Sono in buona compagnia... Se dovessi riassumere l'impressione che mi ha trasmesso la conferenza stampa di Monti in una sola parola, sceglierei "Ambiguità"
Non mi candido ma mi faccio candidare, col mio (per ora) inesistente partitino fatto da "nuovo che avanza" alla Casini & Bonanni, sostenuto da veri amici dei ceto dei più deboli come Montezemolo e Marpionne, Ichino e Giannino, Fini e Italo Bocchino, laico quanto basta per ricevere la standing ovation della CEI e da CL, Monti non disdegnerebbe di comandare, ma a patto di non mettere il gioco la sua personale reputazione in una democratica battaglia elettorale.
Monti - mi si scusi la volgarità poco natalizia, vorrebbe cacare, ma col culo degli altri. Casini è pronto a dargli il suo. Anche Ichino è già "in posizione". Fini non ne parliamo. Monti vuole vincere, ma senza partecipare. Vuole essere "portato". Che lo chieda ai portantini per vocazione alla Casini & C., è comprensibile. Che lo chieda al leader del maggior partito italiano è esilarante. Monti ha ancora in mente un PCI non sdoganato politicamente, che "attaccava i manifesti" degli altri.
Caro Monti, quei tempi sono lontani. Sono finiti con lo strappo di Berluinguer dall'URSS. é passata una vita. Ora ognuno deve fare l'attacchino dei propri manifesti usando le propire scale a pioli, i propri militanti, le proprei truppe. Monti, graziosamente, accetterebbe di fare il Premier, col suo X,0% tutto da mostrare e dimostrare, sedendosi aristocraticamente sul sedile posteriore di un'auto blu fornita da Bersani, e guidata dallo chauffeur in livrea Casini. Non è fantastico?
Monti si è paragonato a De Gasperi. Da Berlusconi ha ereditato qualcosa:la modestia. Ora, se queste note le scrivessi solo io, mi verrebbe il dubbio di essere stato infettato da qualche virus, proveniente dalla sede del Geniale o di Libbbero. Ma con piacere oggi, a 24 ore dalla conferenza stampa, scopro che l'accusa di ambiguità - più o meno velata - arriva da altre fonti. Un non-moderato come Francesco Merlo, che ironizza sulla "Agenda" a modo suo, ma anche il "Re de Moderati" (Massimo Franco sul Corsera), e - guarda caso usando proprio il termine "ambiguità" o "equilibrismo politico", giornali non estremisti come El Pais, o addirittura la Neue Zurcher Zeitung. Mentre "l'autorevole" (di sice così?) Financial Times si limita a non concedere alcuna chance a Monti di battere i democratici, ma al massimo di "indebolire" il puttaniere. Il quale, peraltro, sta riuscendo ad indebolirsi da solo, e lo sta facendo molto bene. Sicchè l'opera di Monti in tale direzione apparirebbe superflua...
Ma ecco come cominciano a pensarla a mente fredda alcuni "autorevoli" moderati, una volta smaltita la sbronza ammiratoria per il british humour di Mario Monti:
CORSERA - Massimo Franco: La chiarezza che non c'è - La «salita in politica», come l'ha definita Mario Monti con una felice inversione lessicale rispetto alla Seconda Repubblica, si preannuncia suggestiva, innovativa, ma ancora ambigua. Si è capito bene quello che il presidente del Consiglio dimissionario vuole fare: scomporre gli schieramenti etichettati con le sigle logore della destra, della sinistra e del centro; ricomporli attraverso l'asse del cambiamento e della lealtà all'Europa; ed essere il referente di chiunque si riconosca in un programma che rivendichi quanto è stato fatto in questi tredici mesi e lo proietti nel futuro.
