Dieci mesi e mezzo ai domiciliari. Senza Previti, Dell'Utri e bunga-bunga. Oppure i servizi sociali. Ecco come l'ex cavaliere sconterà la pena (di Paolo Biondani - l'Espresso)
Sarà il detenuto più libero del mondo, ma con ogni probabilità dovrà rassegnarsi a rinunciare a certe frequentazioni. Addio a vecchi amici come Cesare Previti o Marcello Dell'Utri. E addio a Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti, Ruby Rubacuori e all'intera carovana di ragazze eleganti ma bisognose che allietavano le notti di bunga-bunga del miliardario di Arcore.
Bei tempi, quando Silvio Berlusconi era ancora un intoccabile capo del governo e la sua maggioranza Pdl-Lega poteva cambiare leggi, abolire reati, azzerare prove, inventare scudi, rinviare processi e fargli guadagnare tante meritate prescrizioni. Dal primo agosto 2013, da quando cinque alti magistrati della Cassazione hanno osato mettere il timbro definitivo sulla sua prima condanna - per una maxi-frode fiscale da 368 milioni di dollari, rimasta punibile solo per gli ultimi 7,3 milioni proprio grazie alle leggi dell'era berlusconiana - per il leader del centrodestra è finita un'epoca. Da quel giorno, l'emergenza-giustizia non è più solo uno slogan elettorale: è una realtà.
Una vera pena. Quella considerata giusta in tutti e tre i gradi del processo Mediaset, con un risultato finale di undici giudici a favore dell'accusa e zero contrari, è una condanna a quattro anni di reclusione, stampati però solo sulla carta. Tre anni, infatti, sono cancellati in partenza da quella legge sull'indulto, approvata nel 2006 in un clima profetico di larghe intese, che ebbe l'increscioso effetto di far risalire i tassi di criminalità violenta, ma che oggi si rivela provvidenziale per Berlusconi in persona. Il problema è l'anno di pena residua, che il condannato dovrà in qualche modo scontare, a meno di una grazia presidenziale, che però lo stesso interessato, visti i paletti legali indicati da Napolitano, ora fa sapere di non aver mai pensato di chiedere. Salvo colpi di scena politici, dunque, nel futuro di Berlusconi c'è una vita da pregiudicato. E un autunno caldo, con molte variabili.
L'unica certezza, per ora, è che il condannato per frode fiscale non entrerà in carcere, come ha dovuto chiarire il procuratore capo di Milano, la presunta toga rossa Edmondo Bruti Liberati. Tutto il resto è da decidere: come, dove e quando Berlusconi potrà scontare quei dodici mesi, destinati a scendere a dieci e mezzo con la liberazione anticipata per buona condotta, lo si dovrebbe capire tra ottobre e novembre. Fino al 15 settembre, infatti, il caso umano è congelato dalla sospensione feriale dei termini. Poi scatta un conto alla rovescia: Berlusconi ha tempo fino al 15 ottobre per chiedere "l'affidamento ai servizi sociali". Una "misura alternativa" che per gli oltre 60 mila carcerati d'Italia è un sogno: il condannato resta libero, deve solo impiegare alcune ore alla settimana in lavori socialmente utili, ad esempio in una comunità antidroga come fece l'altro miliardario pregiudicato Salvatore Ligresti.
In tutte le restanti ore e giorni, "l'affidato" è tenuto solo a rispettare alcuni obblighi fissati dal tribunale di sorveglianza, dopo aver sentito la sua difesa. La legge si limita a indicare i principi generali, per cui è impossibile prevedere cosa verrà deciso in concreto nell'apposita udienza: ogni condannato fa storia a sé. Ma per quanto larga possa essere la manica dei giudici, gli esperti di diritto considerano inevitabili alcuni vincoli: niente viaggi all'estero né aerei privati, ad esempio. La legge impone anche di segnalare ai giudici "la residenza, il luogo di lavoro, i mezzi di trasporto e gli spostamenti in Italia". La notte, di norma, vige una sorta di coprifuoco: dalle 23 alle 7 il pregiudicato resta a casa, per ridurre il pericolo di fughe. Il tribunale però può liberalizzare le uscite e le trasferte anche in più regioni, ad esempio da Milano a Roma.
