Cooperative, società nate per l'occasione, ma anche colossi
industriali del Nord e multinazionali: ecco chi c'è dietro ai Cara, le
strutture dove finiscono i migranti in attesa di asilo. Alcune sono vere
e proprie bombe a orologeria, ma nessuno sembra farci caso (Fonte: inchieste.repubblica.it)
ROMA - Il Cspa di contrada Imbriacola,
quello dove finiscono i migranti appena sbarcati a Lampedusa, è solo il
primo anello del sistema italiano di accoglienza. Nel resto del Paese la
situazione è altrettanto grave, come dimostrano gli scontri di Mineo.
Un mare di soldi si muove sopra le teste dei richiedenti asilo. Eppure i
migranti continuano a vivere in condizioni indegne. I Centri di
accoglienza per richiedenti asilo (Cara) sono fabbriche di posti di
lavoro in territori in cui la disoccupazione era la regola già prima
della crisi. Gli operatori possono essere persone che lavorano con
impegno e con passione. Ma la loro azione da sola è inutile quando è
tutto l'ingranaggio che non gira.
Lampedusa. Nascosto
in una depressione nel terreno, una sorta di grossa buca in mezzo a
colline basse e brulle, il Centro di soccorso e prima accoglienza di
contrada Imbriacola è un'infilata di casermoni bianchi al cui interno si
trovano gli stanzoni con i letti a castello. Si dorme in 24 per camera e
i corridoi sono simili a pantani per l'acqua che fuoriesce dai bagni.
Le donne e i minori sono nel primo blocco all'ingresso, separati dagli
uomini da un cancello interno che oggi è aperto. Due anni fa dietro
quell'inferriata c'era "il gabbio", una zona off limits dove stavano
rinchiusi tutti i tunisini maschi sbarcati a Lampedusa. Era un'area di
detenzione rafforzata, senza possibilità di accesso a cure e assistenza.
Sono ancora visibili i segni della rabbia covata lì dentro. L'ultimo
edificio in fondo è uno scheletro di lamiere bruciate e contorte.
Un'altra palazzina è molto danneggiata. Non sono stati rimessi in
funzione dopo la rivolta e l'incendio del settembre 2011 che portò alla
fuga di massa dal centro e agli scontri con i lampedusani.
Una strage sfiorata. In
contrada Imbriacola si sfiorò la strage. Anche allora il centro era
sovraffollato. I disabili furono salvati a braccia, mentre tutti gli
altri ospiti fuggivano alla rinfusa in ogni direzione, con le fiamme
alle spalle che divoravano velocemente tre edifici. In quell'incendio è
bruciato il "modello Lampedusa". Un sistema di accoglienza portato come
esempio nel mondo, che prevedeva l'assistenza sull'isola per rifocillare
e identificare le persone nelle prime 72 ore e poi il trasferimento
rapido nei piccoli comuni, come a Riace in provincia di Reggio
Calabria. Da allora la capienza del Cspa è stata ridotta da 800 posti a
250. Forse una scelta politica per non concentrare sull'isola un numero
eccessivo di migranti. Ma la struttura continua a ospitare naufraghi in
sovrannumero.
1300 persone in 250 posti.
Quest'anno si è toccata la cifra di 1300 che vuol dire oltre cinque
volte i posti disponibili. Questo significa dormire accampati sotto gli
alberi anche per settimane. Il motivo per cui i trasferimenti non sono
rapidi è che tutti i centri governativi, i Centri accoglienza per i
richiedenti asilo, sono pieni. I più colpiti sono i bambini. Degli oltre
35mila salvati dal mare nel 2013, almeno seimila sono minori, molti
neonati. Save the Children denuncia le condizioni igieniche "disastrose"
e che i bambini sopravvissuti al naufragio hanno vissuto per oltre una
settimana "in condizioni indecenti all'interno del Cpsa di Lampedusa, in
promiscuità con gli adulti e respirando un clima di tensione e
disperazione".