Su come Monti riuscirà a tradurre le intenzioni in realtà, però, non si può dire che la sua conferenza stampa di ieri, né le interviste delle ultime ore abbiano dato coordinate precise. Si è capito che vede nel populismo di Berlusconi, della Lega, dei «grillini» e della sinistra sindacale e radicale gli avversari da battere. Ma la competizione col Cavaliere sui voti moderati lo lascia più scoperto sul fianco destro che nei confronti del Pd. Evidentemente, Monti prevede come inevitabile un qualche accordo postelettorale con Bersani. Resta da chiedersi come sarà possibile conciliare le ambizioni di due aspiranti a Palazzo Chigi.
Ma le incognite principali sono, se si può dire così, di tipo tecnico. Intanto, esiste tuttora un margine residuo che alla fine il premier non dia il placet ai sostenitori decisi a correre nel suo nome; soprattutto centristi, ma presenti anche in altri partiti. Inoltre, Monti ha anticipato che non si candiderà in un collegio in quanto è senatore a vita: precisazione rispettosa della nomina ricevuta dal Quirinale. Insomma, sarà un candidato-non candidato. Questo, però, non sembra destinato a favorire la sua «salita». Anzi, può renderla impervia e ridurre il magnetismo elettorale del suo nome. Insomma, la scalata di Monti comincia avvolta in una nebbia nella quale i potenziali elettori rischiano di perdersi.
Le elezioni politiche sono fra due mesi esatti. E i margini di ambiguità e i temporeggiamenti non sono consentiti a nessuno: nemmeno a chi ha il merito di proporre un'offerta diversa e originale rispetto al bipolarismo stantio di quasi un ventennio. Si avverte uno scarto fra la linearità della strategia e l'idea di Italia che Monti ha in testa, e gli strumenti per tradurla politicamente in termini di presentazione delle liste, divisione dei compiti, alleati. È un vuoto che magari sarà riempito quasi per magia. Ma per ora sottolinea un ritardo organizzativo vistoso. Forse è inevitabile per l'anomalia di quanto sta succedendo. Dalla maggioranza anomala stiamo passando ad una candidatura anomala. Eppure, lascia un po' perplessi la sfilata dei «montiani» che nei giorni scorsi sono andati a Palazzo Chigi, sede istituzionale, per discutere di liste di partito; e poi le ipotesi di un impegno negato, oppure pieno, oppure dimezzato. È vero che l'Europa guarda a Monti e alla sua Italia con ammirazione e rispetto. Ma sarebbe bene che l'elettorato potesse farlo avendo un quadro chiaro degli schieramenti e dei leader. I rischi di regressione e l'immobilismo si combattono e si battono anche eliminando la confusione.
FINANCIAL TIMES - [...] Le dimissioni del governo e le possibilità che l’Italia prosegua il cammino del risanamento sono danno lo spunto al giornale della City per entrare nel dettaglio della politica di Roma. Secondo Ft, il tecnico italiano non ha chance di battere i democratici italiani, ma potrebbe dare un contributo importante per accentuare il declino della leadership di Silvio Berlusconi sui conservatori della penisola [...]
NEUE ZURCHER ZEITUNG - [...] Meno comprensiva con il presidente del Consiglio la Neue Zurcher Zeitung. Il giornale svizzero segnala quella che finora era la tattica dilatoria e di equilibrismo politico di Monti, ritenendo le esitazioni del professore un modo di sprecare possibilità che pure gli erano state offerte proprio dal declino della stella politica del leader del Pdl. Non essere stato in grado di dare risposta a chi cercava in lui il rappresentante di una nuova politica si sta rivelando un errore, sottolinea la Nzz[...]
EL PAIS - Anche el Pais ritiene che [...] Monti si caratterizzi per un eccesso di ambiguità. Il quotidiano di Madrid afferma che l’ex primo ministro italiano ha fatto le sue ultime dichiarazioni, rifiutando di entrare direttamente nella battaglia politica ma dichiarandosi disponibile a guidare il prossimo governo, guardando i sondaggi che non accreditano successi elettorali di rilievo alla forza politica cui fa riferimento Monti. Un atteggiamento che nasconde il rischio che in seguito nessuno lo veda come il leader in grado di mettersi alla testa dei ceti guidati da Silvio Berlusconi, una volta uscito di scena l’imprenditore prestato alla politica [...]
