Le primarie del centrosinistra italiano, viste da New York dove si è appena votato per rieleggere Barack Obama, fanno un effetto di straniamento.
«Ho visto il dibattito in tv, i candidati sembravano cinque scolaretti impacciati.Il sistema scimmiottato dagli Stati Uniti ha reso tutto ingessato e artificioso. Perché queste primarie con il sistema americano non c'entrano nulla. Negli Usa servono a scegliere chi si candiderà a governare, in Italia chiunque le vinca dovrà allearsi con altri partiti. L'obiettivo per cui si fanno è un altro: rivitalizzare la politica con la partecipazione popolare», spiega la politologa della Columbia University Nadia Urbinati, firmataria con altri 48 intellettuali di un manifesto a favore della candidatura di Pier Luigi Bersani. «L'ho incontrato solo una volta, ma non vale la mia impressione sulla persona. Conta che Bersani si presenti come espressione di una forma mentis collettiva. È il capo di un partito, non una personalità scalmanata che presenta solo se stesso. In questi anni il Parlamento è stato ridotto a un serraglio di fedelissimi del leader di turno e si è visto com'è andata a finire. Ora bisogna cambiare».
In Italia i partiti sono travolti dal discredito. Il governo
Monti è formato da tecnici che non appartengono alla politica, il
movimento di Grillo si presenta come un non partito. Crede che quella di
Bersani sia la scelta giusta?
«Bersani coglie perfettamente il problema. Il problema dell'Italia non
sono i partiti che ci sono, ma la loro debolezza. Anche nel
presidenzialismo all'americana esistono forme di aggregazione simili ai
partiti. Anche il movimento di Grillo è un'associazione di persone che
si presentano alle elezioni, dunque un partito, dire il contrario è da
incompetenti o da ipocriti. Se si dissolvono queste forme di
partecipazione restano le aggregazioni attorno a una persona. Ma allora
il problema diventa: chi decide? E come si controlla chi decide? Negli
Stati Uniti le personalità dei candidati e il funzionamenento del gioco
democratico si tengono insieme, in Italia non è così. E il funzionamento
delle primarie dipenderà dal comportamento degli attori. Se le sapranno
utilizzare per rafforzare con il voto il loro progetto oppure se
cadranno in un personalismo berlusconiano. Da questo punto di vista lo
scontro tra Bersani e Renzi è molto interessante. Renzi è tattico,
Bersani è un uomo di partito classico».
In Italia i partiti sono travolti dal discredito. Il governo Monti è formato da tecnici che non appartengono alla politica, il movimento di Grillo si presenta come un non partito. Crede che quella di Bersani sia la scelta giusta?
«Bersani coglie perfettamente il problema. Il problema dell'Italia non sono i partiti che ci sono, ma la loro debolezza. Anche nel presidenzialismo all'americana esistono forme di aggregazione simili ai partiti. Anche il movimento di Grillo è un'associazione di persone che si presentano alle elezioni, dunque un partito, dire il contrario è da incompetenti o da ipocriti. Se si dissolvono queste forme di partecipazione restano le aggregazioni attorno a una persona. Ma allora il problema diventa: chi decide? E come si controlla chi decide? Negli Stati Uniti le personalità dei candidati e il funzionamenento del gioco democratico si tengono insieme, in Italia non è così. E il funzionamento delle primarie dipenderà dal comportamento degli attori. Se le sapranno utilizzare per rafforzare con il voto il loro progetto oppure se cadranno in un personalismo berlusconiano. Da questo punto di vista lo scontro tra Bersani e Renzi è molto interessante. Renzi è tattico, Bersani è un uomo di partito classico».
In realtà nelle ultime fasi i due hanno cominciato a scambiarsi le parti. Renzi ha preso a dire la parola "noi". E Bersani ha personalizzato il suo messaggio.
«Sì, ma restano due prospettive strategiche distanti. Nel dibattito in tv l'antagonismo tra i due è stato tenuto a bada, ma prevedo che nei prossimi giorni i toni torneranno ad alzarsi. Bersani mette al centro della sua azione politica la ricostruzione di una squadra e di un partito, sta provando a mettere in piedi una forte coalizione di governo. Renzi è un leader plebiscitario. Ma deve stare attento: il personalismo può creare un effetto boomerang, una reazione di rigetto».
È un berlusconiano mascherato?
«Non direi così, ma di certo insegue una democrazia dell'audience, usa il popolo come pubblico televisivo e non come cittadino elettore, un modello deleterio. Si presenta senza un partito alle spalle, eppure non è un neofita, il professionismo della politica è un tasto avvelenato anche per lui. Sui contenuti Bersani è in linea con lo sforzo di Obama e di Hollande in Francia, usare lo Stato e le risorse pubbliche non solo per motivi di equità e di uguaglianza ma per ragioni di tenuta democratica. In America in campagna elettorale non si è parlato d'altro. Renzi invece ha un progetto di devoluzione di pezzi dello Stato alla Chiesa e ad altre lobby, ad esempio sull'istruzione e sulle scuole private. Un liberalismo cattolico, la cosidetta sussidiarietà, che non capisco e che non condivido».
La vittoria di Bersani significa ritornare ai valori della sinistra, dopo la fascinazione per il modello Blair, la terza via della new left?
«In tutta Europa c'è l'inseguimento di una politica liberista che sta cambiando l'identità del continente. È la questione che agita in Italia il dibattito sul dopo Monti. Questo governo ha restituito dignità internazionale all'Italia, ma ha anche tagliato i pochissimi servizi sociali che erano rimasti, a partire dalla sanità, senza spiegare il perché. Vogliamo continuare così? Oppure proviamo in Italia a seguire le politiche di Obama e di Hollande? Se nasce un governo di sinistra anche a Roma si può ripetere la triangolazione degli anni Novanta tra Clinton, Blair e Prodi. E impedire che istituti finanziari e bancari prosciughino le risorse pubbliche».
Bersani è attrezzato per farcela?
«Sì, perché rimette in gioco l'idea che la politica sia uno sforzo collettivo. Senza il quale la politica non potrà rinascere».
(da una intervista dell'Espresso del 16 Novembre a Nadia Urbinati)
Chi è Nadia Urbinati - Political scientist Nadia Urbinati is internationally recognized for her contributions to the study of democracy. In her recent book, Representative Democracy: Principles and Genealogy, she demonstrates that political representation has intrinsic democratic features and functions, rather than simply being a compromise between the realities of the modern state and the unlikely prospect of direct democratic rule. She is currently the Nell and Herbert M. Singer Professor of Contemporary Civilization in the Core Curriculum and teaches central courses in political philosophy in her department
(Fonte: Columbia University)
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