Chi gestisce. Lampedusa
Accoglienza gestisce il Cspa dall'apertura nel 2007 e riferisce che dal
centro sono passate in sei anni centomila persone. La struttura fa
lavorare 60 operatori con un appalto fino al 2015 del valore di
8.212.500 euro, iva esclusa, per tre anni. Ma la cifra inganna perché è
tarata su un budget di circa 30 euro al giorno a migrante per il numero
ufficiale dei posti. In media le presenze sono il doppio, spesso il
triplo. Quindi la somma è destinata a lievitare. Lampedusa Accoglienza
fa parte del consorzio di cooperative sociali Sisifo, che in questo
momento gestisce anche il Cspa di Cagliari Elmas, il Cara di Mineo, in
provincia di Catania, e ha vinto l'appalto per il Cara di Foggia di 663
posti per un valore triennale di oltre 20 milioni di euro. Ma in
quest'ultima struttura Sisifo ancora non è subentrato nella gestione
perché i concorrenti Auxilium e Gepsa hanno fatto ricorso.
Catania. Il
Cara di Mineo è il simbolo delle politiche dell'emergenza, un lascito
del governo Berlusconi. Il "Villaggio degli aranci" fu requisito nella
primavera del 2011, quando se ne erano appena andati gli affittuari, i
militari americani della base di Sigonella. Villette color pastello in
mezzo alla campagna catanese che rischiavano di restare sfitte.
L'Emergenza Nord Africa, dichiarata ad aprile, è stata provvidenziale
per i proprietari, la ditta Pizzarotti di Parma. Molto meno per i
richiedenti asilo di tutta Italia che furono trasferiti di forza a Mineo
e videro i tempi per avere risposta alla domanda di protezione
internazionale allungarsi anche di un anno. L'Alto commissariato Onu per
i rifugiati e il Consiglio italiano per i rifugiati si opposero invano.
Mineo ha ufficialmente 2000 posti. Attualmente alloggia quasi 4.000
persone. Impossibile verificare con i nostri occhi la situazione perché
la prefettura di Catania non ha mai risposto in tre mesi alle nostre
ripetute richieste di autorizzazione.
La bomba a orologeria. L'allarme
sulla situazione ingestibile del Cara di Mineo è stata lanciata
ripetutamente. Il direttore del Cir Christopher Hein l'ha detto ai
nostri microfoni. Borderline Sicilia, già da mesi afferma nei suoi
report che il centro è "una bomba a orologeria pronta in ogni momento ad
esplodere, un modello di accoglienza sbagliato, caratterizzato da
ghettizzazione, isolamento e gigantismo". Depressione, isolamento e 7
tentati suicidi aveva riscontrato Medici senza frontiere a pochi mesi
dall'apertura del Cara di Mineo. Aborti dovuti a prostituzione forzata
delle donne nigeriane sono emersi dalle denunce dei medici dell'ospedale
di Caltagirone. Un rifugiato ventenne del Mali è ricoverato da un anno e
mezzo presso l'Unità spinale unipolare dell'ospedale Cannizzaro di
Catania e resterà sulla sedia a rotelle, a causa di un'aggressione
avvenuta durante una rissa nel centro. A luglio scorso un nigeriano ha
rischiato la morte in un pestaggio. Continue sono le proteste dei
migranti che bloccano la strada Catania-Gela per chiedere un esame più
rapido delle loro domande d'asilo. La rivolta del 22 ottobre è solo
l'ultimo grave episodio. Difficile documentare la situazione. Non solo i
migranti aggrediscono i cameraman. A giugno scorso il giornalista
siciliano Gianfranco Polizzi è stato bloccato dai poliziotti che gli
hanno buttato a terra la telecamera, trattenendolo e minacciandolo,
mentre cercava di riprendere una di queste rivolte.
Il grande affare. Gigante
è anche l'affare che c'è dietro. È l'unico centro dato in gestione
senza la gara d'appalto al ribasso (su base d'asta a meno di 30 euro)
come gli altri gestiti dal Viminale, questo grazie allo stato di
emergenza prorogato nel 2012 nonostante il numero di arrivi di profughi
dal mare l'anno scorso sia stato più basso, poco più di 13mila. Soggetto
attuatore per la gestione del Cara di Mineo era ancora l'allora
presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione (Pdl), oggi
sottosegretario alle Politiche Agricole. Gli ultimi appalti sono andati a
un Raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) in cui cooperative della
Legacoop si trovano in affari con imprese legate a Comunione e
Liberazione. La gestione è stata confermata anche ora che il soggetto
attuatore è diventato il consorzio dei comuni "Calatino Terra di
Accoglienza".
