Padre Carlo Maria Martini è morto. Padre Carlo Maria
Martini vive più che mai. Il fatto saliente della settimana e dell’anno è
la figura di questo nuovo Ambrogio che ha segnato non solo la diocesi
di Milano, ma la Chiesa tutta e anche il mondo lontano da essa.
La folla
silenziosa di credenti e non credenti che, davanti a lui, morto, scorre
come un fiume tranquillo, è il «segno dei tempi» di cui parla il
Vangelo (Mt 16,3) che fu lampada e luce ai passi del padre Carlo.
Abbiamo visto, abbiamo contemplato come ha vissuto e come è morto.
Anzi, come ha voluto morire. La coerenza nella verità della sua vita
sono stati esemplari fino all’ultimo, ed è vero che si muore come si
vive.
Lo
sfondo sul cielo nuvoloso di Milano era di contrasto. Da una parte il
popolo che coglie il cuore del Padre e voleva testimoniare che le sue
parole, sigillo autentico della Parola, sono arrivate anche là dove
forse nessuno immaginava. Il padre Martini è per tutti il sacramento del
«Dio fuori del campo», che ha superato per sempre i confini della
Chiesa che cerca di imprigionarlo per andare alla ricerca degli uomini e
delle donne di buona volontà, ma anche quelli senza alcuna volontà. Dio
non è cattolico, ora lo sappiamo, perché egli è alla fine di ogni
percorso di vita, di amore, di giustizia. Dio è il desiderio.
Dall’altra parte c’è la gerarchia ufficiale che subisce la morte del
cardinale Martini e, se avesse potuto, ne avrebbe fatto a meno. Come
restare inerti di fronte alla affermazione del padre che in punto di
morte, quasi come un grido testamentario sibila senza più voce e con
sofferenza che «la Chiesa è indietro di due secoli»? Quale Chiesa?
Quella che è su Marte o Mercurio o quella di Giovanni Paolo II e di
Benedetto XVI, il papa pauroso che teme l’irruzione del Dio della
Storia?
E’ stata dura per gli ecclesiastici corazzieri della «chiesa a
loro immagine e somiglianza» apprendere che il Padre, consapevole della
morte e lucido di cuore e di fede, abbia rifiutato ogni accanimento, come
forse avrebbero voluto e imposto i pasdaran difensori a oltranza
della vita di Eluana Englaro (tanto non era lo loro!), con tubi,
tubicini, sonde e macchine di ogni genere per allungare la parvenza di
vita disumana e la sofferenza gratuita. Padre Carlo Maria ha chiesto di
morire in modo naturale, cioè in maniera umana, salvaguardando la
dignità sua e delle persone che lo accudivano.
Imponente nella sua persona, alta e slanciata, era timido e sempre
consapevole della sua inadeguatezza di fronte alla coscienza di ciascuno
che egli vedeva come un gigante. Quando lo incontravo a Gerusalemme e
parlavamo di studi biblici, osservando i miei lavori sulla grammatica
greca a confronto con la sintassi ebraica, mi diceva: «Sono queste le
cose che dobbiamo fare: creare strumenti perché gli altri possano
leggere sempre più intimamente la Bibbia». Non si preoccupava
dell’integrità dell’ortodossia, ma di offrire strumenti scientifici,
cioè altamente spirituali, perché ognuno fosse in grado di lavorare con
la propria testa e con il proprio cuore.
Muore il Padre Martini al compimento del 50° anniversario del concilio
Vaticano II, che egli amò, difese e protesse anche davanti al papa,
anche davanti alla curia romana che tutto fece e tutto sta facendo per
evirarlo di ogni sprazzo di vita. Egli è speculare a Giovanni XXIII e lo
dimostra la folla che assiepa il suo letto di morte e di vita. Come il 3
giugno del 1963, il popolo romano e del mondo si raccolse radunandosi
spontaneamente in piazza San Pietro per «adorare, amare e tacere»
davanti al vecchio profeta che volle il concilio; allo stesso modo il 3
settembre 2012 «una moltitudine immensa, che
nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap
7.9) assiepava il duomo ambrosiano davanti all’uomo che era stato per
tutti «il testimone di Dio».
