Come è noto, io sono da sempre un grande ammiratore di Beppe Grillo. Come comico? Giammai. Il Beppe Grillo comico mi ha sempre fatto ridere molto poco. Ai "tempi suoi", gli preferivo mille volte la comicità triste di un Andreasi, o quella demenziale di Boris Makaresko, e persino quella al caciocavallo di Cochi e Renato. Per non parlare di quella post-moderna di un Crozza in serata di grazia nel ruolo di Ingroia o di Marpionne, o della "figlia del luna-park" (non ne ricordo il nome) che "interpreta" la ragazza di Berlusconi, Francesca Telecafona Pascale. O quella calata nel corpo e nella testa di un Gasparri (Marcoré): lo ascolti, e ti chiedi se sia più cretino il Gasparri impersonato da Marcoré, o il Gasparri interpretato da Gasparri...
No, mi piace, lo adoro, il Grillo Politico Statista. Mi piace come politico? Tutti sanno che è vero il contrario. Mi piace come comico. Perchè il Grillo statista è finalmente un comico "finito" In tutti i sensi. Compiuto, o arrivato alla frutta. Ognuno scelga il suo.
Oggi non ho voglia e tempo di fare una seria analisi semiologica sulle grillostronzate. Pigrizia, impegni familiari improvvisi, e nel tempo libero guarderò un po' di Roland Garros (pioggia permettendo). Quindi rubo due brevi post a Marco Bracconi, scritti il 27 e il 30 maggio. Vanno letti di seguito, per capire il disfacimento cerebrale di un ex se-credente comico, attualmente sedicente politico. In questi due post c'è la summa del Grillo "policomico", la nullità del suo pensiero, la prova che non tutti invecchiano bene. Problema di patrimonio genetico... Il personaggio che esce fuori da questi due post non è nuovo, ma ha il pregio della sintesi.
Ciò che emerge non è una condanna di Grillo. Non si può condannare il nulla. E' una condanna di quel popolo bue che ancora pensa di portare a casa la soluzione dei suoi problemi votando per i demagoghi di turno, per associazioni a delinquere in grisaglia grigia, per cincinnati che non tornano nel campicello, per magistrati che parlano l'italiano di Crozza, ma vengono assegnati a funzioni internazionali, alle quali si dedicano per 48 ore, prima di rendersi conto (loro e chi ce li ha mandati) che sono personaggi che hanno bisogno, in contesti internazionali, della doppia simultanea: siculo-italiano, e quindi italiamo-inglese.
Come Petrolini, non ce l'ho col pirla che fa casino sul loggione. Ce l'ho "con quegli stronzi che non lo buttano dabasso". Ce l'ho con quegli "otto milioni di marionette" che dopo averci inflitto Mussolini per vent'anni, ci hanno inflitto il Puttaniere di Arcore per 19 anni, e adesso hanno tentato di infliggerci un apriscatole per un altro ventennio. Operazione fallita. O, almeno, lo spero. Forse "5 milioni di marionette" stanno ritrovando il senno. Forse. Tafanus
Utilità a 5 Stelle (di Marco Bracconi - 27 Maggio)
“Questi qui sono fuori dalla realtà, si devono arrendere, sono circondati e devono andare tutti a casa, promettiamo che se lo faranno di loro spontanea volontà non useremo violenza ma li accompagneremo gentilmente alla porta, sono banditi che continuano ad usurpare il potere, golpisti e ladri senza più seguito, per loro è finita, non esistono più, lo tsunami sta arrivando, e i morti viventi Pd e Pdmenoelle li spazzeremo via, tutti senza distinzione”.
Dall’alto del 14% di voti conquistati nella capitale, Beppe Grillo comincia a sperimentare sulla sua pelle la differenza tra fare una rivoluzione e fare politica.
La rivoluzione non ammette piani B. E’ tutto o niente. Nessuna alleanza, nessun dialogo, nessun compromesso. A noi il 100% e non ci fermeremo finché non ci arriveremo. E il resto del mondo è uno schifo uno zombie e una zozzeria.
La politica prevede invece per definizione compromesso, raggiungimento di obiettivi concreti, sensibilità ai mutamenti della realtà, elasticità nell’adattare i principi al realismo.
La rivoluzione ha poco tempo. Matura in silenzio, negli anni, e quando si rivela si afferma improvvisa, la sua onda d’urto abbatte tutto cio’ che trova e vince. Qui e ora. Non c’è un primo e un secondo tempo.
La politica invece vive nel tempo. Conosce le battute d’arresto, ragiona anche sul breve e sul medio, fa convivere nel suo progetto l’obiettivo contingente e la prospettiva di lungo periodo.
Se Beppe Grillo non cambia musica, finisce che ad andare a casa sarà lui. Ma è difficile cambiare musica quando si ha un solo spartito da ripetere ad libitum.
Il loop grillino piace da morire ai militanti e ad alcuni milioni di elettori. E piacerà ancora. Ma il bacino del consenso resta chiuso nel suo recinto di inutile e presunta purezza. Quando non cala.
Con qualche centinaio di migliaia di attivisti certificati, e il 20% dei voti, al massimo fai colore. Ma non la cambi l’Italia. Soprattutto quando tre mesi prima avevi una occasione forse irripetibile per cominciare a cambiarla, e hai preferito giocare a fare Narciso e la rivoluzione.
Perché l’Italia è un paese popolato da elettori volatili, infantili, viziati e frettolosi. Se gli prometti la luna, almeno qualche stella gliela devi dare. E presto. Altrimenti passa qualche mese ed è subito pronta a girarsi da qualche altra parte. Buttandosi in braccio al nuovo pifferaio, o a quello di prima.
Il Movimento Cinque Stelle è una realtà importante, forte e per alcuni aspetti anche positiva. Ma – azzardo una previsione – non solo non avrà mai il 100%, come preconizza il suo guru, ma nemmeno la maggioranza dei voti per governare il Paese da solo.
Per questo, se non cambia musica e si mette a fare politica, sarà tanto grosso quanto completamente, e tristemente, inutile.
Stefano Rodotà Milena Gabanelli
Vaffanculo a Rodotà (di Marco Bracconi - 30 Maggio 2013)
Un mese e mezzo fa Rodotà era il miglior presidente della Repubblica possibile. Oggi è un vecchio “miracolato dal web”. Un mese fa Milena Gabanelli era una giornalista dalla schiena dritta, oggi è una delle tante che lavorano in Rai e “non sono libere”.
Se stai con me sei nuovo, giovane e onesto. Se dici male di me finisci all’indice e diventi vecchio, antico e truffaldino. Vale per tutti. Giuristi, giornalisti, politici, cantanti, parlamentari, filosofi e filmaker.
O me o loro, insomma. Dove loro sono tutti quelli che non sono me. Perché se parlano bene di me io perdono, adulo e promuovo. Ma se mi criticano giudico, punisco e scomunico.
Chi dice che Beppe Grillo ha perso la testa sbaglia di grosso. Il tic totalitario del comico fattosi guru è origine, e non sviluppo, del suo fare politica. L’intrinseca scarsa abitudine alla democrazia è un tratto culturale fondante della sua sintassi retorica. E’ un linguaggio che si fa sostanza. Ambiguamente declinandosi in modalità satiriche. Un vocabolario che dissimula la sua vera natura, si trasmette al cerchio magico degli attivisti e come uno tsunami in retromarcia vanifica ogni speranza dei tanti che hanno votato Cinque Stelle.
E’ l’ennesima prova che nel Movimento uno non vale uno. Perché il capo vale certamente meno, molto meno, di tanti altri.
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