Caro Toni,
spero di fare cosa gradita contribuendo, nel mio piccolo, a diffondere il tuo verbo antigrillesco (che è anche il mio). I cazzari non mio sono mai piaciuti. Quelli che promettono washball che lavano come fossero fustoni di SuperDixan ancora meno. Di quelli, poi, che tuonano contro i condoni tombali (ma di nascosto vi aderiscono per sette esercizi consecutivi), non voglio neanche parlare. Potrei lasciarmi sfuggire qualche insulto di troppo.
Rubo, non autorizzato, ma condisco con qualche complimento, così ti impedisco di incazzarti... A buon rendere.
Tafanus
Grillo è triste (da "Parole Povere", di Toni Jop)
Qualcosa sta scricchiolando tra gli ingranaggi della fin qui esuberante macchina da guerra del leader a Cinque Stelle. Qualcosa non va se gli occhi del comico hanno perso a Parma la verve di quell’ispirato medianismo vettore di vitalità, di coesione, di senso della frontiera, di antica purezza come scoglio contro il quale il mare dei “cadaveri” può nulla. Fin qui.
L’altro giorno dietro la rabbia consueta c’era un velo di minacciosa tristezza. Adesso, forse Grillo non sa più se la sua onda frizzante avrà la forza di tenerlo a galla, come si aspettava, fino alla fine, fino alla data delle elezioni. Immagini: lui, sempre in quella disgraziata piazza di Parma, sul palco, accanto a Pizzarotti, l’unico usato sicuro di cui sembra possa disporre ancora; in fondo alla piazza, Favia, il figliol prodigo che gli ha ferito il cuore intimandogli nei giorni scorsi che “padre” va bene, ma “padrone” no; a pochi passi da Tavolazzi, l’espulso, il detonatore della rivolta emiliana contro il padre padrone del marchio e di chi ne fa uso. E a chiudere lo spazio della contraddizione aperta tra il palco e i due “traditori” una quantità di gente non sufficiente a tappare la falla mentale scavata nel Movimento.
Grillo che, il giorno dopo, mostra le foto della piazza per dire che la gente c’era, che i giornali hanno mentito; eppure deve vedersela perfino con Il Fatto, testata amica che aveva rimarcato le rughe di quella piazza comunque non trionfante di folla. Grillo che grida, dal palco, “carogne” ai giornalisti, servi di editori canaglie, che non amano la verità. “Carogne” non lo aveva detto ai cronisti nemmeno Craxi che pure li detestava. Grillo che, il giorno dopo, torna a lamentare la pochezza delle origini dei suoi figlioli, da lui premiati oltre misura con carriere lontane dai loro mezzi, e ora preda della vanità televisiva e di un potere immeritato.
Grillo che, ancora, allude a Favia, al suo passato da cameriere, con la delicatezza di un padrone che non perdona un servo senza memoria, senza gratitudine, senza coscienza di ciò che sarebbe stato se non fosse stato adottato a servizio di quello sguardo furente e di quella barba divina.
Pizzarotti, il sindaco punta di diamante del Movimento, che davanti alle telecamere, sul palco della festa del Fatto, vuole andarsene perché non tollera gli venga chiesto della democrazia interna ai Cinque Stelle, come se l’argomento non appartenesse alla carta d’identità di chi governa una piazza come Parma. Pizzarotti che non sa cosa dire, che striglia i giornalisti, ancora, decidendo lui cosa e come devono essere le domande, le interviste. Sassoon, il socio della Casaleggio, che – è di ieri – decide di uscire di scena, lamentando come troppi blog razzisti e di estrema destra, a volte sostenitori di Grillo, rispolverino il complotto pluto-giudaico-massonico per tratteggiare i lineamenti del nemico da abbattere. Triste, ma – la “chiave” è sua da un pezzo – “ci vediamo in Parlamento. Sarà un piacere”.
