Aspiranti "seconde cariche" a confronto: Renato Schifani (avvocato di mafia), e Pietro Grasso (Procuratore Nazionale Antimafia)
Renato Schifani, avvocato di mafia (Di Lirio Abbate e Gianluca Di Feo - l'Espresso)
Nel 1983 Giovanni Bontate, l'uomo più ricco di Cosa Nostra, si affidò a un legale palermitano ancora poco noto. Che lo difese fino alla Cassazione. Era il futuro presidente del Senato, Renato Schifani. Che non l'ha mai rivelato (04 novembre 2010)
Il 4 dicembre 1983 dal carcere dell'Ucciardone parte una raccomandata. E' firmata da Giovanni Bontate, l'uomo più ricco di Cosa nostra, fratello del padrino Stefano che armi alla mano aveva lottato per fermare l'ascesa dei corleonesi ed era stato ucciso su ordine di Totò Riina: l'ultimo esponente della famiglia mafiosa più importante di Palermo. Giovanni Bontate è ancora temuto, ma tutte le sue proprietà - immobili e aziende per un valore di decine di miliardi di lire - sono finite sotto sequestro.
Per questo dalla cella decide di affidarsi a due difensori di fiducia, un penalista e un brillante civilista, Renato Schifani.
L'attuale presidente del Senato all'epoca aveva 33 anni ed era un
giovane avvocato di belle speranze. Di quell'incarico, che segnò il
suo ingresso tra i nomi di rilievo del foro di Palermo, Schifani
non ha mai parlato. Due mesi fa, di fronte alle rivelazioni di
Gaspare Spatuzza che ne hanno determinato l'iscrizione nel registro
degli indagati con l'ipotesi di concorso esterno in associazione
mafiosa, il suo portavoce ha precisato: "La sua pregressa attività
di avvocato è stata sempre improntata al pieno e totale rispetto di
tutte le leggi e di tutte le regole deontologiche proprie
dell'attività forense".
"L'espresso" ha recuperato gli atti di quel
procedimento, in cui come legale di Giovanni Bontate
Schifani ha prodotto corpose memorie difensive, seguendo il
tesoriere di Cosa nostra fino alla Cassazione. L'avvocato non si è
mai occupato delle questioni penali, ma soltanto di contestare il
sequestro dei beni ed impedire che venissero confiscati. Per quasi
cinque anni ha assistito il boss, studiandone le proprietà per
sostenere con minuziosi interventi la legittimità delle sue
ricchezze e soprattutto cercando di dimostrare i limiti
dell'attività degli investigatori [...]
Nella sua memoria difensiva, Schifani sottolinea più volte i
"fondati e sostanziali rilievi di incostituzionalità della legge
Rognoni-La Torre" che inverte l'onere della prova: sono i mafiosi a
dover dimostrare come hanno fatto a guadagnare i loro beni per
evitare che il sequestro divenga confisca. Proprio questo era stato
l'elemento rivoluzionario di quel provvedimento, che aveva
costretto Cosa nostra a riorganizzare l'investimento dei colossali
profitti del narcotraffico sull'asse Palermo-New York dominato dai
Bontate. Fenomeni criminali ampiamente descritti nella
documentazione usata da Schifani nelle udienze per tutelare il suo
assistito, che intanto veniva condannato a nove anni nel
maxiprocesso.
L'attività legale prosegue fino alla Cassazione, cercando di
evitare che lo Stato incamerasse il più grande sequestro di beni
realizzato in quella drammatica stagione segnata dai novecento
morti della guerra di mafia scatenata da Totò Riina. Ma a rendere
superflua l'opera dell'avvocato furono i killer corleonesi: nel
settembre 1988 Giovanni Bontate, agli arresti domiciliari per
motivi di salute, e la moglie vennero assassinati in uno degli
ultimi delitti eccellenti di quella stagione. Automaticamente, con
la loro morte una parte del sequestro venne annullata e altre
misure di prevenzione furono bloccate: case e terreni vennero
riconsegnati agli eredi che ne sono ancora i legittimi proprietari. Un buco nero nella legge Rognoni-La
Torre, nata come provvedimento d'emergenza, cancellava infatti ogni
misura al momento del decesso del boss.
Il maxiprocesso - Nel 1984 ricopre l'incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra (10 febbraio 1986 -10 dicembre 1987), con 475 imputati. Pietro Grasso, a fianco del presidente della corte Alfonso Giordano, è stato estensore della sentenza (oltre 8.000 pagine) che inflisse 19 ergastoli e oltre 2600 anni di reclusione [...]
A Palermo da Procuratore della Repubblica dall'agosto del 1999, sotto la sua direzione, dal 2000 al 2004, sono state arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti, che erano inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso arco di tempo la procura del capoluogo siciliano ha ottenuto 380 ergastoli e centinaia di condanne circa per un totale di migliaia di anni di carcere [...]
L'11 aprile 2006 contribuisce con il suo lavoro, dopo anni d'indagine, alla cattura di Bernardo Provenzano nella masseria di Montagna dei cavalli a Corleone, latitante dal 9 maggio 1963.
Il 18 settembre 2006 la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con il contributo della Procura Nazionale diretta dal procuratore nazionale Grasso, conclude un'indagine durata due anni riguardante l'azione di alcune cosche mafiose di Vibo Valentia, che avevano messo le mani sui villaggi turistici della costa. Le cosche in questione sono La Rosa di Tropea e quella dei Mancuso di Limbadi, che ricavavano ingenti guadagni dal controllo degli appalti per la costruzione e la fornitura dei villaggi vacanze nella zona di Catanzaro. L'operazione Odissea si conclude con 41 procedimenti di custodia cautelare [...]
A partire dal settembre 2012 per Rai Storia Pietro Grasso conduce "Lezioni di Mafia", in 12 puntate: un progetto di educazione alla legalità, dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa Nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dal direttore del TG2 Alberto La Volpe assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci. A vent’anni di distanza, sollecitato in riguardo, Grasso ha accettato di tornare a raccontare ai giovani il fenomeno mafioso. Lezioni di Mafia scava dentro il sistema mafioso e ne restituisce una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nella prima puntata ha spiegato com'è formata la Cupola mafiosa [...]
Confrontare ciò che è stato, con ciò che in teoria avrebbe dovuto essere è una goduria. Quella illustrata è la composizione del Senato uscita dalle urne:
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