Purtroppo ha ragione la Comunità ebraica: "Roma non è meno pericolosa di Tel Aviv". E ha ragione, non solo con il cuore, anche se sarebbe stato meglio dire che Roma è più vulnerabile di Tel Aviv. E proprio perché "a Roma non piovono razzi", come dice l’inquietante prefetto Pecoraro. Insomma Roma non è una città in guerra e dunque l’ebreo è inerme, non pensa a difendersi e a contrattaccare. I tifosi del Tottenham, per esempio, non si aspettavano certo di essere accoltellati mentre prendevano una birra. Non si guardavano attorno spaventati come fossero, appunto, a Tel Aviv.
E immaginate cosa devono avere pensato quei turisti inglesi che erano lì per divertirsi ingenuamente, sedotti dal mito delle notti di Roma. Cercate di immedesimarvi nel loro stupore quando hanno visto arrivare quella squadraccia di italiani armati di spranghe, coltelli e bastoni, nascosti dai caschi integrali, vigliacchi incappucciati come i mafiosi.
A Tel Aviv i commando di Hamas combattono l’esistenza degli ebrei di Israele, esprimono un odio etnico e religioso che ha i suoi interessi economici e le sue radici nella storia, si muovono dunque nel codice della spietatezza e persino della dignità della guerra. A Roma invece si sono materializzati in uno dei posti più belli, di maggior calore e colore e sotto la statua di Giordano Bruno, mito dell’antifanatismo, una cinquantina di rifiuti umani, sottoprodotti urbani che si nutrono di un tifo ridotto ad immondezzaio criminale. Ultrà romanisti e ultrà laziali, che solitamente sono divisi dalla stupidità - diciamo cosi - "alta" del calcio, l’altra notte erano invece uniti nella ferocia di un antisemitismo cieco che non capiscono e anzi probabilmente non sanno neppure cos’è, a giudicare dalla povertà umana dei due romanisti che sinora sono stati arrestati.
Ecco perché è davvero bizzarra la reazione del prefetto di Roma che invece di chiedere scusa, a nome della città, alle vittime della più odiosa delle aggressioni antisemite dopo le retate e le leggi fasciste, si mette acidamente a polemizzare con il capo della comunità ebraica Riccardo Pacifici che, giustamente allarmato, rappresenta idealmente quelle vittime. E la frase più arrogante di Pecoraro è la seguente: "Quello che fanno le forze dell’ordine per gli ebrei romani non si fa in nessun altro Paese".
(Nella foto a destra, il manifesto di Alemanno, dopo tre mesi da sindaco)
Parla come se fosse in credito, il signor prefetto. Rimprovera una comunità ingrata. Come se proteggere i tifosi di una squadra ebrea anche – persino! – mentre bevono la birra fosse davvero troppo. Dopo tutto quello che facciamo per loro, vogliono pure un sovrappiù, una concessione, un ennesimo atto di generosità costosa.
La verità è che Pecoraro ha dimostrato di non controllare l’ordine pubblico e dunque di essere quanto meno inadeguato, e non tanto perché Campo dei Fiori – al contrario delle piazze di Tel Aviv – non era presidiata. Ma soprattutto perché le forze dell’ordine, chiamate da testimoni terrorizzati, sono arrivate troppo tardi e in numero insufficiente, forse perché anch’esse impreparate alla sfida, alla novità di questa furia che picchia, accoltella, spacca, mettendo in atto una strategia di guerriglia urbana, come una specie di esercitazione sul campo.
E sembra di vederli mentre attaccano e poi rinculano per attirare i poveri inglesi nell’imboscata. Altri picchiatori feroci stanno acquattati infatti in via dei Cappellari, una delle stradine strette dove "la luna sta per cadere", uno di quei vicoli di Roma che Lucio Dalla canta nella "Sera dei miracoli". Anche mercoledì quando picchiano e accoltellano la notte "è così dolce che si potrebbe bere", una notte "da passare in centomila in uno stadio …".
Appunto, lo stadio. E’ la città di Roma, prima ancora della comunità ebraica, a meritare almeno un tentativo di impossibile risarcimento. E si dovrebbe cominciare con il punire sia la Roma sia la Lazio. Dovrebbe farlo l’Uefa di Platini, ma dovrebbero pretenderlo anche la Lega calcio di Maurizio Beretta e la Federcalcio di Giancarlo Abete.
E’ chiaro che i presidenti e i dirigenti della Lazio e della Roma sono nani rispetto alla gravità dell’evento. Ma l’autoassoluzione, che in fondo è la vera prova di questo nanismo, non è tollerabile. Il presidente Lotito e il manager Baldini, invece di difendere ciascuno i propri ultrà, dovrebbero mettere un taglia per la cattura di quei barbari.
Sono noti i rapporti di complicità fra le società di calcio e gli ultrà. La curva nord della Lazio è da tempo il covo dei peggiori naziscemi italiani, estremisti nel calcio e nella politica, che infatti giovedì sera - durante la partita con il Tottenham - hanno esibito striscioni antisemiti rivendicando così la paternità ideologica dell’aggressione. Pensate: Lotito e Baldini non sono neppure andati a trovare all’ospedale Ashley Mills, quel ragazzo di 24 anni che, pugnalato all’linguine, è stato in pericolo di vita per due giorni. E non è andato neppure Alemanno, che dei naziscemi romani è stato in tutti questi disastrosi anni di governo un amato/odiato interlocutore.
Davvero non sappiamo quanta ragione abbia la comunità ebraica, ma l’ordine pubblico dovrebbe tenere in gran conto i suoi timori. E’ infatti sicuramente vero che l’Italia sta pericolosamene diventando uno dei paesi più antisemiti del mondo occidentale, anche se si tratta di un antisemitismo stupido, come del resto fu d’accatto quello fascista. In Italia non ci sono grandi centrali culturali e mediatiche contro gli ebrei ma c’e’ un’ intossicazione plebea che salda una certa sottocultura terzomondista, sia di sinistra che di destra, con le pulsioni di un neofascismo che è ormai "schizofascimo", xenofobia e saluti romani. La Rete è piena di queste immondizie, persino filoiraniane, l’America di nuovo con il k, l’odio verso Israele… E la crisi economica, la rabbia sociale e il populismo grillino rimettono in circolo, non solo contro il governo Monti, il vecchio fantasma del complotto giudaico-massonico.
E poco importa che si picchi, da infiltrati e incappucciati ,nelle manifestazioni di piazza o nelle scuole o che si dia la caccia al tifoso del Tottenham ebreo o a quello del West Ham il cui dolcissimo inno – <I’m forever blowing bubbles / pretty bubbles in the air, sto sempre a gonfiare bolle, belle bolle nell’aria>, nessun inglese in Italia potrà più cantare. Perché -abbia pazienza il signor prefetto – da mercoledì notte la nostra bella Roma non è più la stessa. Gli ebrei la trovano <non meno pericolosa di Tel Aviv> e gli inglesi del Times <la città più pericolosa d’Europa.
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