Parte Prima: Rodotà? Il miglior candidato possibile
Il 18 aprile scorso, il capogruppo al Senato del Movimento Cinque Svastiche Vito Crimi, nell'annunciare l'esito delle "quirinarie" (ma che termine imbecille...) sul candidato al Colle dei grillini diceva: «Rodotà è un candidato di altissimo profilo, non è solo il candidato del movimento cinque stelle ma può essere votato da tutti. Non abbiamo ricevuto una sola indicazione o motivo per pensare che Rodotà non sia un buon presidente. Sarebbe il miglior presidente possibile».
Questo il video di Crimi che elogia Rodotà "permette" (anzi, "consiglia) ai parlamentari grillacei di votare Rodotà:
Parte seconda: Rodotà? "un ottuagenario miracolato dal web" (Fonte: AGI)
"Sono usciti dalle cantine e dai freezer dopo vent'anni di batoste e di vergogne infinite del loro partito, che si chiami pdmenoelle o Sel, non c'e' differenza", aggiunge Grillo. Qui arriva il passaggio, in cui non si fanno nomi ma dalla facile contestualizzazione: "In prima fila persino, con mio sincero stupore, un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi a cui auguriamo una grande carriera e di rifondare la sinistra".
Niente nomi, ma basta sfogliare i giornali di oggi per leggere sul Corriere della Sera l'intervista in cui Stefano Rodota' dice 'Beppe sbaglia. Non bastano piu' le sue dichiarazioni. Ha perso. Dare la colpa agli elettori e' una spiegazione che non spiega". "Avevo detto che la parlamentarizzazione dei Cinque stelle non sarebbe stata indolore - ha aggiunto Rodota' - E cosi' e' stato. Serve un cambiamento di passo. La rete da sola non basta, non e' mai bastata".
Insomma, secondo Rodota' Grillo e Casaleggio devono rendersi conto che siamo entrati in una fase nuova e quello che ha determinato il successo non e' ingrediente che puo' essere replicato all'infinito".
Non solo Rodota', ma anche l'"amore" con Milena Gabanelli (candidata da Grillo alla Presidenza della Repubblica) e' sfumato nel giro di pochi giorni. Tutta colpa della trasmissione 'Report' e della sua inchiesta sulla gestione dei fondi di Casaleggio & Associati. Ma al duo Grillo-Casaleggio quella puntata non e' proprio andata giu'. La diatriba e' infatti finita in Tribunale: il comico genovese ha querelato la "sua" candidata al Quirinale.
Passaggi dell'intervista di Rodotà a "l'Unità" (Fonte: l'Unità)
Dunque, altro che «ottuagenario miracolato dalla rete», come inveisce il comico genovese, al quale lo studioso replica con fermezza e senza astio. Quella di Rodotà è un’analisi lucida, che parte da lontano.
A tre decenni dalle diatribe sulla Grande Riforma, tornano i temi del presidenzialismo e del premierato. Con accuse di conservatorismo a chi vi si oppone. Anche lei è conservatore?
«Si è soliti contrapporre conservatori e riformatori a riguardo. Ma nel mezzo c’è molto di più: dal tema del bicameralismo, ai regolamenti, al numero dei parlamentari, ai poteri del premier. Sui principi costituzionali mi iscrivo di buon grado fra conservatori, ma senza rinunciare all’innovazione, sui punti elencati. Perché un conto è la doverosa manutenzione della nostra Costituzione. Altro il suo stravolgimento su basi presidenziali o semi. Non è vero che il premier oggi non abbia poteri, come dice Berlusconi. Tutt’altro. Semmai il problema è quello dei colpi di mano sulle regole. Favoriti da maggioritarismo e Porcellum, che hanno travolto le garanzie sul 138 e sull’elezione presidenziale vigenti in era proporzionale».
Perché tornano le pulsioni decisioniste?
«Intanto i famigerati anni 70, accusati di vischiosità, furono i più proficui in senso riformista. Dalle Regioni, allo statuto dei lavoratori, al divorzio. Invece gli anni 80, “decisionisti”, furono sterili e fatti di debito pubblico. Il punto è stata la crisi della politica. Sicché una politica lottizzatrice - pigra e svuotata dinanzi al mutamento sociale anni 80 - ha finito con lo scaricare le sue colpe sulle istituzioni e sulla loro forma, invece di ripensare le “sue” forme. Si è celebrata l’alternanza come panacea. Per cui nell’era del bipolarismo tutto si sarebbe rinnovato e alternato, mutando le classi dirigenti. Risultati: aumento della corruzione, instabilità, paralisi. E una politica colonizzata da avventure populiste».