Nel 1999, durante un sinodo, Padre Carlo Maria chiese la convocazione di
un nuovo Concilio, e fu messo a tacere in modo sbrigativo e perentorio.
L’imposizione del silenzio gli venne dall’arcivescovo Dionigi
Tettamanzi, segretario della Cei, a cui il papa Giovanni Paolo II aveva
dato ordine di metterlo a tacere. Grande fu la sofferenza del discepolo
che dovette per obbedienza riprendere il maestro. Grande fu la statura
del maestro che seppe tacere, sapendo che il seme era gettato. L’idea
infatti non morì e oggi è molto più avanti di quanto non si creda.
I
papi e le curie possono rallentare il cammino della Chiesa, ma non
possono fermare la Storia, né tanto meno imbrigliare lo Spirito che
sempre e comunque soffia dove vuole (cf Gv 3,8). Il papa nell’Angelus di
domenica 2 settembre 2012, vigilia della liturgia dell’arriverderci a
Padre Martini, non lo ha nominato nemmeno per sbaglio e il Vaticano e la
Cei si sono affrettati a precisare che la scelta di Martini di
rifiutare l’accanimento terapeutico era in linea con la dottrina della
Chiesa.
Il sistema cercherà con ogni mezzo di annettere Padre Martini,
santificandolo (senza esagerare) per svuotarlo di senso e del suo
carisma. Illusi, i profeti non pososno essere spenti perché brillano di
luce non propria.
E’
l’operazione consueta dell’Istituzione pagana con i profeti che
crocifigge da vivi e osanna da morti. Così va il mondo, così va la
chiesula mondana di cui il mondo e noi facciamo volentieri a meno. E’
strano, anzi è normale, che il popolo colga l’essenza del Vangelo,
mentre i clericali ecclesiastici, spesso accuratamente paganeggianti, si
sentano smarriti e non capiscano il senso delle parole del Signore:
«Ma egli rispose loro: “Quando si fa sera, voi dite: ‘Bel tempo, perché il cielo rosseggia’;e
al mattino: ‘Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo’. Sapete
dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di
interpretare i segni dei tempi?”» (Mt 16,2-3)
Abbiamo
visto morire il Padre Martini e ora sappiamo che non dobbiamo piangere
perché è tornato «al principio», ma che dobbiamo ringraziare Dio perché
ci ha ritenuti degni di conoscerlo, ascoltarlo, amarlo e vivere la sua
vita e la sua morte risorta di «Giusto di Dio».
Padre
Martini è morto nel pomeriggio di venerdì 31 agosto 2012, «erano circa
le quattro del pomeriggio», l’ora della ricerca della dimora del Signore
e della conoscenza di «dove» abita il Maestro (Gv 1,35-39). Il Padre è
andato a vedere, è entrato ed è rimasto ad attendere noi che lo abbiamo
amato. Intanto per gli Ebrei iniziava lo Yom Shabàt, il Giorno di
Sabato e nelle sinaghoghe, tutti in piedi rivolti alla porta
d’ingresso, cantavano «Lekà Dodì - Vieni Amore mio», l’inno al sabato che
entra come una sposa adorna per il suo Sposo.
Alla stessa ora, mentre
nel tempio di Gerusalemme, alle quattro del pomeriggio, il sommo
sacerdote scannava l’agnello per il sacrificio «tamid - perpetuo», padre
Carlo entrava nella «città santa, Gerusalemme … [dove non è] alcun
tempio perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio … e
le sue porte non sono mai chiuse durante il giorno, perché non vi sarà
più notte». (Ap 21,10.22-25). Tutto torna, tutto è Grazia. Tutto è Dono.
Anche noi brindiamo con Dio con un Martini alla salute del Regno che viene, anche per i meriti di Padre Carlo Maria Martini.
