Recensione del film "Lo sconosciuto del lago" - (Di Angela Laugier)
Titolo originale: L’inconnu du lac
Regia: Alain Guiraudie
Principali interpreti: Pierre de Ladonchamps, Christophe Paou, Patrick d’Assumçao, Jerome Chappatte – 97 min – Francia 2013
Il film si svolge in uno scenario quasi arcadico: un lago appena increspato dal vento leggero, le colline intorno, una piccola spiaggia delimitata da un bosco, il “locus amoenus” (nel senso etimologico letterale di “privo di mura“, cioè luogo della libertà) di tanta letteratura classica, oasi serena, dove gli eroi antichi placavano le tensioni e le paure, nell’idillio della natura amica. In realtà, però, a ben guardare quelle colline sono un po’ troppo scure; il bosco un po’ troppo fitto; le increspature del lago diventano spesso onde vere e proprie, mentre il vento, che sembrava una brezza leggera, agita le chiome degli alti pioppi, e nuvole sempre più nere offuscano il cielo azzurro o il tramonto dorato, cosicché il paesaggio assume aspetti assai inquietanti e minacciosi. Allo stesso modo, i bellissimi giovani che, nudi, si godono il sole sulla piccola spiaggia e sembrano usciti dalle sculture di Mirone o di Lisippo, tanto sono perfetti i loro corpi, celano dentro di sé oscure pulsioni, che non sono affatto riferibili alle loro scelte omosessuali, ma alla coercizione profonda che li porta a frequentare quotidianamente quello stesso luogo per “rimorchiare”, come dicono loro, vale a dire per trovare, negli occasionali incontri che lì avvengono, quel piacere intenso, ma poco duraturo, che non rassomiglia all’amore al quale, però, alcuni di essi aspirerebbero. Il film dunque affronta il tema della dipendenza dal sesso (e sotto questo aspetto ricorda Shame) in un luogo solo in apparenza propizio all’amore: luogo chiuso e delimitato circolarmente, emblema dell’eterno ritorno di gesti e comportamenti che rispondono a una logica ossessivamente ripetitiva, elemento di contraddizione per quanti vorrebbero superare la solitudine, ricercando, oltre al piacere sessuale, la comprensione profonda, la tenera complicità e anche l’amicizia, presenti in ogni amore vero. Questa è l’aspirazione di Henri, uomo solitario e non più giovanissimo, che su questa spiaggia cerca l’amico con cui confidarsi, dopo che, per l’affievolirsi del proprio desiderio sessuale, è stato abbandonato dalla moglie; questo il desiderio di Frank, attratto irresistibilmente dall’affascinante e tenebroso Michel, amante bellissimo e perfetto, ma fermamente deciso a tenere separata la propria vita privata, che vuole riservare solo a sé, dall’attrazione per lui, partner occasionale. Questo avrebbe voluto probabilmente anche il giovane che Michel aveva prima amato e poi ucciso, liberandosene. L’acqua, elemento sempre presente nei luoghi ameni della cultura classica, lascia qui affiorare dalle sue torbide profondità il cadavere di questo povero ragazzo, rivelando la fallacia della sua originaria simbologia (luogo della vita, elemento purificatore e salvifico); il bosco, che con le sue fronde offriva discreta protezione al consumarsi dei riti d’amore, è ora luogo di trappole insidiose, in cui un lupo cattivo si aggira per catturare le sue prede mentre le colline sul fondo sono un vero e proprio muro circolare, invalicabile e necessario sfondo del ripetersi di riti e comportamenti rischiosi, scenario di morte al quale non si sfugge.
Il film, che viene condotto con molta abilità come un thriller teso e suggestivo, ha ottenuto a Cannes, quest’anno, il Premio per la miglior regia nella sezione Un certain regard, ma è stato seguito da una scia di polemiche, sia per le numerose scene esplicite di sesso omosessuale, sia per la diffusa presenza del nudo integrale maschile, elementi che difficilmente trovano spazio nel cinema non pornografico. Mi pare, però, che l’opera, nata da una originale ispirazione e ricca di citazioni cinefile, sia di indiscutibile bellezza e di grande qualità culturale e che, pertanto, lo scandalo dei benpensanti vada ignorato. Curiosa la riluttanza di molti maschi a vedere questo film.
Angela Laugier
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