Alla base dell’«ingovernabilità» e delle larghe intese vi sarebbe l’ossessione maggioritaria?
«Sì, è stato il nostro sistema maggioritario a far crescere il populismo e il bipolarismo selvatico, con ciò che ne è seguito. A partire dal Mattarellum...».
Ma esisteva un’altra strada dopo Tangentopoli?
«Certo, e ho cercato di perseguirla in minoranza. Con la Sinistra indipendente, e contro le impostazioni di Segni e Gianfranco Pasquino. Mi sono battuto in tal senso, al referendum del 1993 contro il maggioritario. Il mio modello? Modello tedesco: metà collegi uninominali, e metà proporzionale. E poi: sbarramento, Camere diversificate, poteri del premier e sfiducia costruttiva. Infine, regolamenti, velocizzazione legislativa, poteri del “Cancelliere”. La mia posizione resta questa, sebbene sia stata sconfitta dall’egemonia di un altro senso comune, e con gli effetti che vediamo...».
Veniamo al semipresidenzialismo, che torna a circolare anche nel Pd. Il suo giudizio?
«Tecnicamente ha molte controindicazioni. Dalla cosiddetta monarchia repubblicana ai conflitti della coabitazione. Ma la questione non è tecnica o astratta. In Francia - dove si è imposto tra crisi algerina e ambizioni nazionali - ha retto, perché lì c’è una lealtà repubblicana condivisa. Nel contesto italiano di contro, i rischi sono enormi, perché non c’è delimitazione verso l’estrema destra, e il sistema potrebbe risultare catastrofico e divisivo. Oltralpe anche la sinistra ha votato Chirac, e non Le Pen. E se lo immagina un ballotaggio finale tra Berlusconi e Grillo?».
Conseguenze nefaste anche per la politica, risucchiata a quel punto tutta dentro la figura del decisore eletto dal popolo?
«Certo, per la politica e per i partiti. La subordinazione sarebbe fatale, e ne verrebbe travolta la funzione di garanzia del Presidente, cardine del nostro ordinamento parlamentare. Inficiata anche la norma che definisce immodificabile la forma repubblicana dello Stato, che fa corpo con la Repubblica parlamentare. Con danni e conflitti irreparabili. E devo dare atto a Bersani di questo: è stato sconfitto, ma ha mantenuto una posizione fermamente avversa alla personalizzazione della politica. Che è all’origine dei mali di cui parliamo».
E Grillo, negatore di libertà di mandato e democrazia delegata, non è dentro questi mali? E ancora: è deluso degli attacchi alla sua persona?
«Ho ringraziato Grillo per la sua “designazione”. Dopo avergli anche detto che, dinanzi alla canditura di Prodi, facevo un passo indietro. Poi sono andato a discutere con il suo gruppo alla Camera della democrazia parlamentare. E dissi: “Siete in parlamento, volete gettare al vento la libertà dei singoli in nome del portavoce?” Registrai consensi e dissensi. Ma la questione resta aperta, e andrà avanti lì dentro. Gli insulti? Inaccettabili, visto il mio tentativo di offrire un contributo. Lascio a ciascuno la sua libertà di giudizio, nel rispetto degli altri. Quel che mi sta a cuore è la coerenza delle mie idee. Agli attacchi sono abituato».
Agenda istituzionale di questo governo. Corretta? Confusa? Migliorabile?
«Occorre invertire priorità e strumenti. Prima ci vuole la legge elettorale: abolizione del Porcellum, magari anche con un nuovo Mattarellum. Per sottrarre a Berlusconi un’arma di ricatto, allungare eventualmente i tempi di questo governo e inserire altri temi nell’agenda, a partire dai diritti civili. Poi, per via ordinaria - senza comitati e commissioni - si potrà affrontare la riforma istituzionale. Ma senza stravolgimenti della forma parlamentare. E, auspicabilmente, nel solco di un sistema alla tedesca anche per quel che riguarda i rami alti».
Abbiamo evocato i partiti, corpi intermedi decisivi nella nostra Costituzione. La fine del finanziamento rischia di ucciderli?
«Viviamo sotto una spinta generalizzata anti-casta, anche per l’uso distorto delle risorse da parte del ceto politico- amministrativo. Ma rischia di farne le spese la democrazia, che senza partiti non esiste. Rischiamo un’americanizzazione della politica, dove il peso delle lobby e del denaro è preminente. Non possiamo rinunciare al ruolo di forti soggettività di massa organizzate, in grado di mediare il nesso tra Parlamento e società. Ruolo non esclusivo certo, perché essenziali sono anche i momenti referendari, la rete, le associazioni e i movimenti civici. Ma senza partiti la democrazia si estingue, a beneficio dei ricchi e dei potenti».
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