Recensione del film "Il sospetto" (Titolo originale: Jagten) - di Angela Laugier
Regia: Thomas Vinterberg
Principali interpreti: Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Susse Wold, Annika Wedderkopp, Lasse Fogelstrøm. Anne Louise Hassing, Lars Ranthe, Alexandra Rapaport. – 115 min. – Danimarca 2012.
Il titolo originale di questo lavoro di Vinterberg è, tradotto in italiano, "La caccia", il che ci dice che il titolo che la nostra distribuzione ha voluto apporvi è quanto meno arbitrario. Aggiungerei anche che è fuorviante e che sembra autorizzare letture e interpretazioni più banali di quelle che il film merita. Direi che un titolo di tal fatta potrebbe addirittura indurci a pensare che Il sospetto appartenga a un genere cinematografico già parecchio frequentato, collocandosi nella scia de Il dubbio, o del più recente Monsieur Lahzar, cioè di quei film che, per quanto di notevole qualità e spessore, hanno già detto molto del rapporto fra i ragazzi e i loro insegnanti e degli equivoci che possono sorgere in certi ambienti di fronte a un approccio educativo caldo e confidenziale, corretto in sé e probabilmente molto fecondo di buoni risultati, ma poco praticato e perciò temuto e demonizzato.
Proprio per evitare un deja vu, avevo escluso dai miei orizzonti questo film, poi ci ho ripensato, quasi fuori tempo massimo, e non me ne sono pentita. Nonostante ciò che se ne dice e se ne legge, mi è sembrato che Vinterberg affronti non tanto il tema dell’inaffidabilità dei bambini, della loro propensione alla menzogna e della facilità con cui vengono creduti dagli adulti, mettendo quindi nei guai persone per bene, come in questo caso uno degli operatori nell’asilo del villaggio, Lucas, accusato senza ragione di pedofilia, quanto un tema poco presente al cinema, se non in un certo cinema dei paesi del Nord Europa in cui la tradizione luterana e la connessa attenzione al tema del male sembrano aver permeato profondamente la mentalità collettiva, pur in presenza di elementi più antichi e primordiali, immediatamente individuabili fin dall’inizio del film.
La caccia, appunto, sembra essere, dall’inizio alla fine, il vero centro narrativo della pellicola, quello che le conferisce una continuità coerente, perché, sia che racconti il sacrificio degli animali innocenti a un hobby crudele e ormai privo di motivazioni materiali, sia che rappresenti la caccia all’uomo di molte altre scene, fino all’ultima, apparentemente priva di senso, ci testimonia il persistere di una ferocia profonda del cuore di tutti gli abitanti del villaggio, comprese le donne, che, pure, non avevano partecipato al rito barbarico dell’uccisione degli animali, né a quello successivo e tutto maschile delle bevute fino allo stordimento. Saranno proprio le donne, infatti, dalla direttrice dell’asilo, alle madri di famiglia, le persone più lucidamente determinate a perseguitare il povero Lucas, a isolarlo anche quando la sua innocenza verrà conclamata.
Proprio l’innocenza del giovane e mite insegnante è l’elemento intollerabile, che l’intera popolazione non gli può perdonare, perché ha il torto di mettere in luce il malvagio sentire di tutti. A quel punto nessuno si esimerà dall’individuare in lui il”mostro diverso”, colpevole di ribaltare l’immagine positiva che ognuno ha di sé. Egli diventerà appunto il capro espiatorio, la vittima sacrificale che, assumendo su di sé le colpe collettive, riporterà l’intera popolazione turbata e in subbuglio a quella condizione di equilibrio che appare nelle prime scene del film. Lo schema narrativo mi sembra ripercorrere con le immagini, molto belle e giustamente scure e “notturne”, le indicazioni dell’antropologo francese Réné Girard quando, alla fine del secolo scorso aveva cercato di chiarire, come il costante ripetersi di alcune circostanze, determini nelle aggregazioni umane la ricerca di una vittima da sacrificare, di un capro espiatorio e perchè esso diventi un elemento quasi indispensabile all’equilibrio delle stesse, anche se sembrano lontane fra loro per cultura, modo di sentire, abitudini religiose.
Il film si presenta perciò come un’opera da meditare, complessa e suscettibile di ulteriori approfondimenti, scritta bene e molto ben diretta, interpretata in modo eccellente da Mads Nikkelsen, nei panni di Lucas (Palma d’oro al Festival di Cannes 2012 come miglior attore).
Angela Laugier
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