Inchieste e prescrizioni. Il
raggruppamento è guidato da Sisifo, aderente a Legacoop, e ne fanno
parte il Consorzio Sol Calatino, Senis Hospes e la Cascina Global
Service, potenza economica vicina ai ciellini, la Croce Rossa, il
consorzio Casa della Solidarietà e la Pizzarotti spa. Senis Hospes di
Senise (Pz) ha come presidente Camillo Aceto, che quando era
vicepresidente di Cascina è stato imputato in un processo a Bari sul
servizio di pasti delle mense ospedaliere e scolastiche per i reati di
falsi e frode nelle forniture pubbliche. Tre anni fa in primo grado il
reato è stato prescritto. Casa della Solidarietà è invece legata
all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Trifone e a
Domus Caritatis. Il nome di quest'ultima è saltato fuori nella vicenda
del cosiddetto "scandalo sui profughi dell'emergenza Nord Africa" messo
in luce da un rapporto di Save the children. L'accusa era che i centri
per minori non accompagnati venivano riempiti da adulti fatti passare
per minorenni al fine di percepire un'indennità quasi doppia dallo
Stato.
Quasi 140mila euro al giorno. Dal primo
gennaio 2013 nella gestione del Cara di Mineo è entrata anche la
proprietà dell'immobile che non è più requisito. Dell'Rti fa parte la
ditta emiliana Pizzarotti che mette a disposizione il Villaggio degli
aranci e prende la diaria pagata dal ministero dell'Interno. L'indennità
statale è di 34,60 euro al giorno a richiedente asilo. Moltiplicata per
4mila presenze (quelle attuali) frutterebbe 138.400 euro al giorno, per
un anno la cifra sfiora i 50 milioni di euro, pari a oltre 4 milioni al
mese. "Ma allo Stato conviene perché è tutto compreso, non deve pagare
né l'affitto dell'immobile né le utenze", secondo Roberto Roccuzzo,
amministratore delegato del Cara di Mineo, contattato da Repubblica.it.
Solo la bolletta della luce è di 80mila euro al mese. Non è dato sapere a
quanto ammonterebbe l'affitto alla Pizzarotti. "Non posso dare queste
informazioni perché a breve ci sarà la nuova gara e gli altri competitor
non devono conoscere il nostro business plan", dice Roccuzzo. L'ad
difende il centro: "Non solo aborti abbiamo avuto, ma anche tantissime
nascite". Il contratto è scaduto il 30 settembre e al momento il Rti
opera in regime di proroga fino al 31 dicembre. Il centro crea 300 posti
di lavoro per operatori locali, oltre all'indotto in forniture per il
territorio. Il pocket money di due euro e cinquanta centesimi al giorno
viene dato non in beni, ma in buoni pasto della ditta milanese Edenred,
spendibili negli esercizi commerciali del territorio.
Crotone. Da
oltre dieci anni il Cara di Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto (Kr) è
gestito dalla Misericordia, fondata dal parroco don Edoardo Scordio, che
in paese ha fatto costruire, fra l'altro, un santuario per la Madonna
con annesso centro congressi e albergo. L'ultima gara d'appalto
triennale nel 2012 è stata pari a 28.021.050 euro iva esclusa. Il centro
crea 200 posti di lavoro, a cui va aggiunto l'indotto. Basti pensare
che la gara per le sole pulizie nel triennio 2009-2012 valeva quasi due
milioni di euro. La Misericordia sta gestendo la struttura con 21,4 euro
al giorno a persona, l'importo più basso d'Italia. A Isola Capo Rizzuto
la guerra è sui numeri. Per il direttore Francesco Tipaldi, il
complesso ha 1450 posti compreso il Centro di identificazione e di
espulsione, che è una struttura di detenzione per irregolari, oggi
chiusa dopo la morte di un trattenuto e una rivolta. Se così fosse,
con gli attuali 1600 ospiti il Cara sarebbe sovraffollato, ma di poco.
Tuttavia, il bando di gara è stato fatto per 853 posti, di cui 124 per
il Cie. Quindi la capienza ufficiale del centro per richiedenti asilo è
di 729 posti contro 1600 prezenze. Di cui solo 250 dormono in edifici in
muratura. Tutti gli altri in vecchi container che dividono in 9 o più
persone. Basta fare qualche moltiplicazione per rendersi conto che la
cifra reale erogata dallo Stato è molto più alta di quella che si legge
nel bando.
