Non mi interessa sapere chi sia "Dreyfus". Se è Sallusti, in barba a tutti i garantisti, sono contento se finirà in galera. Se è "er betulla", Renato Farina, è giusto che vadano in galera entrambi. Farina come estensore di questo deliberato falso giornalistico, che è un vero attentato ai fatti, e persino alla sintassi della lingua italiana. Sallusti come Direttore Responsabile.
Io credo che si tratti di Farina, già reo confesso di articolesse false commissionate dai servizi deviati. Già talebano cattolico tutto Patria, Famiglia, Embrioni e Servizi. I fatti narrati e condannati con la crudele cattiveria che solo un vero cattolico integralista in servizio permanente effettivo avrebbe potuto scrivere.
La condanna di Dreyfus (chiunque esso sia) non è un attentato alla "libertà d'opinione", come proclama persino certa sinistra intelligente (da Giulietti di "Art. 21", al maestro nell'uso degli archivi Marco Travaglio, a - purtroppo - Giovanni Valentini di Repubblica. La condanna di Dreyfus e del direttore di Libbbero (qualora le due persone fossero distinte, come da tardive dichiarazioni di Renato Farina), sono funzionali non già alla difesa sacrosanta della libertà d'opinione, ma all'uso che della libertà d'opinione - garantita dall'art. 21, si fa per costruire sanguinolente storie totalmente false, con contorno di torture fisiche e psichiche, e tentativo di distruggere l'immagine di un magistrato che, al contrario di quanto sostenuto da questo giornalaccio che opera con soldi e su istruzioni d'altri, MAI ha IMPOSTO l'aborto coatttivo.
Quindi non siamo nella fattispecie di una condanna per reato d'opinione, ma in quella, ben più grave e penalmente rilevante, della costruzione di una storia spaccacuore totalmente falsa, a fini di calunnia da amplificare a mezzo stampa.
Quello che segue è il testo originale dell'opera di Dreyfus del febbraio 2007
L'articolessa di "Dreyfus" del Febbraio 2007
Il dramma di una tredicenne: il giudice ordina l'aborto. La legge più forte della vita
(di Dreyfus)
Una adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l'ha buttato via. Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna rovinata. Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione del cuore infallibile di una madre.
Una storia comune. Una bambina, se a tredici anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si innamora, capita: e così qualcosa è accaduta dentro di lei. Lei che era una bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata un'altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui si preparava a mettere i calzini, a darle il seno. I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita, con un impiccio tra i piedi». Hanno deciso che il bene delia figlia fosse: aborto. In eiettronica si dice "reset". Cancellare. Ripartire da zero. Strappare in fretta quel grumo dal ventre delle bimba prima che quell'Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro così giovani, nonna e nonno. Figuriamoci. Tutta 'sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa.
Strano buonsenso - Il buonsenso che ciicola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell'altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia. Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto - il diritto! - decretando l'aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma dev'essere roba superata, da antico testamento. Ora la piccola madre (si resta madri anche se it figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale. Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch'io».
Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l'avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l'avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell'età evolutiva. Non è stato cosi. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa scritto nell'anima o - se non ci credete - in quel luogo del petto o del cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né petto, ne cervello. Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomito. Una nausea odiosa, ma cosi rasserenante, più antica dell'effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva una mamma. Era una mamma. Niente. Kaput. Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.
Ci sono ferite che esigerebbero una cura non c'è. Qui ora esagero.Ma prima domani di pentirmi (sic), lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarenne il caso. Peri genitori, il ginecologo e il giudice. Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l'altro (l'altra, in realtà) costretto alla follia. Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto aveva le sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori iin piccolino (sic) e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene.
Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il quotidiano torinese "la Stampa" che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri. Sei per il Miian o l'Inter? (sic) Preferisci la carne o il pesce? Non si riesce a credere che ci possano essere due partiti. Si perchè in fondo lavera notizia è questa, e cioè che ci sia un'opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi. Non c'è neanche bisogno del cristianesimo. Basta l'Eneide di Virgilio, la saggezza classica. L'orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.
Orrori e alibi - Invece qui già ci sono due partiti: quello pro e quello contro. È incredibile. Come se fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi. Come scriveva Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un innocente è stato soffocato con l'alibi della libertà e della felicità di una che non sa che farsese, se il prezzo è l'aborto.
Questo racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti. Ma che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una cosa nuova. Nicola Adeldi propose, sempre sulla Stampa, l'aborto coattivo, in grado di eliminare i fastidiosi problemi di coscienza, per le donne di Seveso rimaste incinta (sic) al tempo della diossina (sic) (2 agosto 1976). Abbiamo udito qualcosa di simile a proposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è orribile.
Chi è Renato Farina
Laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha iniziato a scrivere sul settimanale Solidarietà (di Seveso-Desio), per il quale ha seguito il caso della nube tossica di Seveso (10 luglio 1976). Nel 1978 entra nel settimanale Il Sabato (fondato in quell'anno), dove rimane fino alla chiusura, avvenuta nel 1993. Nel 1981 sul "Sabato" scrisse delle apparizioni di Međugorje. Fu il primo giornalista non jugoslavo a scriverne. Successivamente è stato vicedirettore a Il Giornale di Vittorio Feltri e a Il Resto del Carlino. Fino all'ottobre del 2006 è stato vicedirettore di Libero, che ha fondato con Vittorio Feltri nel luglio del 2000.
