Recensione del film "Anita B." - Recensione di Angela Laugier
Regia: Roberto Faenza
Principali interpreti:Eline Powell, Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro, Clive Riche, Guenda Gloria, Moni Ovadia, Jane Alexander – 88 min. – Italia, Ungheria, USA 2014.
Questo bel film di Roberto Faenza, ispirato liberamente al romanzo di Edith Bruck, Quanta stella c’è nel cielo, ci fa rivivere la triste realtà dei pochi ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio che, al termine della guerra, si erano ricongiunti con quanto rimaneva della propria famiglia, sperando di trovarvi la calda accoglienza di cui avevano un disperato bisogno. Anita B., la ragazzina ebrea ungherese che era scampata alla morte, dopo Auschwitz e Bergen Belsen, aveva raggiunto, col treno, priva di documenti, il territorio cecoslovacco dei Sudeti, dove in un piccolo villaggio appena liberato dalla presenza dei tedeschi nazisti si era insediata la zia Monika col marito e il figlioletto, nonché Eli, fratello del marito. Qui la piccola Anita sarebbe stata accolta e aiutata a dimenticare, poiché in quel minuscolo alloggio quello era stato il compito che consensualmente tutti avevano accettato: dimenticare gli orrori dei genitori rastrellati e deportati sotto gli occhi di Monika, dimenticare la fidanzata bruciata viva sotto gli occhi di Eli. Era stato proprio Eli, infatti, ad avvisare Anita che, se avesse voluto vivere con gli altri, nella casa in cui tutti l’avrebbero accolta, avrebbe dovuto lasciarne fuori Auschwitz.
Il bagno a cui Monika l’aveva sottoposta, con crudele freddezza subito dopo il suo arrivo, aveva assunto perciò anche il significato simbolico di un lavacro purificatore che avrebbe cancellato ogni traccia di ciò che era stato: non era stato possibile, però, portare via col sapone il numero marchiato a fuoco sul suo braccio, né le ustioni del cuoio capelluto. Anche questi bestiali segni, per quanto occultati alla vista (un bel fazzoletto colorato sui capelli; le maniche lunghe per nascondere lo scandaloso numero impresso sul braccio) diventavano a loro volta simboli di una memoria dolorosissima e incancellabile, sulla quale a lungo avrebbe meditato Anita, che non solo non poteva, ma neppure intendeva annullare i ricordi sui quali, invece avrebbe voluto costruire la propria identità e il proprio futuro, rispondendo allo scandalo della Shoah e alle lusinghe di un’integrazione (possibile solo annullando se stessa e le proprie speranze), con l’assunzione di una dignitosa e cosciente responsabilità in terra di Israele.
Il tema dell’importanza della memoria, fondamento dell’identità di un popolo quasi cancellato dalla follia nazista, è stato fra i più dibattuti all’interno dell’universo ebraico, lacerato tra la tentazione dell’assimilazione (umanamente molto comprensibile, ma in grado di annullare, probabilmente, una millenaria cultura, che nonostante la diaspora era riuscita a conservare usi, tradizioni, canti, riti, e persino alimentazione simile in ogni parte dell’Europa) e la rivendicazione orgogliosa della propria storia, fatta anche di umilianti persecuzioni e infine purtroppo della Shoah. Il regista ci dà, col linguaggio del cinema, una rappresentazione visiva e raffinata di questa dicotomia, non facilmente risolvibile e, attraverso il ritratto di Anita e delle sue scelte dolorose, ci ricorda che il passato non può essere ignorato né dagli individui, né dai popoli, essendo parte costitutiva e incancellabile della nostra storia personale e della nostra appartenenza collettiva.
Splendidi gli attori, diretti con molta sensibilità ed equilibrio; bellissime le ricostruzioni ambientali nelle quali si respira l’aria della Mitteleuropa (come sempre Faenza è molto abile nel ricostruire atmosfere e ambienti: così era stato anche per il precedente e raffinato film su Gustav Jung e Sabine Spielrein, Prendimi l’anima, che ho sempre apprezzato più – non temo il linciaggio! – del pretenzioso e un po’ ridicolo A dangerous Method di Cronenberg, sullo stesso argomento).
Informo che il film è presente, per ora, solo in venti sale cinematografiche in tutta Italia (no comment!).
Angela Laugier
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