Toni Jop - Parole Povere
spero di fare cosa gradita contribuendo, nel mio piccolo, a diffondere il tuo verbo antigrillesco (che è anche il mio). I cazzari non mio sono mai piaciuti. Quelli che promettono washball che lavano come fossero fustoni di SuperDixan ancora meno. Di quelli, poi, che tuonano contro i condoni tombali (ma di nascosto vi aderiscono per sette esercizi consecutivi), non voglio neanche parlare. Potrei lasciarmi sfuggire qualche insulto di troppo.
Rubo, non autorizzato, ma condisco con qualche complimento, così ti impedisco di incazzarti... A buon rendere.
Tafanus
Grillo è triste (da "Parole Povere", di Toni Jop)
Qualcosa sta scricchiolando tra gli ingranaggi della fin qui esuberante macchina da guerra del leader a Cinque Stelle. Qualcosa non va se gli occhi del comico hanno perso a Parma la verve di quell’ispirato medianismo vettore di vitalità, di coesione, di senso della frontiera, di antica purezza come scoglio contro il quale il mare dei “cadaveri” può nulla. Fin qui.
L’altro giorno dietro la rabbia consueta c’era un velo di minacciosa tristezza. Adesso, forse Grillo non sa più se la sua onda frizzante avrà la forza di tenerlo a galla, come si aspettava, fino alla fine, fino alla data delle elezioni. Immagini: lui, sempre in quella disgraziata piazza di Parma, sul palco, accanto a Pizzarotti, l’unico usato sicuro di cui sembra possa disporre ancora; in fondo alla piazza, Favia, il figliol prodigo che gli ha ferito il cuore intimandogli nei giorni scorsi che “padre” va bene, ma “padrone” no; a pochi passi da Tavolazzi, l’espulso, il detonatore della rivolta emiliana contro il padre padrone del marchio e di chi ne fa uso. E a chiudere lo spazio della contraddizione aperta tra il palco e i due “traditori” una quantità di gente non sufficiente a tappare la falla mentale scavata nel Movimento.
Grillo che, il giorno dopo, mostra le foto della piazza per dire che la gente c’era, che i giornali hanno mentito; eppure deve vedersela perfino con Il Fatto, testata amica che aveva rimarcato le rughe di quella piazza comunque non trionfante di folla. Grillo che grida, dal palco, “carogne” ai giornalisti, servi di editori canaglie, che non amano la verità. “Carogne” non lo aveva detto ai cronisti nemmeno Craxi che pure li detestava. Grillo che, il giorno dopo, torna a lamentare la pochezza delle origini dei suoi figlioli, da lui premiati oltre misura con carriere lontane dai loro mezzi, e ora preda della vanità televisiva e di un potere immeritato.
Grillo che, ancora, allude a Favia, al suo passato da cameriere, con la delicatezza di un padrone che non perdona un servo senza memoria, senza gratitudine, senza coscienza di ciò che sarebbe stato se non fosse stato adottato a servizio di quello sguardo furente e di quella barba divina.
Pizzarotti, il sindaco punta di diamante del Movimento, che davanti alle telecamere, sul palco della festa del Fatto, vuole andarsene perché non tollera gli venga chiesto della democrazia interna ai Cinque Stelle, come se l’argomento non appartenesse alla carta d’identità di chi governa una piazza come Parma. Pizzarotti che non sa cosa dire, che striglia i giornalisti, ancora, decidendo lui cosa e come devono essere le domande, le interviste. Sassoon, il socio della Casaleggio, che – è di ieri – decide di uscire di scena, lamentando come troppi blog razzisti e di estrema destra, a volte sostenitori di Grillo, rispolverino il complotto pluto-giudaico-massonico per tratteggiare i lineamenti del nemico da abbattere. Triste, ma – la “chiave” è sua da un pezzo – “ci vediamo in Parlamento. Sarà un piacere”.
Toni Jop - Parole Povere
SOCIAL
Follow @Tafanus