Pubblico con molto piacere questo articolo dell'amica Annamaria Testa, che ho avuto il piacere di incrociare a targhe alterne (l'ultima volta in relazione alla comune appartenenza al gruppo creato intorno a Piero Bassetti, in supporto alla candidatura di Pisapia a sindaco di Milano. In questo scritto ritrovo tutta la carica ironica d'antan, quella della giovane copywriter di successo degli anni settanta, che peraltro non la ha mai abbandonata. Tafanus
Tra Natale e la Befana sono sbocciati slogan, immagini e simboli di questa campagna elettorale convulsa e sfocata. Provo a raccoglierne alcuni e a dirvi perché, secondo me, non profumano esattamente di fresco.
Bersani - L’idea delle primarie ha funzionato in termini di credibilità, energia, legittimazione e, cosa non meno importante, visibilità. Funzionano quelli che Umberto Eco chiama i bersanemi: gli esempi paradossali che strappano un sorriso e coinvolgono il pubblico cooptandolo bonariamente in un “noi” di complicità intelligente (ragassi, siamo mica qui a…). Hanno funzionato sia il ritorno strapaesano a Bettola e alla pompa di benzina di famiglia, sia i successivi incontri con i leader europei. Invece la campagna pubblicitaria proprio non va.
Guardatela: è grigia e spenta. Grigio il fondo. Grigio l’abito. Grigia e livida la faccia di un Bersani imbalsamato in una fissità quasi berlusconiana e in un’espressione sconclusionata (labbra serrate, sopracciglio destro alzato, sguardo perso nel vuoto), congelato in pose improbabili (mani giunte in preghiera nel formato verticale, manona vezzosa a reggere il mento nel formato orizzontale, fede nuziale in primissimo piano e taglio fotografico assassino). E poi c’è l’ennesimo slogan generico (l’Italia giusta) in blandissima salsa buonista (nessuno resta indietro, la politica dice la verità, il lavoro costruisce la vita, il futuro si prepara a scuola… ma va?).
E sì che Bersani sarebbe, di suo, piuttosto vispo, spiritoso e perfino fotogenico. Questo qui, che dice ’ste esangui banalità dai manifesti, sembra un suo zio bollito.
Monti - Trascurando la sfilza delle apparizioni televisive e guardando alla pura comunicazione autoprodotta, troviamo la strombazzatissima twittervista:
oltre duemila domande, sedici rispostine volonterose ma ingessate
nonostante l’abuso di punti esclamativi e oltre centomila follower
acchiappati in due orette. Il prof. commenta con un adolescenziale WOW!! Non ha tutti i torti: poca spesa e tanta resa, no?
Però il simbolo elettorale di Monti sembra disegnato con il righello: una maldestra riedizione della grafica del convegno di Italia futura Verso la terza Repubblica, ma anche qualche vicinanza con il famigerato logo Magic Italy. Il risultato è flebile: ciascun elemento svolazza per conto suo, e fortuna che c’è un tondo a tenere tutto assieme almeno sotto il profilo formale. E d’accordo: una “scelta civica” non è un partito, un movimento, una lista, una coalizione o un gruppo. Ma, allora, che roba è?
Berlusconi - Esagerata quantità di apparizioni televisive, ma materiali pubblicitari a oggi non pervenuti, se si esclude la signorina Pascale sulla cui impaginazione non mi pronuncio.
Giannino - L’astruso nome del movimento nato dal manifesto Fermare il declino si è trasformato in un più semplice Fare (per fermare il declino). Un nome di partito che non somiglia ai nomi di partito (e questo potrebbe essere un vantaggio) ma purtroppo evoca l’uomo del fare per definizione, Berlusconi (o, a scelta, il precedente uomo del fare: Giorgio Aiazzone). Anche il simbolo non somiglia ai simboli di partito (e questo potrebbe essere un vantaggio) ma purtroppo è decisamente simile al logo di Enervit.
Maroni - Fiorisce anche la comunicazione per le
regionali. Niente simboli di partito sui manifesti leghisti (coda di
paglia, eh?) ma un solitario Maroni fotografato dal basso nella tipica posa mi-è-apparsa-la-madonna:
sguardo al cielo ed espressione assorta. Però il taglio fotografico non
riesce a nascondere la posa contratta, le braccia serrate e le mani
infilate fin sotto le ascelle, come le tiene chi è spaventato,
imbarazzato o infreddolito. E al di là del giochino di parole: qual è la
promessa? La Lombardia in testa dove, come, per quali ragioni? Maroni
rabbrividisce, e forse ha buoni motivi per farlo.
Ambrosoli - Proprio come Bersani: mano sotto il mento, labbra tirate, fede nuziale in primo piano, lugubre bianco e nero, fondo scurissimo e taglio fotografico punitivo. Un’immagine che nella migliore delle ipotesi trasmette pensosa compostezza ma non energia, e trasforma il titolo (forte perché libero), che peraltro nulla dice del progetto o del programma, in una pericolosa excusatio non petita. La freschezza delle primarie, ahimè, già svanita.
Va detto: fare comunicazione politica è difficilissimo. Si lavora in fretta e male. Su informazioni vaghe, frammentarie o sconclusionate. Con interlocutori che hanno scarsa competenza tecnica e la propensione a scegliere, tra diverse proposte, la peggiore e la più reticente, e a peggiorarla ulteriormente. Però, accidenti, che vuoto pneumatico di contenuti, di energia, di coraggio, di visione e perfino di parole d’ordine. E viene da dar ragione agli ottimi Rizzo e Stella che, sul Corriere, lamentano una campagna elettorale che non parla del futuro del paese, e neanche si sforza di accennarvi. Non parlando di questo, finisce per non parlar di niente.
Chi è Annamaria Testa - La sua carriera come copywriter pubblicitaria inizia nel 1974. Tra i suoi lavori più noti si possono citare le campagne Passaparola per Perlana, Gioconda per Ferrarelle e Sfrizzola il velopendulo per Golia bianca. Tra il 1983 e il 1996 è presidente e direttore creativo dell'agenzia pubblicitaria TPR, poi Bozell TPR, da lei fondata.
Collabora con diverse testate giornalistiche (è giornalista pubblicista dal 1988) e con la RAI di Angelo Guglielmi), e si occupa di comunicazione politica. È suo il nome "l'Unione" adottato dalla coalizione di centrosinistra nel 2005.
Dal 1996, come consulente, realizza interventi di carattere strategico e progetti di comunicazione per imprese e istituzioni. Nel marzo del 2005 fonda a Milano la società Progetti Nuovi, che si occupa di progetti integrati di comunicazione.
Dal 1989 al 1997 è stata docente al Master dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Ha insegnato Teorie e tecniche della comunicazione creativa in varie Università: dal 1988 all'Università IULM di Milano (facoltà di Scienze della comunicazione); tra il 1994 e il 1995 all'Università La Sapienza di Roma (facoltà di sociologia); tra il 2001 e il 2002 all'Università degli Studi di Milano e all'Università degli Studi di Torino; dal 2007 insegna presso l'Università Bocconi di Milano. Dal 2008 ha messo online Nuovo e Utile, un sito non profit dedicato alla diffusione di teorie e pratiche della creatività.
Poichè glielo chiedono tutti (l'ho fatto anch'io, quando l'ho incontrata la prima volta) Annamaria ci tiene a far sapere che non è una "figlia di": è omonima, non figlia, né parente di Armando Testa. Tafanus
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