Come si vede, non solo il solo ad aver giudicato ambigua, e destinata a brillante insuccesso, la presuntuosa azione di Mario Monti. Sull'Agenda, messa online ieri sera, parlerò. Non oggi. Voglio leggerla bene, e purtroppo anch'io sono condannato alle liturgie parentali del Natale. Ad una prima scorsa superficiale, mi sembra la fotocopia del programma montiano di Novembre 2011. C'è solo da chiedersi perchè non abbia fulfilled NESSUNO di quei punti - magari a botte di voti di fiducia - nei primi cento giorni del suo governo, in piena luna di milele, e con il centro-destra assolutamente impossibilitato a dire un NO su qualsivoglia argomento. Ma dato che è festa anche per voi, sull'agenda voi lascio in compagnia dell'ironia di Francesco Merlo. Ancora auguri a tutti. Tafanus
Gli ossimori di Monti, Gerundio d'Italia (di Francesco Merlo)
Con l’inedito "chiamatemi agenda", che è il tempo del dovere, Mario Monti diventa il gerundio d’Italia. E con il suo "ci sono e non ci sono" aggiorna pure l’ossimoro, che è stata la doppiezza come scienza della politica e come identità nazionali, e invece qui si presenta, nientemeno, con la veste sobria e rigorosa della virtù. Fateci caso: le parole originate da un gerundio sono le più antipatiche della lingua italiana, agenda, pudenda, mutanda, memorandum, e c’è pure il crescendo che in musica è il sostantivo del volume (rossiniano) e in economia è il sostantivo dello sviluppo (schumpeteriano), vale a dire l’orizzonte di più alta drammaticità del nostro dover essere, del nostro gerundio appunto: "L’uomo politico guarda alle prossime elezioni, l’uomo di Stato guarda alle prossime generazioni" ha detto Monti citando De Gasperi.
L’ossimoro di Monti invece non è drammatico, ma semmai un po’ pomposo: Monti è l’insicuro sicuro di sé che sale in campo per scendere in campo, offre e al tempo stesso nega ai centristi un nome che non li nomina ma li domina. Con lui, lo stesso concetto di ossimoro diventa ossimorico perché l’ossimoro rigoroso e nobile non si era mai visto: "Io non mi candido, non sto con nessuno ma sono disponibile a guidare le forze che approveranno la mia agenda purché siano specchiate e credibili per contenuti, metodo di governo e credibilità di intenti".
La virtuosa doppiezza dello stare in cartellone ma non in scena, che in Italia fu Machiavelli e arrivò a Togliatti, poi si vestì di convergenze parallele e di politica dei due forni; che fu il crisma fondante della Chiesa e, nella forma dell’uno nessuno e centomila, ha dato vita al pirandellismo, "svolazzo di contorsioni", come diceva Croce, e alle due facce di Andreotti statista e mafioso… , ebbene questa doppiezza con Monti diventa il disinteresse dell’interessato, la pulizia e la bellezza morale del vecchio vizio nazionale, l’antica novità: "Il mio metodo è un po’ strano e un po’ nuovo". Addirittura il vademecum del perfetto italiano è stato poi raccontato da Monti, nella trasmissione di Lucia Annunziata, come totalmente estraneo al Paese: "Mi rendo conto che sia difficile capirmi perché il metodo dell’agenda Monti è inedito".
E torniamo così all’ Agenda che, Moleskine o Planing o Monti che sia, sempre raggruppa le cose che si devono fare: pagare le tasse, la visita dal dentista, rinnovare il passaporto, la rinunzia ai diritti sindacali… Ma se uno riceve il premio Nobel o ha un appuntamento con la Marilyn Monroe dei suoi sogni non lo segna certo sull’agenda, e mai nessuna donna consegnerà all’agenda un’intermittenza del cuore, prevista a una certa data e a una certa ora: "lunedì 13 gennaio, ore 16,45: principe azzurro". Per le cose piacevoli, per quelle che vuoi e che desideri non c’è bisogno dell’agenda, la quale scandisce solo i doveri che non puoi permetterti di non rispettare, come onorare il fiscal compact, ridurre il debito, tagliare la spesa sanitaria, e mai le cose veramente belle che non sono quelle che ‘si’ fanno ma quelle che ‘ti’ fanno. Nessuno dunque ama l’agenda e tuttavia tutti ce l’hanno, e ora anche l’Italia.