Ma di regola è proibito incontrare altri pregiudicati. (quindi il pregiudicato Berlusconi dovrà rinunciare a moltissimi suoi frequentatori abituali. NdR) Un vincolo che ha una logica giuridica: evitare rischi di "ricaduta nel reato". Il dramma, nel caso di Berlusconi, è che sono pregiudicati alcuni dei suoi migliori amici, manager, consiglieri e alleati politici: da Previti a Dell'Utri, da Salvatore Sciascia a Massimo Maria Berruti, dall'ex ministro Aldo Brancher all'onorevole Umberto Bossi. Un'altra clausola standard è il divieto di frequentare locali malfamati o persone "dedite alla prostituzione": difficile che il tribunale se ne scordi, visto che proprio in autunno sono attese le motivazioni della condanna in primo grado a sette anni per il caso Ruby.
Entro questi limiti, l'affidato ha piena libertà di comunicare, lavorare, divertirsi, fare politica, gestire proprietà ed aziende. E quando l'affidamento è finito, cessa "ogni altro effetto penale", compresa, secondo una scuola di pensiero, la temuta incandidabilità alle elezioni. Ma allora l'annunciato rifiuto dell'affidamento è solo pre-tattica politica? Probabilmente no. Il vero difetto è inquadrato dall'articolo 47 della "legge sull'ordinamento penitenziario": l'affidamento è "in prova". Il condannato va controllato dai servizi sociali, che gli fanno una specie di esame con relazione finale ai giudici. Il guaio è che la legge impone agli assistenti sociali di verificare "l'effettiva rieducazione del reo": l'affidato deve mostrare di aver capito la "gravità del reato commesso", "adoperarsi in favore delle vittime", fare "una revisione critica" e impegnarsi a cambiare vita.
Negare il reato dopo una condanna definitiva, magari dichiarandosi perseguitato da schiere di giudici comunisti, insomma, rischierebbe di portare l'illustre pregiudicato a una sonora bocciatura all'esame di rieducazione. Con effetti disastrosi: se fallisce la prova, cessa la sospensione e il condannato va in galera. Un pericolo aggravato da considerazioni statistiche: a Milano Berlusconi avrebbe forti probabilità di trovarsi in balia di un'assistente donna, di sinistra o addiritura grillina. E a vigilare sulla sua vita da pregiudicato saranno un pm di ferro come Ferdinando Pomarici e un giudice di sorveglianza, Beatrice Crosti, che è felicemente sposata con un altro magistrato della procura di Milano.
In conclusione il toto-Silvio, che sta diventando il gioco dell'estate tra gli appassionati di legge, porta dritti alla soluzione B: dieci mesi e mezzo di detenzione domiciliare. In apparenza è meno favorevole dell'affidamento, ma qui non ci sono prove d'esame: basta non evadere, o almeno chiedere il permesso. La residenza di Arcore, una favolosa villa d'epoca di circa 3.500 metri quadrati con svariati ettari di parco, di prigione ha molto poco: tra casa e "pertinenze", Berlusconi avrebbe da solo più spazio vitale dell'intero popolo dei detenuti italiani, ammassati in celle con meno di tre metri quadrati a persona. E potrebbe sempre chiedere di trasferirsi in una delle altre sue residenze sparse tra Milano e Roma. Del resto il fratello Paolo, nell'estate '94, riuscì a ottenere i domiciliari in una villa esclusiva in Sardegna.
Certo, la detenzione in casa limiterebbe la libertà di movimento e comunicazione: la legge ha pur sempre come modello gli arresti domiciliari. I giuristi però insegnano che quella misura protegge indagini in corso, mentre qui il processo è finito, c'è solo da rieducare il condannato, per cui i giudici tendono a largheggiare: tutte le comunicazioni e gli incontri motivati da ragioni di lavoro, cura di aziende e proprietà, affetti e a maggior ragione da esigenze politiche di portata nazionale, non vengono vietati, ma in molti casi incoraggiati. E così, mentre brilla l'aureola elettorale di prigioniero perseguitato, Berlusconi potrebbe non solo continuare a dirigere il partito e controllare le sue televisioni, ma anche farsi autorizzare interviste politiche a reti unificate per entrare nelle case di tutti gli italiani, giudici compresi.
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