Ha affermato di avere avuto tre maestri: don Luigi Giussani («per lo sguardo sulle cose e la scrittura concisa»); Giovanni Testori («mi ha insegnato ad osare, a spezzare le famose regole del giornalismo»); Vittorio Feltri («è un genio del giornalismo»).
Dopo le vicende giudiziarie emerse a suo carico nel 2006, Renato Farina è stato inserito come diciassettesimo nelle liste del PdL, Popolo della Libertà, alle elezioni politiche dell'aprile 2008, ed è stato eletto deputato.
Rapporti con il Sismi e radiazione dall'Ordine dei giornalisti - La magistratura a partire dal 2006 ha indagato sui rapporti da lui avuti con alcuni membri del Sismi (i servizi segreti militari). Farina ha confermato di aver collaborato col Sismi dal 1999. Nel giugno del 2006 Pio Pompa chiede a Renato Farina, di scrivere una cronaca contro Romano Prodi (pubblicata poi il 9 giugno 2006), per accusarlo di avere appoggiato la pratica dei trasferimenti straordinari quando era presidente della Commissione Europea.
Il 2 ottobre 2006 l'Ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per un anno con l'accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi. Sempre nell'ottobre 2006 la Procura ne chiede la radiazione dall'albo dei giornalisti: la legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi segreti. Il suo avvocato ha annunciato un ricorso che è stato respinto dalla Corte d'Appello di Milano. Infine, la terza sezione civile della Cassazione ha annullato la radiazione, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine dei Giornalisti quando l'Ordine stesso ne deliberò la radiazione.
Scortato a spese nostre - Nel novembre 2006 Farina viene messo sotto scorta delle forze di polizia in quanto oggetto di intimidazioni anonime. Riceve nello stesso mese anche un finto pacco-bomba firmato «Fronte Rivoluzionario per il Comunismo» (...insomma, abbiamo pagato con le nostre tasse anche la scorta a questo farabutto. NdR).
Procedimenti giudiziari - Alla vigilia delle elezioni politiche italiane del 2006, Renato Farina pubblica su Libero un falso dossier, preparato dal Sismi, secondo cui Romano Prodi avrebbe autorizzato, come Presidente della Commissione Europea, le extraordinary rendition della CIA in Europa, come nel caso di Abu Omar. Per tale dossier Farina sarà condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, e radiato dall'Ordine dei giornalisti.
La condanna per favoreggiamento per il caso Abu Omar - Nel dicembre 2006 il sostituto procuratore di Milano, Armando Spataro, chiede il rinvio a giudizio di Farina assieme ad altre 34 persone, nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar. Trentadue di esse sono accusate di concorso nel sequestro. Renato Farina (accusato di aver organizzato una falsa intervista con i magistrati con il solo scopo di raccogliere informazioni sull'indagine) e i funzionari del Sismi, Pio Pompa e Luciano Seno, devono rispondere invece di favoreggiamento.
Il 16 febbraio 2007, si è dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar, patteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro). Farina ha riconosciuto i fatti sostenendo di aver agito in nome dell'articolo 52 della Costituzione (Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino).
A partire dal 30 marzo 2007, Farina continua a collaborare nelle vesti di opinionista per Libero. Il direttore del quotidiano, Vittorio Feltri, ha specificato che Farina avrebbe continuato a scrivere "per noi in base alla Costituzione che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero"[17].
La Cassazione annulla la radiazione dall'Ordine dei Giornalisti - Con la sentenza del 30 giugno 2011, la terza sezione civile della Suprema corte ha annullato la radiazione da parte dell'Ordine dei Giornalisti di Renato Farina: «Il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto». Dopo le accuse, infatti, Farina si dimise e fu cancellato dall'albo dei giornalisti, salvo poi essere successivamente radiato dall'Ordine, cosa che non poteva accadere, perché Farina non era più iscritto all'albo, come stabilisce la sentenza. Rimane valida la sanzione di sospensione dalla professione di 12 mesi inflittagli dall'Ordine di Milano nel settembre 2006, condanna già espiata.
La condanna per falso in atto pubblico - Nel luglio del 2012, Renato Farina è stato condannato in rito abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di falso in atto pubblico. Il deputato Pdl, il 12 febbraio dello stesso anno, aveva fatto visita in carcere a Lele Mora, detenuto per bancarotta fraudolenta, insieme ad un'altra persona che non era autorizzata ad accedere al penitenziario. La giudice per le indagini preliminari di Milano non gli ha concesso né la sospensione condizionale della pena né le attenuanti generiche.
La parlamentare del Partito radicale Rita Bernardini ha definito la sentenza "lunare" facendo riferimento all'art. 67 dell'Ordinamento penitenziario secondo il quale non occorrerebbe alcuna autorizzazione alle visite carcerarie per le persone che accompagnano determinate figure istituzionali, tra cui deputati e senatori. In realtà una circolare ministeriale precisa che sono esentati dal richiedere l'autorizzazione soltanto i collaboratori dei parlamentari inquadrati con un contratto a prestazione continuativa, mentre la persona che in quell'occasione accompagnò Farina risultò essere un aspirante tronista, amico di Lele Mora] (...quindi "lunari" risultano essere le affermazioni della Bernardini, non la sentenza della magistratura. NdR)
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