La giravolta martiniana di Comunione e Liberazione
Un esempio illustre del metodo della contraddizione è la giravolta di 180° del capo di CL, don Julián
Carrón, successore di don Giussani. Egli, richiesto dal Vaticano (non
si capisce a che titolo!?) di un parere sul nuovo vescovo di Milano come
successore di Tettamanzi, si spende e si spande per Angelo Scola,
patriarca di Venezia e membro di CL. Per questo si lancia alla
denigrazione totale del magistero teologico e pastorale di Martini e
Tettamanzi con una lettera al nunzio apostolico in Italia, il vescovo
Giuseppe Berletto.
Il
3 marzo 2011 il capo di CL scrive che Martini ha rotto la tradizione
ambrosiana e si è buttato nelle braccia della sinistra e ha combattuto i
movimenti come CL, per cui chiede un vescovo che rompa la continuità
con Martini e Tettamanzi e dia garanzia di ortodossia «cattolica». A
distanza di sei mesi esatti, il 3 settembre 2012, in una lettera a «Il
Corriere della Sera», lo stesso capo di CL, con inossidabile faccia di
bronzo afferma il contrario. Lo può fare perché ormai Martini è morto e
non può più dare fastidio né rispondere. In fondo CL è la contraddizione
in atto permanente e quindi c’è una coerenza interna. E’ interessante
rileggere i brani dei due scritti in parallelo, come propongo di
seguito: Prima della morte (carattere normale) e dopo la morte (carattere corsivo: sottolineature mie).
Prima della morte
# Eccellenza
Reverendissima, rispondo alla Sua richiesta permettendomi di offrirLe
in tutta franchezza e confidenza, ben consapevole della responsabilità
che mi assumo di fronte a Dio e al Santo Padre, alcune considerazioni
sullo stato della Chiesa ambrosiana.
Il
primo dato di rilievo è la crisi profonda della fede del popolo di Dio,
in particolare di quella tradizione ambrosiana caratterizzata sempre da
una profonda unità tra fede e vita e dall’annuncio di Cristo “tutto per
noi” (S. Ambrogio) come presenza e risposta ragionevole al dramma
dell’esistenza umana. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rottura di questa tradizione, accettando di diritto e promuovendo di fatto la frattura caratteristica della modernità tra sapere e credere, a scapito della organicità dell’esperienza cristiana, ridotta a intimismo e moralismo.
Il disorientamento nei fedeli è aggravato dalla introduzione del nuovo Lezionario, guidato da criteri alquanto discutibili e astrusi,
L’insegnamento
teologico per i futuri chierici e per i laici, sia pur con lodevoli
eccezioni, si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero,
soprattutto nelle scienze bibliche e nella teologia sistematica. Viene
spesso teorizzata una sorta di “magistero alternativo” a Roma e al Santo
Padre, che rischia di diventare ormai una caratteristica consolidata
della “ambrosianità” contemporanea.
Dopo la morte
# Questo è il vantaggio del tempo presente per noi credenti: non è sufficiente la ripetizione formale delle verità della fede, come ci ricorda continuamente Benedetto XVI. Gli uomini attendono da noi la comunicazione della nostra esperienza, non un discorso astratto, sia pure corretto e pulito.
Come ci richiamò Paolo VI: la nostra epoca ha bisogno di testimoni, più
che di maestri. Solo il testimone può essere maestro. Sono sicuro che
il cardinale Martini, dal Cielo, ci accompagnerà a condividere i bisogni
degli uomini e a trovare strade per risponderne che siano all’altezza
delle loro domande.
Prima della morte
# La
presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati
più come un problema che come una risorsa. Prevale ancora una lettura
sociologica, stile anni ’70, come fossero una “chiesa parallela” … Molte
volte le numerose opere educative, sociali, caritative che nascono per
responsabilità dei laici vengono guardate con sospetto e bollate come
“affarismo”.
