiamo dato», taglia corto Paolo Valentini del Pdl. Ed ecco che la lezione passa e il Pirellone fa scuola proprio alla Pisana, che a ruota s'è congelata lo stipendio a dicembre 2011. In Sardegna non è bastato nemmeno un referendum: il popolo ha cancellato l'indennità a suon di voti, e i consiglieri se la sono reintrodotta a suon di delibere. Un po' come il finanziamento pubblico, il ministero dell'Ambiente e via avanti. La rivincita sulle accuse di lassismo meridionale, invece, se l'è presa Napoli. Con la legge "Campania zero", la giunta di Stefano Caldoro ha detto addio a consulenze, auto blu, monogruppi, cellulari e indennità ad agosto, quando gli uffici sono chiusi. Non manca, però, il buon cuore partenopeo, visto che in caso di galera o arresti domiciliari (sette in cinque anni), la busta paga viene solo dimezzata.
Del resto pure dietro le sbarre l'onorevole tiene famiglia. E tiene famiglia pure Mario Brozzi, che non ci sta a passare per un Batman qualunque. Lui che a Roma lo conoscono tutti, lui che era il medico di Totti. Non parlategli di sprechi, né di fine impero. Il capogruppo della lista Polverini ha le idee chiare: «Con i soldi pubblici faccio progetti per la gente, io. Ho aperto un bell'ambulatorio alla Balduina e lo spiego a quelli che mi dicono: "Quando ve ne andate, ladri!". Dico: "Vede, lei può venire qui a insultarmi... dovrebbe ringraziarmi».
I maghi dei rimborsi elettorali
Grazie a una legge molto "generosa", che consente rimborsi a chiunque abbia almeno un eletto (spesso basta qualche migliaio di voti), presentarsi alle elezioni regionali può essere un affare. E una campagna elettorale low cost può produrre ricadute mirabolanti. Ne sanno qualcosa i rappresentanti del cartello Mpa-Nuovo Psi-Pri-Italiani nel mondo, che in Campania sosteneva Stefano Caldoro: a fronte di appena 730 euro di uscite, ne hanno incassati 278.111 solo con la prima delle cinque rate. Idem la lista civica Scopelliti Presidente: 6.745 euro di spesa e in un biennio già 300 mila di rimborsi [...]
«Non appare ragionevole l'assoluto scostamento tra le spese effettivamente sostenute e il rimborso erogato» ha rilevato la Corte dei conti, tanto più che i rimborsi sono andati «anche a formazioni politiche che hanno dichiarato di non aver sostenuto spese». Ma tant'è.... Solo per le regionali del 2010, in due anni Montecitorio ha erogato 56 milioni e continuerà fino al 2015. Va tuttavia riconosciuto che anche il governo, sempre austero quando si parla di fondi pubblici, è stato particolarmente sensibile: cinque partiti dichiarati decaduti (Insieme per Bresso, Io Amo la Lucania di Magdi Allam, La Puglia per Vendola, Lista Civica Cittadini/e per Bonino, Noi con Burlando) non avevano presentato in tempo la richiesta di rimborso. Il decreto Milleproroghe li ha salvati, dilazionando i tempi e consentendo di accedere ai rimborsi.
Lombardia offshore - Altri 20 milioni nascosti in Svizzera. E una rete di conti tra Singapore e Panama. È il nuovo fronte dell'inchiesta su Formigoni
(di Paolo Biondani)
Nella saga dei tesorieri ciellini che hanno inguaiato Roberto Formigoni spuntano altri 20 milioni di euro. Una barca di soldi ormeggiati in società anonime nei più impenetrabili paradisi fiscali, da Singapore al Delaware, da Panama alle Bahamas. Ma in gran parte ritirati in contanti alla vigilia degli arresti. Un nuovo tesoro nascosto, insomma, che si aggiunge agli oltre 70 milioni di fondi neri scoperti nei mesi scorsi dai magistrati milanesi che hanno arrestato Piero Daccò e Antonio Simone, i lobbisti sanitari di Comunione e Liberazione. Ora accusati tra l'altro di aver corrotto il presidente della Lombardia con regali da sultano per almeno 7,8 milioni.