Sei mesi per una risposta. La
commissione territoriale che esamina le domande di protezione
internazionale è considerata "veloce", perché ci mette "solo sei mesi" a
concludere l'iter. Poi però, denuncia Sergio Trolio, avvocato del
Consiglio italiano per i rifugiati, "passano altri due mesi da quando il
rifugiato paga le marche da bollo a quando materialmente gli viene
consegnato il permesso di soggiorno e può andarsene". Francesco Tipaldi
ammette che ci sono persone rimaste nel centro anche 19 mesi. Sono i
casi "Dublino", dal nome del regolamento europeo che obbliga i profughi a
chiedere asilo nel primo paese in cui sono stati fotosegnalati e
identificati con le impronte digitali. Chi poi si sposta e rinnova la
richiesta in un altro paese dell'Ue viene rispedito in Italia per
ricominciare tutta la trafila.
Roma. La
Misericordia punta a gestire anche il Cara di Castelnuovo di Porto. La
gara è in corso. Per il triennio fino al 2016 l'appalto è di 21.352.500
euro. Per ora la struttura è ancora in mano all'Associazione temporanea
di imprese (Ati) formata dalle associazioni Acuarinto di Agrigento e
Synergasia di Roma con a capo la francese Gepsa (Gestion etablissements
penitenciers services auxiliares) e Cofely Italia, entrambe sono società
che appartengono al gruppo Gdf-Suez, multinazionale dell'energia. Gepsa
in Francia lavora nel campo delle carceri. Il valore complessivo
dell'appalto per il periodo 2010-2013 è stato di 34 milioni e 500mila
euro, al netto dell'Iva. Utenze e manutenzione del centro restano a
carico della prefettura. La capienza teorica è 650 posti, quella
effettiva 800. Attualmente non ci sono posti disponibili. Le persone
"vengono messe in sovrannumero per ordine del Viminale", fanno sapere
nel Cara. I tempi di permanenza media calcolati ad agosto sono stati di
255 giorni (dato ufficiale del ministero dell'Interno), pari a 8 mesi e
mezzo. Ma ci sono anche persone come Ken che sono ospitate dal 2011. È
scappato dalla guerra in Libia e ha avuto il diniego alla protezione, ha
fatto ricorso e aspetta l'esito che dovrebbe arrivare fra altri due
mesi.
Bari. La tensione è molto alta nel Cara
di Bari Palese, costruito nel 2008 all'interno della base
dell'aeronautica militare con dei prefabbricati che lo rendono simile a
un campo Rom. Il 3 luglio un ragazzo curdo di 25 anni è morto
accoltellato in una rissa fra nazionalità diverse e altri tre sono stati
feriti. Durante la nostra visita a fine settembre, Mohammed, un
siriano, ha rotto il vetro di una finestra degli uffici per protesta.
Aveva appena saputo che la commissione territoriale gli aveva negato la
protezione internazionale perché non credeva alla sua storia. Abbiamo
verificato con altri siriani fuori dal Cara che ci confermano l'origine
dell'uomo. Mohammed è nel centro da otto mesi e da tre non sa che fine
ha fatto la sua famiglia. "L'unica soluzione è morire, qui o in Siria",
dice disperato.
Il "no" agli eritrei. Gli
eritrei raccontano che molti di loro hanno ricevuto un diniego in prima
istanza e stanno facendo ricorso. Questo ovviamente raddoppia i tempi di
permanenza nella struttura di Bari Palese. "Sono venuto qui per
salvarmi la vita e invece mi sento come in prigione", racconta un
giovane palestinese "siamo qui non per mangiare e dormire, ma per avere
una nuova vita, per sentire che siamo umani". Un mese fa la folta
comunità di pakistani del Punjab ha dato vita a una protesta e uno di
loro è salito su un traliccio. Anche adesso minacciano scioperi della
fame e altre proteste, mostrando le braccia segnate da atti di
autolesionismo. "Ci siamo tagliati con il vetro", spiegano "perché
l'attesa in questo campo è vana per i pakistani, dopo uno o due anni
veniamo rifiutati in massa dalla commissione che non crede alle nostre
storie". Sul centro pende un esposto in Procura per violazioni dei
diritti umani da parte di Cgil, Padri Comboniani e Acli. I magistrati
hanno aperto un'inchiesta. La denuncia punta il dito sul
sovraffollamento che "viola la capienza vitale minima di 7 metri
quadrati per ogni persona detenuta o ospitata", prevista dalle
convenzioni europee. Ci sono 1400 persone per 744 posti. Dopo l'esposto
le associazioni sono state invitate a un tavolo tecnico con la
prefettura e l'ente gestore. "Vogliamo la convenzione stipulata fra la
prefettura e l'ente gestore per vedere se viene rispettata", spiega Azmi
Jarjawi, responsabile Immigrazione della Cgil di Bari "la prefettura ha
chiesto al ministero dell'Interno che ha risposto di non ritenere
necessario per il tavolo tecnico avere questa documentazione".