Ma l’agenda, come il morbillo, diventa simpatica solo “dopo”, quando le macchioline rosse sono sparite dal viso e sono ormai un ricordo, un’immunità, un fastidio di meno e una sicurezza di più: il rispetto dell’Europa, la stabilità nella moneta comune, la ripresa del mercato del lavoro, le donne nel processo decisionale… Insomma l’agenda è simpatica quando finisce, quando da "agenda" diventa "atta", quando i doveri di una legislatura non ci stanno più pericolosamente davanti ma felicemente di dietro: "Al capo dello Stato ho detto: ‘missione compiuta, presidente". Ed è la frase di Monti che ieri ha conquistato di più – sorrisi al posto degli applausi – perché rivela l’efficienza e la disciplina del servitore dello stato e non la tronfia vanità del gradasso. E infatti è stato costruito sull’ossimoro dell’esserci e non esserci, del rumore silenzioso, l’intero Evento, con il centro di Roma bloccato, l’ingorgo attorno a Palazzo Chigi, le mille televisioni, le antenne, i camioncini. Ieri mattina c’era più morbosità attorno alla normalità di Monti di quanta se ne addensò attorno alle mostruosità di Avetrana.
E se Berlusconi ricorreva alle navi, al marketing creativo, alla bandana, ai mille trucchi dell’imbonitore, Monti ritraendosi ha attratto più microfoni e più telecamere: non si era mai vista tanta ressa attorno alla sobrietà. La conferenza stampa ha avuto più eco ed è stata vissuta con più ansia di quanta ne provoca in Inghilterra il discorso della regina. E si capisce che non c’è stata nessuna consapevole regia: il tormento sincero di Monti ha avuto un effetto deflagrante, ma senza miccia e senza esplosivo. L’Italia, in stato d’eccezione, sembrava in attesa del suo Decisore, quello di Max Weber o quello di Carl Schmitt, del suo nuovo Garibaldi, e l’incontro con i giornalisti è stato magnifico, ordinato e appassionato, senza insolenze e senza arroganze, senza disturbatori e senza buttafuori: "Lei corre più veloce di me" è stata la risposta, due volte ripetuta, più appuntita, la più dolcemente contundente, perfetta.
Il prestigio è più efficace del grottesco. E il prestigio fa ingoiare anche l’agenda, permette di superare quell’antipatia naturale dell’agenda che, anche nelle cartolerie, subisce abbellimenti e travestimenti di ogni genere, diventa diario, "programma per il cambiamento e per l’Europa". Una volta le agende venivano abbellite all’esterno: in pelle, in velluto, in sughero. Quindi finalmente si capì che la parte da addomesticare non è l’esterno ma l’interno dove già i nostri nonni lasciavano glissare una ciocca di capelli, un petalo, una foto presto ingiallita. Adesso invece ci mettono cataloghi, illustrazioni, raccontini e aforismi micidiali come appunto quelli che ieri ha pronunziato Mario Monti: "l’equità non è un valore separato ma deriva dalla concorrenza". O ancora: "La strana maggioranza ci ha impedito di fare meglio ma ci ha permesso di fare bene". Qualcuno, e fu la trovata di successo di qualche anno fa, è arrivato ad aggredire e stravolgere persino il nome dell’agenda che da memoranda finse di essere, ricordate?, il proprio contrario: smemoranda. Lo scopo è sempre lo stesso, togliere spazio alla durezza del dover essere, all’agenda, farla scomparire prima ancora di usarla, perché questo è il destino di tutte le cose che si coniugano al gerundio, questo è il paradosso dell’agenda, diventare un pretesto per la propria soppressione.
Francesco Merlo
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