Il nuovo troncone d'inchiesta nasce dalle rivelazioni di un fiduciario svizzero, Sandro Fenyo, che sta collaborando con la Procura di Milano dopo essersi visto accusare di riciclaggio, a suo dire ingiustamente. Il professionista di Lugano, 52 anni, antenati ungheresi, costruisce per mestiere forzieri anti-tasse: apre conti bancari e li intesta a società anonime. In Svizzera è lecito, purché l'evasione fiscale non nasconda reati più gravi. Alla fine del 2009 Fenyo, che dirige la fiduciaria Manfid, viene contattato da un cliente mai visto prima: Costantino Passerino, amministratore della Fondazione Maugeri, un colosso privato della sanità lombarda. Il manager italiano vuole sostituire il suo precedente fiduciario, per cui gli chiede una nuova rete di conti e società-schermo. Meno di sei mesi dopo, nella tarda primavera del 2010, Passerino gli presenta un altro italiano, che ha ancora più urgenza di nascondere fiumi di denaro: Piero Daccò.
Fenyo sa che tutti quei soldi escono dalle casse della Maugeri, ma classifica il caso come normale evasione. Da mascherare con la classica triangolazione Italia-Malta-Svizzera. Nessuno gli dice (o almeno così giura) che quel tesoro è formato da una grossa fetta dei rimborsi pubblici «discrezionali» (oltre 200 milioni) concessi alla Maugeri dalla giunta lombarda, presieduta sin dal '95 da un politico molto amico di Daccò, il cattolicissimo Formigoni.
Fenyo invece è un massone dichiarato: è il gran maestro di una loggia di Lugano. Gli agganci bancari non gli mancano. Quindi accetta di aprire conti offshore per quella coppia di italiani. Le società-schermo sono collocate nei paradisi fiscali più in voga, come lo stato americano del Delaware, e qualcuna gestisce veri investimenti fuori dall'Europa. Tutte le altre però servono solo a mascherare gli effettivi beneficiari di nuovi depositi in Svizzera, come il conto "Hornblower" alla Bsi di Lugano, per un valore di almeno 20 milioni. Un fiume di denaro prosciugato in pochi mesi: gran parte dei soldi vengono prelevati in contanti da Daccò, proprio mentre in Italia esplode il calderone della sanità lombarda.
Nel 2011 diventa conclamato il dissesto del San Raffaele, che nonostante i massicci finanziamenti regionali (450 milioni all'anno solo dalla Lombardia) ha accumulato un passivo di ben 1,5 miliardi. Il 18 luglio si uccide il manager dell'ospedale privato, Mario Cal, e i suoi più stretti collaboratori cominciano a parlare ai pm di un incredibile vortice di fondi neri, tangenti di fornitori e appaltatori, buste di banconote tra Italia e Svizzera. Nel novembre 2011 Daccò finisce in carcere per la bancarotta del San Raffaele: è accusato di aver sottratto 5 milioni in contanti e altri 35 con vendite pilotate di aerei privati. E a fine anno si pente il primo gestore dei suoi conti esteri.
Si chiama Giancarlo Grenci, ha 42 anni, ha imparato il mestiere nella chiacchieratissima Fidinam e ora è uno dei big della Norconsulting, una delle fiduciarie più affermate di Lugano. Daccò e Simone sono suoi clienti dal lontano 1997. Terrorizzato dal crac del San Raffaele, Grenci consegna ai pm Luigi Orsi e Laura Pedio quattro cd con migliaia di documenti, che in aprile portano in cella anche Simone, con tutto il vertice della Maugeri. Ma dove sono finiti i 70 milioni della Fondazione?