Stesso gestore. Anche
qui il gestore è lo stesso da quando esiste il centro. In questo caso
la cooperativa lucana Auxilium dei fratelli Pietro e Angelo Chiorazzo.
Anch'essa con sede a Senise (Pz). Auxilium è storicamente vicina alla
Cascina, con cui si trova in Ati nel centro. Da vicepresidente della
Cascina, Angelo Chiorazzo è stato coinvolto nella stessa indagine della
magistratura di Bari in cui era imputato Camillo Aceto, a sua volta ex
membro del consiglio di amministrazione di Auxilium. Anche Chiorazzo ha
avuto la prescrizione in primo grado per i reati di falsi e frode nei
confronti della pubblica amministrazione. È stata archiviata un'altra
inchiesta che vedeva coinvolto Chiorazzo per l'apertura di un Cara a
Policoro in Basilicata, durante l'emergenza sbarchi nel 2008, di cui
l'Auxilium aveva avuto l'affidamento diretto, senza gara pubblica, per
un appalto di oltre un milione di euro e senza che il Viminale avesse
prima verificato l'adeguatezza della struttura. La cooperativa lucana
gestirà il Cara di Bari fino al 2015 con un'indennità pro capite pro die
di 33 euro, di cui al migrante vanno 3 euro e 50 centesimi al giorno in
beni e prodotti. Il valore dell'appalto triennale è di 14.454.600 euro
al netto dell'Iva.
Appalto revocato. Nel 2011 la
prefettura ha usato le "misure d'urgenza" del Fondo europeo per i
rifugiati destinate a fronteggiare l'emergenza Nord Africa per
finanziare all'Auxilium la proroga della gestione. Quell'anno infatti
l'appalto se l'era aggiudicato il consorzio Sisifo in via definitiva con
un ribasso del 42%. Ma dopo tre giorni, nel giro di poche ore la
prefettura ha emesso due provvedimenti con i quali è stata dapprima
sospesa e poi revocata l'aggiudicazione definitiva. La commissione di
gara ha fatto marcia indietro all'ultimo minuto, considerando infine
l'offerta di Sisifo anormalmente bassa. La cooperativa dei Chiorazzo
gestisce anche il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte
Galeria a Roma, ma l'appalto è in scadenza. In compenso "Auxilium
conquista la Sicilia" come ha annunciato pochi giorni fa sul suo sito.
Dal primo ottobre la cooperativa di Senise gestisce anche il Cara e il
Cie di Pian del Lago a Caltanissetta, 552 posti totali. Il valore
dell'appalto fino al 2015 è di circa 18 milioni di euro. In un primo
momento la gara se l'era aggiudicata Domus Caritatis insieme alla
Cascina e alla Senis Hospes di Aceto. La prefettura di Caltanissetta ha
reso noto che l'esito è stato annullato per mancanza dei requisiti
previsti dal codice di regolamentazione degli appalti e la gestione
affidata ad Auxilium.
Spostamento da 5 milioni. "La
situazione nel Cara di Bari resta molto critica", dice Fabio Losito,
assessore all'Accoglienza del Comune "è sempre sovraffollato ormai da 4
anni. È un'emergenza permanente e il ministero è sordo alle richieste
del territorio. La nostra posizione è che a parità di costo si possa
avere un servizio migliore, ospitando i migranti in piccoli gruppi al
massimo di 50 all'interno della città". L'aeroporto di Palese deve
allungare la pista e il centro sorge proprio in mezzo, per questo dovrà
essere spostato. Il costo dell'operazione che dovrebbe avvenire entro
pochi mesi è di 5 milioni di euro prelevati dal Pon (Programma operativo
nazionale) Sicurezza. È intenzione del Viminale ampliare il Cara fino a
1500 posti e spostarlo nell'area adiacente al Cie. "Il nostro timore è
che ci si ritrovi con una concentrazione ancora superiore", spiega
Losito "e le concentrazioni producono tensioni che sfociano in
tragedie".
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