Dopo la morte
# Quanto
al rapporto con CL, don Giussani ci parlava sempre della paternità del
cardinale Martini, che aveva abbracciato e accettato nella diocesi di
Milano una realtà come CL. Nel suo cuore di pastore sempre c’è stato
spazio per noi. Ricordo la gratitudine di don Giussani quando
l’Arcivescovo gli concesse di aprire una cappella in uno dei locali
della sede centrale del movimento a Milano, così da avere il Signore
presente sempre.
E
come l’arcivescovo Montini, che inizialmente confessava di non capire
il metodo di don Giussani ma ne vedeva i frutti, anche il cardinale
Martini ci incoraggiava ad andare avanti.
Per
questo ci rincresce e ci addolora se non abbiamo trovato sempre il modo
più adeguato di collaborare alla sua ardua missione e se possiamo aver
dato pretesto per interpretazioni equivoche del nostro rapporto con lui,
a cominciare da me stesso. Un rapporto che non è mai venuto meno
all’obbedienza al Vescovo a qualunque costo, come ci ha sempre
testimoniato don Giussani.
Prima della morte
# Dal
punto di vista della presenza civile della Chiesa non si può non
rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a
scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo
sottile ma sistematico “neocollateralismo”, soprattutto della
Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se
non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche
con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti.
Dopo la morte
# Carità
come condivisione dei bisogni. Noi dobbiamo fare tesoro di questo
desiderio di intercettare il bisogno degli uomini che l’Arcivescovo
incontrava lungo il cammino della vita. La Chiesa non può essere mai
indifferente alle domande e ai bisogni degli uomini.
Prima della morte
# Per quanto riguarda la presenza nel mondo della cultura, così importante per una città come Milano, va
rilevato che un malinteso senso del dialogo spesso si risolve in una
autoriduzione della originalità del cristianesimo, o sconfina in
posizioni relativistiche.
Dopo la morte
# Ecumenismo.
La sua capacità di entrare in rapporto con tutti testimonia la tensione
del cardinale a intercettare ogni briciolo di verità che si trova in
chiunque incontriamo. Chi ha incontrato Cristo non può non avere questa
passione ecumenica.
In omaggio a questa coerenza tra il prima e il dopo, ecco la soluzione per CL e il suo capo:
Prima della morte
# Mi permetto infine di rilevare, per tutte queste ragioni, pur sommariamente delineate, l’esigenza e l’urgenza di una scelta di discontinuità significativa rispetto alla impostazione degli ultimi trent’anni, considerato il peso e l’influenza che l’Arcidiocesi di Milano ha in tutta la Lombardia, in Italia e nel mondo.
Attendiamo
un Pastore che sappia rinsaldare i legami con Roma e con Pietro,
annunciare con coraggio e fascino esistenziale la gioia di essere
cristiani, essere Pastore di tutto il gregge e non di una parte soltanto.
Occorre
una personalità di grande profilo di fede, di esperienza umana e di
governo, in grado di inaugurare realmente e decisamente un nuovo corso.
Per queste ragioni l’unica
candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del
Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo
SCOLA.
Dopo la morte (mia riflessione, non di Carrón)
# Ormai
Martini è sepolto e CL ha avuto Scola che nell’omelia conclusiva ha
definito padre Martini «uomo della Chiesa», ma forse fu solo un làpsus,
perché nel suo inconscio voleva dire «uomo di Dio», ma l’emozione lo ha
confuso e gli ha fatto dire quello che è importante per lui e non per
padre Martini.
Vi
sono uomini che vivono della Chiesa, per la Chiesa, nella Chiesa senza
altro orizzonte, con un sedicente «dio» funzionale alla Chiesa: sono gli
ecclesiastici autoreferenziali e sazi di se stessi.
Vi
sono uiomini e donne che vivono la tensione del Regno di Dio come un
nuovo ordine di relazioni, una nuova prospettiva di rapporti in una
dimensione senza confini perché sanno vedere solo il cielo stellato di
Abramo (Gen 15 e 17) che cattura la vista e il cuore nell’infinito di
Dio che è sempre «oltre», sempre «Altro».
Paolo Farinella, prete.
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