Con le carte di Grenci, i magistrati sequestrano ville e terreni, in Italia, ma solo per 23 milioni. I tesorieri ciellini ne hanno investiti almeno il doppio all'estero, tra Cile, Israele e Argentina, dove tra i soci di Daccò spunta pure la sua amica Alessandra Massei, ciellina doc, sua ex dipendente in un ospedale privato, diventata capo della programmazione sanitaria della Regione Lombardia. Grenci rivendica di aver bloccato, poco dopo il suicidio di Cal al San Raffaele, la richiesta di venderle una villa a Bonassola, in Liguria. Ma documenta che sono spariti altri 11 milioni, ritirati in contanti da Daccò.
Le carte di Grenci si fermano al 2010, quando gli subentra Fenyo. Ma anche il nuovo fiduciario dei lobbisti ciellini (l'ultimo conosciuto) può aggiungere solo che mancano all'appello altri 20 milioni. Alcuni sarebbero finiti a Singapore a disposizione di Passerino, arrestato mentre progettava la fuga. Un paio sarebbero in Russia, come alibi per fantomatiche consulenze scientifiche. Ma tutti gli altri li ha presi Daccò. Il suo avvocato, Giampiero Biancolella, esclude colpi di scena: «Non c'è alcun mister X della politica dietro i conti esteri. Le carte dei fiduciari dimostreranno che tutti i soldi sono rimasti nelle società di Daccò e Simone».
Il problema è che Gianfranco Mozzali, ex factotum della Maugeri, ricorda confidenze opposte: una settimana prima dell'arresto per il San Raffaele, «Daccò ha detto a Passerino, che era preoccupatissimo, di stare tranquillo, in quanto lui aveva sistemato i suoi conti in modo che non risultassero uscite verso politici o funzionari pubblici e che il denaro rimaneva nella sua disponibilità».
La caccia al tesoro e ai possibili complici, dunque, continuerà per mesi. Fenyo e Grenci hanno fatto i nomi di altri fiduciari tra Svizzera e Dubai. Ma a complicare le indagini è la scoperta che Daccò e Simone hanno un terzo giro di conti, da Panama alle Bahamas, affidati a fiduciari sconosciuti perfino agli svizzeri. E stando a una e-mail sequestrata a Fenyo, i dioscuri di Cl avrebbero investito «oltre 40 milioni di dollari» pure ai Caraibi. Beati i poveri, ma nel regno dei cieli.
Gli affari tra massoni e ciellini
Massoni e ciellini uniti dal denaro. Sandro Fenyo, il fiduciario svizzero che dal 2010 gestiva i conti esteri dei tesorieri ciellini Daccò e Simone, era al tempo stesso il gran maestro di una delle due logge di Lugano, quella intitolata allo statista liberal-radicale Brenno Bertoni. Carica persa l'anno scorso, dopo lotte interne fomentate anche dal coinvolgimento nelle indagini italiane. «Quella non è la P2: è una loggia ufficiale, il ruolo di Fenyo era pubblico, la massoneria non c'entra con i clienti italiani», replica una persona vicina al fiduciario, che «da questa storia ha avuto solo danni: rischia un'accusa di riciclaggio per una parcella di poche migliaia di euro».
Questa coincidenza tra opposti ideali, caso strano, ha un precedente. L'inchiesta "Oil for food" (tangenti all'Iraq di Saddam in cambio di petrolio), che ha provocato tra l'altro la condanna in primo grado per falsa testimonianza di Alberto Perego, ora indagato con Formigoni per le corruzioni sanitarie, era nata nel 2004, quando le autorità americane scoprirono una raccomandazione del governatore lombardo a favore della Cogep, una società petrolifera controllata dalla famiglia Catanese. Lo zio più famoso è stato per anni tesoriere del Grande Oriente d'Italia. E i nipoti sono tuttora in affari con big di Cl come Fabrizio Rota, ex segretario di Formigoni in Regione Lombardia.
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