Ci avevano già provato il 4 Ottobre. Ora hanno riprovato, prendendo quelle che Valentina Conte chiama "scorciatoie". Monti se ne faccia una ragione: nel momento in cui l'80% della popolazione soffre di gravi disagi economici, non è il caso e non è il momento di tentare di fare altri regali alla Chiesta. a QUESTA chiesa. Tafanus
"Rispettare i principi dell'Unione europea" - Per i giudici amministrativi, anche "soggetti in apparenza non commerciali possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici"
(di Valentina Conte - Repubblica)
La Chiesa e gli altri enti no profit dovranno pagare l'Imu nel 2013. E dovranno farlo senza le scorciatoie che il governo sembra aver inserito nel regolamento in cui spiega come calcolare le porzioni di immobili destinate a uso commerciale e dunque soggette all'imposta. Il Consiglio di Stato ha scovato quelle scorciatoie e le ha bocciate in modo severo per la seconda volta, dopo il primo parere negativo dello scorso 4 ottobre. Nello stesso tempo, però, i giudici amministrativi di Palazzo Spada promuovono le parti "tecniche" del regolamento, quelle matematiche e dunque più "innocue", dedicate al calcolo proporzionale da fare per gli immobili "misti", destinati a culto, volontario o attività politica e sindacale (qui l'imposta non è né sarà dovuta), e in parte anche ad attività redditizie.
Per il resto il Consiglio di Stato, il cui parere è obbligatorio ma non vincolante, invita di fatto il governo Monti a riscrivere il regolamento. Suggerisce persino i punti dove sostituire frasi ed espressioni. E ricorda all'esecutivo che su tre ambiti specifici - scuola, sanità e alberghi - la retta "simbolica" in realtà maschera entrate ben definite che allontanano l'Italia dall'Europa. E la espongono a una nuova infrazione, dopo la procedura di esame per aiuti di Stato illegali già avviata nel 2010. In particolare, Palazzo Spada ricorda che "attività commerciale" non è solo quella in cui si ricava un utile, ma più in generale laddove ci sono costi e ricavi. Dunque incassi.
Nel dettaglio, i giudici amministrativi osservano che anche nei settori presi in considerazione dall'art. 4 dello schema di regolamento (attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva), soggetti in apparenza "non commerciali" possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici. Lo Stato dovrebbe, quindi, fare chiarezza. Soprattutto sul criterio di "retta simbolica" riferito a scuole, ospedali e attività di tipo ricettivo e previsto in vari passaggi del regolamento.
In questi casi, l'esenzione dall'imposta rischierebbe di far aprire una nuova procedura d'infrazione da parte dell'Ue nei confronti dell'Italia: "In sostanza anche gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali, che sono necessariamente di natura economica ai sensi del diritto dell'Unione Europea, e gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell'Imu, e non possono beneficare dell'esenzione". Il Consiglio di Stato ritiene dunque che si debba far riferimento ai principi comunitari anche per "evitare il rischio di una procedura di infrazione avente ad oggetto il nuovo atto normativo".
"Rispettare i principi dell'Unione europea" - Per i giudici amministrativi, anche "soggetti in apparenza non commerciali possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici"
(di Valentina Conte - Repubblica)
La Chiesa e gli altri enti no profit dovranno pagare l'Imu nel 2013. E dovranno farlo senza le scorciatoie che il governo sembra aver inserito nel regolamento in cui spiega come calcolare le porzioni di immobili destinate a uso commerciale e dunque soggette all'imposta. Il Consiglio di Stato ha scovato quelle scorciatoie e le ha bocciate in modo severo per la seconda volta, dopo il primo parere negativo dello scorso 4 ottobre. Nello stesso tempo, però, i giudici amministrativi di Palazzo Spada promuovono le parti "tecniche" del regolamento, quelle matematiche e dunque più "innocue", dedicate al calcolo proporzionale da fare per gli immobili "misti", destinati a culto, volontario o attività politica e sindacale (qui l'imposta non è né sarà dovuta), e in parte anche ad attività redditizie.
Per il resto il Consiglio di Stato, il cui parere è obbligatorio ma non vincolante, invita di fatto il governo Monti a riscrivere il regolamento. Suggerisce persino i punti dove sostituire frasi ed espressioni. E ricorda all'esecutivo che su tre ambiti specifici - scuola, sanità e alberghi - la retta "simbolica" in realtà maschera entrate ben definite che allontanano l'Italia dall'Europa. E la espongono a una nuova infrazione, dopo la procedura di esame per aiuti di Stato illegali già avviata nel 2010. In particolare, Palazzo Spada ricorda che "attività commerciale" non è solo quella in cui si ricava un utile, ma più in generale laddove ci sono costi e ricavi. Dunque incassi.
Nel dettaglio, i giudici amministrativi osservano che anche nei settori presi in considerazione dall'art. 4 dello schema di regolamento (attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva), soggetti in apparenza "non commerciali" possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici. Lo Stato dovrebbe, quindi, fare chiarezza. Soprattutto sul criterio di "retta simbolica" riferito a scuole, ospedali e attività di tipo ricettivo e previsto in vari passaggi del regolamento.
In questi casi, l'esenzione dall'imposta rischierebbe di far aprire una nuova procedura d'infrazione da parte dell'Ue nei confronti dell'Italia: "In sostanza anche gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali, che sono necessariamente di natura economica ai sensi del diritto dell'Unione Europea, e gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell'Imu, e non possono beneficare dell'esenzione". Il Consiglio di Stato ritiene dunque che si debba far riferimento ai principi comunitari anche per "evitare il rischio di una procedura di infrazione avente ad oggetto il nuovo atto normativo".
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